Di una lapide perduta e ... ritrovata
Nell’ottobre del 1880 da un sepolcro della necropoli di Nervia
veniva recuperata un’iscrizione in marmo, trovata ancora incastrata
nella facciata del monumento, fatta apporre dai genitori alla
memoria della piissima figlia Maia Paterna. Il ritrovamento suscitò
l’entusiasmo dell’ispettore locale Girolamo Rossi che ne diede
immediata relazione nelle Notizie degli Scavi di Antichità e vi
dedicò anche alcuni articoli in altre sedi.
La lapide, opistografa, cioè scritta su entrambi i lati, entrava
subito a far parte della Raccolta Civica Aprosiana, dove veniva
registrata nell’inventario redatto nel 1922 da Piero Barocelli,
giovane ispettore dell’allora Soprintendenza alle Antichità di
Torino che si occupava anche del nostro territorio.
L’iscrizione funebre seguiva poi il faticoso iter delle varie sedi
del Museo Civico, nel frattempo intitolato alla memoria di Girolamo
Rossi scomparso nel 1914, e nel 1989, rientrava finalmente nella
sede definitiva del Museo al piano rialzato della Fortezza
dell’Annunziata, dove veniva predisposto uno specifico supporto
mobile nella sala dedicata al lapidario per darle giusto risalto.
Ma nel 1991 il funzionario di zona della Soprintendenza Archeologica
genovese si presentava al Forte e prelevava la lapide da esporre
temporaneamente (?) in una mostra, rilasciando ai responsabili del
museo regolare ricevuta manoscritta e firmata.
La mostra terminò, la lapide ... non tornò.
Dopo molte vicende e molte carte, il rientro della iscrizione veniva
finalmente autorizzato con nota soprintendentizia del 28 ottobre
2003, ma al momento della riconsegna dei pezzi, il giorno 6 novembre
2004, essa insieme a una settantina di altri reperti, risultava
indisponibile, nello sconcerto dei rappresentanti del Comune e del
Museo convocati dalla stessa Soprintendenza nei depositi statali di
Nervia per assistere alla consegna.
L’iscrizione è ora miracolosamente ricomparsa nella rinnovata sede
dell’Antiquarium Statale di Nervia tra l’incredulità degli sgomenti
responsabili del Museo Rossi, sempre ligi e fiduciosi, che ancora
conservano nel lapidario il supporto (vuoto) per ospitare la lapide
di Maia Paterna.
Da fonte comunale ben informata non risulta che la Soprintendenza
abbia intrattenuti preventivi accordi con l’ente proprietario della
iscrizione: il Comune, anzi - come sopra detto - ne ha autorizzato
ufficialmente il rientro al Museo Rossi.
La stessa informatissima fonte assicura che già dalla primavera
scorsa (2004) è partita a firma del Sindaco di Ventimiglia la
richiesta per far rientrare al Museo i pezzi mancanti della Raccolta
Aprosiana, e quindi anche la lapide, oltre a quelli della Raccolta
personale di Girolamo Rossi, sempre conservati in casse nei depositi
della Soprintendenza, ma nonostante i numerosi solleciti le Autorità
genovesi tacciono.
L.M.
LA VOCE INTEMELIA anno LIX n. 7 - luglio 2004
La lapide del Terzo secolo, è
iscritta sul retro di una precedente epigrafe, del Primo
secolo; indicante una strada privata:
I(ter)
P(proibitum) NISI PER(missu) DOM(mini)
P. NON(ii) PR(imi).
Nel 1975, già che l'avvento della Soprintendenza regionale iniziava
a ridimensionare le competenze del Lamboglia, egli riprese la
gestione espositiva, in un ampio locale di Via Tacito. La sua
improvvisa morte, avvenuta nel 1977, impose il rientro dell'esposto,
nelle casse di Villa Davigo, due anni più tardi.
Nello stesso tempo,
l'assegnazione di "Villa Davigo" a sede dell'Unità Sanitaria Locale,
spinse la Soprintendenza a pretendere il deposito delle casse,
contenenti le collezioni civiche, nello scantinato dell'Antiquarium
di Nervia.
Il potere, anche
sommariamente gestito dalle Soprintendenze, contribuì a tarpare le
ali dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri, che di suo, dal
funesto Novantaquattro, si è lasciato inadeguatamente dirigere; ma
ciò non toglie che la Sezione Intemelia di questo Istituto gestisca
il Civico Museo Archeologico Girolamo Rossi", il quale vorrebbe
tornare in possesso della maggior parte dei suoi reperti, chiusi in
casse depositate presso la Soprintendenza, da quel periodo grigio
degli anni Settanta.
Fino all'anno 1974, in questo
estremo lembo di Liguria, le antichità, i monumenti,
l'archeologia e l'antropologia erano amministrate da un Ente di qualità,
gestito da un grand'uomo, un luminare, ideatore dello scavo
stratigrafico moderno: il professor Nino Lamboglia, fondatore
dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri.
Egli, oltre a sorvegliare il
territorio ed i monumenti medievali, in più della Biblioteca Aprosiana,
vigilava e curava gli scavi romani di Nervia, gestendo anche il "Civico
Museo Archeologico - Girolamo Rossi", che esponeva le collezioni
comunali, ereditate dai grandi raccoglitori ottocenteschi.
Al momento del Secondo
Conflitto Mondiale, con gran cura, ben custodì questi tesori culturali,
che superarono indenni quella sciagura. Terminata la guerra, una
limitata entità di reperti, uscirono dalle numerose casse, conservate a
Villa Davigo, per essere esposti nella Sala Consiliare del Comune, dove
fecero bella mostra fino al 1971, quando la politica rese troppo
frequentato il pubblico Arengo.