Domenica 28 febbraio, la Cumpagnia d’i Ventemigliusi ha concluso
il ciclo delle Manifestazioni Aprosiane, scoprendo una effigie bronzea e
una lapide commemorativa sulle mura dell’antico convento agostiniano,
sede primitiva della Biblioteca Aprosiana.
L’iniziativa dei “ventemigliusi” è stata attuata sotto la direziono del
geom. Giovanni Luciano, in collaborazione con Erino Viola, e grazie
all’opera del giovane scultore ventimigliese David Maria Marani, autore
dell’altorilievo raffigurante l’Aprosio che emerge dallo sfondo della
sua biblioteca. Sulla lapide, di metri 2 per 0,75, in pietra della
Turbia, è stata incisa da Nando Biancardi una dedica dettata dal dott.
Emilio Azaretti.
Alla cerimonia, oltre ad una rappresentanza della Cumpagnia d’i
Ventimigliusi, sono intervenuti, per l’Amministrazione Comunale di
Ventimiglia, i Consiglieri Incaricati alla Cultura e al Personale
Gaspare Caramello e Virginia Sguizzato, mons. Giuseppe Boero, Parroco di
Sant’Agostino e il Commissario di P.S. dott. Caria.
Dopo lo scoprimento, la lapide è stata benedetta da mons. Mario
Guglielmi, Vicario Generale della Curia Vescovile di Ventimiglia.
Il dottor Emilio Azaretti, Console Onorario della “Cumpagnia d’i
Ventemigliusi”, ha tenuto la commemorazione ufficiale della figura e
dell’opera di Angelico Aprosio che riportiamo qui di seguito.
* * * * * *
I “Ventemigliusi” ricordano
Padre Angelico Aprosio
per i suoi
sermoni e quaresimali e finalmente nel 1641 entra al Convento di
Santo Stefano di Venezia dove resterà sette anni insegnando lettere,
scrivendo, frequentando l’ “Accademia degli Incogniti”, stampando
diversi suoi volumi, ricevendone in dono o acquistandone molti altri
e primeggiando nell’ambiente culturale cittadino.
In questo felice soggiorno veneziano, si perfeziona la sua
maturazione come critico letterario, letterato ed oratore sacro, ma
a poco a poco nasce in lui, forse inconsciamente, anche il desiderio
di creare una sua cittadella intellettuale fondando, con le trenta
casse di volumi che aveva raccolto, la Biblioteca Aprosiana. A
spingerlo verso questa decisione sarà il nobile genovese Giuliano
Spinola, trasferito in quegli anni in Venezia e divenuto suo sincero
amico, offrendosi di fargli trasportare gratuitamente a Genova i
libri e di fargli stampare, a proprie spese, il secondo volume del
Veratro. Così, all’inizio del 1648, dopo essersi recato per
il quaresimale a Lubiana ed aver completato in Venezia la stampa del
Veratro, partirà per Genova con i suoi libri.
Qui, scartando una primitiva idea di donare la Biblioteca al
Convento della Consolazione, dove aveva compiuto il noviziato, e
rifiutando anche una offerta della Biblioteca Angelica di Roma,
decide di aprirla nel Convento di Ventimiglia, predisponendo durante
la quaresima dello stesso anno i lavori di sistemazione dei locali.
Non mancano però le difficoltà, finanziarie in primo luogo, ma anche
provenienti da un frate maligno e invidioso, che l’Aprosio ricorderà
ai posteri come “Barba di becco”, e per condurre felicemente a
compimento l’impresa dovrà accettare, suo malgrado, vari incarichi
di prestigio, fra cui quello di Vicario Generale della Congregazione
genovese, che lo tratterranno a Genova fino al 1654, dove verrà
anche nominato, in riconoscimento dei suoi meriti di studioso. Conte
Palatino e Cavaliere.
Nell’aprile del ‘54, all’età di 47 anni, potrà stabilirsi finalmente
a Ventimiglia dedicandosi con fervore alla sistemazione muraria e di
scaffalatura della Biblioteca, ultimata nel 1661, ma in parte già in
uso dall’inizio degli Anni Cinquanta.
Nel tempo stesso continua la sua produzione letteraria che, smorzata
ormai in Italia la violenta diatriba marinista, sarà dedicata ad
altri argomenti. Così, come critico, pubblica commenti alla tragedia
Le bellezze de la Belisa del Muscettola, alle Ore
pomeridiane del Saoli, alle Epistole eroiche del Crosso
e, seguendo il filone moralistico de Lo scudo di Rinaldo,
stampato precedentemente a Venezia, le curiosità erudite de La
grillaia, mentre La visiera alzata, che scopre l’identità
dei moltissimi scrittori italiani, che la nascondevano nel 600 con
uno pseudonimo, verrà pubblicata soltanto dopo la sua morte. Ma
certamente l’opera più importante, benché rimasta incompiuta, è
La Biblioteca Aprosiana, a cui ho precedentemente accennato e
della quale il Consiglio Nazionale delle Ricerche sta pubblicando,
in occasione di questo trecentenario, i tre volumi rimasti
manoscritti.
Accanto alle opere, è certamente di grande interesse per la storia
culturale del suo tempo il monumentale epistolario in 46 volumi,
conservato presso la Biblioteca Universitaria di Genova,
notevolmente accresciuta durante il suo soggiorno ventimigliese.
Nell’ultimo decennio di vita, però, la sua salute va deperendo a
causa della malaria, che sembra abbia contratto durante il soggiorno
in Dalmazia, e questo fatto gli ha impedito di portare a termine la
sua “summa” il catalogo de La Biblioteca Aprosiana e ne ha provocato
la morte, il 23 febbraio del 1681, all’età di 73 anni.
Molto ci sarebbe a dire sulle peripezie e sulla decadenza della
Biblioteca dopo la sua morte ed in particolare sulle depredazioni a
cui è stata assoggettata malgrado il Breve del Papa Innocenze X del
1653 che minacciava, con illuminata preveggenza, ma con scarso
risultato, di scomunicare chi ne avesse asportato i volumi. E molto
ci sarebbe a dire anche sulla noncuranza mostrata dalle pubbliche
amministrazioni che si sono succedute nella nostra Città, confermata
oggi dallo stato del tetto della sede attuale, verso una istituzione
di così alto prestigio culturale.
Ma preferisco terminare con l’augurio che la Biblioteca possa al più
presto tornare nella sede che Padre Angelico gli aveva amorevolmente
costruito e che, con l’apertura di una sezione moderna, possa
riprendere il compito di promozione culturale a cui, aprendola,
prima fra le Biblioteche liguri, al pubblico, l’aveva destinata.
LA VOCE INTEMELIA
anno XXXVII n. 3 - marzo 1982
Fra i libri scritti dal Padre Angelico Aprosio, dopo il suo definitivo
ritorno a Ventimiglia, riveste particolare importanza il catalogo de
La Biblioteca Aprosiana, di cui fu stampato a Bologna nel 1673 il
primo volume, perché contiene, fra le molte interessanti notizie sulle
opere contenute nella Biblioteca e suoi loro autori, anche una, sia pur
schematica, autobiografia, nella quale tuttavia i principali avvenimenti
della sua vita e le caratteristiche essenziali della sua personalità
vengono chiaramente illustrate.
Da questa autobiografia apprendiamo che è nato a Ventimiglia il 29
ottobre del 1607, da Marco e Petronilla, appartenenti ambedue a rami
diversi della più antica famiglia Ventimigliese, quella degli Aprosio, i
cui antenati erano già cittadini dell’Albintimilium romano col nome di
gens Apronia, ricordata in un busto del nostro museo
archeologico, ed apprendiamo anche che gli era stato imposto il nome del
nonno: Luigi, come auspicio di continuità genealogica famigliare.
E che il padre ci tenesse ad avere un conservatore del suo illustre
casato, uno Stamhalter come dicono i tedeschi, lo prova anche il
fatto che il Nostro sia nato dopo ben otto sorelle ed un fratello
premorto in tenera età. Ma evidentemente Luigi non era il tipo da
lasciarsi imporre la sua regola di vita dagli altri, come apparirà
chiaramente in seguito, e già a quattro anni aveva deciso e dichiarato
ai genitori che intendeva prendere i voti religiosi, cosa che ha poi
fatto, deludendo le insistenze del Padre di avviarlo allo studio della
medicina o della legge ed alla perpetuazione della discendenza.
La sua precoce vocazione religiosa era chiaramente legata a quella
culturale, ispirata dalla tradizione dotta dell’ordine Agostiniano e,
già nella sua fanciullezza, l’amore dei libri era per lui fondamentale,
tanto che i suoi compagni di scuola gli avevano affibbiato il soprannome
di “filosofo”. Poco oltre i 15 anni, terminati gli studi di grammatica e
retorica, segue la strada che si era prescelta, veste in questo Convento
l’abito di Eremitano dell’Ordine di Sant’Agostino e compie l’anno di
noviziato nel Convento della Consolazione di Genova, dove si tratterrà
altri due anni approfondendo i suoi studi religiosi e letterari. Riesce
poi nel 1626 a procurarsi, grazie alle sue doti intellettuali, un ambito
posto nel Convento di Sant’Agostino in Siena, dove ben presto, malgrado
la sua giovane età - non aveva ancora vent’anni ! - entra in relazione
con i più famosi professori dell’Università e con gli altri esponenti
della cultura cittadina.
In quegli anni, e precisamente nel 1623, era rientrato dalla Francia,
dopo esser stato per sette anni ospite della Regina Maria de’ Medici, il
più famoso poeta secentesco italiano: Giambattista Marino, autore
dell’Adone, accolto trionfalmente dai suoi numerosi ammiratori, ma anche
ferocemente attaccato dai suoi altrettanto numerosi denigratori, e
1’intellighenzia italiana si dividerà ormai in marinisti ed
antimarinisti e, fra i primi, si affermerà l’Aprosio dedicando alla
difesa del Marino, fra il 1637 e il ‘47, ben sei volumi: Il Vaglio
critico, il Buratto, l’Occhiale stritolato, la
Sferza poetica e i due libri del Veratro, acquistando così
fama nazionale ed europea di valente critico letterario.
Nel 1631, dopo cinque anni di proficuo soggiorno a Siena, fu - per
dirlo con le sue parole - “rimosso e mandato come lettore a Monte San
Savino”; forse i suoi interessi letterari gli facevano trascurare quelli
religiosi o piuttosto la fama da lui raggiunta in Siena a soli 23 anni
dava fastidio a qualcuno. Ma l’Aprosio fa buon viso a cattiva sorte ed
approfitta di questa parentesi durata tre anni per approfondire, in
perfetta libertà, la sua cultura ed intrattenere rapporti epistolari
sempre più numerosi con letterati di chiara fama di tutta Italia. Poi,
probabilmente stanco della vita appartata ed anche più sicuro di sé,
chiede - per liberarsi dell’incarico - di rientrare a Genova, dove
resterà tre anni, continuando i suoi studi ed intessendo relazioni di
amicizia con alcune fra le maggiori personalità cittadine, per ripartire
infine, dopo aver rifiutato importanti incarichi offertigli dai
Superiori dell’Ordine, verso la Toscana.
A Pisa incontra il confratello Nicola Campiglia, trasferito come Rettore
da uno Studio di Napoli a quello di Treviso, e lo segue restando per due
anni nel convento Agostiniano di quella città. Qui si fa chiara la sua
decisione di prender residenza a Venezia, uno dei più prestigiosi centri
culturali di quel tempo, ma vuole andarci in condizioni che gli
permettano di continuare, in piena indipendenza e senza alcun intralcio,
la sua attività intellettuale. Aspettando l’occasione propizia, si
sposta intanto all’Isola di Lésina in Dalmazia, al Convento di Murano,
poi a quello di Chioggia, rendendosi
famoso
Bronzo e lapide commemorativa sulle mura dell’antica biblioteca