SECONDO ANFOSSO - Dino
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era nato a Ventimiglia il 3 aprile 1922 e vi è deceduto il 6 dicembre 1992.
Fin dal primo nostro incontro, ho avuto una impressione ben positiva per
quanto si riferiva alla personalità del caro Dino, che trovai bene
accompagnato da un gruppo di amici comuni, con i quali assieme abbiamo
rinsaldato in ottima armonia tanto, tanto cordiale. Ho subito conosciuto ed
ammirato in lui un senso umano che non è facile trovare negli uomini del
nostro tempo. Abbiamo infatti l’impressione che ai nostri giorni l’essere
umano abbia perduto quelle idealità che sempre hanno guidato i nostri padri
e ci meraviglia assai constatare come oggi si accetti di essere gettati in
un mondo che ci parla solo di interessi, di egoismo, di vanità ed in
conseguenza difficilmente viene tollerato chi ci invita a gettare uno
sguardo al “fratello”.
Molto spesso i nostri discorsi con Dino penetravano a fondo in queste considerazioni, che entrambi constatavamo quanto questa identità di vedute univa i nostri animi.
Sempre pronto in ogni evenienza se incaricato dalla Direzione per servizi, per rappresentanze o per riunioni formative del Volontariato. Mai assente dalle riunioni del Consiglio, dove prendeva la parola proponendo e richiamando se il caso esaminato lo richiedeva. Se si trattava magari di qualche punizione, era sempre il primo ad alzare la mano per chiedere di attendere, riflettere, tergiversare ... e poi era lui che in privata udienza cercava un contatto, un avvicinamento a tu per tu, con tanta pazienza, e risolveva il caso.
Ricordo la tua raccomandazione, Dino: che la finestra della Croce Verde sia sempre aperta di giorno ed illuminata di notte, onde tutti sappiano che qui c’è la sentinella sempre pronta ad accorrere nei momenti difficili.
La “memoria” dei nostri cari Soci, della Forza Attiva, dei Volontari che non sono più, ed ai quali più volte abbiamo pensato per dare loro un ricordo tangibile, è sempre stato oggetto di un programma che poi, dopo tante riflessioni, è stato realizzato al Camposanto e se tanto si è fatto, è perché Dino molto spesso «ricordava» a tutti l’impegno che più volte era stato preso, ma poi non realizzato.
Non sta a me entrare nell’ambito della famiglia di Dino, pur essendo a conoscenza del rapporto d’amore che regnava fra tutto il parentado. Sento l’entusiasmo e la commozione di quando ricordava la sua famiglia, quando si riferiva all’adorata Adelia sua moglie; quando parlava dei figli e dei nipotini, il suo animo si sbriciolava tutto mentre gli occhi gli si arrossavano e comparivano le lacrimucce, che dicevano tutto il suo amore, il suo grande amore fatto di donazione vissuta. Che bello l’incontro del gruppetto, unito e devoto, avviato alla festa di San Segundìn, il santo patrono; o magari alla Madonna delle Virtù che è in tutti i cuori dei Ventimigliesi.
Ricordo, Dino, la tua confidenza: ho sempre venerato mia madre e mio padre; i loro insegnamenti li ho sempre davanti, me li sento scritti nel cuore e per quanto mi è possibile intendo che la mia famiglia cresca e ricordi quegli insegnamenti che ci indirizzano a vivere onestamente, rispettando il prossimo e ricordando di fare del bene come ci ha indicato Cristo che è il maestro di tutti.
E termino. Troppe cose mi restano ancora nel cuore, ma ce le ricorderemo direttamente, sentendoci sempre vicini, vero Dino ? Restiamo dunque sempre amici. Ti assicuro che la tua personalità, la tua bontà, il tuo buon cuore, li terrò sempre in cara compagnia.
don Guido Pastor
Dino mi dava la impressione che fosse un po’ di tutti ma, soprattutto “per tutti”; logicamente quindi guardavo a lui come la persona più qualificata per entrare con tutto se stesso nella realizzazione programmatica delle idealità della Croce Verde Intemelia, che ci si presentava con alla base del programma: Quando si è dato tutto, non si è dato ancora abbastanza !
Pertanto mi è logico vederlo tra l’Associazione dei Marinai, cui dopo il servizio militare si è dato molto cordialmente, come sapeva fare lui, partecipando ad ogni iniziativa e ad ogni manifestazione che intendesse onorare quei giovani che si erano dati pienamente al servizio della nostra Italia. Non solo manteneva i contatti, ma l’ho incontrato a Ventimiglia in compagnia di suoi ex commilitoni che erano a restituirgli la visita.
È ben ricordato il suo animo grande nella Cumpagnia d’i Ventemigliusi che lo vedeva sempre in prima fila, con la qualifica di Console, portava il suo timbro di “Ventimigliese” ed era sempre pronto nelle varie problematiche di tali associazioni, per capire, suggerire ed abbracciare magari un socio “smarrito” nella vita per fargli trovare la strada onde risalire verso l’«uomo». E sono tanti che ricordano il suo cuore anche tra i Ferrovieri che, con piacere, ne ricercavano sempre la parola dolce e fraterna, l’incoraggiamento nei momenti in cui ci si sente smarriti e presi da circostanze disperate.
Dino era sempre riguardato da tutti per il suo buon cuore, per il suo animo aperto, per la sua amicizia fatta di un calore che spiegava la fraternità vera, sentita, non fatta di interessi.
Ma il suo cuore l’ho sentito battere forte, forte quando è entrato a far parte della grande famiglia della Croce Verde Intemelia, dove ha iniziato il capitolo più grande delle sue donazioni (compresa quella del sangue), delle sue rinunce, delle sue realizzazioni, poiché qui ha trovato l’ambiente veramente idoneo, nel complesso, alla sua indole, al suo carattere, alla sua ispirazione di bontà proiettata verso « l’altro ».
Quando si trattava di organizzare una manifestazione, quando si trattava di dover rinunciare a qualche giorno di riposo, quando occorreva “dare” qualche ora di giorno o di notte, Dino aveva sempre una risposta positiva e cordiale, tanto che aveva conquistato tutti gli animi dei Militi effettivi e dei Volontari: sapeva amarli, sapeva trattarli, sapeva dare loro indicazioni che si sentivano scaturire dal cuore. E li amava tanto, che la sua parola era accettata e direi voluta.
Era volontario di fatto, sempre, quando restava libero dai suoi impegni di lavoro. E lo si vedeva montare il palco sotto il mercato, lo si vedeva darsi attorno per le serate di musica in Cattedrale, Orchestra Sinfonica di Sanremo, la "sua" Corale Folkloristica Femminile e la Banda Musicale; si incontrava magari col carretto a mano mentre preparava la festa ai giardini; era tutti giorni assente e presente a Ventimiglia e Mentone quando le autorità di quella città ci avevano segnato l’incontro d’onore riconoscendo l’opera che il nostro Sodalizio svolge anche oltre frontiera.
Abbiamo attraversato momenti difficili, con il rischio lasciarci la pelle, e poi difficoltà a trovare lavoro; però quando ci incontravamo, vivevamo dei momenti felici, specialmente durante le prove teatrali creando i personaggi e prendendo in giro bonariamente qualcuno.
Caro Dino, il tempo vola, non mi pare ancora vero che tu ci abbia lasciati, mi sembra di doverti incontrare da un momento all’altro in riva al nostro mare, come quando mi raccontavi le tue esperienze di giovane pescatore fatte con lo zio u Nigiu. Hai lasciato un buon ricordo di te fra i tanti che ti hanno conosciuto, e questo è molto importante.
Ciao.
Pierino Sismondini
LA VOCE INTEMELIA anno XLVIII n.11 -
È quasi passato un anno da quando Dino Anfosso ci ha lasciato ed io voglio ricordarlo, come vecchio «filodrammatico». Dino era una figura di appassionato - entusiasta di quel teatro che sta per scomparire, o meglio, sta trasformandosi visto che oggi la televisione ha sviluppato negli spettatori esigenze e pretese che richiedono maggiore capacità anche agli attori dilettanti.
Dino, oltre ad aver recitato negli Anni Trenta, ai tempi della GIL, nelle commedie musicali del M° Zoboli: Nini, La zingarella, Sua Altezza l’Amore, collaborò nel 1946 alla rinascita della Cumpagnia d’u Teatru Ventemigliusu interpretando ruoli di attor giovane in L’amù u l’è ciü forte che u brussu e in U rüvegu de bon cö.
Ma l’interpretazione rimasta memorabile - come molti ricordano - fu quella di Ménegu, alla prima di Purve int’u çervelu, la sera del 31 agosto 1948, nel Teatro Comunale, ricostruito dalle rovine della guerra. Dino, allora ventiseienne, doveva ringiovanire di almeno la metà dei suoi anni per sostenere il ruolo di Ménegu, ragazzo vivace e burlone, come lui sapeva quasi sempre essere. Fu una serata memorabile, uno strepitoso successo con un teatro esauritissimo, anche nei corridoi. Dino, con le battute ironiche, ingenue, da ficcanaso, riportò un indimenticabile successo personale tanto che, per lungo tempo, chi lo incontrava non lo chiamava più Dino, ma Ménegu.
Così scrivevano i giornali: «Secondo Anfosso (Dino), alle prese con una parte difficile, se l’è cavata con intelligenza e autorità ed è stato uno dei migliori in senso assoluto ».
Voglio ricordare ancora un episodio di quando eravamo entrambi militari. Dino marinaio, da Pola dove si trovava, telefonava all’aeroporto di Gorizia dove io, aviere, svolgevo il servizio di leva, per informarsi su «cume a l’andava, se éiru andatiu a ca’, in licensa ... » e così via. Erano contatti di grande gioia, che rimanevano scolpiti nel più profondo del nostro animo.
31 agosto 1948: in un camerino del Teatro Comunale, nelle vesti di truccatore, Pierino Sismondini sta “ringiovanendo” Dino Anfosso per la prima di “Purve int’u cervelu”, commedia in tre atti di Bottazzi-Hughes