TRADIZIONE
E
FOLCLORE
IN
Riti e manifestazioni della profonda tradizione locale
Il "Girar Maggio" a San Biagio della Cima
e le tradizioni di Soldano, dal sito "soudan"
La fotografia de "a pila d'u cròu", scattata dagli alunni del
tempo pieno 1986-87, evidenzia assai bene i tre fori collaterali
all'ampio scavo centrale, che paiono strutturati per accogliere tre
paletti in legno, protesi ad angolo acuto oltre il perimetro di base
della roccia.
Potrebbero aver sostenuto una sorta di
raccoglitore d'acque piovane, adatto a convogliarle nel grande
foro rituale. Sulle travi legnose avrebbe potuto esservi distesa
un'ampia pelle bovina, atta ad incettare il più possibile di quell'acqua,
la quale, per il fatto di cadere su una postazione riconosciuta ieratica
quale la Çima
Croairöra, veniva considerata acqua lustrale e, a dir poco:
miracolosa.
Ancora nei primi anni del Novecento non era
del tutto sopita la reminiscenza di quelle credenze ancestrali, per le
quali l'intitolazione del luogo alla Santa Croce non aveva ottenuto il
completo abbandono delle tradizioni popolari, cancellato invece
dalla massificazione devastante e laicista di questo dopoguerra,
eccessivamente mediaticizzato.
La müssega, o Cytinus hypocistis è pianta priva di clorofilla, parassita sulle radici di cisto bianco, con foglie ridotte a squame carnose giallo-rossastre fittamente embriciate, fiori unisessuali in spighe contratte; il frutto è una sorta di bacca contenente numerosi semi immersi in una polpa vischiosa. L'Ipocisto rosso, molto simile ma con squame di colore rosso vivo, sarebbe parassita solo dei cisti a fiore rosa.
I suggerimenti iniziali, sull'argomento:"Croairöra", sono stati proposti da "Il giornalino di San Biagio" pubblicato in economia dal "tempo pieno" della locale Scuola Elementare, durante l'Anno scolastico 1986-87.
Gh’eira tréi uxelìn,
tüti tréi insc’ìna raméira,
fàighe la ciùmba la là
tüti tréi insc’ìna raméira.
.
I l’an pigliàu u ciü pecìn,
i l’àn méssu in gabriòla,
fàighe la ciùmba la là,
i l’an méssu in gabriòla.
.
I l’àn màntegnüu set’an.
a granigli de ninsöra,
fàighe la ciùmba la là,
a granigli de ninsöra
.
A la fin de li set’an
l’uxelìn l’è uscì de föra,
Com'era il "Girar Maggio"
a San Biagio della Cima
Ancora negli anni precedenti l’ultimo conflitto mondiale, in San Biagio
della Cima era in vigore l’usanza di “Girar Maggio”. Complice la mitezza
stagionale del clima, nella notte dell’ultimo giorno d’aprile, combriccole
di “maggiolanti”, d’entrambi i sessi, si aggiravano per le campagne alla ricerca
del ramo d’albero adatto ad essere elevato, in paese, al rango di “a rama de magiu”. Uno dei luoghi preferiti erano
le macchie d’altura presso Santa
Croce.
Con la scusante della difficoltà nella ricerca, protraevano la sortita
notturna fino alle ore piccole del mattino, col tradizionalmente
riconosciuto beneplacito delle famiglie, in una trasgressiva promiscuità della
leva giovanile, per l’intera comunità.
Rientravano, ovviamente con un bel
ramo verdeggiante, possibilmente fiorito, che nella mattinata del primo
giorno di maggio sarebbe stato innalzato su un apposito filo, teso da un
lato all’altro della piazza, in sostituzione della "ciota", il fosso che veniva scavato
per accogliere l’albero di maggio, in precedenza, quando la piazza grande non era ancora stata
lastricata.
Nel
pomeriggio, tutta la gioventù del paese e di quelli vicini, vallivi e
di Val Nervia; richiamata dalla
leva giovanile degli anni più recenti, si ritrovava in piazza, per “girar
maggio” intorno al ramo maggenco appeso, in una coinvolgente festa popolare
di antichissima tradizione.
Nel maggio 1978, la Cumpagnia Cantante ha raccolto in
San Biagio della Cima, dalla memoria e dalle voci di: Candida Maccario
Biamonti, Giuseppina Maccario e Maria Molinari Martini, la canzonetta
propria del “maggio” ed una filastrocca-girotondo, piuttosto allusiva, che
veniva svolta nel corso del girotondo festivo, alternandola con altre, purtroppo
dimenticate, o delle quali si ricordavano spezzoni non troppo esplicativi
dell’argomento.
Da generazioni e generazioni, quella canzoncina e gli stornelli di supporto,
facevano parte del patrimonio orale, canoro, del paese e dell’intera Val Verbone, se non di quello di tutta la
Zona Intemelia; mentre oggi la
gioventù, non avendo più la necessità di favorire un rituale, anche un
po’ trasgressivo, per incontrarsi e familiarizzare tra i sessi, non ha più memoria del
rito e non si tramanda più né canzoncina, né stornelli.
Sempre nei primi giorni di maggio,
collaterale a questa usanza giovanile, tutte le genti del paese
praticavano la consuetudine della scampagnata alla
Çima Croairöra, per assistere
alla schiusa delle "müsseghe", i bei fiori di un colore carminio, che creano
chiazze molto simili a macchie rosse di sangue.
Sulla sommità della Cima, poco discosta alla chiesa ottocentesca, è ben
visibile tra l'erba la grande roccia cava, conosciuta come "a pila d'u
crou", dove si dice i corvi, che danno il nome alla Cima, vadano a
ristorarsi.
La gita
magenca sulla Cima era accompagnata da stornelli popolari che
si concludevano col ritornello:«a la çima del ma', a la çima del ma'»,
dove il ma' tronco avrebbe potuto stare per "maggio", ma anche
per "mare", considerando l'ampio panorama del luogo.
Il contenuto degli stornelli era sempre velatamente erotico, tanto da far
pensare che la "pila" fosse un raccoglitore d'acque lustrali, in un luogo
sacrale deputato alla fertilità muliebre, dove le macchie rosso sangue del "cytinus
ypocistis" davano il segnale stagionale, cultuale, di fertilità.