BARME d'i BAUSSI RUSSI
Le
caverne dei Balzi Rossi si aprono nella parete rocciosa del promontorio
sottostante il paese di Grimaldi, fino alla frontiera con la Francia. A
breve distanza dalla spiaggia, attualmente situate a qualche metro sul
livello del mare, situate l’una appresso l’altra, erano presenti undici
tra “barme” e ripari, abitati nel Paleolitico.
Oggi ne esistono soltanto dieci, giacché i lavori di estrazione della
pietra calcarea compiuti dalla Cava Abbo, per la costruzione dei muri di
contenimento della vicina ferrovia ne distrussero una, completamente.
Due delle caverne non contenevano alcun deposito antropozoico; otto di
esse si trovano sul suo lato Nord della strada ferrata Nizza-Ventimiglia,
due sul lato Sud, dove sarebbe stata anche quella distrutta.
A
partire da Ponente troviamo:
Oltre ai depositi antropozoici presenti nelle caverne, soggiornando
anche al di sotto della grande parete rocciosa, gli antichi abitatori
lasciarono un grande deposito, ricco di resti faunistici e di industria
litica.
Prima della guerra, la Barma Grande era la grotta che presentava maggior
interesse turistico, perché vi si conservavano ancora, al loro esatto
punto di rinvenimento, alcuni dei più interessanti relitti preistorici
che essa conteneva e la maggior parte dei materiali che gli scavi vi
avevano messo in luce; purtroppo, il passaggio della guerra vi ha
prodotto danni e distruzioni inevitabili.
Sempre nel 1892, finalmente il Principe Alberto I di Monaco intraprese
l’esplorazione veramente scientifica delle grotte, cercando la
collaborazione del Canonico de Villeneuve, quale direttore e il signor
F. Lorenzi quale assistente, incaricando poi dello studio dell’ingente
materiale raccolto scienziati di fama mondiale come il Verneau, il
Boule, il Cartalihac.
In sette anni di scavi venne messa in evidenza la stratigrafia delle
grotte e le caratteristiche dei giacimenti, la loro cronologia, i tipi
di civiltà preistoriche, nel corso di uno studio serio e metodico
dell’ingente materiale raccolto, che oggi è conservato nel Museo di
Antropologia Preistorica di Monaco, fondato dallo stesso Principe.
Le caverne esplorate in quel frangente furono: la Grotta del Cavigliene,
la Grotta dei Fanciulli, la Grotta del Principe. Si dovette attendere il
1928 per assistere all’attenzione da parte di scienziati italiani;
quando l’Istituto Italiano di Paleontologia Umana, fondato a Firenze,
presieduto da David Costantini, iniziava una campagna di scavi, condotti
da Paolo Graziosi, sotto la direzione di Aldobrandino Mochi, scomparso
nel 1931.
Nel 1938, l’Istituto riprese le sue ricerche, incaricando Luigi Cardini
di esplorare il deposito antistante alla Barma Grande, ma durante lo
scavo venne constatata l’esistenza di una notevole porzione di
industrie, nel tratto compreso tra la grotta di Florestano e quella del
Caviglione, che venne scavato da Blanc e Cardini negli anni successivi
(1941, 1942, 1949), ripreso ancora una volta nel 1961.
Durante l’ultima guerra, nel 1942, proprio davanti alle grotte, fu
proceduto alla costruzione di opere difensive e nell’agosto 1944, dopo
lo sbarco alleato in Francia, i Balzi Rossi divennero zona di battaglia.
Nella primavera del 1945 furono fatte esplodere delle mine nel fondo
della Barma onde ottenere, col crollo del diaframma roccioso che
separava la grotta dal tunnel ferroviario attraversante il promontorio,
la ostruzione strategica del tunnel stesso.
L’ESPLORAZIONE DEI GIACIMENTI
I primi scavi furono compiuti senza metodo e senza rigore scientifico e
molti dei materiali raccolti sono andati dispersi; fortunatamente i
depositi erano così elevati da permettere la ricerca a numerosi
studiosi, ricordati in ordine cronologico:
Nel 1846 il Principe di Monaco Florestano I fece qualche saggio di scavo
nelle grotte, raccogliendovi dei resti scheletrici di animali, che inviò
a Parigi.
Nel 1854 si iniziarono gli scavi del francese Grand, che vi lavorò per
quattro stagioni invernali raccogliendovi industrie umane e relitti
paleontologici.
Nel 1858 è la volta dello svizzero Forel; ma in quell’anno vi lavorano
anche Péres e Gény. Dal 1862 al 1871, ad intervalli, Moggridge, nel 1864
Chantre, nel 1865 Broca, nel 1868 Costa de Beauregard, indi Bonfiis e
infine nel 1870 cominciò l’esplorazione delle grotte da parte di Emilio
Rivière, il quale risiedeva l’inverno, per ragioni di salute, sulla
Costa Azzurra.
Questi scavi, che si protrassero fino al 1875, esplorando la Barma
Grande, il Cavigliene, il Bausu d’a Ture, il Riparo Lorenzi, la Grotta
di Florestano e la Grotta dei Fanciulli, portarono a scoperte assai
importanti, tra cui quelle di scheletri umani completi.
Nel 1883 il prof. Leone Orsini, da Ventimiglia, compie ricerche nella
Barma Grande e deposita il materiale raccolto nel Regio Museo Geologico
di Genova.
Nel 1884 il collezionista Jullien scopre un altro scheletro umano nella
grotta della Barma Grande ed inoltre delle statuette antropomorfe in
steatite.
Nel 1892, il cavatore Abbo inizia a demolire la Barma Grande, essendone
il proprietario. Tali scavi rimossero una ingente porzione di deposito e
condussero alla scoperta di vari scheletri umani (alcuni dei quali
furono lasciati al posto di ritrovamento nella grotta stessa), ma che
purtroppo, eseguiti senza competenza e senza metodo scientifico,
portarono, invece che un contributo, un vero danno alla scienza. Il
ricco materiale venuto in luce si trova in parte nel Museo annesso alle
grotte di Grimaldi, museo che venne fondato da Thomas Hanbury e di cui
per molti anni fu benemerito conservatore il signor Alfredo Lorenzi.
Più interessante, per la sua concisione e precisione, l’informazione storica circa le tappe della grande scoperta, che diamo qui con inevitabili “omissis”.
Già, fin dall’anno 1845, Antonio Grand di Lione si occupò delle nostre caverne, estraendone selci lavorate e ossa di animali; nel 1848, il principe Florestano I di Monaco fece fare egli pure ampie raccolte e, d’allora in poi, numerosi scienziati si susseguirono a studiare in questi luoghi. Fra essi, si citano i signori Forel di Morges, Geny di Nizza, il dottor Perés, Bonfils di Mentone, l’inglese Moggridge, il dottor Broca, il conte di Beauregard, il prof. Issel di Genova, per non parlare che dei principali esploratori delle «Bausse rosse».
Ma «si fu solo nel 1872 che il sig. Emilio Rivière, dilettante di scienze naturali (.....) scelse la Balma del Cavillou (.....) ove poté rinvenire uno scheletro completo (.....) trasportato a Parigi dove anche oggi si osserva nelle collezioni del museo di storia naturale (.....)».
«Ma, per noi, più importante si è la caverna che ci sta vicina, distinta dal sig. Bonfils di Mentone col numero 4 che, giudicata di poco interessante dal Rivière, era, come oggi, la meta delle passeggiate della scolaresca della Scuola Tecnica di Ventimiglia, diretta, come oggi, dal dotto quanto modesto prof. Leone Orsini».
Gli scavi dettero ottimi risultati tantoché «egli (.....) venne nella conclusione doversi trovare uno scheletro umano (.....). Ma, non avendo potuto ottenere né dal ministero né dal municipio l’acquisto della caverna, questa fu manomessa da inesperti dilettanti che esportarono tre casse di resti fossili (.....) rovinando completamente uno scheletro umano (.....) E si deve unicamente al sig. Bonfils se questa preziosa scoperta non andò totalmente perduta per la scienza .....».
Il dottor Rusconi non sembra aver trovato molto imbarazzo nel ricordare la traslazione dei reperti a Parigi, il “modesto” prof. Orsini, la solita negligenza di Stato e Comune, la paziente perizia del Bonfils.
Ma questo si aggiungeva a troppi studiosi stranieri che avevano valorizzato la scoperta. Forse, anche per ciò, questo oratore della “nuova Italia” s’appellò, in chiusura, ai giovani. Anch’essi dovevano contribuire al perfezionamento del genere umano (.....) e arricchire la mente di utili cognizioni. «Solo così oprando potrà l’Italia sperare da voi utili cittadini, che sappiano continuare le gloriose tradizioni dei padri».
A giudicare da quello che le «Bausse rosse» e i loro dintorni sono diventati, il nostro Rusconi non fu granché come profeta. Ma, in realtà, anche quei «padri» di «gloriose tradizioni» ne avevano assai poche.
Dotta conferenza «in situ» dei Dott. Rusconi agli allievi della Regia Scuola Tecnica di Ventimiglia.
Le «Bausse Rosse» un secolo fa
A rovistare tra le cose vecchie, si sa, si trova sempre qualcosa di interessante, che sia al mercatino delle pulci o tra raccolte, anche polverose, di documenti o di libri. Le cose non hanno valore in sé, ma quello che noi attribuiamo loro. A volte ingiustamente scarso; ma solo il tempo lo può dire. Bene quindi conservare prudentemente.
Il che mi ha offerto la possibilita di imbattermi in una “chicca”: un opuscolo stampato a Bordighera dalla tipografia di Luigi Billi, poi trasferitasi a Ventimiglia, esattamente cento anni fa.
* * * * *
Un centenario tanto più interessante poiché si tratta di una conferenza tenuta il 31 gennaio 1889 alle «Bausse rosse» per li allievi della Regia Scuola Tecnica di Ventimiglia dal dott. A. Rusconi.
L’argomento «L’uomo preistorico» non poteva essere più adatto al luogo. Il discorso ha molte ingenuità e le leggerezze retoriche proprie dei discorsi d’occasione del passato (ma chissà come saranno giudicati i nostri ...), aggravate dal proposito esortativo per i giovani ascoltatori.
Non si trattava solo di far capire le infinite deduzioni ricavabili da qualche scheggia di pietra trovata in certi strati del sottosuolo, con utili indicazioni di «cultura materiale» (si direbbe oggi) e di preistoria sociale.
C’erano da illustrare le meraviglie della paleontologia, che permetteva di riscoprire le antiche civiltà «di esseri simili a noi, ma ben di noi più disgraziati, perché privi di tutti quegli agi che l’umano progresso ha in oggi inventato».
Alle «Bausse rosse, gli studenti potevano toccare con mano «quanto smisurato cammino da quei lontanissimi giorni sia stato dal genere umano percorso», dalla «rude civiltà, fondata sulla maggior forza dei muscoli e del braccio, alla nostra, che sulla potenza della mente fonda la sua ragione, o innalza il suo diritto».
La prima guerra mondiale e il crollo di tante certezze positivistiche erano allora ancora lontane; ma era una realtà del tempo il colonialismo europeo.
Ebbene, avendo avuto la ventura della presenza alla conferenza, di «ospiti illustri quali S. Bonfils, paleontologo, allora direttore del Museo di Mentone, e Clarence Bicknell di Londra, botanico e geologo distintissimo» il Dott. Rusconi trovò naturale- prima di concludere con un “viva la Francia ! viva l’Inghilterra ! viva l’Italia ! - ricordare rappresentate, in quel giorno, «due delle più grandi potenze del mondo, la Francia, lume di libertà, e l’Inghilterra, esempio nei secoli presenti dell’antica virtù dei conquistatori del mondo».
Non seguiremo analiticamente il nostro conferenziere. Esistono, da tempo, aggiornate e più scaltrite illustrazioni dell’importanza di quelle «balme o caverne (.....) la cui esplorazione regolare e completa si può dire sia cominciata dal giorno in cui il piccone dei minatori cominciò a lavorare per aprire in queste rocce un passaggio alla vaporiera».
Nel corso di una ricerca terminata nel 2011, portando avanti gli scavi nel Riparo Bombrini, sito rasente i binari della ferrovia Ventimiglia-Nizza, l'antropologo Julien Riel-Salvatore, della University of Colorado Denver, ha studiato l'organizzazione degli spazi interni praticata da ominidi Neanderthal, della cultura di Aurignac, in Era Tardo Mousteriana, quarantamila anni orsono.
Una caverna stretta e lunga, divisa in tre settori. All'ingresso, l'illuminazione esterna consentiva di trasformare le pietre in utensili, limitando i rischi d'infortunio, ma permetteva anche la macellazione degli animali catturati.
Più all'interno, attorno al focolare, cucinavano, pranzavano scambiando notizie e nozioni; sul fondo, nell'area più riparata, tenuta sgombra, si sdraiavano nelle ore di riposo. Un assetto che assomiglia molto ai comportamenti dell'uomo moderno.