Una
legge del 1990 indicava ai Comuni italiani la necessità di esporre ogni
giorno dell’anno il vessillo comunale, in alternativa con la bandiera
nazionale, che dovrà essere esposta nelle giornate di festa o ricorrenza
e nei giorni dedicati alle sedute del Consiglio cittadino, oltre che,
abbrunata, nelle eventualità luttuose.
In seguito, considerando i noti
fermenti secessionistici padani, è stato indicato di esporre il
tricolore nazionale ogni giorno, sul municipio, al centro del vessillo
azzurro europeo, per ora corredato di quindici stelle gialle in circolo.
Dalla primavera del 1998, la Regione
Liguria ha dotato tutti i Comuni del vessillo regionale, disponendo per
legge che sia esposto assieme al tricolore ed alla bandiera europea,
relegando così il vessillo comunale ad essere esposto solamente nella
Sala Consigliare.
(Vedi foto in calce)
In ogni modo, in quel tempo, per dar corpo
alla realizzazione d’un vessillo comunale, l’Amministrazione in carica
nel 1990, aveva incaricato la Cumpagnia d’i Ventemigliusi di condurre
una ricerca adeguata.
Nell’occasione, dovetti mettere
in ordine gli appunti che tenevo da parte sull’argomento, ampliandoli
con qualche curiosità, prima di consegnarli e vedere realizzato
l’attuale vessillo civico.
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Luigino Maccario - 2007
Nel novembre del 2001, anche un’azienda commerciale ha voluto alzare il nostro vessillo comunale sui pennoni che attorniano gli ampi parcheggi attorno al supermercato di Bevera, nei pressi del ponte per le Porre, dimostrando una notevole sensibilità nei confronti delle nostre tradizioni.
© 1990 Cumpagnia d'i Ventemigliusi
LA SITUAZIONE UFFICIALE
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Prima per consuetudine, ma dall’Ottocento
per legge dello Stato, tutte le città italiane sono dotate d’uno stemma,
corredato da un motto, prerogativa ed opportunità di tutti i Comuni
d’Italia, d’Europa e forse del mondo.
Ebbene, anche la città di Ventimiglia ne possiede uno,
che è posto in bell’evidenza sul gonfalone comunale assieme al relativo
motto, mentre risulta dipinto da più di centotrent’anni sul rosone
decorativo sulla scalinata delle Lateranensi, nel lato ovest di piazza
Cattedrale. (1)
Sulla facciata del vecchio Palazzo Civico,
ottocentesco, di fronte alla Cattedrale, in Ventimiglia Alta, all’apice
degli angoli rivolti verso la piazza fanno bella mostra una
ricostruzione gessosa, in rilievo, dello stemma comunale medievale ed
una dello scudo, contenente il motto della famiglia contile. I motivi
araldici contili e comunali ventimigliesi, questa volta a colori,
dominano una bell’incisione contenuta in un “Atlante Ligustico” del
XVIII secolo. (2)
Nel dopoguerra, il Comune si era corredato d’alcune
orifiamme da esposizione stradale, per abbellimento dei momenti pubblici
di parata. Allora, ne decorava il percorso nobile del corso fiorito,
durante la Battaglia dei Fiori, o la piazza del Comune, nel corso delle
feste comandate.
Però, una bandiera con i simbolismi antichi della
città e del comune, forse non era mai stata proposta. Sembra giusto
ricercare le simbologie, il più storicamente reali, nell’intraprendere
l’allestimento di una bandiera a significare la nostra città.
CONSEGUENZE ARALDICHE
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L’araldica ufficiale delle città
italiane è relativamente giovane, infatti, è stato soltanto dopo la data
dell’unità della Patria, il fatidico anno 1860, che si è consolidata.
Ovvero, quando i reali ufficiali di toponomastica hanno cominciato a
formulare l’attuale geografia politica italiana, cosicché le città della
penisola hanno dovuto definire le loro peculiarità anagrafiche.
Precedentemente, altri momenti influirono
parzialmente sulla toponomastica e l’araldica della nostra zona, ma in
modo per noi meno determinato. Come esempi, si possono citare:
l’occasione di conglobamento della Repubblica genovese al Regno Sardo,
ed ancora più indietro nel tempo, il momento dell’occupazione genovese
del Libero Comune di Ventimiglia.
La nostra città ha avuto, nell’importante rito
della scelta o conferma dello stemma, un padrino d’eccezione, lo storico
del Ponente ligure per antonomasia, il concittadino professor Girolamo
Rossi, espertissimo autodidatta, unico allora in grado di definire il
problema.
Dal suo memoriale intimo apprendiamo la frenetica
attività, in quegli anni, della Regia Deputazione di Storia Patria,
della quale era membro onorario, per mettere a punto l’araldica
nazionale. (3)
IL GONFALONE
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L’allestimento del gonfalone
comunale, in ordine alla forma ed ai colori araldici, ha tenuto conto
dei dettami proposti, in quel momento, dallo spirito unitario nazionale.
Molti Comuni italiani, di tradizioni antiche
quanto quelle che ci riguardano, hanno allora operato delle scelte più
legate a particolari documenti storici di epoca medievale, preservando
determinati colori e certe fogge.
La tinta del nostro gonfalone, o meglio dei
gonfaloni che da allora si sono succeduti, a causa dell’usura, è sempre
stato l’azzurro, il colore ufficiale dell’unificazione nazionale
italiana. (4)
Come il gonfalone, due delle orifiamme,
confezionate in questo dopoguerra avevano avuto il fondo azzurro, con lo
stemma comunale al cuore del vessillo, mentre, in antitesi, altre due
presentavano un fondo rosso, con una studiata striscia laterale gialla,
di un quarto, ed il leone comitale al cuore.
Era certamente il segnale che l’ordinazione delle
orifiamme era stata preceduta da un’attenta ricerca storico-araldica. Ma
torniamo alla primaria costruzione del gonfalone, nel secolo scorso.(A)
IL MOTTO
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Per Girolamo Rossi è stato
facile, ricavare dalle attente cognizioni storiche locali uno stemma ed
un motto per la nostra città, quindi farlo approvare dai nobilissimi
padri coscritti del Consiglio Comunale d’allora, come richiesto
dall’araldica ufficiale di stato.
Per questo motto, egli si riferì a quanto
appreso da una lettera a Cicerone, scritta nell’anno 49 a.C. da Marco
Clelio Rufo, (5) lettera che ci comunica le prime notizie dirette sulla
situazione politica interna della nostra città agli albori dell’Impero,
quando il partito pompeiano vi provocò disordini, facendo assassinare un
concittadino, il nobile Domizio, che avendo ospitato Giulio Cesare.
A questa provocazione i cittadini insorsero ed
appunto Marco Clelio Rufo, luogotenente di Cesare, fu costretto ad
accorrere con truppe dalla Provenza, in soccorso del presidio
minacciato.
Fin da allora il centro abitato, Capitale dei
Liguri Intemelii, era classificato “civitas”, sede di un “municipium”
già dall’anno 89 a.C., quando i locali conseguirono il diritto latino e
videro completare la romanizzazione dell’antica Liguria.
LO STEMMA
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La scelta, o meglio la conferma dello
stemma è stata, in pratica, più semplice, anche se per Ventimiglia si
ristringevano di molto i documenti disponibili, tardo antichi e
medievali, a causa della nota distruzione degli archivi da parte del
duca Carlo di Borbone, Connestabile di Francia, nell’anno 1526.
Infatti, il Rossi, nell’edizione dell’anno 1857
della sua Storia della Città di Ventimiglia, descrive un antico sigillo
dei Consoli, dell’anno 1194, custodito, allora nell’archivio capitolare
ed ora al Museo Bicknell; dicendo: “E’ molto antico il simbolo del leone
nello stemma della Città di Ventimiglia, che lo portava pure impresso
nel suo sigillo
Il leone rampante coronato e rivoltato, si ha sul
busto e sulla cassa d’argento del martire s. Secondo, opera del 1623.
Lo stemma ventimigliese è riferito, certamente a
quel leone, al quale, nell’occasione è stata imposta una corona
comitale, forse per precisare che le origini storiche del territorio
defluiscono anche dalla nobiltà d’una contea. (6)
LA BANDIERA MEDIEVALE
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E’ però la bandiera, rappresentativa del
comune ventimigliese, lo scopo della nostra ricerca, quindi curiosando
nell’opera di Girolamo Rossi, troviamo la descrizione d’una bandiera
documentata.
Nel capitolo dedicato al Contado dice: “.... e
sul mastio della torre più alta sventolava giornalmente la bandiera,
portante lo stemma dei conti, che era uno scudo di sangue al capo d’oro,
col motto - Proe millibus unus -. (7)
Dunque, il colore rosso carminio dominava sui tre
quarti dello scudo, sormontato dal giallo oro, per il restante quarto.
Certamente questa costruzione non è mai stata casuale e, considerando la
disposizione logistica degli smalti vassallatici medievali c’è da
ritenere che fossero i colori del nostro contado.
I COLORI
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Alla caduta dell’Impero Romano fu
l’autorità dei Vescovi a tenere unite le entità territoriali municipali,
quasi sempre corrispondenti alle antiche Diocesi, basi territoriali per
l’impero, fino all’istituzione del sistema vassallatico, introdotto da
Carlo Magno.
In alcuni casi furono gli stessi vescovi-conti a
detenere il potere in qualità di vassalli, oppure, come è possibile sia
avvenuto nella nostra città, i vescovi hanno dominato per tutto l’evo
antico, fino all’avvento di una famiglia vassallatica.
Infatti, dall’anno Domini 789 circa, la contea fu
affidata ad un Conte, rampollo della Marca di Tuscia, nominato
dall’Imperatore, ed inserita, subito dopo nella costituenda Marca
Arduinica, detta Marca di Susa. (8)
Il rosso ed il giallo non erano i colori di
alcuna delle Marche e delle discendenze nominate, mentre sono stati
sicuramente colori dei Municipi d’origine romana, disposti secondo
diversi parametri. (9)
ORIGINE ROMANA
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La disposizione romano-imperiale dei colori di
riconoscimento dati alle coorti, raccolte od operanti in certe province
del vasto impero, seguendo una logica schematica nell’assetto
territoriale accentrato verso Roma “Caput Mundi”, ha lasciato un segno
profondo e continuativo nei territori di Provenza, Catalogna ed
Andalusia.
Ancora oggi, sia il sud occitano della Francia
che l’attuale nazione spagnola conservano ufficialmente il giallo ed il
rosso, i colori che, attraverso il proseguimento dell’uso sul nostro
territorio, le tenevano unite fisicamente alla Federazione Latina.
Dobbiamo considerare ancora che il
“municipium” ventimigliese, seguendo la sorte di alcuni territori della
costa ligure, restò inglobato nel sistema difensivo bizantino, durante
tutta l’epoca delle invasioni gotiche, con il parziale e sporadico
ingurgito longobardo, fino all’inserimento nella Marca di Susa,
conservando così, certamente, meno alterate le tradizioni imperiali. Per
questo, bisogna ritenere i colori rosso e giallo, depositari di un
antico retaggio territoriale zonale, continuati, per radicata tradizione
dal Libero Comune. (10)
LA BANDIERA
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Se quelli che furono i colori del “municipium”,
restarono i colori della Contea e quindi del Comune; lo restarono di
conseguenza le rispettive proporzioni definite per lo scudo comitale,
per le quali ci resta il documento.
Quindi il leone coronato come stemma comunale al
cuore di un vessillo, rosso nei tre quarti del corpo, sormontato al capo
dal quarto giallo oro, sono la debita conseguenza.
Il ricercatore del progetto per le orifiamme
esistenti nel dopoguerra era giunto alle stesse conseguenze, quando
aveva allestito il drappo con il leone coronato al cuore dei tre quarti
rossi di sinistra, definiti col giallo oro.
La bandiera comunale oggi allestita è certamente
quanto di storicamente può essere più vicino ad una tradizione storica,
sorretta da ogni sorta di documenti e di precedenti situazioni.
L’altra soluzione, avrebbe potuto essere, una
bandiera di supporto dello stemma, ovvero una copia del Gonfalone
comunale, con arma e motto su campo azzurro, così come erano state
impostate le altre due orifiamme del dopoguerra, ma ne sarebbe andata
diminuita l’originalità storica del vessillo.
DESCRIZIONE ARALDICA
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Di campo porpora al capo d’oro,
caricato al cuore d’un leone rampante,
sormontato da corona comitale.
COLORI COME SIMBOLI
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Ora che la bandiera è confermata,
togliamoci la curiosità di verificarne i simboli, analizzandone i colori
secondo indicazioni esoteriche.
In alchimia la trasmutazione dovrebbe passare
dall’opera al nero, che è morte e ritorno al caos primordiale, poi
dall’opera al bianco, purificazione, per giungere dall’opera al rosso,
in cui fusione e metamorfosi avvengono.
Il rosso è colore fondamentale legato al
principio della vita animale ed umana, dal momento che il nostro liquido
vitale, il sangue, è rosso. Colore del fuoco, del calore, del cuore. E’
anche il colore esoterico che deve essere dispensato soltanto a chi lo
cerca.
Rosso della matrice, a doppia polarità: infatti,
il sangue è la condizione della vita, ma anche della morte. Rosso
guerriero, fiammeggiante, che occorre saper controllare, come i propri
istinti. Nella Roma antica, il rosso era stato il colore dei re, prima,
quindi dell’imperatore.
L’oro, la luce del sole diffondono il ricco
colore giallo. E’ il più caldo di tutti i colori ed è anche quello che
tende verso il bianco smagliante, accecante. L’oro è fondamentalmente
segno di pace, crea la felicità, ma purtroppo anche l’orgoglio, la gelosia e la
cupidigia.
Nello stesso modo, il sole risveglia i germogli
della vita, fa crescere e maturare, ma può bruciare. Il vello d’oro di
Giasone rimane il più perfetto simbolo della ricerca dell’assoluto, che
è sempre “avanti”, inaccessibile verità che dona se stessa, s’insegna,
ma resta sempre da scoprire.
Il leone è simbolo di potenza, di sovranità, ma
anche del Sole, dell’oro, della forza penetrante della luce e del verbo.
Rappresenta anche la giustizia: da cui i leoni del trono di Salomone,
del trono dei re di Francia e di quello dei vescovi medievali.
Nella tradizione celtica, il leone ricorre
a volte come guardiano di un castello misterioso o di una soglia di
difficile accesso, mentre spesso il suo posto viene occupato, nella
tradizione primitiva, dall’orso.
IL LEONE
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Il leone è il quinto segno
dello Zodiaco, occupa il mezzo dell’estate, caratterizzato dall’aprirsi
della natura sotto il caldi raggi del sole, che è il suo maestro
planetario. Bisogna tenere presente l’importanza di quel periodo, del
mese d’agosto, per la nostrana ricorrenza della solennità civile e
religiosa più importante dell’anno, per tutto il medioevo, fin dalla
romanità.
Una curiosità: nell’assegnazione degli oroscopi
territoriali, il Leone è il segno zodiacale definito per la nazione
italiana. Un’altra curiosità è rilevabile nella grafica usata per la
realizzazione del nostro stemma ottocentesco. Il leone viene
rappresentato in posizione rampante verso la destra, con la zampa destra
sollevata in bella evidenza, inoltre presenta la lingua segnatamente
fuori della bocca.
Questa simbologia è riferibile alla vicenda
esoterica di Chiram Abiff, il famoso architetto che costruì il Tempio di
Salomone, attraverso la sapienza delle conoscenze segrete trasmessegli
dai costruttori delle piramidi. La leggenda racconta che essendo stato
Chiram assassinato da tre “compagni d’arte”, non riuscendo a rianimarlo,
gli subentrò un maestro muratore descritto come “la forte presa di una
zampa di leone”.
Il leone con la zampa sollevata divenne uno
dei simboli più venerati dalla massoneria, ma l’allegoria è anteriore di
350 anni alla costruzione del Tempio di Salomone, infatti lo stesso
simbolo si trova all’interno della tomba di Tutankhamon: il gesto
simbolico della scultura in alabastro del dio mutante Bes, il nano
leonino con la zampa alzata ed impreziosita.
Inoltre la criniera del leone, fin dai
tempi antichi veniva associata ai raggi del sole, mentre la evidente
fuoriuscita della lingua era considerata simbolo di fertilità, o della
capacità del sole di intervenire sulla fertilità della terra, sia della
fertilità vegetale, sia di quella animale. Ricordiamo che il periodo di
calura estivo, in pieno agosto, viene detto “solleone”.
Un coperchio intarsiato di cinque tonnellate,
fatto di pietra calcarea, copriva il sarcofago del nobile Pacal,
all’interno della piramide di Palenque, in Messico. Tra i simboli
decifrati, presenti tra gli intarsi, è emerso il ritratto di Tonatiuh,
il leonino dio-sole dei Maya, che con la lingua vistosamente fuori della
bocca, lecca una donna partoriente, nel tentativo di aumentarne la
fertilità.
Quindi, come si presenta la statuetta di
Bes, che era il protettore delle donne durante il parto, così come ci
dice il ritratto amerindo di Tonatiuh, in mezzo ai due bimbi solari, è
evidente che raggruppano le varie scuole del culto del sole e di quello
della fertilità, riservati anche al leone del nostro stemma.
CURIOSITA’ STORICA
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Altra curiosità sullo stemma leonino, così
diffuso in provincia, potrebbe essere generata proprio dal pesante
intervento, imposto dalla cultura del Rossi, sulla scelta degli stemmi
per le città di Bordighera e San Remo.
Ora, per Bordighera, figlia e sorella della città
egemone della Contea e del Libero Comune, l’acclamazione all’immagine
del “Leone rampante sulla palma” era storicamente conseguente e
proponibile.
Per la cultura di San Remo, invece, l’accettazione
dello stemma, del resto molto simile a quello di Bordighera, potrebbe
aver significato accogliere, una supremazia storica, molto più dovuta
verso la contea, che verso il Libero Comune.
Di conseguenza, per la "città dei fiori", sarebbe stato più logico uno stemma,
molto più realisticamente storico verso i soli colori giallo e rosso,
con loro conseguente disposizione, che non verso il leone, immagine
significativamente comunale.
Il rapporto di San Remo verso il Libero Comune
ventimigliese, per intervento diretto dell’invadente Genova, non è stato
dei più continuativi e dei più felici, quindi il leone comunale
nostrano, inserito per San Remo, potrebbe significare un equivoco
storico.
Quando nell’anno 1885, creando la Provincia di Imperia,
si creò lo stemma provinciale, semplicemente assemblando gli stemmi
delle città allora storicamente emergenti, metà dello stemma venne
dedicato ad Oneglia e Porto Maurizio, mentre la restante metà, che
dovrebbe riportare il leone ponentino; è dedicata all’equivoco leone
sanremasco previa la presenza della palma bordigotta.
I COLORI DEI SESTIERI
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Ancora una curiosità può
derivare dalla precedente ricerca sui colori emblematici cittadini, che
avevo condotta in collaborazione con Erino Viola, allo scopo di
stabilire i colori per il vessilli delle Rezerie di Sestiere, nell’anno
1975.
Partendo appunto dal vessillo comitale e comunale, rosso e giallo, gli
stessi colori vennero assegnati al Sestiere di Piazza o di Castello,
entità simbolicamente riconducibile al nucleo primario comunale.
Per il Sestiere di Sant’Agostino o del Cuventu,
la città moderna in espansione, era d’obbligo mantenere il rosso,
abbinandolo al bianco del saio agostiniano, come il bianco è la tendenza
evolutiva del giallo.
Al Sestiere dell’Oliveto competeva il
mantenimento del giallo, colore del prezioso succo del frutto, accostato
al verde dell’albero, ormai così presente nella nostra tradizione.
Per il Sestiere del Campo, o della Rocchetta, era
necessario il verde della piazza di Marte, ovviamente contrastata dal
bianco della luce diurna, continua evoluzione del giallo.
Al giallo, al bianco, al rosso ed al verde,
abbinati al territorio ed al suo ambiente era sufficiente aggiungere il
restante colore emblematico dell’acqua, per avere tutte le combinazioni
cittadine presenti e richieste.
L’azzurro del mare, affiancato al bianco
smagliante del sole, evolutivo del giallo, ha dato i colori al Sestiere
della Marina o di San Nicolò, oggi San Giuseppe.
Altro rione d’acqua, il Sestiere del Borgo, detto
anche del Lago, per la presenza del porto canale, necessitava del colore
azzurro, abbinato di conseguenza al giallo, secondo la logica dominante
l’impulso iniziale; se non ché, sia per motivi estetici , (11) che per
mancanza di argomentazioni simboliche si è cercato un altro colore, il
nero, stemperato poi da alcuni riporti d'oro arabescati.
Nel linguaggio del blasone, il nero si chiama
sabbia, termine che esprime le sue affinità con la terra sterile,
abitualmente rappresentata dal giallo ocra, colore che è talvolta il
sostituto reciproco del nero, appunto.
NOTE:
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(1) Nell’anno 1985, un bellissimo calco in resina, opera del
concittadino geometra Giovanni Luciano, raffigurante lo stemma cittadino
ed il motto, secondo i canoni della più documentata tradizione, è stato
degnamente ubicato a decorare la parete nobile, dietro gli scanni della
Giunta, presso la rinnovata ed elegante Sala Consiliare, nel nostro
Municipio.
(2) L’incisione, firmata da F.M. Accinelli, è conservata nella Civica
Biblioteca Berio di Genova, nella Sezione Conservazione, m.r.Cf.2/ll. Lo
stemma della famiglia contile riporta i colori rivoltati.
Ma quello non è il solo errore contenuto nella bella stampa a colori,
infatti, nel letto del Roia compare la scritta “Barbaira Fiume”, che
confonde il torrente di Rocchetta Nervina con il ben più importante e
nobile “Rotuba”. Inoltre la Cattedrale ed il suo svettante campanile
sono scambiati con il tetto dell’Oratorio dei Neri. Segno forse che
l’autore ha rilevato appunti superficiali, oppure si è servito di
appunti altrui.
(3) Ricordiamo che il Rossi è stato anche attivissimo membro della
Società Ligure di Storia Patria.
(4) A ben vedere, anche sulla stessa incisione Accinelli, il leone
rampante comunale spicca su fondo azzurro; fatto che potrebbe essere
usanza del Settecento. L'Azzurro è certamente stato il colore dominante,
nel vessillo del Regno Sardo, dal 1783 al 1802, quale bandiera marittima,
ma dal 1816 al 1848 dominerà sulla bandiera nazionale del Regno Sardo,
prima dell'assunzione del tricolore bianco-rosso-verde.
(5) Documento: CICERONE, Ad Familiares, VIII, 15.
Lettera di M. Clelio Rufo. Anno 49 avanti Cristo, 15 marzo.
“Sed tamen quodnam ob scelus iter mihi necessarium retro ad Alpes
versus incidit ? Adeo quod Intemelii in armis sunt: neque de magna causa.Bellienus,
Verna Demetrii, qui ibi cum praesidio erat, Domitium quemdam, nobilem
illic Caesaris hospitem, a contraria factione nummis acceptis,
comprehendit et strangulavit: civitas ad arma iit: eo nunc cohortibus
mihi per nives eundum est. Usquequaque, inquis, se Domitii male dant.
Vellem quidem Venere Prognatus tantum animi habuisset in vestro Domitio,
quantum psecade natus in hoc habuit”.
(6) Per quanto riguarda lo stemma dei signori di Ventimiglia, il leone
risulta presente, in aggiunta allo scudo già descritto, soltanto per i
rami dei signori del Maro e di Marsiglia, molto più tardi del giuramento
del Breve comunale.
(7) Il motto comitale “prœ millibus unus” è scolpito, in fattura
ottocentesca, sullo stemma gessoso applicato sull’apice, nel cantone di
levante dell’antico palazzo comunale, che abbiamo già nominato.
(8) Nella Storia della Città di Ventimiglia, il Rossi descrive il Conte
discendente della Marca Arduinica e ne porta copiosa documentazione con
bibliografia, mentre un più recente studio condotto dal professor Enzo
Bernardini, esprime quanto riportato, oltre allo studio sulla
conservazione bizantina del territorio ventimigliese, per un lungo
periodo dell’Alto Medioevo.
(9) Non è peregrino ipotizzare che i Conti di Ventimiglia trassero il
loro blasone dalla nobile storia cittadina, prelevando i colori
dell’antico municipio per disporli sul proprio scudo e sul loro
vessillo, così come il nome della città divenne il titolo nobiliare del
casato, il “cognome” contile.
(10) Quando il Comune obbligò il Conte al “Giuramento del Breve”, anche
la Compagna cittadina assunse gli stessi colori.
(11) Sia Erino che i primi Rettori del Sestiere non gradivano il valore
estetico dell’abbinamento azzurro - giallo ocra, che peraltro è un efficace
contrasto cromatico, d’un colore caldo con uno freddo, molto usato negli
abbinamenti blasonici medievali ed ora, per certi aspetti, tornato di
moda. Nel 1991 i Rettori del Sestiere Burgu hanno saputo abbinare al
nero il giallo oro di ricchi ornamenti.
(A) E' uso
araldico rivoltare le orifiamme sui lati mantenendo al cuore lo stemma,
quindi alla sinistra del colore dominante.
FONTI BIBLIOGRAFICHE
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G. Rossi - STORIA DELLA CITTA’ DI VENTIMIGLIA - eredi G.
Ghilini - Oneglia 1886
P. Guelfi Camajani - DIZIONARIO ARALDICO - Hoepli - Milano
1940
F.G. Rostan - STORIA DELLA CONTEA DI VENTIMIGLIA - I.I.S.L.
- Bordighera 1971
Atti S.L.S.P. - FONTES LIGURUM ET LIGURIAE ANTIQUAE -
S.L.S.P. - Genova 1976
G. Rossi - MEMORIALE INTIMO - annotato da L. Gasparini -
C.d.V. - I.I.S.L. - Bordighera 1983
A.C. Ambesi - EUROPA MISTERIOSA - L’Europe secrète - S.R.D.
Sagdos - Milano 1983
N. Lamboglia - F. Pallares - VENTIMIGLIA ROMANA - I.I.S.L.
Itinerari n0 7 - Bordighera 1985
E. Bernardini - LA PROVINCIA D’IMPERIA La Riviera e il suo entroterra
- I.G. DeAgostini - Novara 1985
J. Chevalier, A. Gheerbrant - DIZIONARIO DEI SIMBOLI - BUR
Rizzoli - Milano 1986
Maurice Cotterell - LE PROFEZIE DI TUTANKHAMON - Corbaccio -
Milano 1998
Tre Sindaci, nella Sala Consiliare, durante la "Strena de Deinà 2005".
Aldo Lorenzi - Giorgio Valfré - Albino Ballestra
Notare, sulla parete di fondo, a destra della bandiera italiana
il vessillo comunale
Il vessillo comunale ventimigliese è una bandiera, ma potrebbe essere definita stendardo, oppure, molto più opportunamente "pavegliun", come era nominata nel medioevo l'insegna comunale issata sui pennoni delle navi, aggregate nella numerosa flotta del Libero Comune Marinaro.
Del resto, anche il Principato di Monaco, che ha registrato una storia medievale molto finitima a quella ventimigliese, chiama il vessillo biacorosso "u pavayun".
Credo di massima importanza riferir qui per disteso un decreto dei consoli dell’anno 1194, custodito nell'archivio capitolare di questa cattedrale. Pergamena n. 1, alla quale sta attaccalo il sigillo in cera del Comune:
GIROLAMO ROSSI.
* Qui honorem vale possessione; si veda il DUCANGE.
Nell’edizione del 1857, di Storia della Città di Ventimiglia, Girolamo Rossi inseriva il testo della pergamena datata 9 luglio 1194, bollata dal sigillo del comune.
È molto antico il simbolo del leone nello stemma della Città di Vantimiglia, che lo portava pure impresso nel suo sigillo - Un esemplare si conserva attaccato ad una pergamena del 1194; il Cais in un documento del 1305 ricorda il sigillum consulum Vintimilii, in quo est sculptus quidam leo. - Il leone rampante, coronato e rivoltato, si ha sul busto e sulla cassa d'argento del martire San Secondo, opera del 1625 - Eppure il De Beatiano a pag. 42 del Mercurio araldico (Venezia 1686) dà per stemma a Ventimiglia uno scudo diviso orizzontalmente in due parti uguali, la superiore d'argento l'inferiore di rosso, con leone che stendesi sopra ambedue i campi, alternando i colori, ossia come si direbbe in termini araldici moderni «troncato d' argento e di rosso al leone dall’uno e dall’altro» - Un simile stemma dà l’Uggelli al Municipio di Ventimiglia nella sua Italia sacra.
Anno D. Incarn. MCLXXXXIV nono kal. Julii. - Quum ad officium rectorum spectet et de jure pertineat dignoscere sacra loca et domino dedicata et eorum jura tueri et redditus ampliare, bonosque usus ipsorum fovere ac in melius promovere, et ut tam in spirituatibus quam in temporalibus assidue crescant et augmentent affectuose intendere. Idcirco nos Vigintimil. consules Fulco Noulasco, Conradus Mirbellus, Fulco Bellaverius, Guido Sirus, scientes specialiter nos juramento consulatus teneri honorem.* Majoris nostre Vigintimillensi ecclesie manutenere et salvare laudamus et firmiter perpetue tenendum statuimus ut aliquis consulatus vel potestas nullo modo prohibeat vel contradicat alicui abitatori Vigintimil., quin offerat vel heleemosinas faciat pro vivis, seu defunctis secondum quod consueli sunt facere dicte ecclesie, vel ei servientibus. - Item laudamus ut propositus et canonici liberam potestatem habeant hedificandi, et in divinis officiis serviendi ecclesie Sancti Simeonis absque contradictione Vigintimil. Consulum, vel alicuius habitatoris Vigintimil. sic in instrumento et dono .... quod a D. Milone Mediolanensi Archiepiscopo habent .... Ego Obertus Imperialis aule iudex et notarius, etc.»