i Viaggiatori
hanno scritto
...
dei secoli XVIII e XIX,
nel "Grand
Tour",
Sulla Zona
Intemelia,
Henry Alford 1869 |
Bòris Pasternàk, Dottor Zivago, 1957)
Poeta e romanziere russo, nato a Mosca nel 1890 e morto a
Peredelkino nel 1960.
... Il luogo era incantevole ... Il profumo dei fiori, persistente e come smarrito nell’aria, era inchiodato dall’afa sulle aiuole. Come tutto gli ricordava Antibes e Bordighera ! ...
Anche Ludovico Ariosto celebrò, in versi, le bellezze dell’estremo Ponente ligure. Nel primo dei “Cinque canti”, col passo dove descrive il viaggio della galea di Gano, dice: “Indi l’Alpe a sinistra apparea lunge / Che Italia in van dà barbari disgiunge, / Indi i monti Ligustici, e Riviera / Che con aranci e sempre verdi mirti / Quasi avendo perpetua primavera, / Sparge per l’aria i bene olenti spirti”.
PRESENTAZIONE
Il Grand Tour era un
lungo viaggio nell’Europa continentale effettuato dai ricchi giovani
dell’aristocrazia britannica a partire dal XVII secolo e destinato a
perfezionare la loro educazione. Il viaggio poteva durare dai pochi mesi
fino ad otto anni.
Le
destinazioni principali erano la Francia, l’Olanda, la Germania, ma
aveva come obiettivo privilegiato l’Italia, verso Roma in particolare, e
di norma includeva le tappe di Venezia, Firenze, Bologna, Napoli e
qualche volta anche la Sicilia.
La Francia rappresentava il vertice
dello stile e della sofisticazione, così i giovani andavano là per
liberarsi del loro comportamento anglosassone per accedere ai
comportamenti della aristocrazia continentale; così da poter visionare
liberamente le bellezze paesaggistiche mediterranee e non solo.
Sotto
l’occhio attento di un tutore, curato dalle attenzioni di un valletto,
il giovane, a Parigi, cancellava tutte le tracce esteriori del
precedente Britannico, con l'acquisto d'un guardaroba completamente
francese.
Vestito
come un raffinato continentale si introduceva nella società francese,
poi come turista andava a Digione, Lione e infine Marsiglia. Dalla
Provenza, per raggiungere l'Italia, sovente transitava per la Costa
Azzurra e la Riviera di Ponente, inviando a casa delle raffinate
descrizioni.
Anche durante il XIX secolo, gran
parte dei giovani europei nordici istruiti fecero il Grand Tour. Più
tardi, divenne alla moda anche per le donne giovani. Un viaggio in
Italia con la zia nubile in qualità di chaperon faceva parte
della formazione della signora d’alto ceto.
L’espressione Grand Tour,
sembra abbia fatto la sua comparsa sulla guida An Italian Voyage
di Richerd Lassel edita nel 1698. Il successo del libro di Thomas Coryat:
Coryat’s Crudities è considerato come l’inizio della mania per
Grand Tour.
La pratica del Grand Tour
divenne meno frequente durante la Rivoluzione francese, ma riprese con
la Restaurazione, anche se con tono minore.
Nello stesso periodo, anche
molti scrittori "italiani" sono transitati o hanno dimorato in questa
Zona di confine, non per turismo, lasciando descrizioni appropriate.
Ecco dunque le
caratterizzazioni che
interessarono la Zona Intemelia, quelle che contribuirono a portare Thomas Hanbury in
Costa Azzurra, a cercare il suo "Giardino".
Il genovesato comincia a Ventimiglia, altra città costiera che dista venti miglia da Nizza; (questa circostanza le dette il nome.) Dopo aver passato le città di Monaco, Mentone, Ventimiglia e parecchi altri luoghi di minore importanza che si stendono lungo la riva, ci dirigemmo verso San Martino, con un venticello favorevole, e avremmo potuto percorrere altre venti miglia prima del cader della notte, se le donne non fossero state assalite dal mal di mare e dalla paura per l’agitarsi dei flutti. Il signor R. ne fu così sconvolto, che pregò in segreto il padrone di prender terra a Sanremo, col pretesto che in nessun altro luogo, fino a Noli, quaranta miglia lontana, avremmo potuto trovare un albergo decente. Sbarcammo, dunque, e fummo condotti alla Posta che, a quanto ci assicurava il nostro gondoliere, era il miglior albergo della Riviera.
Più in alto la strada conduce, attraverso valli e altipiani,
attraverso curve orlanti precipizi e cingenti le Alpi, alle
severe e brumose frontiere d’una Liguria imprevedibile; eppure è
lo stesso territorio, dove si parla la stessa lingua, dove i
villaggi e le cittadine - come l’antica Ventimiglia e
l’autentica Bordighera - sono formati da edifici ammassati
verticalmente, uniti tra di loro da archi di pietra per dare
origine a strade bordate da profondi corridoi ombrosi sotto un
cielo spezzettato in tanti tagli d’azzurro. Non un villaggio, e
neppure una cittadina, ma un solo palazzo di trenta piani e una
sola lunga facciata volta a pieno mezzogiorno.
Che senso dello spazio e della prospettiva ! Che gioco sapiente
di piani inclinati e orizzontali ! Si perde la nozione del suolo
e dei suoi rilievi, qui più domati ed urbanizzati che in nessuna
altra parte del mondo. Ogni svolta scopre elementi inaspettati,
e la stradicciola, lanciata come una scala di corda, sbocca sul
piazzale di una cittadina pianeggiante.
C’è nel fungajo di case di Ventimiglia vecchia un’antica
chiesetta. Una notte che vagando sbucai su una piazza, essa m’apparì
staccata su un cielo più celeste che di giorno dove una grande
luna faceva di madreperla un gregge di nuvolette ammonticchiate
e leggere. Non c’era che questo: ma la luna dava al luogo un
aspetto così stupito che pareva di vivere in un’antica stampa.
Un bambino, che passava per mano d’una donna, alla vista del
cielo s’impuntò, smaniando alla luna come verso un giocattolo
nuovo; e i due si fermarono in mezzo alla piazza con
esclamazioni di meraviglia.
Uno, rasentando il gruppo di premura, volle dir solo: Cielo a
pani se non piove oggi piove domani; ma, fatti altri due passi,
anche lui s’arrestò a viso in su, colto da stupore.
Questo ricordo avrà virtù di farmi sorridere chi sa fra quant’anni
ancora.
Nello scenario della strada lungo la Cornice, la varietà è pari
alla bellezza. In alcuni punti, il ricco e fertile paesaggio
lascia il posto a tratti dove nient’altro è visibile eccetto il
mare, le sabbie e le alte rocce che sorgono come una barriera a
difendere la terra. Spesso queste rocce sono alte più di
seicento piedi, il loro colore è un rosso intenso mescolato con
il nero e il grigio chiaro e l’ensemble appare magnifico sotto
la luce lunare. Ne vegetazione erbacea ne alberi interrompono
per due o tre miglia la sublime grandezza della scena.
Solo qualche aloe selvatica, che cresce prodigiosamente alta,
spunta tra le fenditure delle rocce e aumenta l’effetto
pittoresco.
... passato il promontorio di Santa Croce, incontriamo di nuovo
una successione di brulle salite e discese e la strada diventa
poco interessante, a parte gli splendori sempre nuovi del mare.
Comunque, procedendo, un altro notevole paesaggio si para
davanti a noi e ci colpisce. Se la giornata è limpida, l’occhio
può cogliere, da San Remo in avanti, la sfumata linea delle
lontanissime montagne, che sale gradualmente verso l’orizzonte
orientale.
È l’opposta costa italiana che ora comincia a mostrarsi
nitidamente ...
Secondo il giudizio di
un pittore, Bordighera è sul traguardo della luce. La luce, elemento
indispensabile per veder chiaro fuori e dentro di noi; per fugare le
inquietudini trasognate e distendere i nostri nervi.
Ogni cosa brilla di luce propria: precisa nel disegno e nel
colore - direi quasi che qui la natura, rassicurata, riposa in un fluido
chiaroveggente - noi ci sentiamo edotti senza riflettere, ossia illuminati,
e in comunicazione perfetta di immagini e di sentimento col mondo
trasparente e vaghissimo che ci circonda e ci assedia da ogni lato.
Dunque qui siamo sul traguardo della luce. Lo ha detto un
acquarellista ...
Luce bionda che fluisce perenne nell’aria tenera e giovane. (A
Bordighera è come se fossero sempre le otto del mattino). A quest’aria
infantile rispondono gli innumerevoli fiori che sono il linguaggio muto,
l’espressione sincera, la confessione di questa terra ligure.
Imbevuta di sale e di luce, l’atmosfera vien senza fretta, con
un sussurro di seta, dal largo dei profondi orizzonti mediterranei, a
carezzare le coste e i giardini, e si muove diffusa nell’ampio cielo di
smalto, creando il così detto «clima incantato» della Riviera...
L’aria buona è il miglior nutrimento - o sì, specialmente se
stuzzica l’appetito.
E qui c’è aria buona: non solo per i malati di petto ma anche
per quelli più numerosi e fortunati che godono di una salute di ferro. E di
quest’ultima categoria sono altrettanti campioni i felici abitanti di
Bordighera, marinai e montanari nello stesso tempo.
La neve, il deserto, i ghiacciai incombono su Bordighera, eppure
la temperatura è tale da far supporre che ci sian, dietro le rocce, delle
stufe; fra gli scogli, dei termosifoni; e dei radiatori, nel mare.
Si potrebbe quasi dubitare che l’accumulazione di salute e di
forze non diventi qui, col riposo e l’inazione, una specie di malattia. I
malati cominciano a guarire a guarire a guarire (come diceva Ferravilla) e
non fermandosi più passano il segno, e stan correndo il rischio di sentirsi
male un’altra volta per eccesso di salute.
Il soverchio rompe il coperchio - così l’essere molto ricco e il
non aver occasione di spendere, può farci apparir l’esistenza una condizione
difficile e addirittura disperata.
Ma avvertiamo subito che i sardanapali non si troverebbero
nell’imbarazzo: San Remo e il suo Casino sono a due passi ...
... Sfilano le Alpi Marittime. Sono avvolte nella nebbia e sui
loro pendii si scorge il multicolore mosaico degli chalets
francesi e delle ville italiane.
Con le sue poetiche spiagge ecco Sanremo, dove il defunto
imperatore di Germania Federico Guglielmo lanciava gli strali
del suo mortale dolore. E poi, al calar della sera, ghirlande di
luci, yachts di ricconi che fanno rotta per Montecarlo.
... Dalla
costa viene un rumore continuo di vita come se questa fosse un
paese ininterrotto.
Dato che il vento era contrario e il capitano non ci dava grandi
speranze di un cambiamento, ritirai da bordo i miei bagagli,
ingaggiai una guida, presi in affitto una coppia di muli e
sabato, 12 maggio, partii da San Remo per Genova. Un viaggio di
tre giorni, novanta miglia, che è un po’ come lo stato di quelle
strade: buono o pessimo, ma spesso più questo che quello.
Generalmente il sentiero, strettissimo e molto sconnesso, corre
sulla cima di altissime montagne, i precipizi sono scoscesi, in
alcuni punti quasi perpendicolari, che profondità ! Basterebbe
anche un piccolo tratto per sistemare chi fosse così sfortunato
da cadere giù con un passo falso. Tuttavia i nostri animali dal
piede sicuro si comportavano sul sentiero non diversamente che
se fosse stato perfettamente pianeggiante, noi però fummo
talvolta costretti ad arrampicarci dove nessuno, tranne i muli e
le capre, poteva arrivare. Sotto, sulla destra, il Mediterraneo
ci accompagnava lungo tutto il cammino e si infrangeva contro la
costa con una forza tale che il rumore ricordava il tuono; le
enormi ondate che mugghiando spingevano avanti una grande
quantità di ciottoli, producendo all’urto finale un vero boato,
mi facevano rammentare i racconti, quasi certamente veritieri,
che avevo letto, a proposito delle cateratte del Nilo, che
rendevano sordi gli abitanti delle zone vicine.
Quando le onde incontravano rocce sulla spiaggia che offrivano
resistenza, pioveva come da un’altezza di alcuni campanili.
L’altura lungo cui calcavo mi offriva una varietà di panorami e
molti di questi non erano sgradevoli. Alcuni luoghi, spesso
abbastanza romantici, sarebbero stati bellissimi posti per dei
castelli incantati.
Gli artisti, di solito, non amano che vengano loro indicati
preventivamente i soggetti che possono prestarsi alla
composizione dei loro quadri e dei loro disegni; essi amano
piuttosto vagare alla ventura e scoprire da soli quei piccoli
angoli che trasporranno poi con amore sulle tele. Se tutti gli
artisti che vengono a Bordighera dovessero soggiornarvi
abbastanza a lungo, mi guarderei bene dall’anticipare loro le
impressioni e lascerei che si facessero condurre dal caso, dato
che sicuramente l’intuito artistico li porterebbe nei punti più
suggestivi. Ma è possibile anche che qualche pittore o soltanto
qualche amante del bello non faccia che attraversare il paese;
può darsi allora che essi passino nei pressi di angoli
affascinanti oppure di luoghi caratteristici, senza dubitare
neppure che esistano. Da ciò può nascere la privazione di una
grande gioia spirituale e un ricordo di Bordighera meno vivo di
quanto potrebbe essere.
Sono sicuro quindi di rendere un favore agli artisti di
passaggio e agli amanti del pittoresco che non si sarebbero
fermati in questo bell’angolo del mondo, indicando loro le
località che devono conoscere, se vogliono fissare nei loro
pensieri, se non sulle tele o sugli album di viaggio, i mille
motivi così strani e così tipici che fanno di Bordighera una
città del tutto singolare.
In effetti Bordighera è più Palestina che Italia e, senza
attraversare il mare, si può volentieri immaginare, percorrendo
la città vecchia e i suoi dintorni, di essere trasportati
nell’Oriente biblico e perfino, in certi punti, nel paese dei
faraoni
Dodici palme alzavansi alla sponda
del mar da torno a un vecchio pozzo. Andava
stridulo il carro nella sabbia fonda,
il sole in lontananza si abbassava,
tutto taceva. Il mare di scarlatto
la sera incominciava a colorire,
quando la Morte apparvemi d’un tratto:
così che mi credetti di morire.
I palpiti del cuor s’eran fermati,
s’era fermato il sangue. Già svenivo.
Alle refrigeranti ombre, turbati,
gli amici mi traevano mal vivo.
Placido dissi allor: «Ch’io sia lasciato
qui ! Ne più mi parlate di partenza.
Nessun in patria di me si è curato:
possono anche del cenere far senza.
Qui mi splende l’antico oro e l’azzurro
che il giovami dolore mi addolciva.
La prima valle che s’incontra ad ovest di Bordighera, presenta
sul suo versante occidentale i villaggi di Borghetto (dal quale
la valle prende il nome) e Vallebona, mentre sulla dorsale del
versante opposto, a circa metà strada tra questi due abitati,
siede Sasso che, a sua volta, da il nome alla vallata che si
apre ad est di Bordighera.
La prima valle è stretta e sinuosa e le colline di entrambi i
versanti sono ripide e quasi completamente ricoperte di ulivi,
suddivise in terrazzamenti con muri a secco di rozza fattura.
Qua e là, vicino al letto del torrente, crescono abbondanti le
canne, e le fasce soprastanti risultano intensamente coltivate a
vigna.
Una strada corre lungo il sassoso letto del piccolo corso
d’acqua, alimentato in inverno ma pressoché asciutto in estate;
e tale strada continua fino a raggiungere la ripida mulattiera
che conduce al villaggio. Le vetture devono svoltare a sinistra,
a circa metà percorso, dove si dirama una nuova strada che,
mediante un moderato pendio, si alza sulla collina tra gli
alberi di ulivo e le fasce coltivate, fino alla parte più alta
del villaggio, dominata dalle due chiese, per proseguire poi
verso Vallebona, ove ha fine.
Il vino del villaggio merita più di una semplice menzione, ed è
uno dei migliori prodotti del distretto, ma i visitatori non
dovrebbero giudicarlo dai semplici assaggi abitualmente serviti
negli alberghi sotto il nome di «vino del Borghetto». La qualità
migliore è il vino rosso, che possiede un peculiare e delizioso
aroma; ma vi è pure un piacevole e chiaro vino bianco il quale,
simile agli altri vini bianchi della regione, basta a mantere in
buona salute.
Passammo in vista di Villafranca, piccola fortezza del duca di
Savoia. Fu lì che il vento cominciò a darci noia, e non
accennava a smettere. Fummo costretti ad accostare, e a riva ci
facemmo un pranzo delizioso con una zuppa all’olio; ma appena
risaliti a bordo, ci attanagliò il mal di mare con tutte le sue
conseguenze. Fui io a cominciare il rito, ed ebbi il vantaggio
di essere l’ultimo a terminarlo. Sono stato peggio tra tutti, e
solo Lacurne se l’è cavata senza danni allo stomaco. I nostri
lamenti erano una cosa eccezionale; e soprattutto Loppin
rimpiangeva l’ora che si era mosso da tanto lontano per rendere
dei popoli stranieri testimoni della sua debolezza ...
Tuttavia superammo Monaco, brutta cittadina celebrata a torto,
tranne che per una gran fortezza appollaiata su un picco liscio,
dove si trova anche il palazzo del principe di Monaco, assai
bello. Il re vi tiene una guarnigione francese ...
Poi Roquebrune, Mentone, bella cittadina del principato di
Monaco, nei pressi della quale il principe ha la sua casa di
campagna. Quindi Ventimiglia, di cui il vostro umile servo non
vi dirà nulla, perché in quel momento era occupato a dar da
mangiare alle sardine.
A mio parere, il vomito è il minore dei mali che da il mare;
quello che si sopporta meno facilmente è la depressione
dell’animo, da farti giungere al punto che non volgeresti il
capo per salvarti la vita, e l’odore atroce che il mare ti butta
sul naso. Finalmente la bonaccia succedette al vento contrario,
e i nostri marinai, invece di mettersi a remare, accostarono a
riva, presso un brutto buco di nome Speretti, dove considerammo
una fortuna trovare dei polli a 50 soldi l’uno, per rimetterci
con un po’ di brodo. Io non sono di quelli che trovano sollievo
a rimettere i piedi sulla terra, anzi il mio male raddoppiava;
avevo concepito tale orrore per il mare, che non lo potevo
neppure guardare.
Dopo aver superato Sanremo, graziosissima cittadina costruita su
un pan di zucchero, i nostri marinai ci sbarcarono sotto un
oliveto, dove ci toccò restare per quindici ore a sbadigliare
alle cornacchie. Questo è il tempo che si risparmia ad andare a
Genova via mare; bisogna essere dei pazzi per prendere un’altra
strada che non sia quella del Piemonte, quando si va in Italia.
A notte, risalimmo a bordo; giusto per fare a forza di braccia
una mezza lega e andare a dormire a Santo Stefano, dove, per
aver mangiato, al prezzo di una pistola, in giorno di magro, una
vecchia gallina ammazzata apposta per noi, il curato ci venne a
fare un predicozzo, quasi non avessimo fatto penitenza ipso
facto. Mi sdraiai sotto una tavola e mi addormentai cullato
dalle litanie della Vergine intonate da un centinaio di ragazzi
sull’aria di quei suonatori di corno che Coeur-de-Roy imita
tanto bene.
Fiori nell’uliveto
Gli uliveti, attraverso i quali si passa andando da Bordighera
vecchia a Sasso, sono di una rara bellezza. Essi nascondono
tronchi vecchi e nodosi che spesso poggiano su parecchi
sostegni, come su grucce. Ci si indugia involontariamente
davanti a queste piante e si ammira in pari tempo il contrasto
con cui le corone ombrose si stagliano contro l’azzurro
splendente del cielo e del mare. Un simile uliveto è
stupendamente bello alla sera quando c’è luna piena. Le foglie
d’un grigio pallido, splendono allora così vivacemente, che ad
ogni colpo di vento sembrano farsi d’argento. Anche la lunga
fascia lunare sul mare appare quasi viva; si culla sulle onde
dondolando nel suo cammino e si rompe sulla spiaggia in bianca
schiuma.
Il 5 aprile 1840 fu uno dei giorni felici della mia giovinezza.
Mi imbarcai sul Faramondo una delle più belle navi a vapore del
Mediterraneo e partii per l’Italia: andavo a visitare le città
più belle della penisola e a passare la settimana santa a Roma.
Durante la notte, salii venti volte sul ponte per vedere,
attraverso le ombre, la costa che si profilava: era già la costa
italiana. Portata dai cavalli invisibili attaccati alla sua
prua, la nave volava sul mare. Venne il mattino e la nave
bordeggiava in modo che potevo distinguere bene la costa e
gustarne persino i profumi. Di quando in quando leggere barche a
vela triangolare ci passavano accanto e nell’aria mattutina
udivo il canto sonoro dei pescatori italiani. Non mi stancavo di
guardare.
A destra si stendeva il mare, illuminata la cresta delle onde
dalle luci del mattino, a sinistra si stendeva la costa che, da
Nizza a Genova, offre magnifici paesaggi dominati dalle creste
degli Appennini bianche di neve. Foreste, colli arrotondati o
rudi, villaggi ai piedi della montagna o arrampicati sul pendio,
si dipingevano ai miei occhi. Ad ogni istante i colori e le
forme mutavano; appena avevo guardato un paese aggrappato alla
costa, gruppo di case bianche sorvegliato da un agile campanile
sepolto in mezzo ai pini, che un altro usciva da una ansa marina
e mi veniva incontro. Tutti avevano un bel nome: Santo Stefano,
San Remo, Albenga, Albissola.
Ho vagato per queste montagne. Non v’è albero, non tugurio, non erba. Tutto bronchi; aspri e lividi macigni; e qua e là molte croci che segnano il sito de’ viandanti assassinati. Là giù il Roia, un torrente che quando si disfanno i ghiacci precipita dalle viscere delle Alpi, e per gran tratto ha spaccato in due questa immensa montagna. V’è un ponte presso la marina che ricongiunge il sentiero. Mi sono fermato su quel ponte, e ho spinto gli occhi sin dove può giungere la vista; e percorrendo due argini di altissime rupi e di burroni cavernosi, appena si vedono imposte sulle cervici dell’Alpi altre Alpi di neve che s’immergono nel Cielo e tutto biancheggia e si confonde da quelle spalancate Alpi cala e passeggia ondeggiando la tramontana, e per quelle fauci invade il Mediterraneo. La Natura siede qui solitaria e minacciosa, e caccia da questo suo regno tutti i viventi.
Attraverso il Colle di Tenda
«Una catena di stupende montagne, che si spingono da Sud verso
Est, si presentano all’occhio dello spettatore attonito; i loro
picchi aridi e impervi formano un paesaggio triste e malinconico
che appare però, in qualche modo, variato e rallegrato dalla
visione del mare, le cui acque azzurre, sullo sfondo, spuntano
tra le scoscese indistinte vette, che serrano, con i loro colori
di porpora, l’orizzonte».
La tristezza sperimentata lungo lo sterile litorale che da Porto Maurizio conduce a Sanremo viene compensata dalle fantastiche forme delle scogliere di Ventimiglia o dai fitti nodi del fico indiano che insieme ai rami delle palme offre all’ambiente un aspetto asiatico. E ancora a Ponte San Luigi vuoi rendersi conto dell’arco gettato attraverso lo “spaventoso dirupo dei Balzi Rossi, scende nella gola ed entra, sorpreso, in un minuscolo vigneto, caverne misteriose si aprono di fronte, mentre il bordo del precipizio, piacevolmente ombreggiato da un delizioso moscato profuma dei fiori di gelsomino che cresce rigoglioso intorno.
Mezzo miglio a est di Mentone e di nuovo sugli stati Sardi, la
strada Ligustica arriva al ponte di San Luigi. Uno straniero
diceva: Io vorrei che in capo a questo ponte si mettesse una
lapide con quest’iscrizione “Fermati, o viatore, ed ammira come
la natura qui abbia sfoggiato in capricci, e come l’arte
industriosamente siasi travagliata a domarla".
E rocce strane, acute, traforate, intagliate, isolate, pendenti,
un torrente cascante, spumante, un abisso di ottanta metri di
altezza, ecco il luogo ove con un solo arco della corda di 22
metri il ponte di San Luigi, fatto di bellissime pietre
riquadrate, con erculeo lavoro congiunge la strada. Non meno
svelto che saldo, esso spicca maravigliosamente per quanto gli
sta intorno, o si scerne in lontano. Ha nel mezzo dell’aereo
spazio ch’ei copre, un vecchio acquedotto, a sinistra un orto di
limoni, le cui frutta d’oro pallido contrastano coi balzi rossi
del fondo, dalle cui fessure spuntano senza numero le piante del
mezzogiorno.
... dopo aver lasciato Mentone ...... In cima alla salita siede lietamente collocato un villaggio, indi la strada si di china in un seno ov’è alquanto di pianura, coltivato a guisa di ridente giardino. Costà si conforta l’animo all’aspetto di una casa quadra, dipinta, con grandi camere, col tetto acuminato, coperto di lastre di ardesia. Essa è la prima casa genovese che dal Varo in qua si rincontri, e sorge gioconda foriera dei mille palagi che procedendo sino oltre Sarzana troveremo abbellire i poggi e le spiaggie.
La costiera occidentale, dal Varo alla Valle d’Albenga è un continuo oliveto. L’uomo del Nord ama l’olivo, perché indizio d’un clima più fortunato. Ma la monotonia del suo smorto fogliame, quando non è interrotta da più vivaci tinte di verde, riesce spiacevole agli occhi e causa di mestizia all’animo. Ciò si scorge particolarmente nella provincia di Oneglia, ove regna senza compagni l’olivo. Ma nei dintorni di Nizza i frequenti giardini e le valli irrigate interrompono l’uniformità ... A Mentone, a San Remo, i limoni, gli aranci, i cedri sfoggiano l’oro pallido e l’oro carico dei loro pomi in mezzo alle verdissime e lucenti loro foglie. Ed a Bordighera, come ancora a San Remo, l’elegante palma consola gli sguardi con la sua vaghezza orientale. I vigneti in quel lungo tratto di Riviera ora son rari, ora mancano affatto.
Partendo da Mentone, la strada della “Cornice” sale gradualmente
dalla spiaggia fino a giungere sopra “the Red Rocks” al cui
interno sono situate le caverne degli uomini preistorici... A
circa un miglio e mezzo da Mentone, la strada attraversa la gola
di St. Louis, situata fra le montagne del Berçeau e Belenda.
Questa gola è una stretta fenditura profonda circa 400 piedi sul
fondo della quale, durante piogge abbondanti, un torrente
impetuoso ruggisce spumeggiante.
Essa è attraversata, a circa 150 piedi dal livello dell’acqua,
da un moderno ponte ad ampio arco singolo, che appare molto
areato e pittoresco se osservato da una certa distanza. Esso è
reso ancora più caratteristico dalle rovine di un antico
acquedotto, incastonato fra il corso del torrente ed il ponte,
dal quale l’acqua veniva anticamente condotta verso qualche
frantoio.
Le rocce, che torreggiano ripide su entrambi i lati, sono
vistosamente glabre di vegetazione ed aspre; mentre lo sguardo
passa con un fremito dalle bianche ed aride vette, rese ancor
più abbaglianti dal forte riverbero del sole, in basso verso gli
argini nel freddo ed oscuro strapiombo.
Oggi questa strana gola delimita il vero e ben definito confine
tra Francia e Italia. Se ci si trova nel mezzo di quel ponte, si
può mettere un piede nel primo paese e l’altro piede nel
secondo. I doganieri italiani hanno la loro casa doganale su di
un lato della strada, al si sotto del ponte, abbarbicata sulla
parte più alta delle erte rocce, che contengono, immediatamente
al di sotto, quattro delle principali caverne summenzionate; la
casa doganale francese è invece posta molto vicino a Mentone, in
modo da evitare qualsiasi possibilità di contatto.
Sotto la stazione italiana, un sentiero sassoso molto
frequentato si separa dalla strada per condurre al famoso
giardino del Dott. Bennet, che tu il primo a decantare ai
visitatori inglesi il fascino di Mentone quale lido salutare;
infatti si può ben dire che fu lui a fare Mentone, come Lord
Brougham fece Cannes e Smollet Nizza.
Il giardino è posto sui fianchi terrazzati della montagna
scoscesa ed è uno dei più significativi esempi del trionfo
dell’ingegno e della perseveranza sulle difficoltà quasi
insuperabili.
Le nude ed aride rocce, roventi sotto la calda luce del sole,
sono state rese verdeggianti e prospere della più svariata e
florida vegetazione esotica grazie ad un elaborato sistema di
irrigazione ed ad un terreno artificiale.
Il giardino è aperto a tutti, e nei lunghi viali ornati di
vigneti e rampicanti, le cui forme, tinte e profumi addolciscono
tutte le facoltà sensoriali, fra le aiuole di rari e brillanti
fiori ed accanto ad una fontana avvolta nella bellezza, che
diffonde freschezza e luce tutt’intorno con il suo mormorio
d’acqua, un paio di ore voleranno via con magica rapidità.
Nella tenuta, un’antica torre saracena, un tempo utilizzata come
posto di guardia quando le incursioni dei barbari pirati
terrorizzavano gli abitanti di questa splendida costa, domina
l’ampio panorama di Mentone e Monaco, le cui svariate bellezze
di forme e colori, terra e mare, rapiscono lo sguardo e lasciano
lo spettatore incantato.
Sopra il giardino, ripidi e accidentati sentieri conducono a
terrazze rigogliose di ulivi ed alberi di limone, ed attraverso
selvagge ed aspre rocce portano al curioso antico villaggio di
Grimaldi, che sta sopra Belenda, con la sua chiesa e campanile
che spiccano pittorescamente dagli ulivi.
Sui torridi e vertiginosi precipizi accanto ad esso, si può
godere di una veduta più ampia ed ugualmente splendida, che
mentre prima era catturata da curve ed orizzonti verso
meravigliosi paesaggi immaginari al di là di essi, ora osserva
tutto ciò che è da vedere, l’ampia distesa del mare e la costa
da Esterel a Sanremo; e molta della bellezza, che dal mistero e
dalla bramosia dipende, è dunque svanita”.
All’alba pesanti nubi attorno a tutto l’orizzonte, nell’atto di cedere ad una bella giornata, con il color rosa che avanza celermente sui crepacci occidentali. Pont Saint Louis, un miglio fuori Mentone, a cavallo di un terribile baratro con sotto un arcuato acquedotto e la strada che costeggia il mare; i pendii delle colline coperti di palme, che crescono lussureggianti in vicinanza del mare; ulivi ed aranci come sempre.
Vicino a certe rocce calcaree, le Red Rocks, così chiamate dalla ricchezza del colore che prendono quando si alza la luce del sole e che è veramente notevole, vi è un piccolo tratto dell’antica via romana e al di sopra di essa vi sono le celebri Caverne delle Ossa.
“... Ad un quarto d’ora dalla città, entrammo nella pianura di
Latte, ... con case di villeggiatura in buon numero. Certo
Procilla, la saggia madre di Agricola, elegger non potea
località migliore, per passare l’autunnale stagione, sì per
l’amenità del suolo, che per la salubrità dell’aere... “
“Vallecrosia, ... villaggio di 500 persone ... le terre attorno
al Torrione sono coperte di vigne e d’oliveti”.
“A un miglio e mezzo dalla città avvi un seno che Latte si appella il quale in amena pianura distendesi e d’in collina tratto si alza, onde i patrizi ed altri ancora l’hanno scelto a loro villeggiatura. ... Quindi le ville con proprietà tenute e li giardini a varie frutta messi. ... Le fabbriche sono nel vero grandi ed in moltitudine unde ... veggendovi li palazzi e li casini ne traggono i passeggeri maraviglia e diletto .....”