I contenuti di questa ricerca sono stati oggetto di un incontro pubblico, organizzato dal Comitato Centro Storico, nel Salone della Civica Biblioteca Aprosiana, sotto l’egida dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Ventimiglia, sabato 24 marzo 2001, alle ore 15,30.
Luigino Maccario
Trattazione del simbolo solare più diffuso, nella Catena Alpina
LA ROSA CELTICA
Nel 2001, il professor Venceslas Kruta, dell’Università “La Sorbonne” di Parigi, a presentato il documento: “Les Celtes, histoire et dictionnaire des origines a’ la romanisation et au christianisme”, dove a partire dai ritrovamenti archeologici degli ultimi cinquant’anni ha ridisegnato la mappa, le caratteristiche ed le usanze della cultura celtica in Europa. Ha preso in esame la riconoscibilità della presenza celtica in base ai reperti di arte figurativa, tipicamente basati sull’astrattismo dei simboli, quali il vischio, assimilato alla palmetta della confinante cultura greco-latina. Con il Kruta, hanno trattato l’argomento “I Celti tra Mediterraneo ed Europa Continentale”, anche Ermanno Arslan, Soprintendente del Castello Sforzesco, a Milano, curatore di numerose mostre sul tema, e Martin Almagro Gorbea, dell’Universita di Madrid, archeologo assai conosciuto al Biknell di Bordighera. Secondo i relatori, alla luce delle attuali conoscenze, nell’antichità preromana, oltre alle popolazioni prettamente celtiche esistevano i Celtiberi, i Celtilliri e persino i Celtoliguri, inoltre, si può cominciare a sostenere che le origini del popolo Ligure siano congeniali alle origini dei Celti, o viceversa. Sotto questa luce, la lettura della “civilizzazione romana” riflette altri, diversi bagliori, che considerano assimilate dalla Romanizzazione molte tradizioni “barbariche” con caratteristiche civilizzanti.
Per l’antico popolo dei Balzi Rossi, di Granmondo, del Toraggio e di Monte Bego, la funzione
ed il nome del “sacerdote” era assimilabile alla cultura dei
popoli celtici, quindi lo potremo definire “druido”, capo
guerriero e mistico. Dunque, il druido si rese conto che per
tracciare comodamente la ruota raggiata poteva disporre di un
attrezzo assai rudimentale, quello che verrà detto “compasso a
punte fisse.
Puntato un centro definito e tracciata una circonferenza,
otteneva facilmente il primo segno, puntando poi sul circolo,
nel punto d’oriente, poteva secare il cerchio ogni trenta gradi
precisi, trovando i punti dai quali tracciare i raggi, nei
successivi incontri tra la circonferenza iniziale e gli archi
man mano ottenuti.
Però, il disegno, che il compasso a punte fisse tracciava nel
cerchio, risultava una sorta di fiore dai petali oblunghi, come
la margherita, che evidenziava ancor più il percorso del Sole in
cielo.6
Aveva preso forma così la “rosa celtica”, che era anche una
trasposizione grafica dell’orientamento, quella che in altre
culture, assai simile, verrà chiamata “rosa dei venti”.7
Ma in realtà, non vi sono che tre punti cardinali visibili, il
quarto, l’Ovest è inesistente perché non si può vedere, mentre
si è rivolti verso Est, cosicché veniva considerato come l’Altro
Mondo, il mondo invisibile.
L’ORIENTAMENTO CELTICO
Tra i Celti, il sistema per orientarsi assumeva come base il
sorgere del sole, vale a dire l’Est. Quindi, davanti, è l’Est,
l’Alba; a sinistra è il Nord, il lato “sinistro”; a destra il
Sud, il lato luminoso; infine dietro è l’Ovest, dove il sole
muore ogni sera.
Il Nord è dunque il lato sinistro, malefico, oscuro, che la
cristianizzazione accentuerà facendone il lato diabolico. Posidonio afferma che, per adorare correttamente gli dèi,
bisogna volgersi verso destra ed in effetti, il senso normale,
vitale, segue il corso del sole.
Il Sud è il polo che supporta il percorso del sole, la metà
chiara del mondo, quella dei vivi e degli dei luminosi. Il Nord
è la parte riservata al “sid”, alla natura essenziale ed alle
divinità misteriose e notturne; è “siderale” dunque.
Per iniziare bene un viaggio si aveva l’avvertenza di fare il
primo passo col piede destro, così come si metteva questo piede
in terra scendendo da una nave.8
Dunque, nel mondo celtizzante, anche i primi passi di un viaggio
verso occidente venivano percorsi verso oriente, voltando poi
verso destra, per intraprendere il cammino effettivo, pena la
riuscita disastrosa del viaggio medesimo.
Per quel popolo, la logica della circumambulazione vitale era
implacabile. Il Sud, a destra, è il corso normale della vita, di
cui l’Ovest, dietro rappresenta la conclusione, il regno dei
morti, ossia, l’Altro Mondo che è invisibile e negativo quando
fagocita il Sole.
Per popolazioni che giungevano dall’Europa continentale, l’Ovest
era anche il luogo ove terminava la terra conosciuta ed iniziava
l’Oceano infinito, verso il regno dei morti, appunto.
Ma il Nord, a sinistra, è il paese del freddo e dell’ombra;
andare verso Ovest dal Nord significa dunque rompere l’armonia
cosmica, andare nel verso contrario, esponendosi ai guai
peggiori.9
Anche per il popolo intemelio quel criterio di ambulazione
doveva essere in auge, infatti nel nostro dialetto, ancor oggi,
la parte destra viene detta drìta coi significati di
“dritta/diritta/retta/giusta”, mentre la sinistra è lérca, anche
col significato di “manca/difettosa”, infatti nel nostro
dialetto, il mancino viene detto lercà.10
IL RITORNO ALL’ALBERO
L’uomo eretto, libero di percorrere il mondo con una certa
sicurezza, non dimenticò molto presto l’albero. Abbiamo visto
che resterà l’abitazione notturna ancora per molto tempo, ma
continuerà ad essere un considerevole riferimento, retaggio
d'importanza fondamentale, anche quando la memoria diretta si
fece sbiadita.
Un numero elevato di segni esoterici riguardano l’albero
primordiale: l’albero mette in comunicazione i tre livelli del
cosmo. Quello sotterraneo, per le radici che scavano le
profondità in cui affondano; la superficie della terra, per il
tronco ed i primi rami ed i cieli, per i rami superiori e la
cima attirata dalla luce del sole.
Esso riunisce tutti gli elementi: l’acqua circola con la linfa,
la terra s'integra al suo corpo attraverso le radici, l’aria
nutre le sue foglie, il fuoco si sprigiona dal legno, se si
strofina.
Per le sue radici affondate nel suolo e per i rami che
s'innalzano in cielo, l’albero è universalmente ritenuto un
simbolo dei rapporti che si possono stabilire fra la terra ed il
cielo. Esso, in questo senso, ha un carattere “centrale”, al
punto che l’ALBERO DEL MONDO è sinonimo dell’ASSE DEL MONDO.
L’Albero del Mondo è anche ALBERO DELLA VITA, un albero
centrale: la sua linfa è la “rugiada celeste”, i suoi frutti
danno l’immortalità, o meglio, il ritorno al centro dell’essere,
cioè, allo stato edenico d'ogni beatitudine.
L’albero non è di questo mondo, esso si sprofonda nel nostro
mondo e sale fino all’Aldilà; va dagli inferi ai cieli come una
via di comunicazione vivente. Così l’Albero della Vita diventa
ALBERO COSMICO, archetipo sul quale si costruisce l’asse cosmico
tribale o, se si preferisce, proiezione nell’assoluto di
un’immagine familiare.
Dai testi vedici apprendiamo una precisa concezione sul ruolo
del sole e della luce nella crescita degli alberi. Questi
assorbono la vita dall’alto e si sforzano di farla penetrare in
basso. Ne deriva il simbolismo dell’ALBERO ROVESCIATO, dove le
fronde hanno il ruolo delle radici e le radici quello dei rami.
Ancora una volta, la Vita viene dal cielo e penetra nella terra,
mentre il tutto è un ideogramma che simboleggia il cosmo.
L’ALBERO AL CENTRO DEL TERRITORIO
Attraverso conoscenze astronomiche precise, i Druidi erano in
grado di tracciare mappe assai delineate del territorio abitato
dalla tribù, fino a definire l’esatto centro del “paese”
abitato.
Attorno a questo centro, punto sacrale, si operava per ricavare
una radura che sarebbe servita da luogo di raduno delle adunanze
tribali.11
Lo stesso criterio veniva applicato alla ricerca del centro
geografico dei territori abitati da più tribù, dove la radura
avrebbe ricevuto assemblee intertribali più ampie, giacché
ospitavano un popolo.
Quando le popolazioni divenivano sedentarie, attorno alla
radura, che si trasformava in piazza nasceva la città centrale
di quel popolo, col nome di “MEDIOLANUM”, delle quali Milano è
il caso più noto.12
Al centro della radura la tribù lasciava eretto l’albero
simbolo, che in qualche caso piantava espressamente. Quest’albero
rappresentava la “casa comune” della tribù, in memoria di quell’albero
che ospitava l’homo nella foresta.
Questa pianta, presso i Celti assumeva un rapporto sacrale con
la natura, con la terra, col mondo, col divino. Quando l’albero
fosse seccato, o fosse stato colpito dal fulmine, avrebbe
continuato a rappresentare la casa comune, giacché il popolo lo
avrebbe fatto rivivere artificialmente con l’appendervi nastri e
falsi frutti colorati.
In qualche altra civiltà, l’albero eventualmente seccato veniva
inciso e dipinto, dando vita così al TOTEM, il rappresentante
sacro della tribù.
La cristianizzazione dell’Europa ha abbattuto innumerevoli
alberi sacri, al centro di ricorrenti radure, cancellando così
molta della storia “scritta” dai Celti. Secondo evidenti
rilevamenti, la radura centrale del popolo intemelio avrebbe
potuto trovarsi a poca distanza da Passo Muratone, importante
ganglio viario tra i percorsi di crinale della nostra antichità.
Dietro a Testa d’Alpe, poco discosta dall’Arpetta, esiste ancor
oggi una radura montana che è conosciuta come “Fascia Sagrà”.
Non vi è albero al centro, ma chissà quando è stato tagliato,
dall’integralismo religioso della cultura emergente.
In quella che è stata la parte
subalpina vissuta dai Celti, a
partire dalle Alpi Marittime, per arrivare fino alle Dolomiti,
un simbolo solare ha unificato l'esprimersi visuale di quelle
genti, si tratta della “Rosa celtica”, quel
“logo” atavico che si trova espresso artisticamente ed
artigianalmente sui portali, sugli accessori legnosi ed impresso
sulle rocce monumentali, detto anche "Sole delle Alpi".
Le decorazioni intarsiate sul mobilio e sugli
attrezzi della vita contadina, oltre a quelle scolpite sulle
lastre di pietra sormontanti i portali, nelle abitazioni dei
villaggi, ritenevano quel segno un richiamo della protezione celeste.
Era così caratteristico ed usuale
per la nostra gente, che avrebbe potuto essere inteso come il più noto “Albero della
vita”, diffuso in tutta Europa, ma noto, per gli stessi
significati in ogni civiltà mondiale.
LA STANZIONE ERETTA
Nel corso dell’evoluzione della propria specie,
quando l’uomo primitivo giunse a reggersi degnamente nella sua
nuova stanzione eretta, vide aprirsi un mondo diverso da quello
che aveva finora vissuto sull’albero.
La generazione che aveva preceduto quest'importante
momento evolutivo, era ancora molto vicina ai primati, e come
essi ancora fanno, vivevano essenzialmente sugli alberi,
appunto.
L’intera vita d’uno di questi individui
trova svolgimento nel medesimo bosco che lo ha visto nascere;
l’albero della foresta è l’unica sua abitazione, dove egli trova
il nutrimento, la sicurezza e la compagnia, essenziale al
mantenimento della specie.
Dunque, l’homo lasciava la sfera dei
primati e scendeva, per la prima volta, con i piedi per terra,
in grado di restarvi per lunghi tempi, liberando le proprie mani
dall’usurante prensilità, dedicata principalmente ai
trasferimenti fra i rami.
Una mano meno callosa e col pollice che lentamente
trova comunicazione differenziata con ognuna delle altre dita,
mette l’homo in condizioni di acquisire un’eccezionale
abilità costruttiva.
L’albero rimane ancora per molto la dimora
notturna, il luogo radicato della sicurezza; così come resta,
ancora per qualche tempo, il produttore dell’alimentazione
primaria ed il luogo più adatto al rito per la conservazione
della specie.
LA SCOPERTA DEGLI SPAZI
Il fatto di poter liberamente muovere nella
radura, attento quanto vigile, aprì al cervello una diversa
visione delle cose e a molti interrogativi. La stessa
possibilità di poter raggiungere, camminando, ogni più lontano
luogo della terra risultò determinante allo sviluppo della
cultura umana.
Quando la stanzione diventò del tutto eretta, il
punto di vista cominciò a spaziare sull’alta erba della savana,
scoprendo ampi spazi ora conquistabili, che presentarono un
orizzonte ben diverso da quello visibile all’interno della
foresta, mentre la calda luce del giorno permise di scoprire
mille nuove situazioni. Lo stesso astro, che emanava la salutare
ed indispensabile luce, acquistò una maggiore attenzione.
Il costante e ripetitivo percorrere l’ampio cielo
da parte del Sole, aveva già incuriosito l’homo ma ora
gli indicava un'ulteriore nuova dimensione, quella che egli
definì con gli essenziali punti cardinali. Poco tempo prima
aveva preso forma, tracciato sul terreno che l’homo calpestava,
il primo segno esoterico: il cerchio.
Il segno iniziatico su modello dell’astro che
illuminava i giorni e portava la vita, ma anche quello del più
incostante pianeta che illuminava alcune delle notti. Tracciato
sul piano, definiva l’ampio orizzonte visibile in una
circonferenza, che era ingombrata da un punto centrale, nel
quale l’homo definiva se stesso, prendendo coscienza del
suo stato eretto e centrale rispetto al mondo visibile.
Quel segno veniva praticamente imposto all’estraneo
interlocutore, per informarlo sulla proprietà del territorio
circostante. In poche parole: disegnando la circonferenza, l’homo
padrone di casa indicava allo straniero il territorio posseduto,
cioè, “tutto quello che vedi attorno”; quando nel bel mezzo del
cerchio segnava il punto centrale, voleva dire “questo sono io
ed il territorio che vedi è essenziale per me e la mia tribù”,
quindi traine le conseguenze di comportamento.
Ma riflettendo egli stesso sul segno ricavato, l’homo
scopriva che da quel punto si diramano due linee, i semiassi
dello stesso cerchio, quello che indica “davanti” e l’altro che
indica “dietro”. Il cerchio risulta ora tagliato in due da una
linea, due semicerchi.
È il secondo
dei segni iniziatici, quello che oltre al davanti ed al dietro,
riferiti allo stesso uomo, può anche indicare il viaggio
dell’Astro, da una parte all’altra dell’orizzonte.
Ovviamente, il punto più importante di quell’asse era
“oriente”, perché da quello evolveva il sospirato ritorno
dell’Astro, che aveva abbandonato il mondo la sera prima,
proprio calando verso il nefasto “occaso”, vale a dire l’altro
lato.
Il terzo segno è diretta conseguenza dei primi due,
infatti, l’uomo allargate le braccia, provava ad indicare tutto
quanto starebbe da una parte e tutto quanto sta' dall’altro
versante dell’asse centrale.
Ecco aggiungersi il secondo asse perpendicolare, che
oltre ad evidenziare il mondo di “destra” e quello di
“sinistra”, concede forma alla figurazione esoterica della “croce
circoscritta”.1
Anche questo segno si riferisce sempre al
percorso solare, indicando i punti di “tramontana” e di
“austro”, quelli che permettono di misurare i ricorrenti
spostamenti dell’Astro, mentre ciclicamente si allontana e poi
si riavvicina all’orizzonte, percorrendolo nell’alto del cielo,
fino allo “zenith” che non oltrepassa mai, verso le parti
siderali del cielo.
IL TERZO ASSE
Quindi, l’uomo, quando segnava sul terreno attorno a se
stesso la croce circoscritta e poi vi si poneva al centro,
rivolto ovviamente verso Oriente, forniva la componente
essenziale della figurazione esoterica di se stesso come “asse
verticale”. Lo stesso asse verticale che riferito al cammino
del Sole stava ad indicare lo “zenit”, il punto più alto
raggiunto dall’Astro in cielo.
Ecco allora che torna attivo l’albero
primordiale, la sua componente lignea, il tronco spoglio, o
parzialmente spoglio dei rami, viene piantato nel punto di
congiunzione degli assi segnati, sostituendo figurativamente
l’uomo e definendo il “totem”, cioè il ricordo dell’antenato,
visto con le funzioni d'iniziatore.2
Non ci volle molto per aggiungere alla
figurazione anche la parte sotterranea, non visibile ma
essenziale alla forma attiva del segno. La sua interpretazione
si mise a spaziare tra molti concetti ormai acquisiti. Poteva
esser vista come la figura delle radici dell’albero, o come
punto d’assunzione delle forze vitali per il totem, oltre alla
figura rovesciata dello stesso uomo, ma soprattutto raffigurava
il mondo degli inferi, celato dall’oscurità della terra.
3
Nello stesso tempo, l’homo prendeva coscienza della
famiglia, del clan parentale e della tribù d’appartenenza,
quindi metteva da parte la cinica individualità, per porre al
centro della croce circoscritta il totem comunitario, che
sovente veniva rappresentato da un albero, copia dell’antico,
accogliente domicilio.4
RAPPRESENTAZIONE PIANA
Ora che il quarto segno era stato trovato, completando la croce
inscritta nel cerchio, in quella che oggi sarebbe definita
"geometria solida" o tridimensionale, si poneva il problema di
renderlo visibile sul piano, cioè, rappresentarlo sulla
superficie illustrata, per poterlo trasmettere più comodamente.
Per far apparire l’asse verticale, sia la parte emersa sia
quella sotterranea, nel contesto della croce circoscritta, venne
comodo aggiungere al simbolo il terzo asse, spostando il secondo
lateralmente di trenta gradi.
Ed ecco che il quarto segno iniziatico, sotto forma di “ruota
raggiata”, che contiene pure una “croce decussata” e diventava
simbolo facilmente trasmissibile, anche se, da quel momento,
avrebbe potuto essere letto soltanto da chi sapeva, da chi
possedeva la conoscenza tramandata, quindi, col simbolo divenne
operante anche lo “sciamano”, ossia, il sacerdote.5
NOTE:
.
1) La croce libera, quindi
non inscritta, prende corpo da un’altra evoluzione, anche se
comunque dipendente dal mito solare. Nel corso degli Equinozi,
il Sole transita attraverso l’equatore celeste, in posizione
media tra quelle dei suoi ripetitivi viaggi. Notando come in
quei momenti, l’Astro passasse gemente verso il tempo invernale,
oppure ne tornasse trionfante in primavera; per verificarne gli
spostamenti, l’uomo conficcò un palo per terra, a mezzogiorno,
quindi visionandolo da presso, per un punto ben preciso, pose
due braccia proprio all’altezza del passaggio solare
equinoziale. Quindi misurò, giorno dopo giorno gli angosciosi
spostamenti, dai due bracci, verso il Verno, con la conseguente
“crocifissione” invernale. Poi fiducioso, mirava dal medesimo
punto la ripresa, dopo il Solstizio e la “rinascita”,
nell'attesa che il Sole ripassasse attraverso le braccia, nel
segnale di un più gioioso passaggio di “crocifissione” verso il
Solstizio estivo. Certamente, l’equinozio primaverile concedeva
un'atmosfera più gioiosa, al pensiero che il futuro prometteva
un sole sempre più alto nel cielo e giorni di luce sempre più
lunghi e più caldi, ma anche l'equinozio autunnale, che invece
prometteva le lunghe notti ed il freddo, veniva letto con molta
speranza, perché ormai si sapeva che dopo la “croce” vi era,
fiduciosa, una conseguente rinascita, o natività invernale.
Ancor oggi si celebra in primavera la crocifissione dell’Astro,
in previsione alla sua resurrezione, mentre in settembre viene
celebrata la Santa Croce, o meglio la festa dell’esaltazione
della croce.
2) La croce viene assimilata all’albero, quando
possiede il valore di simbolo ascensionale. Quell’albero ha le
radici che poggiano nell’inferno e la cima giunge fino al trono
divino, inglobando tra i suoi rami, o le proprie braccia, tutto
il mondo. In Oriente, la croce è il ponte o la scala sulla quale
le anime degli uomini salgono verso Dio. Per i Celti, la croce
libera continua ad avere il centro racchiuso in un cerchio, dal
quale in un primo tempo usciva soltanto il braccio inferiore,
poi, nella croce irlandese, la quale ha contaminato le croci dei
Celti cristianizzati, anche sul continente, tutte le braccia
spuntarono fuori del cerchio centrale. I due assi di questa
croce continuano a far pensare anche allo scorrere del tempo ed
ai punti cardinali. Il cerchio ricorda i cicli della
manifestazione, mentre il centro, nel quale non vi è più né
tempo, né mutamento di nessun tipo, è un luogo di passaggio o di
comunicazione simbolica fra questo e l’Altro Mondo: è quindi un
“omphalos”, un punto di rottura del tempo e dello spazio. La
stretta corrispondenza delle antiche concezioni celtiche e dei
dati esoterici cristiani lascia pensare che la croce cerchiata
abbia rappresentato, per gli Irlandesi e per i Celti dell’epoca
carolingia, una sintesi perfetta del cristianesimo e della
tradizione celtica.
3) Ancora in piena Età del Ferro, gli Etruschi
costruivano le loro città attorno ad un pozzo che oltre a
costituire il “centro del Mondo” prendeva in considerazione il
mondo sotterraneo, nel caso fornitore dell’indispensabile acqua.
4) Quando l’albero fosse seccato, o fosse stato
vittima del fulmine, il tronco sfrondato o mozzato continuava ad
essere il totem della tribù, a volte abbellito da oggetti
appesi, oppure, da segni dipinti o scolpiti.
5) Lo sciamano era il componente della tribù che,
per le innate qualità e capacità di equilibrio e riflessione,
riceveva il “sapere” direttamente dal suo predecessore e
conservava la memoria storica della comunità
6) Tecnicamente il disegno a sei losanghe
concentriche viene chiamato “rosaces” e comprende una numerosa
gamma di varianti, tutte volte ad ostentare metafore di
venerazione solare, d’antica provenienza mediterranea. Tutti
questi segni, troppo numerosi e diffusi per essere cancellati,
sono stati poi condotti dal cristianesimo all’ardito concetto di
“Ruote di Trasmigrazione del Cristo”.
7) Il rosaces a sei petali, tracciato col compasso
a punte fisse, trova diffusione su tutto l’arco alpino, con
marcata rarefazione a cominciare dalle Dolomiti, verso il
Friuli. Le regioni di massima diffusione e concentramento sono:
le Marittime, dalla Valle Impero al Varo; entrambi i versanti
delle Cozie, compreso ogni fondovalle; le Graie dalla Pianura
Padana ai massicci elvetici compresi.
8) Nelle usanze popolari perdura l’egemonia del
piede destro. Tra le nostra gente, qualcuno che sia di cattivo
umore o che abbia sprecato la giornata, si è “alzato col piede
sinistro”. La stessa connotazione si è a lungo mantenuta in
politica, ove la sinistra era inquietante, mentre la destra era
rassicurante.
9) Si era già in pieno Rinascimento, quando il
movimento degli orologi meccanici veniva impostato secondo
questa tendenza, partendo da destra verso la sinistra di chi
guarda ed andando così a confermare il verso dell’armonia
cosmica.
10) Nell’Evoluzione dei dialetti liguri, §115/p.100,
Emilio Azaretti riporta: … lerz REW 4993 “a sinistra” >
lerca “sinistra”, lercà “mancino”, conservato nel
cognome Lercari;… .
11) Sovente, questo tipo di radura era ricavato con
l’ausilio di un incendio provocato da un fulmine o dal passaggio
devastante di una tromba d’aria; fenomeni considerati
ultraterreni, alla stregua di contatto vitale tra cielo e terra.
12) Sui numerosi MEDIOLANUM presenti in Europa si può
consultare la citata opera di Riccardo Petitti, come quelle di
Jean Richier, per la centralità di siti esoterici in altre
civiltà.
dov'è presente un'albero rosato
Tra i segni, lasciati
scolpiti sulle rocce dall'uomo primitivo, in ogni parte del Mondo, così
come in
Val Meraviglie; sono presenti le
"fotocopie", resistenti al tempo, dei segni tracciati sul terreno, quando
l'omo, sceso dall'albero, scopriva e comunicava sensazioni nuove,
codificando così un linguaggio scritto di impressionante praticità.
Il segno che definiva:
- il territorio di competenza, ossia l'orizzonte
visibile con lui medesimo al centro.
- l'accoglienza di qualcuno nel medesimo territorio.
- il territorio appartenente alla tribù, con la casa comune ed il totem al
centro.
- l'orientamento, volto a oriente, quindi: l'Est davanti a se,
mentre l'Ovest rimaneva alle spalle, celando alla vista
diretta i segni del tramonto.
- i punti cardinali risultanti dall'allargare le braccia: il lato destro è
il mezzogiorno, reso positivo dalla persistente presenza
del Sole,
il lato sinistro è la fredda Tramontana,
che con l'arrivo del freddo invernale rendeva il lato
veramente "sinistro".