LA CASAMATTA DEL CIOUSSU
NOTA:
* Come il dottor Fabio Piuma sta per pubblicare, nel suo lavoro sulle fortificazioni sabaude di Ventimiglia; della cinta muraria con la quale i Genovesi cinsero difensivamente la nostra città non resta poi molto. Il settore di Tramontana, che fin'ora era conosciuto come "Cinquecentesco", è invece il rifacimento Ottocentesco, ispirato ad un progetto del Settecento, col quale le autorità sabaude hanno sostituito le mura genovesi, troppo deboli per i gusti dei sopraggiunti Savoia. Dunque, le mura di Tramontana sono Ottocentesche, come le casematte che le sostengono e come la "Scala Santa", che è da considerarsi come un tratto di postazione per fucilieri.
Calando verso Peglia, la cinta muraria di Tramontana, superati i notevoli manufatti che caratterizzano Porta Piemonte, si mostra in tutta la sua "ottocentesca" possanza.* Sul vertice murario, il camminamento di ronda segue l'andamento scosceso del crinale, servito da una lunga serie di scalini dalla pedata piuttosto oblunga; una malagevole scalinata che i ventimigliesi dell'Ottocento hanno chiamato "Scařa Santa", parafrasando il celebre modello romano, parimenti gravoso.
Raggiunto il piano, le mura sono state dotate di un complesso fortificato di notevole fattura, oggi non troppo rilevabile, così com'è stato marginato dal terrapieno per realizzare Corso Francia, verso la Galleria del Poggio.
Dall'esterno, la possente Casamatta si intravede percorrendo la curva superiore sul perimetro sud dell'ex Pubblico Mattatoio; per visionare l'interno occorre accedere a Vico del Mulino, da Piazza Costituente, procedendo fino al retro del garage RT, l'ampio manufatto dell'ex SATI.
La complessità edificatoria di quel fortilizio ottocentesco, traspare immediata nella valutazione delle rimanenti, corpose rovine. Una massiccia entità muraria, elevata su un poderoso passaggio voltato, risulta fornita di un robusto baluardo, eretto a protezione di una suggestiva piazzuola, alla base del camminamento che un tempo la collegava alla Colletta, attraverso la Porta del Cioussu, oggi sfregiata da un incongruente muro di cinta confinaria.
Verso tramontana, dalla piazzuola prende avvio il Cammino di Ronda, costituito in massima parte dalla "Scala Santa", fino all'abside della chiesa di San Michele e poi a Porta Piemonte.
Mai introdotto nella routine della Nettezza Urbana e nei sopralluoghi di Polizia; negli Anni Novanta, il luogo era decaduto a ricetto di sballati, con conseguente continua pericolosità di transito. Oggi gli sballati si sono spostati altrove, ma un ripristino della straordinarietà del luogo è ancora molto al di là dal realizzarsi
Ricordiamo che sino a non molti decenni or sono non
esistevano frigoriferi e se sin dall’antichità l’uomo ha imparato a
conservare il freddo pressando la neve in inverno nelle
“ghiacciaie”, camere per lo più ipogee, utilizzabile quale fonte di
ghiaccio anche in estate; questa era una pratica molto complessa e
costosa e attuabile solo in certe zone.
Vicino al mare era più semplice conservare il pesce
vivo che fresco: il pesce è sempre stato un alimento prelibato e
ricercato e quello di mare, specialmente le murene, era preferito
dai nobili e ricchi, quello d’acqua dolce era riservato alle classi
più povere.
Come ci ha tramandato Lucio Giunio Columella, i
latini allevavano pesci nelle “piscinæ” con tecniche
complesse già sperimentate negli ambienti greci ed orientali; gli
impianti erano molto vasti e se ne trovano tracce in particolare
lungo il litorale tirrenico tra la Toscana e la Campania, giù sino a
Capo Palinuro e le coste orientali della Sicilia, di forma
quadrangolare in muratura o appunto scavate nella roccia viva.
Nel nostro caso si trattava probabilmente di una
semplice peschiera per la conservazione temporanea del pesce pescato
e non di un vero e proprio allevamento.
Molto controversa e difficile potrebbe essere la
datazione dell’opera appena illustrata; posso dire che si ha memoria
di una vasca naturale che si trovava sotto il ristorante del casinò
della Bella Epoque, proprio ai Balzi Rossi , vasca che aveva la
funzione di peschiera; i clienti potevano ammirare i pesci nel loro
habitat naturale e scegliere quello che doveva essere per loro
pescato e cucinato. Trovo molto affascinante datare la peschiera
all’epoca romana, la mia tesi per la datazione può essere avvalorata
dalla presenza di insediamenti, ville di nobili e ricchi Romani
nella piana di Latte e dalla vicinanza della Via Iulia Augusta;
altresì le peschiere potrebbero essere più recenti, ma dato il
lavoro importante, la tipologia dell’opera, la struttura
completamente scavata nella roccia, la mancanza di notizie da fonti
recenti orali o scritte non penso di sbagliare nell’indicare le
peschiere dei Balzi Rossi opera risalente al periodo Romano.
Sergio
Pallanca
LA VOCE INTEMELIA anno LXIV n° 9 settembre 2009 pag. 5
Da
un po’ di tempo penso di scrivere qualcosa circa un manufatto che ho
scoperto casualmente in una assolata giornata estiva; il dato che io non
sia un tecnico ne abbia la preparazione scientifica idonea mi ha sempre
frenato.
Proporrò qui la mia scoperta e la mia opinione in merito
in attesa che qualcuno più qualificato la condivida o la confuti.
Nei pressi dei Balzi Rossi, verso levante c’è un tratto
di costa molto frastagliato, costituito da aspre rocce; le spiagge sono
ridottissime e bellissime, raggiungibili solo a piedi o a nuoto, ma la
fatica per arrivarci è ripagata dalla suggestione dei luoghi e dalla
purezza delle acque.
In un certo punto sotto la Via Iulia Augusta, nei pressi
della “tagliata”, le rocce sono scavate in un punto a formare una
piccola galleria naturale di circa un metro di larghezza e due e mezzo
di altezza per cinque di lunghezza, parzialmente sommersa e percorribile
a nuoto senza l’ausilio di auto respiratori con mare calmo; allo sblocco
della galleria, a monte, c’è un’ampia vasca a cielo aperto di forma
rettangolare, squadrata e dalle pareti levigate di circa tre metri per
due e con un’altezza di circa quattro metri e mezzo ora parzialmente
colmata da ghiaia e massi. Col moto ondoso l’acqua all’interno della
vasca viene continuamente rinnovata ed è pura ed ossigenata.
A mio avviso si tratta di una “peschiera”, in altre
parole di opera dell’uomo che serviva a contenere il pesce pescato vivo
e vitale in un luogo da cui potesse essere facilmente prelevato
all’occorrenza per essere cucinato fresco.
Una prova che consolida la mia tesi è che lo sbocco
della galleria nella vasca, a livello della volta, presenta ancor oggi
fori circolari con all’interno materiale ferroso fortemente ossidato,
arrugginito; questi erano gli ancoraggi di robuste grate in ferro che
formavano il supporto per reti a maglie più fini che avevano la funzione
di impedire che il pesce riprendesse il mare.
Sui bordi superiori della vasca, sui due lati lunghi
si vedevano ancora tre incavi che si fronteggiano parallelamente, di
circa venti centimetri di lunghezza per dieci di profondità:
probabilmente erano le sedi per robuste tavole che coprivano la vasca e
rendevano più agevole il lavoro di manutenzione e il recupero del pesce.
Negli angoli del bordo, a monte, si vedono tuttora
pietre cementate con malta e tracce di una graffa di ferro.
L'ORECCHIA D'ESTEREL
Lettera alla Voce
Nel numero
del 24 giugno scorso di Voce Intemelia, ho letto con piacere
l’articolo di Gaspare Caramello “L’Orecchia d’Esterel”, che mi
ha spiegato il significato di quella che sembra una micro
cattedrale nel deserto, e che è invece la stradina che porta
alla panoramica “Orecchia d’Esterel”.
Non dubito
del valore panoramico dell’Orecchia, e allora ho voluto averne
conferma perché ricordavo la situazione all’epoca della
realizzazione: una piazzola dove la ruspa aveva appena fatto
pulizia dei rovi che vi regnavano sovrani. Ho cercato pertanto
di ritornare alla sommità del selciato, ma dopo alcuni metri la
stradina è invasa da un piccolo smottamento. Poco più avanti un
grosso lentisco ostruisce il passaggio e allora mi sono fermato.
Concordo quindi con Gaspare sulla necessità di
una costante ed efficace manutenzione del luogo. Approfitto
dell’occasione per segnalare, sempre in via Forte San Paolo,
nella curva seguente a quella che da inizio al sentierino di cui
sopra, la mancanza del necessario specchio che segnala l’arrivo
delle auto, che esisteva e non è stato più ripristinato dopo
l’allargamento della curva.
Constato con amarezza che non sono mai state
ripulite le lapidi presso la “caserma Umberto I°”, ricordi
storici, culturali e, perché no anche affettivi per chi ha
creduto nei simboli esposti.
Anche il terreno circostante lascia molto a
desiderare. Con il desiderio generale di voler valorizzare i
beni culturali, francamente non capisco questa trascuratezza.
Luigi Bono
P.S. Non sarebbe male se alla base del sentierino
ci fosse un cartello: “Sentiero dell’Orecchia” !
LA VOCE INTEMELIA
anno LXIV n° 9 settembre 2009 pag. 6
Dal gomito dell’ultimo tornante verso Forte San Paolo si diparte un
lastricato di buona fattura, in direzione Ponente, che sale con
discreto dislivello verso il lato Ovest del Forte, conducendo ad
un’orlata piazzola, dominata dalla voluminosa cisterna, di fronte
alla quale si apre la panoramica “Orecchia d’Esterel”.
Il lastricato, che ha sostituito un antico sentiero, è stato voluto
da un’Amministrazione degli Anni Novanta, la quale, una volta
realizzato, non lo ha saputo pubblicizzare a sufficienza,
lasciandolo inattivo e persino mal frequentato. Ma quel camminamento
merita una miglior fortuna escursionistica, giacché dal suo culmine
si domina una vista panoramica da non perdere.
Oggi quel pregevole manufatto ha bisogno di una qualche
manutenzione, ma soprattutto richiede un costante mantenimento
d’efficienza, che si potrebbe ottenere anche solo con un intervento
tardo primaverile.
Al culmine del selciato, sul limite Sud della piazzola, si apre una
cavernetta, la “Aureglia d’Esterel”, che è anticamera di una
ridottissima balconata aperta sulla visione della costa da Capo
Ampeglio alle montagne dell’Esterel, offrente una visione
incomparabile del Mare Nostrum.
G.C. - Associazione Forte San Paolo
POSTI Föraman
INAUGURAZIONE
PARTE DELLA PROLUSIONE DEL CONESTABILE
Nel 1994 la Commissione comunale per la
toponomastica ha voluto ricordarsi dell’antica attività
che oggi appassiona alcuni esperti locali, dedicando ai
balestrieri la panoramica piazzetta a ridosso del Cavu.
Lo scorso 19 maggio 1996, le Compagnie di Sestiere hanno
sostenuto una coreografia d’eccezione nell’inaugurazione
della Piazzetta dei Balestrieri sulla Colla, proprio nello
spazio ricavato dal demolito Munte d’ê Muneghe, nella
zona del Cavu.
PIAZZETTA DEI
BALESTRIERI
I numerosi cittadini presenti insciu Scögliu alle
celebrazioni per San Secondo 1995, avranno notato la
verzeggiante sistemazione dell’angolo nel Passeggio della
Colla, ricavato proprio sotto «u Munte d’ê Mùneghe».
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