Prefazione
Tra le carte lasciate
da Girolamo Rossi, vi sono opere che attendono di essere pubblicate e
forse presto lo saranno, come la poderosa «Storia dei Conti di
Ventimiglia». Ma tra di esse v'è anche un manoscritto denominato
«Memoriale intimo» che alla pubblicazione non era destinato. Nino
Lamboglia che lo lesse, ebbe a dire, riferendosi all'autore, che esso
conteneva le «testimonianze particolari della sua educazione letteraria
e del suo graduale e inarrestabile avvicinarsi alla storia» e che
costituiva «uno dei documenti più caratteristici della sua mentalità».
Ma il Memoriale, come vedremo, non è solo questo, e ne va quindi
salutata con soddisfazione ed interesse la pubblicazione promossa
dall'Istituto di Studi Liguri.
Non inganni il
titolo. Di «intimo» come al giorno d'oggi siamo abituati ad intenderlo,
non v'è nulla; scarse le annotazioni di carattere famigliare: matrimoni,
morti, nascite, piccoli avvenimenti annotati con estrema parsimonia, e
con una riservatezza connaturata all'educazione che veniva data in quei
tempi nella sana provincia italiana, e soprattutto al tipico carattere
ligure, straordinariamente presente in Girolamo Rossi. Quell'«intimo» va
inteso in tutt'altra accezione.
Che cosa è dunque e
come va letto il «Memoriale» ? V'è innanzi tutto la chiave «storica»,
quella dello studioso di storia, di arte, di archeologia. L'attualità
storica dell'epoca, che pur fu densa di straordinari avvenimenti, vi
appare sfumata e quasi in filigrana. Ma in compenso appaiono e
scompaiono nel «Memoriale» una quantità di personaggi, piccoli e grandi,
studiosi e politici, collegati con gli interessi e le ricerche del
Rossi. Chi sa quanti ventimigliesi vi troveranno memoria dei propri
antenati! Assieme ai personaggi, una miriade di notizie relative alla
gestazione e allo sviluppo degli studi e delle ricerche che essi
andavano a compiere, di un intreccio straordinariamente articolato, in
cui anche lo studioso di oggi può soddisfare le proprie curiosità e
trovare lo spunto per nuovi lavori. Si sa quale instancabile lavoratore
fu Girolamo Rossi, e a ragione Nino Lamboglia riconobbe che «nessuno nel
nostro tempo, pur più ricco di mezzi e di esperienza e di esigenze
scientifiche, riesce più a compiere l'opera di ricerca immane e
razionalmente ordinata che gli fu propria». Ed è noto che egli spaziò
dalla storia all'archeologia, all'epigrafia e perfino alla botanica.
V'è poi la chiave che
potremo chiamare di «ricostruzione ambientale». Le annotazioni, pur
frettolose, del «Memoriale» ricostruiscono nel loro insieme la visione e
l'atmosfera di una cittadina dell'Ottocento, una cittadina allo stesso
tempo arroccata nel suo passato e densa di interessi.
Come ricordò il
Lamboglia nella sua commemorazione di Girolamo Rossi del 1964,
«Ventimiglia di allora era una città ben diversa da quella di oggi. Non
si era ancora ripresa dal colpo ricevuto nel 1261 quando il trattato di
Aix spartì il suo territorio fra Genova e Provenza, e da quello
infertogli dagli «Otto Luoghi» fra cui Bordighera, che si staccarono dal
suo comune nel 1686, lasciandola sola e corrucciata sullo «Scoglio» in
Ventimiglia alta, come in pieno medioevo.
Non aveva strade
verso il Piemonte (l'attuale carrozzabile della Val Roia fu terminata
nel 1885) e l'unico suo cordone ombelicale col resto del mondo era la
strada della Cornice, la meraviglia del primo Ottocento, lungo la quale
correvano le diligenze verso Sanremo e verso Nizza, fino al 1860 sua
capitale amministrativa. Viveva tuttavia di vitalità autoctona
inestinguibile, e lo «Scoglio» era tutto un mondo, dove le vecchie
famiglie ventimigliesi, non ancora spodestate e rese povere dal
trasferimento della città al piano, tenevano duro e si mettevano
all'avanguardia nella vita della Riviera e nella costruzione
dell'«Italia nascente».
La vita
cittadina, quale appare dal memoriale, vi si svolgeva in pace, ma
davvero come su uno scoglio ove le ondate dei sommovimenti storici
dell'epoca (il Risorgimento, il distacco da Nizza, le rivoluzioni
sociali del marxismo, ecc.) si frangevano lasciando, in apparenza, solo
un piccolo ribollimento di acque. V'erano ancora le famiglie dei
«magnifici» che durante la dominazione genovese, avevano costituito una
sorta di corporazione di potere, che i riflessi della rivoluzione
francese avevano frantumato; ma si sentiva già il respiro affannoso
delle classi emergenti, con le loro associazioni operaie, di cui il
Rossi si faceva interprete e rappresentante, come quando, nel congresso
nazionale di Firenze del 1861, egli ebbe ad opporsi a che si facesse
«politica».
V'era stato
fondato un circolo destinato a «procurare a cittadini e forestieri un
onesto e piacevole trattenimento» «a beneficio degli indigenti», ma lo
spirito di carità dei cittadini non era evidentemente molto sviluppato,
se dopo appena un anno il circolo fu costretto a chiudere. Le più
importanti ricorrenze, come lo Statuto, si commemoravano con discorsi,
cerimonie e distribuzioni di premi, ma non mancavano manifestazioni
popolari, come quella annotata il 31 maggio 1863: «grande pranzo sulla
piazza S. Michele».
Memoriale intimo
di Girolamo Rossi
presentato, collazionato ed annotato
da Leone Gasparini
ISTITUTO INTERNAZIONALE
DI STUDI LIGURI
CUMPAGNIA D’I VENTEMIGLIUSI
1983
Girolamo Rossi si formò e visse nel periodo cruciale in cui maturò e
culminò il Risorgimento italiano, ed anzi si trovò ad avere una parte
importante negli eventi del 1860, quando si discusse al Parlamento
subalpino e si definì fra l'Italia e la Francia il problema del Roja.
Eppure nessuno slancio patriottico verbale esce dalla sua penna nel
Memoriale, non certo perché non vivesse intensamente le emozioni del suo
tempo.
È
dimostrativo al riguardo l'episodio annotato nel Memoriale nell'ottobre
1861, quando, incaricato di comporre le iscrizioni da apporre in
Cattedrale durante la funzione religiosa predisposta dal Comune per la
morte di Cavour, e venuto a sapere che le sue iscrizioni erano state
«sconciamente mutilate» dall'autorità ecclesiastica, ricusò di lasciarle
comporre ed il Municipio «irritato per le soperchierie vescovili ritira
gli inviti già fatti, sospende la funzione e in quella vece fa
distribuire 50 lire ai poveri».
Dal
Memoriale esce a sbalzo la figura dell'uomo Rossi, e con essa il
dipanarsi degli anni della sua vita.
Dalla
prima, contenuta, manifestazione di gioia, per la laurea in farmacia
conseguita a Torino, lontano dalla casa avita, alle esuberanze giovanili
che si manifestano in gioiosi componimenti poetici (anch'essi
testimonianza della mentalità e degli usi di un'epoca), ai primi timidi
approcci con gli studi storici (il primo forse, nel marzo del 1853,
compiuto sotto nome non suo), agli studi infaticabili, ai pochi
avvenimenti famigliari tristi e lieti, alle vicende della sua carriera
di insegnante (con le minuziose trascrizioni degli stipendi spettantigli)
via via, tra successi, onorificenze, incontri, fino al pensionamento
avvenuto nel 1900, che costituì certo un trauma, seguito come fu, dopo
pochi mesi, dalla morte della moglie. Ma non per questo cessò la sua
attività di studioso, anche se, rinchiuso nella sua casa di Ventimiglia
alta, si diradano da allora nel Memoriale le annotazioni, che sempre più
scarne occupano ogni anno sempre minor spazio, come un segno tangibile
che il respiro della vita si faceva via via più affannoso.
Nel 1913, due ultime brevi annotazioni poi la fine avvenuta l'8 marzo
1914.
Poche ma
precise indicazioni ci offre il Memoriale per definire il credo politico
e sociale di Girolamo Rossi. Appare innanzitutto evidente che egli, in
un'epoca di facili esaltazioni, seppe mantenersi al di sopra della
mischia. Non manca, all'occasione, di manifestare i suoi sentimenti
laici e il suo sdegno contro i «baciapile»; in alcune composizioni
poetiche del 1854, come quella, piena di pungente ironia «in occasione
della rivoluzione della Grecia», si lancia contro il liberalismo
sfrenato e contro i maneggioni della politica.
Soprattutto fu un uomo compreso della missione di educare e istruire la
gente, ed in primo luogo i poveri. Non crediamo di sbagliare
nell'individuare il suo credo politico e sociale nelle parole che
concludono la sua storia del Marchesato di Dolceacqua.
«Con
questa speranza io piglio congedo, augurando che tutti si associno alla
febbre di operosità, onde è preso oggidì l'umano consorzio, senza però
rendersi mai incuriosi non meno delle memorie, che delle tradizioni
religiose a noi trasmesse; dovendo appunto attendersi, dalla prevalenza
dell'azione morale sull'economia, il vero e reale miglioramento della
classe popolare».
Leone Gasparini
Ciò che poi
affascina con il potere struggente delle cose scomparse è rappresentato
da quei viaggi avventurosi, della durata di giorni, per giungere a
Torino o a Firenze; da quei piroscafi che effettuavano «traversate
tempestosissime», da Genova a Livorno o addirittura tra Porto Maurizio e
Genova; e da quei nomi degli alberghi, così ingenui ed evocativi: il Bue
Rosso, la Dogana Vecchia, le Tre Corone a Torino, La Locanda Svizzera a
Savona, l'Aquila nera e pace a Bologna, i Tre Re a Roma; sotto la
Galleria di Milano vi era ancora una «Fiaschetteria Toscana», ma quando
il Rossi è invitato al Cova non può trattenersi dal notare: «estremo
lusso». Con il trascorrere degli anni le annotazioni di ambiente del
Memoriale, soprattutto quelle ventimigliesi, diventano sempre più rare,
testimonianza di una Ventimiglia che andava radicalmente cambiando e in
cui il Rossi, dall'alto della sua casetta al Funtanin, non si
riconosceva più.
V'è,
infine una chiave di lettura strettamente umana, che contribuisce a
definire in modo assai efficace quello che fu il Rossi «uomo».
Come disse
Lamboglia, egli era un «ventimigliese puro sangue, di famiglia e di
formazione, autodidatta dotato di una straordinaria percezione e di uno
straordinario senso critico»: solo questo spiega, aggiungeva Lamboglia,
«come laureatesi in chimica a Torino e divenuto farmacista, abbia
preferito giovanissimo l'alchimia dei documenti e degli archivi per
diventare scrittore di storia, professore e direttore di Ginnasio di
Ventimiglia, e soprattutto una persona di rango fuor del comune».
Fu talmente
attaccato alla sua terra che, come rivela il Memoriale, non cedette alle
lusinghe che, nel 1862, quando aveva appena 31 anni, gli vennero sotto
forma di una lettera dell'Ispettore del Ministero della Pubblica
Istruzione che lo invitava a lasciar Ventimiglia per « rendersi a
maggiori città ed a qualche liceo ad insegnare la storia » dandogliene
diritto i lavori storici pubblicati. Forse neppure i famigliari seppero
di questo invito e della sua decisione negativa.
Nel
Memoriale v'è una minuziosa ricostruzione della sua vita di studioso che
annotava giorno per giorno il nascere e lo svilupparsi delle relazioni
con uomini di studio, non solo italiani, come il Ricconi, Vieusseux, La
Farina, Sclopis, Guerrazzi, Mommsen, De Gubernatis e tanti altri, e
registrava diligentemente, con una sorta di infantile vanità tutte le
onorificenze e i riconoscimenti che gli piovevano da ogni parte.
Qui sta,
crediamo, il significato dell'aggettivo «intimo» che egli dette al
Memoriale, in cui confinava rigorosamente tutte le notizie che
riguardavano la sua attività e che egli tenne sempre solo per sé.
Nessuno dei
suoi famigliari ed amici, e ve ne è ancora qualcuno vivente, ebbe mai la
sensazione che questo instancabile ventimigliese a meno di trent'anni
fosse già in relazione e avesse dimestichezza con tanti «grandi uomini»
del suo tempo. Quando si muoveva da Ventimiglia non era certo per andare
a bussare favori dai potenti che pur conosceva, Quintino Sella, Cibrario,
Biancheri e altri; erano anzi questi che salivano l'erta scaletta che
conduceva alla sua casa al Funtanin e che egli riceveva modestamente ma
dignitosamente.
Si
racconta che quando si metteva in viaggio, portava con sé una valigia,
foderata di legno su di un lato, perché durasse di più; e per tutti i
suoi concittadini continuò ad essere «Sciù Girumin» o «il professore».
Oh poveri !
Noi invocammo la gioia di questa sera
Perché onesta di benedizioni
A Mostrare
Non dimentico del Bisognoso
Il popolo Intemiliese
A Diffondere
Sempre più lo Spirito di Carità
La Società del Circolo di Ventimiglia
nella sera del XXI Febbrajo
MDCCCLIV
Donna !
Nella leggiadria del volto
Ci mostra
Quanto sia dolce il piacere
Che asciuga alla miseria
Il pianto.
Iscrizioni esposte nel corso
della cerimonia di inaugurazione
del Circolo:
Nella sala entrando ed ai due lati della sala:
1°
2°
3°
In ottobre, venne fondato in Ventimiglia un Circolo cioè
una Società avente per iscopo di procurare ai cittadini e
forestieri un piacevole ed onesto trattenimento, scegliendo un
adatto locale dove oltre al bigliardo e sale da gioco vi fosse
sala da ballo, il gabinetto di lettura, con scelta di opere, e
di giornali. A tutto questo fu procurato, e nell’anno 1853 per
la partenza del Segretario Sanguinetti
6
veniva eletto a Segretario della stessa Società il farmacista
Girolamo Rossi. Nel Carnovale seguente la Direzione deliberò di
dare una festa da ballo a benefizio degli indigenti ed incaricò
il Segretario di stendere un analogo manifesto, che compose come
segue:
Cittadini Ventimigliesi
Nelle critiche circostanze in cui versiamo la Direzione del
Circolo di questa città facendosi interprete dei filantropici
sensi da cui siete animati, alza la voce e fa appello alla
carità cittadina.
Questa eroica figlia del Vangelo, vi si presenterà coronata di
rose e fiori e sederà Regina del ballo, che vi offre nella sera
del 21 febbrajo a soccorso degli indigenti.
Cittadini
Oh come forte si fa sentire nelle anime ben nate la sua voce.
Quanto sarà dolce e commovente vedervi accorrere numerosi alla
festa, dove accanto ai concerti, alle danze, ed ai sorrisi
sorgerà pure la voce del povero, che in lotta col rigore del
verno, e coll’inedia vedendo da voi leniti i suoi mali Vi
benedirà.
Cittadini, volgete lo sguardo alle città consorelle e subalpine,
e voi le vedrete a quest’uopo amorosamente industriarsi. La voce
di chi geme e soffre non torni vuota al vostro orecchio; seguite
solleciti la voce del cuore. Stendetegli generosi la mano
benefica, e vi ricordi che Egli è vostro fratello.
Ventimiglia dal Circolo addì 19 febbrajo 1854
Per la Direzione
Girolamo Rossi Segretario
Questa utile e decorosa Società per trascuraggini
dei cittadini cadeva e l’ultima lettera, ringraziamento verso il
Cavalier Giorgio Galleani, che aveva rinunciato agli affitti
dovutigli, per evitare il tracollo; è stata datata:
Ventimiglia addì 22 agosto 1854.
1852
.... V'era stato fondato un circolo destinato a «procurare a cittadini e forestieri un onesto e piacevole trattenimento» ....
Del Conte Benso Camillo di Cavour
Che rivendicava agli italiani la patria
Si prega
La pace eterna
Al Suo Genio
Bastarono
Due lustri di vita
Per riparare a XIV secoli
Di dolori e di abbiezioni.
Integrità di cittadino - Virtù di soldato
Ingegno di scrittore - Senno di Consigliere
Potenza di oratore - Valore di diplomatico
Vennero superati da un cuore
Cui era ristretta affezione d’Italia.
Volle cancellata a Traktir
L’onta di Novara
E all’antico popolo latino
Mostrò il suo Re
Nel primo soldato per l’Indipendenza
Il secondo grande Camillo
Sarà primo alla venerazione dei posteri
Felice questa terra
Cui resta una preziosa reliquia
*
Del suo passaggio fra noi
Ahi troppo breve !
ottobre - Nella funesta occasione della morte del
Conte Camillo Cavour il Municipio di Ventimiglia (Giugno 1861)
volendo porgere un ultimo attestato di ossequiosa stima a questo
grande italiano ordinava nella Chiesa Cattedrale un solenne
servizio funebre e invitava me a scrivere alcune iscrizioni
adatte alla circostanza; e al domani dell’invito inviava le
cinque seguenti:
1° Da porsi nella porta della Cattedrale:
2° da porsi in faccia all’altare:
3° al lato destro del catafalco:
4°
al lato sinistro:
5° in faccia alla porta:
(*) II conte Cavour come ufficiale del Genio abitò due anni in
Ventimiglia, nella casetta sotto il forte, dove prima era la
polveriera.1
Tali iscrizioni
per non so quali ragioni dovettero dal Municipio sottoporsi
all’approvazione dell’autorità ecclesiastica, esse vennero
sconciamente mutilate, per cui io ricusai di lasciarle comparire
nella Cattedrale, e allora il Municipio irritato contro le
soperchierie vescovili, ritirò gli inviti già fatti; sospese la
funzione e in quella vece faceva distribuire L. 50 ai poveri
della Città. Intanto il Sindaco con sua lettera del 15 giugno n.
3055 mi ringraziava cortesemente di quanto io aveva fatto.
1) L’episodio è ricordato anche da Cavour, in un
suo discorso alla Camera del 7 marzo 1850, riportato da G. Rossi
nella sua Storia della Città di Ventimiglia, cap. XXI.
1861
.... ma non mancavano manifestazioni popolari, come quella annotata il 31 maggio 1863: «grande pranzo sulla piazza San Michele».
.... Non aveva strade verso il Piemonte (l'attuale carrozzabile della Val Roia fu terminata nel 1885) ...... Breglio all'epoca
.... Ed è noto che egli spaziò dalla storia all'archeologia, all'epigrafia e perfino alla botanica. .... Scavi della Necropoli di Nervia