Grazie al diversivo delle guerre pisane ed alla difesa ottenuta dalla Provenza, il Libero Comune ventimigliese aveva in pugno, la difesa della Contea contro Genova. I ventimigliesi si dividevano in due fazioni: quella per l’indipendenza, la più forte, con le famiglie Saonese e Curlo, alleata con Pisa e la Provenza. Quella della sottomissione, con la famiglia De Giudici, che voleva la Contea inquadrata in uno stato più forte. La nostra città conosceva la tragica divisione conosciuta in Italia come “Guelfi e Ghibellini” ed a Genova come “Rampini e Mascarati”. A Ventimiglia era il partito De Giudici e Bulferii, guelfi e rampini, con Balbo De Giudici, signore di Buggio e Saysone. Stemma i gigli di Francia. Questi erano favorevoli alla sottomissione nei confronti di Genova. Il partito Saonese, Curlo e Bombelli, ghibellini e mascarati, con Targanigra Curlo, signore di Sepelegio (Bordighera) ed Eyrole. Stemma l’Aquila imperiale. Questa era la fazione più forte, almeno all’inizio; era favorevole all’indipendenza comunale ed era alleata a Pisa e Provenza. In zona, i Doria della valle di Nervia, di San Römu e Ceriana, capitanavano i Ghibellini; mentre i Guelfi erano guidati dai Vento, e quindi dai Grimaldi di Monaco, Roccabruna e Mentone. I Ventimiglia Lascàris di Tenda furono Guelfi, mentre i Ventimiglia del Maro furono Ghibellini. Nelle città italiane la carica del Podestà, legata in origine agli sforzi del Barbarossa per imporre il suo potere, si era trasformata ed istituzionalizzata. Il potere esecutivo veniva cosi affidato a personaggi, appartenenti quasi sempre all’aristocrazia e spesso stranieri, che col pretesto di arbitrare i conflitti tra le fazioni, abituavano la città ad una dittatura, senza dubbio dominata dalle famiglie patrizie, che preparava le Signorie ed i Dogati del secolo XIV, introducendo e mantenendo il predominio aristocratico.
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1231 Il 12 settembre, Carlo I° Grimaldi otteneva, da re Roberto di Napoli, la signoria di Monaco, Roquebrune e Mentone, diventando il vero primo signore della Rocca monegasca.
1257 In Genova, un tumulto di populares, appoggiati dal partito ghibellino, sceglieva come Capitano un loro elemento, Guglielmo Boccanegra, che allontanava il podestà Alberto di Malavolta.
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A Genova la parte ghibellina era rappresentata dalle famiglie: Adorno, Fregoso, Doria e Spinola; erano guelfe le famiglie: Fieschi, Grimaldi, Guarchi e Montaldo. Nel Ponente Ligure, la parte guelfa era rappresentata dai Grimaldi e dai Vento, mentre ghibellini erano i Doria e gli Spinola. Queste famiglie abbandonarono Genova, quando la parte avversa saliva al potere, i Mascarati prima ed i Rampini poi.
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Il Comune genovese dichiarava decaduti dai feudi i Conti ventimigliesi.
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La nobiltà di fatto si trasformava in nobiltà di diritto, cioè nobiltà di sangue, affermata dai contrassegni ereditari: i blasoni. Chiudendosi in casta, la nobiltà si condannava a scomparire o ad impoverirsi. L’estinzione dei lignaggi era tanto più rapida in quanto vi concorrevano diversi fattori: la mortalità, la tendenza a limitare il numero degli eredi o a destinarne il maggior numero possibile alla Chiesa o agli Ordini militari, per evitare le divisioni del patrimonio. Più grave era il divieto fatto talvolta ai nobili di esercitare un’arte meccanica o il commercio. In Provenza, i nobili dovevano astenersi da qualsiasi lavoro agricolo e la donna appartenente all’aristocrazia era definita come quella che non va “né al forno, né al lavatoio, né al mulino”.
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1262 Il 12 luglio, ad Aix, con un trattato, Genova si accordava con la Provenza per la spartizione della Contea di Ventimiglia, secondo una nuova linea di confine. Per Genova trattarono i guelfi Teodoro Fieschi e Bovarello Grimaldi.
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La Provenza si annetteva il territorio che dalla Turbia andava ai distretti di Sospello, Molinello, in Val Bevera; Fontano, Breglio, Saorgio, Castiglione e Briga in Val Roia; Rocchetta e Pigna in Val Nervia. Genova conservava le terredi Monaco e Ventimiglia, con le sue Ville fino a la Penna, oltre a Perinaldo, Dolceacqua e Castel Doi, l’attuale Castelvittorio. Tenda e La Briga restarono in possesso dei Conti di Ventimiglia; Poipino, Mentone e Roccabruna resteranno ai Vento, loro Signori. Ventimiglia, privata del suo retroterra in Val Roia, si trasformava in piazzaforte di frontiera, con un ruolo economico sempre più asfittico. I confini stabiliti ad Aix, consolidatisi negli anni, segnarono una demarcazione anche linguistica e culturale, sostanzialmente conservata fino ad oggi. L’alta valle della Roia veniva inglobata nella contea indipendente, retta dai conti ventimigliesi ormai malvisi in patria ed esiliati da Genova per inadempienze. In un documento dell’epoca veniva nominata una Porta Nova, sul versante occidentale del promontorio.
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1270 Il 18 gennaio, Oberto Doria acquistava da Balborino, un congiunto dei Conti ventimigliesi, i due terzi del luogo di Dolceacqua.
Luchetto Grimaldi, guelfo, era nominato Podestà di Ventimiglia, con numerose illegalità.
I Ghibellini abbandonavano la città, mentre i Curlo venivano incarcerati. Da Genova, i Doria ed i Balbi vennereo in aiuto dei fuoriusciti. Baliano Doria li scacciava dall’Arma antiqua, d’overano rifugiati presso Borghetto, radendo al suolo l’antico borgo. Ma le milizie inviate da Genova vennero battute nel Pian di Latte e accerchiate sul Ruassu, fino alla resa.
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Ottennero di poter andar in esilio, salve le vite e le persone, ma Luchetto Grimaldi mancò alla parola data: lasciò liberi i soli cittadini genovesi e imprigionò gli altri. Giunti in Genova, i Doria e i Balbi reclamarono tumultuando la liberazione dei compagni ventimigliesi, ma, poiché il governo guelfo nicchiava, ripresero le armi nella capitale e, dopo un crudo spargimento di sangue, riuscirono ad impadronirsi del potere. La rivolta si propagò vittoriosa in tutta la Liguria e i guelfi dovettero sottomettersi o abbandonare il Comune.
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1295 Il 23 agosto, si riuniva la commissione di vescovi per la vendita di San Römu e Ceriana.
In dicembre, a Genova, stimolato dalla politica di papa Bonifacio VIII, scoppiava l'ennesimo scontro tra Guelfi e Ghibellini locali, duratoquaranta giorni. I Grimaldi, da fuoriusciti, si rifugiarono in Provenza, dove il capofamiglia Ranieri acquistava da Carlo d'Angiò i diritti sulla Rocca di Monaco.
1296 Il 23 novembre, Ruggiero Grimaldi, in qualità di usciere del Pontefice, veniva ricevuto con tutti gli onori a corte da Carlo II d’Angiò, il quale però ordinava ai suoi rappresentanti in Provenza di opporsi al riarmamento dei guelfi genovesi, mentre, sconoscendo gli accordi paterni, cedeva i diritti su Monaco a Genova, in cambio della nomina di un Podestà tra i suoi vassalli. I ghibellini genovesi al potere cedevano la rocca di Monaco agli Spinola, per 100 once d’oro.
1297 La notte dell’8 gennaio, Francesco Grimaldi, detto “Malizia”, con uno stratagemma riconquistava Monaco e scacciava lo Spinola che si rifugiò a Dolceacqua. Simeone ed Andriolo armarono una schiera e mossero verso Ventimiglia, che li contenne ben presidiata da Opecino Spinola. I Doria si scontrarono col Grimaldi che trovò la morte nella furiosa lotta.
Il 28 gennaio, Oberto Doria e Giorgio De Mari firmavano l’atto di acquisto di San Römu e Ceriana, dal vescovo di Genova Jacopo da Varagine.
Il 2 febbraio, Il Doria ed il De Mari prendevano possesso dei territori di San Römu e Ceriana.
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Il territorio di San Römu era stato possedimento dei vescovi genovesi, amministrato dai gastaldi: nelle famiglie dei Ricolfi e dei Premartini.
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1301 Il 10 aprile, a Nizza, i genovesi facevano pace con re Carlo II° d’Angiò, ottenendo tra i patti la piazzaforte di Monaco, che Carlo toglieva ai Grimaldi, per cederla al ghibellino Ughetto Spinola ed a suo figlio Nicolò.
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Lo Spinola infeudava anche Ese, Turbia e Roccabruna, ed inoltre, le prime abitazioni, attorno alla rocca di Monaco, vennero chiamate Contrada Spinulorum.
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I Grimaldi acquistavano i feudi di Villeneuve, Cagnes, Antibo, Grassa, Boglio ed altri, diventando i signori più potenti delle Alpi Marittime.
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1317 Il 10 novembre, i Guelfi genovesi scacciarono i Ghibellini che ricorsero a Matteo Visconti. I Grimaldi riprendevano il controllo di Genova e di Monaco.
1327 Il 3 agosto, i ghibellini presero il potere a Ventimiglia, poi, con quelli delle vallate, guidati dagli Spinola, attaccarono Monaco, che era in mano guelfa. Nonostante l’intervento del Vicario di Provenza lo Spinila sottometteva la Rocca.
1329 Le milizie di re Roberto, guidate dal capitano Daniele Torrini da Nizza, assediavano Monaco, ghibellina, quindi investita Ventimiglia, incaricavano Carlo Grimaldi di riprendere Dolceacqua, tornata a Moruele Doria. Vi riescirà in autunno, anche se Ezzelino Doria tentò di rientrare a Pigna e Dolceacqua. Prenderà invece Castelfranco, Ceriana e San Römu.
Carlo Grimaldi era nominato Governatore di Ventimiglia. Monaco veniva consegnata alla Signoria genovese.
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Carlo Grimaldi cercava di ricomporre la storica unità della Contea, dall’Armea alla Lantosca, dichiarandosi Vicario di Re Roberto. Per circa quindici anni Ventimiglia rimase collegata a Monaco ed alla Provenza e divenne rifugio di nobili genovesi in urto col Boccanegra.
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1331 Il 9 febbraio, in Pigna, si conchiudeva la pace tra guelfi e ghibellini dei territori di Ventimiglia, di Val Roia e Val Nervia.
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Per parte guelfa firmava Carlo Grimaldi a nome di Ventimiglia, baileato e contado, del quale era Rettore, e dei luoghi di Castellaro, Gorbio, Mentone Roccabruna Penna e Sant’Agnese, nonché dai Sindaci di Sospello, Saorgio e Breglio; per la parte ghibellina da Giacomo, Conte di Ventimiglia a nome suo e delle sue terre. Da Filippo conte di Ventimiglia a nome suo e dei fratelli, da Oliviero Doria a nome suo e dei suoi castelli di Dolceacqua, Apricale e Perinaldo, dai rappresentanti dei luoghi di Arma, Bussana, Ceriana, San Römu e Taggia, dai Sindaci di Triora, Montalto, Badalucco, Baiardo e Castelfranco.
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I Grimaldi restauravano la facciata di San Michele, antica chiesa palatina dei Conti di Ventimiglia, che vi avevano la tomba gentilizia nella cappella di San Antonio Abate, apponendovi il loro stemma, vicino a quello dei Ventimiglia.
Il 12 settembre, re Roberto di Napoli, conte di Provenza, approvava che i guelfi di Carlo Grimaldi si impossessassero nuovamente della Rocca di Monaco.
1332 Carlo Grimaldi rientrava in possesso di Monaco e Roccabruna, che terrà in nome della Signoria genovese.
1335 In febbraio i Ghibellini genovesi portavano una flotta all’attacco di Ventimiglia, ma Carlo Grimaldi li respingeva.
Il 25 maggio, giorno dell’Ascensione, Ventimiglia veniva eletta a Capoluogo di Vicaria. Carlo Grimaldi veniva nominato Vicario angioino da Filippo di Sanguineto, conte di Haumont e Siniscalco del Re a Marsiglia, sottomettendo la zona intemelia al dominio di Re Roberto di Provenza.
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La Vicaria angioina di Ventimiglia e di Val Lantosca, aggregata a Marsiglia, riproponeva l’integrità della Contea nella sua massima espansione, escluso San Römu. In più dei comuni del Bacino della Roia, dipendevano da Ventimiglia le terre usque ad aquam Tabiae et usque ad Collam Caudente et non ultra, l’Escarena, Bolena, Belvedere, Bolinetta, Clens, Crovo, Finestre, Figareto Gordolone, Lantosca, Loda, Lucerame, Maria, Roccabigliera, Rocca, San Dalmazzo del Piano, San Martino, Torre ed Utelle. I capifamiglia di parte guelfa giurarono fedeltà al Re, mentre i Doria disertavano le proprie terre. Intanto il d’Angiò faceva pace col conte di Savoia, ottenendo Fossano e Savigliano. La Provenza finalmente possedeva l’agognato Colle di Tenda, che terrà fino al 1388.
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«Signurìa, Altesse, è ün grande unu’ per min de representà a zuventüra d’u Principatu ün achèlu giurnu memurabile. Sun tantu ciù cumossa que nun sun munegasca de naçiunalità. Sun stà çernua perque l’anu passau o vintu u cuncursu de munegascu e Vuscià Signurìa m’avì dau u premiu de l’alieva que finta l’ürtima classa finta au baccalaureat è sta (cuscì l’an ditu i soci d’u Cumitatu d’e traçiciue e i prufesui) chèla que a meyu ümparau e defesu a lenga munegasca.
Anchöi, au nume d’a zuventüra d’u Principatu, sun fiere de purè di’ a vostra Signurìa tut’a gioia d’i züveni de Mùnegu de festà i seteçentu ani d’a dinastia d’i Grimardi. Nui, i zuveni, savëmu ben que sun seteçentu ani de storia gluriussa per a nostra Roca. Seteçentu ani d’ündependença cun scaixi a meme lenga que Maliçia, cun e meme tradiçiue tantu care a nui i zuveni.
Vurëmu cuntinüà a ë fa’ vive e un meme tempu a mantegne un Principatu mudernu perque semu prun cuntenti de vive a Munegu, “nostru belu Munegu giardin sciuriu”, cume l’a scritu Lui’ Nutari.
Dopu tante generaçiue nui, tamben cui nostri prìncipi, saremu urguiüsi de purtà ünt’u mundu üntregu a nòmina d’u nostru paise.
Ün sti primi giurni de l’anu milenöveçentu-nuvantasete, permetéme, su me nume e au nume da tut’i zuveni de Munegu, de porze a Vuscià Signurìa e â vostra famiya i nostri auguri i ciü sciurìi».
In munegascu il messaggio al sovrano nella giornata inaugurale dei
“Settecento anni dei Grimaldi a Monaco”, nel 1997
"Vuscià Scignuria Principe Ranieri"
All’inizio dell’anno 1997 erano in pieno svolgimento, nel vicino Principato, le celebrazioni per i “Settecento anni dei Grimaldi a Monaco”. Nella giornata inaugurale dei festeggiamenti ha fatto molto piacere - alle centinaia di ventimigliesi e, in genere, liguri, presenti in piazza del castello - ascoltare una bella studentessa rivolgersi al principe Ranieri III in lingua monegasca, tanto simile al modo di parlare diffuso nella zona italiana di frontiera. Prima che venisse scoperta una pregevole statua realizzata dallo scultore olandese Kees Verkade e raffigurante Francesco Grimaldi, (il nobiluomo genovese, detto Malizia, conquistatore della Rocca di Monaco sette secoli fa), la giovane Stéphanie Viale ha indirizzato al Sovrano questo simpatico messaggio augurale (di facile, facilissima comprensione per i “ventemigliusi”):
Arma dei Grimaldi
La Vicaria Angioina di
Ventimiglia e Val Lantosca -
1335
I
GRIMALDI
E
VENTIMIGLIA
di Filippo ROSTAN
CARLO GRIMALDI VICARIO ANGIOINO
Filippo ROSTAN - STORICA DELLA
CONTEA DI VENTIMIGLIA - IISL. Bordighera 1971
Nel 1331, il Governatore della Provenza, Re Roberto d’Angiò indusse anche le fazioni della città di Genova a riconciliarsi, il che fecero in sua presenza, in Napoli, il 3 settembre. Poco dopo, a Carlo Grimaldi, fatto importantissimo e gravido di conseguenze, vengono concessi Monaco e Roccabruna, che terrà in nome e per conto della Repubblica. Dobbiamo presumere che tale concessione gli venisse fatta sotto la pressione del Re, il quale, in procinto di lasciare il governatorato della Repubblica e prevedendo un ritorno ghibellino, intendeva assicurarsi i vantaggi di una situazione preponderante sulla frontiera. Già con la pace di Pigna la sorte dei guelfi s’era rialzata: ormai con queste due nuove acquisizioni essi hanno la preponderanza assoluta nella Contea, che da Molinetto a Saorgio e Bordighera, più Dolceacqua e Abeglio, tutto è in mano loro o del Re. Stante le loro aspirazioni separatiste la situazione è tale che la più piccola mossa sbagliata da parte di Genova può provocare l’irreparabile. Irreparabile che, grazie allo stato di perpetua violenza in cui la città viveva, non tarderà a prodursi. Nel febbraio del 1335, i ghibellini genovesi ritornano al potere. Essi vogliono subito riprendere in mano il controllo della frontiera e si portano con una flotta all’attacco di Ventimiglia e di Monaco. Riconquistano Ventimiglia, ma Carlo Grimaldi li respinge da Monaco, rientra a sua volta in Ventimiglia e, con i guelfi locali, decide senz’altro il grande passo: il passaggio alla Provenza. I deputati ventimigliesi si recano tosto dal Re per la messa a punto e la consacrazione degli accordi e, dopo soltanto tre mesi dal trionfo ghibellino in Genova, il 25 maggio 1335, nella Cattedrale di Ventimiglia, presente il Siniscalco di Provenza, Sanguinetto di Haumont, Carlo Grimaldi, Governatore della Città e Agamellino Grimaldi, Podestà, vengono lette al popolo radunato le condizioni dell’annessione. Con esse il Re crea la Vicaria di Ventimiglia su quella che era stata la Contea di Ventimiglia nella sua massima espansione, escluso San Remo. I cittadini presenti accettano e la bandiera provenzale viene issata sulla città. Tre giorni dopo i capi famiglia di parte guelfa, radunati nel forte della Rocca, giurano fedeltà al Re. Le teste di ponte della Repubblica e dei ghibellini dell’alta Italia, contenenti la pressione della guelfa Provenza, sono crollate quasi di colpo. I Lascaris, rimasti isolati e a causa di una impossibile reazione genovese, forse modificarono i termini del loro omaggio, ma i Doria non si sottomisero, e disertarono le loro terre. L’avvenimento coincideva col ristabilirsi della situazione provenzale in Piemonte dove, il 10 settembre seguente, intervenne un trattato fra il Re e il Conte di Savoia, in virtù del quale questi riconosceva in feudo a Roberto la contesa Possano e gli rimetteva Savigliano. Con la «Vicaria della Contea di Ventimiglia e Val Lantosca» culmina e ha termine il secondo periodo dell’espansione provenzale. Negli anni successivi all'occupazione genovese di Ventimiglia, i cittadini che avrebbero gradito il proseguimento dello stato di Libero Comune Marinaro, pur appartenendo alla fazione ghibellina, si affidarono alla guelfa famiglia Grimaldi, in amicizia con il Governatore di Provenza, per contrastare il più possibile l'ignobile attività interna dei De Giudici e del loro losco Albergo. Le sorti dei Grimaldi nel possesso della Rocca di Monaco, divennero essenziali per il prosieguo di tale politica, cosicché quando tra alti e bassi l'abilità dei Grimaldi riuscirà a far insediare saldamente la famiglia sulla Rocca del Principato, molti ventimigliesi ne furono soddisfatti. Non avrebbero ritrovata la loro libertà diretta, ma potevano aggregarsi a quella "libertà" monegasca, che ancora oggi compiace molti Intemeli. |