Conversazioni
storiche geologiche e geografiche
sulla
città e sul distretto intemeliense
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Nel 1923, il canonico Nicolò Peitavino, esimio professore,
bibliotecario all'Aprosiana dal 1937 al 1941, tracciò una
"storia ventimigliese", esposta in serate, che portò a
conclusione, aggiungendo a notizie già ampiamente trattate,
appunti di vicende e costumi moderni altrimenti dimenticati. Nel
1965, aggiornò la sua fatica, che verrà pubblicata nel 1975.
In questa pagina vengono
riportate quelle note, di relativa attualità, che possano
condurre il visitatore ai costumi dei primi Anni Sessanta, visti
dall'occhio dell'anziano canonico, non troppo propenso
all'eccessiva vitalità della gioventù d'allora. Restano comunque
interessanti i riferimenti territoriali e quelli ai fatti.
In epoca di femminismo
rampante, lo sfogo conservatore del canonico giunge a diventare
persino mesto, ma resta rilevante nel confronto fra
generazioni, neppure troppo distanti nell'epoca.
Edificò per i viaggiatori una immensa stazione, stile novecento,
con grandi sale, con vasti locali per tutti gli uffici, per le
dogane e per il buffet. Fece i sottopassaggi ai binari per le
tre linee principali. Allargò il ponte sul Roia; fece costruire
la caserma Gallardi ; abbellì la via della Cornice fino al ponte
San Luigi.
Ora
vi parlerò del terreno dove sorge il Monumento ai caduti in
guerra. Il fascismo cominciò a dare inizio ai lavori nel 1928.
Vi posso assicurare che ci vollero dei mesi per colmare di terra
quel vasto lenimento paludoso, quasi tre metri sotto il livello
del mare. La pineta che ora vedete e che torma un parco
delizioso, venne piantata verso la fine del 1920.
Il 4
novembre 1924, ricorrendo il sesto anniversario della vittoria
venne posata la prima pietra del Monumento ai caduti della
Grande Guerra; il 29 novembre 1925, venne inaugurato alla
presenza della Regina madre. Il vescovo Daffra vi diede la
benedizione aspergendolo con acqua lustrale. L’autore
dell’opera, in bronzo e marmi, fu il comm. Pietro Canonica,
insigne scultore.
Il
Mercato dei fiori fu inaugurato l’8 ottobre 1922, essendo
commissario prefettizio il signor Menichella. Il fascismo durò
sino alla caduta estrema di Mussolini, che avvenne il 28 aprile
1945, quando era appena finita la seconda guerra mondiale.
Opere
del Fascismo a Ventimiglia
Il fascismo che nel 1928 fece edificare il palazzo scolastico,
un bel fabbricato in stile rinascimento che, oltre alle aule
scolastiche, ha nel mezzo un vasto salone ad uso teatro. Ora
questo palazzo fu ingrandito d’un piano nel 1963.
Inoltre, nel 1933 fece costruire il palazzo della GIL, un
edificio a un solo pianterreno, dove si aprono vasti saloni
destinati alla ginnastica nei giorni piovosi. Esso ha sul
davanti una veranda che guarda una larga spianata, dove i
fanciulli e le fanciulle delle scuole medie si addestrano nella
ginnastica prescritta dai regolamenti.
In
terzo luogo fece edificare il magnifico palazzo del Littorio,
un’opera grandiosa, degna d’una grande città. Nel mezzo del
vasto edificio sorge una torre, alta trentadue metri, quale un
segno indicatore. Questo palazzo è ora adibito a municipio.
Il
fascismo ancora ampliò con nuovi binari la distesa della linea
ferroviaria dal Vallone fino a Nervia, dove impiantò la stazione
dei locomotori. Arricchì la stazione di nuovi capannoni per le
merci; accrebbe verso nord di due binari la linea ferroviaria
per i treni merci, costruendo una via carreggiabile, anzi una
passeggiata deliziosa detta di San Secondo.
Si può dire poi che tutti i giorni si sentivano i
segnali d’allarme. Non volendo però parlare di tutte, vi
accennerò quella famosa tra tutte che avvenne nella notte
fra il 21 e il 22 giugno 1944. Fu una notte d’inferno.
Svegliato dal sonno, mi recai alla finestra e vidi
un’infinità di luci rossastre, che rendevano un chiarore
sinistro sulla città e nei dintorni. Io credevo di sognare,
ma era pretta realtà. Mia sorella ed io ci vestimmo in
fretta e ci recammo nel nostro giardino. Là giunti, trovammo
già molti delle case vicine che ci aspettavano per entrare
anch’essi nel nostro orto. Ci coricammo tutti nell’arena,
all’aria aperta. Oh, imprudenza insana ! Se qualche
bengala o qualche bomba fosse caduta, avrebbe fatto molte
vittime. Credo che tutti avessero nel viso il medesimo
colore che avevo io ! Eravamo pallidi come cadaveri.
Udivamo di quando in quando lo scroscio delle bomba che,
cadendo, facevano tremare l’arena su cui eravamo coricati.
Ecco che il frastuono si fa più vicino, gli aerei ci rombano
sul capo. Noi tutti, come bambini, invochiamo l’aiuto del
cielo, invochiamo la Madonna, la nostra mamma Maria. Si ha
un bel dire di non avere paura facendo lo stoico, ma davanti
al brutto ceffo della morte tutti tremano e si umiliano. Già
da mezz’ora ci trovavamo in quella posizione, credendo che
il pericolo fosse scomparso. A disilluderci, ecco che
arrivano altri stormi di bengala e poi di bombe, di cui
alcune cadono talmente vicine a noi, che sentiamo il terreno
quasi sprofondarsi ed alcune zolle di fango piombarci
addosso.
Incursioni aeree
Si giunse così al 3 settembre 1943, in cui venne firmato
un armistizio con gli Alleati, al quale però fu data pubblicità
l’8 settembre. L’Italia non era ancora liberata. L’Arno formava
la linea di divisione. Quindi l’Italia settentrionale era sotto
l’incubo dei Tedeschi e sotto il governo della Repubblicano
neofascista, soggetta ognora alle bombe aeree ed ai
cannoneggiamenti degli Alleati.
Ventimiglia patì molte incursioni aeree. La prima
avvenne il 10 dicembre 1943. Appena scoccate le 12,30 si ode il
rombo degli aerei. Nessuno immaginava che questi fossero diretti
sulla nostra città. Ecco che all’improvviso ci sono di sopra,
sganciano le loro bombe micidiali sulla regione Nervina e,
virando, scompaiono. In un attimo quella regione diviene un
cimitero.
Le case sono crollate, s’innalzano mucchi di macerie, le
vie scomparse. I miseri cittadini, sorpresi nelle case durante
il pranzo, vi rimangono sepolti.
Le vittime accertate dal parroco don Libero furono
settantaquattro e quasi il doppio i feriti. Scamparono per
miracolo da morte sicura l’avv. Pietro Guglielmi e l’avv.
Goffredo Maccario. Un’altra incursione avvenne subito dopo nella
regione Gianchette. Non avendo gli aerei raggiunto l’obbiettivo
di colpire i ponti, distrussero le case che si stendevano al di
là del ponte sino al cimitero. Anche in questa incursione vi
furono molte vittime e gravi danni.
Dicevo messa nella parrocchia di Sant’Agostino. A questo
proposito, voglio raccontarvi l’incursione che mi sorprese
mentre il 12 agosto celebravo la Messa. Vi dico subito che
quella mattina fui a un pelo di essere schiacciato dalle
macerie della chiesa.
Erano appena suonate le 7, quando mi trovavo all’altare.
Avevo appena letto il Vangelo, allorché odo rombare gli
aerei. Dissi fra me: “Avranno qualche brutta intenzione di
sganciare bombe sulla chiesa ?”.
Continuai la Messa. Dopo il Lavabo e l’Offertorio, odo
gli apparecchi scendere in picchiata. Con
molta calma proseguii. Ma ecco, ad un tratto, una bomba
cadere sul muro di cinta della ferrovia, a tre metri dalla
chiesa. Potete immaginare come rimasi in quell’istante.
Tutta
la chiesa si riempì talmente di polvere, da rendere
impossibile la visibilità. Le poche donne presenti, fra cui
tre suore cappuccine, si rifugiarono nell’atrio della
chiesa. Io non attesi che si sganciassero altre bombe: preso
il calice, mi avviai verso la sacristia.
Ecco
che dopo un minuto ne cadde un’altra sul piazzale della
stazione. Mi spogliai adunque e me ne andai a casa. Da quel
giorno la chiesa fu chiusa, sicché il 13 agosto, domenica,
cominciai a celebrare la Messa nella galleria.
Vi dico, miei cari, che un diluvio di fuoco ci
sovrastava per incenerirci: I minuti passavano lenti, e gli
apparecchi rombavano continuamente.
Il tutto durò quasi un paio d’ore. Finalmente, come Dio
volle, ebbe termine la ferale e lunga incursione. Però, prima di
muoverci, aspettammo un po’ per non aver sorprese ingrate.
Quando tornò il silenzio e la notte era ancor buia, volli
recarmi in città per vedere in parte i danni dei bombardamenti.
Sulla via Chiappori vidi un monte di rovine. Per fortuna la mia
casa era ancora in piedi, sebbene fosse molto danneggiata
nell’interno. Perché vi tacciate un’idea dell’immane incursione,
vi dirò quanto la radio inglese del giorno seguente annunciava:
"Su Ventimiglia quattrocento aerei hanno sganciato seicento
bombe di duecentocinquanta chilogrammi ciascuna".
Quella notte gli Inglesi supponevano che transitassero i
Tedeschi che fuggivano dalla Francia. Quindi, da quella notte
fatale, le famiglie non rimasero più in casa, ma al tramonto del
sole si rifugiavano nelle gallerie o nelle caverne dei monti
vicini. Anch’io con mia sorella ci avviavamo ogni sera nella
campagna di San Martino e là prendevamo riposo in una rustica
baracca. In seguito, vedendo che anche lassù scorrazzavano gli
aeroplani e sganciavano bombe, deliberammo di rifugiarci la
notte nella galleria, dove potevo almeno al mattino celebrare la
Messa tranquillamente.
La notte del 24 aprile 1945 Ventimiglia venne liberata.
Così il 25 aprile spuntò tutto roseo e pieno di liete
speranze. Suonarono le campane a distesa, le finestre
vennero imbandierate. La guerra finì ; ma se mettiamo a
confronto i danni e le vittime della nostra Ventimiglia coi
danni ingentissimi e le vittime innumerevoli di tutte le
contrade dove passò ed infierì la bufera con maggior
violenza, possiamo affermare che l’Europa era divenuta un
immenso cimitero. Io sono d’avviso che soltanto l’Europa
abbia avuto oltre cento milioni di morti.
Feci trasportare dalla cappella di San Secondo la pietra sacra,
tutta la biancheria e tutti gli indumenti sacerdotali dalla
signora Filomena Verrando che n’era la depositarla.
Quindi, preparato un tavolo adatto, vi collocai in
mezzo la pietra sacra, vi distesi le tovaglie, vi posi un
Crocifisso e due candelieri, e l’altare fu pronto. Raccomandai
ad alcune pie donne di averne cura e di adornarlo con qualche
fiore. Così il 13 agosto celebrai la Messa nella galleria e ne
fui il cappellano, da quel giorno d'agosto alla metà di
dicembre, in cui fu ordinato un altro sfollamento.
Le truppe tedesche che si ritiravano in fretta dalla
Francia erano fatte ritornare ai confini dal duce dei Tedeschi e
dal generale Graziani, per impedire con tutti i mezzi l’entrata
degli Alleati. Così la lotta ricominciava più accanita. La
maggior parte degli sfollati si stanziò in Bordighera e nei
paesi circonvicini. Io decisi di recarmi nel Seminario, in cui
rimasi fino al termine della guerra. Ma anche a Bordighera, se
non erro, fioccavano le bombe e le cannonate dal mare e dalle
fortezze della Francia; ma, rifugiati nei fondi dei palazzi,
eravamo più sicuri e tranquilli.
Questi sono i paesi della vallata del Bevera, dove si
coltivano con profitto gli ulivi, le viti e i limoni. Ora
però anche le rose e le violaciocche fanno bella pompa di sé
nei mesi d’inverno e di primavera.
Seguendo la via mulattiera da Sant’Antonio intorno al monte
Magliocca si giunge in mezz’ora a San Lorenzo. Quante volte
ho percorso questo sentiero con la pioggia, col vento, con
la neve e col sole cocente ! Io partiva di buon’ora da
Sant’Agostino tutte le mattine dei giorni festivi e,
passando per Castel d’Appio, giungeva dopo un’ora a San
Lorenzo. Quivi compieva le funzioni parrocchiali e poi
m’avviavo frettoloso a Sant’Antonio per fare altrettanto.
La mia fatica terminava generalmente a mezzogiorno, quando
giungeva a Ventimiglia.
Succursale di San
Pancrazio è Villatella, una terricciuola di 203 abitanti,
arrampicata quasi a metà del monte Granmondo. È un paesello
ridente, ricco d’acqua e d’aria; ma di difficile accesso, tanto
per la via mulattiera di San Pancrazio, quanto da quella di
Sant’Antonio. Ha pur esso un cimitero proprio e una Chiesa
dedicata a Santa Teresa, eretta nel 1848 dall’infaticabile Can.
Nicolò Noaro, prevosto della Cattedrale.
Altra succursale di San Pancrazio è Sant’Antonio, che
conta 109 abitanti. Posto sulla cresta d’un colle, ha una Chiesa
molto antica, consacrata a Sant’Antonio abate e un cimitero
proprio. Di questo paese fui cappellano ordinario due anni
consecutivi, durante il periodo della guerra europea, e vi posso
dire che gli abitanti di Sant’Antonio sono buoni, ospitali e
generosi.
Torri
A un Km. da San Pancrazio si stende sul declivio d’un monte la
grossa Borgata di Torri. Il paese, che ha 553 abitanti, è quasi
tutto sulla riva sinistra del torrente Bevera, che lo lambe ai
piedi. Possiede una bella Chiesa di recente costruzione e una
graziosa canonica. Non sono molti anni che Torri fu eretta in
parrocchia ecclesiastica e nel 1922 anche in governativa.
Ne varria a
scuotermi da così fatte
mortali
sincopi thè, cioccolatte,
caffè, ne
sicera, ma il vin di Latte,
rossese
vecchio o un carratello
del più
che nettare, buon moscatello,
che fa la
gloria di Ventimiglia,
di quel
che imbottasi o s’imbottiglia
dal buon
tempone,
ch’è il
mio mignone, dal mio Carlino,
o dal
limitrofo suo buon cugino».
Coi fiori
eterni eterno il frutto dura
e mentre spunta l’uà l’altro matura.
Ma oltre alla vite,
vi prosperano pure i mandorli i peschi, i fichi, gli aranci,
i limoni e i mandarini e altri alberi fruttiferi, che vi
danno frutti primaticci gustosissimi, sicché possiamo
cantare col poeta:
Prima di giungere al vallone di Latte si presentano allo
sguardo sulla, via nazionale le Pubbliche Scuole Elementari,
fatte erigere dal munifico Comm. T. Hanbury.
Un magnifico
fabbricato di pietra intagliata sorge in un grazioso
villino, ombreggiato da palme e da piante arrampicanti.
Quivi oltre alle scuole vi è pure la dimora delle maestre.
Sulla sponda destra
del vallone sorge il gerontocomio, ossia l’ospizio pei
vecchi, istituito secondo l’ultima volontà del Com. Ernesto
Chiappori, di cui vi ho già parlato. È un superbo
caseggiato, in posizione amena, con tutti i comodi richiesti
dall’igiene moderna. Sono qui raccolti, una trentina di
vecchi d’ambo i sessi, di cui è direttore e cappellano il
Can. Anfossi Cav. Filippo.
Giunti al vallone,
la via si biforca, una conduce a Mortola, l’altra segue il
torrente sino a Sant’Antonio.
Celebrarono poi con magnifici versi il vino di Latte e Fulvio
Frugoni genovese, e V. Fornara di Taggia nel suo ditirambo
Sileno, in cui fra l’altro dice :
Questo Carlino fu il
cognato dell’autore, cioè Carlo Notari e il cugino fu l’on.
Giuseppe Biancheri, presidente della Camera dei Deputati, i
quali possedevano deliziose ville e nel piano di Latte e a
Murru Russu.
Fra le varie località,
che producono i vini migliori vi è quella di Piemattone,
il cui vino può stare sulle mense regali ; onde giustamente fu
chiamato il Marsala ligure e per la sua generosità e per
l’alcool che contiene.
Fu chiamato Latte, forse
perché il vino bianco era così squisito che dava l’apparenza di
latte. Tanto è vero che portato un giorno sulla mensa di
Napoleone Bonaparte a Parigi, non solo fu lodato da tutti i
commensali, ma dallo stesso imperatore, il quale volle
intitolare una via di Parigi col nome della città, che produceva
un vino sì eccellente e prelibato.
indi i monti
ligustici e Riviera,
che
con aranci e sempre verdi mirti
quasi
avendo perpetua primavera
sparge
per l’aria i bene olenti spirti.
Il Bertolotti ben ha
ragione crede che l’Ariosto cantasse questi luoghi, quando
descrive il viaggio della galea di Gano:
Il paese è formato da gruppi di case, graziose ed eleganti,
che corrono, come una bianca striscia, da levante a ponente.
Sulla punta più avanzata sorge la Chiesa dedicata a San
Mauro, eretta nel 1921 in parrocchia
Ha una maestosa
facciata con le linee architettoniche ben conformate.
L’interno di essa presenta un bel vaso, pieno d’aria e di
luce, e, sebbene lo lo stile sia barocco, pure appaga
l’occhio e concilia alla meditazione.
Essa fu
edificata nel 1808 sopra i ruderi d’una Chiesa più piccola,
che risaliva al secolo decimo settimo. Anche il campanile
s’innalza snello, dominante tutto il paese, non altrimenti
un gigante sorpassa una moltitudine di pigmei.
La chiesa, a breve distanza dalla via della Cornice, è dedicata
a San Bartolomeo Apostolo. Sebbene sia stata eretta nel 1922 in
parrocchia, pure è troppo piccola per la popolazione che va ogni
giorno crescendo. Quindi si spera che il nuovo parroco saprà col
tempo ingrandirla, come la necessità richiede.
La parrocchia di Latte,
oltre la borgata San Bartolomeo e le varie ville del piano,
comprende anche i casali di Carletti, Zanin,
Sgorra e Casette. Seguendo ora il vallone, si arriva
a un certo punto, in cui, per salire a Sealza, bisogna
lasciare la via carrozzabile e prendere un sentiero ripido e
alquanto malagevole ; perché Sealza sorge quasi sulla cima d’un
colle aprico. Varii sono i gruppi di case che formano il paese,
tutte eleganti nell’aspetto, sicché guardate da lontano vi
sembrano villeggiature signorili. Il paese ha una Chiesa
propria, un cimitero e scuole elementari.
Da Sealza discendendo
giù sulla cresta del colle si giunge a La Mortola.
La
Mortola
Il paesello fu così
chiamato, perché anticamente in quei luoghi v’era un boschetto
di mirti. Infatti nel nostro dialetto il mirto si chiama
murta. E questo un paese, come Latte, benedetto da Dio per
la sua posizione incantevole. Si trova sopra un poggio, che
prospetta il mare.
L’ingresso della
villa è sulla strada della Cornice, ai piedi del paese.
Dinanzi al portone vi è la fontana cosi detta della Sirena,
la quale scaturisce da un tronco d’olivo. Appena entrati,
una serie di stradicciuole va intersecando con insensibile
pendio tutto il giardino, conducendo al ricco ed elegante
castello, che sorge nel centro sopra un dolce ripiano.
Esso ha l’aspetto
medioevale; perché, sebbene sia stato ritoccato e
ingrandito, risale al 1400. Furono i Lanteri, patrizi
genovesi, i quali cedettero la villa alla famiglia Orengo
nel 1620. Quivi soggiornò Nicolo Macchiavelli, quando nel
1511 da Firenze si portò nel vicino principato di Monaco.
All’entrata
principale, sotto l’atrio, si ammira un bel mosaico, opera
del Salviati di Venezia, rappresentante Marco Polo, il primo
europeo esploratore della Cina. Sopra l’arco del porticato
vi è questo motto:
Inveni portum / spes et fortuna valete /
sat me
lusistis / ludite nunc alios.
Che vogliono
dire: ho trovato il porto / addio, speranza e fortuna /
assai mi avete ingannato / ora illudete altri.
Una targa in marmo,
murata a ponente del castello, ricorda che il 25 Marzo 1882
la Regina Vittoria era quivi ospite gradita del Signor
Tommaso Hanbury.
Villa
Hanbury
Ora, giacché siamo a
Mortola, meta di continui pellegrinaggi, sarebbe una mancanza
grave per noi non visitare il giardino botanico cui il genio di
Tomaso Hanbury ha saputo creare dal 1867 in poi, nella striscia
di terreno che, per una superficie di quaranta ettari, s’insinua
dolcemente nel mare. Non credo di andare errato asserendo che in
Europa non v’è giardino botanico, il quale contenga più specie
di piante indigene ed esotiche, che quello del Comm. Hanbury.
Tanta è la dolcezza del clima, che vi prosperano in modo
meraviglioso anche le piante tropicali. Quivi regna il silenzio
e la solitudine; quivi la bellezza e la varietà appaga l’occhio.
Attratti dalla fama più
che Europea convengono quasi ogni giorno, principalmente
d’inverno, numerosi visitatori dalla Francia, dall’Inghilterra,
dalla Germania, dalla Russia, dalla Norvegia e anche dagli Stati
uniti d’America.
Fuori
del tempo delle visite, che sono però ad ore fisse e in giorni
stabiliti, vi domina sovrana la tranquillità e la pace. Solo
s’ode il gorgoglio d’un rigagnolo, lo stormir delle foglie e il
risucchio del mare vicino che ora flagella or lambisce gli
scogli del lido. Tanta è la frequenza dei visitatori e la fama
del giardino, che ogni anno si distribuiscono e si spediscono in
media dodici mila pacchetti di semi di piante diverse.
Al di sopra del
pergolato v’è una grotta di capillari e una ricca collezione
di agave e di aloe. Alquanto sopra si apre un’aiuola
circondata da canne d’India, che mette capo a una fontana,
nel cui centro si mostra un bronzo giapponese, tutto
attorniato e quasi coperto dai famosi papiri di Cipro.
Indi vi sono
macchie di cipressi, fra cui si vede una parte dell’antica
Via Aurelia. Il giardino botanico Hanbury conta più di 5500
specie e sottospecie di piante coltivate a cielo scoperto e
tutte classificate con appositi cartellini.
Lo studioso
può trovare pascolo alle sue ricerche scientifiche, non solo
nell’orto, ma anche nel Museo botanico, che sorge a un
centinaio di metri dal palazzo.
Quivi esiste una
vera biblioteca botanica, formata dalle collezioni di
numerosi erbarii. Nel piano sottostante si ammirano molti
oggetti di antichità e iscrizioni romane, ritrovate negli
scavi di Nervia.
Tra le
epigrafi, ricorderò una rara iscrizione metrica intemeliese,
la quale forse è l’unica del genere che si conservi in
Liguria, oggetto di costante attenzione dei cultori di
storia cittadina, i proff. Vieri Bongi e Nicola Orengo.
L’epigrafe d’un latino
classico e puro, dice :
DOMUM HANC / IN USUM
RUSTICATIONIS / A VIOLANTE VIRG. DEO DEVOTA / EX NOBILI
LANTERIORUM GENERE / NOVISSIMA / M.CO IOAN.-BAPT. ORENGO
VINTIMIL. / ANN. MDCXX / VENUNDATAM / VETUSTATE FATISCENTEM /
THOMAS HANBURIUS / SPLENDIDIORE CULTU / RESTITUIT ATQUE
DECORAVIT / MDCCCLXVII.
Tradotta in italiano suona così:
Questa casa per uso di villeggiatura, venduta da Violante,
vergine consacrata a dio, ultimo rampollo della nobile famiglia
dei Lanteri al m.co Giov. Batt. Orengo ventim., nel 1620;
rovinando per l’antichità da Tomaso Hanbury, con lusso più
splendido, fu riedificata ed ornata nel 1867.
Dalle terrazze, che sono
a mezzo giorno, si gode una magnifica vista ; li vicino si
trovano gruppi superbi di piante orasse; nella vasca si scorgono
i curiosi pesci cinesi, specie interessante & veramente
straordinaria.
Al ritorno, presso la campana giapponese, i visitatori si
trovano all’entrata della Pergola, dove si legge il motto di
Marziale: Rara iuvant primis, sic maior gratia pomis.
Hiberniae pretium sic meruere rosæ. Piacciono le primizie
perché son rare, così hanno maggior favore i pomi, così sono
stimate le rose invernali.
VIXIT AN.
XIX
Jam puer
infelix terrARUM CRIMINA FUNCTUS
Hac iacet in
urna; fratER. ENIM. STATUIT
Funere
perpetuum FRATER.
DOLITURUS INAEUM (sic)
Tam caro
cineri MUNERA DICNA DARE
Carmine
nulla, tamen MELIUS MONUMENTA DEDISSET,
Quod tituli
trisTI FUNCITUR OFFICIO
Ut semper
tibi cogNATI.
VIVAX SIT.
IMAGO
Diquem nunc diligant aTQUE COLANT.
SUPERI
Passata la Mortola,
dopo una svolta brusca e una ripida salita, si giunge in
breve alla Croce, così detta, perché sul ciglione sorge una
croce. Da questo punto comincia la via carreggiabile, che
conduce quasi alla frazione di Mortola Superiore,
detta volgarmente Ciotti.
è un
paesello, dominato dal monte Belenda, in una posizione amena
e pittoresca, il quale possiede una Chiesa dedicata a N. S.
d’Ariverti ed è ricordata da antiche carte. Tanto il
cimitero, come le scuole elementari sono in comune con
Mortola inferiore.
Queste che sorgono
in un giardino, presso la Croce, in luogo incantevole,
furono istituite dal munifico Comm. Hanbury.
Dal ciglione della
Croce si vede la frazione Grimaldi, quasi nascosta dal verde
cupo degli ulivi. È l’ultima borgata di Ventimiglia e la più
vicina alla Francia. Fu chiamata Grimaldi, perché
quel luogo fu un tempo una tenuta della famiglia genovese
Grimaldi, signora di Monaco. Infatti nel 1351 Carlo
Grimaldi, signore di Monaco, acquistava questo vasto
tenimento dalla famiglia Saonese.
Cresciuti poi i
coloni, si formò un casale, indi a poco a poco una borgata.
Graziosa è la Chiesa del secolo XVIII, dedicata a San Luigi.
È una lastra di marmo,
rotta in tre pezzi, che riuniti insieme misurano cm. 26 X 23 e
ci conservano la metà di un titolo funerario. Manca la parte
superiore, ove era inciso il nome del defunto.
Questa è la
ricostruzione in versi che il prof. Bongi ha tentato:
Io ne feci la traduzione metrica italiana in questi termini.
Visse diciannove anni /
già fanciullo infelice, pagato a la terra il tributo / in
quest’urna riposa; che risolse il fratello / con lagrime perenni
di pianger la morte immatura / e a cenere si cara rendere degni
onori. / Meglio di questo carme nessun monumento avria dato, /
che del titolo compie il doloroso officio, / perché a lui del
congiunto l’imago sia ognora vivace, / cui gli dei de l’olimpo
nutrono grande affetto.
Ponte San Luigi
Lungo la via della
Cornice, distante dalla Dogana italiana un centinaio di
metri, si ammira l’ardimentoso ponte San Luigi, che pende
sull’abisso a 80 m. d’altezza e fu costruito a un arco solo
nella prima metà del secolo, passato.
Il torrentello, che
discende dal monte Belenda, si è scavato un letto nella viva
roccia e durante le piogge autunnali o primaverili balza
rumoroso e spumeggiante diviso in mille cascatelle, nel
Vallone di Tantan.
Ora, lungo la via
della Cornice, al di sotto di Grimaldi, si sono già eretti
numerosi fabbricati, graziose e ricche ville. Sullo scoglio, che
torreggia sulle caverne dei Balzi Rossi, sta la Caserma della
Dogana italiana.
In questi giorni è terminata la
colossale costruzione in cemento armato della torre per
l’ascensore, che dal Musæum præhistoricum dei Balzi Rossi
salirà alla Dogana italiana e principalmente al grandioso
Albergo Miramare del signor Alberto Abbo. Si dice che questo
ascensore sia il più alto d’Europa.
La torre fu incominciata il 1°
Settembre del 1922 e misura m. 87,50 d’altezza. Sulla cima della
torre vi sarà un faro della potenza di 65000 candele, il quale
rischiarerà tutto lo spazio di mare nell’ampiezza di centinaia
di Km.
Le Scuole Elementari di via
Vittorio Veneto, sorte su progetto approvato antecedentemente
all'avvento del Regime, vennero inaugurate nel 1928, col titolo
di "Casa del Balilla", da non confondere con la Palestra G.I.L.,
del 1933, sorta su progetto fascista, nella funzionale edilizia
in stile "Modernista", proprio del Ventennio.
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