è risaputo di
come la casa costruita davanti a Porta Marina sia stata
conosciuta come la "Casa del Boia", ma Giovanni Giraldi, ci
segnala il titolo di "Ture d'u Boia", indicando il sito come
luogo delle esecuzioni.
Brano tratto da "Stu
nostru dialetu"
di Giovanni Giraldi
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Me
pairegrande u l’aveva a bitéga insci'a Falerina, a l’incuménçu;
atacàu àu prafùn u l’avéva messu in arnese tütu cin de corde, de
röe, de ganci, ch’i ghe serviva pe’ fa’ diventà bèle runde e
sgavàudure; se ti u viévi travaglià, te vegniva l’idea ch’u
manezàsse ina fùrca, de chele ch’i manezàva pe’ impicà i ladri;
i ladri i l’impicava int’a Tùre d’u Boia, ch’a gh’e ancu’, apena
ti passi a Röia, d’â parte d’a passeréla. Ti robavi ancöi, e l’indumàn
ti tiravi za’ i gambin ...
- Tira’ i gambin ?
Forsci vö di’ möire ? -
- Propiu cuscì; candu i
l’èira apèsi â corda, i tirava catru caussi de chi e catru de
là, avanti d’arrestàghe sechi; u boia u l’aspeitava; u s’assendeva
a pipa; u s’assetava da ina parte, e candu u l’acapiva che
uramai e gambe u e tegniva ferme, u diéva: «Ècu: u l’a tiràu
i gambin !».
- Ma ... u
boia u l’u fàva vurenté ‘stu brütu mesté ?!
- Eh, pensu de scì: u
l’èira in pan següru; de ladri da pénde ghe n’éira delongu.
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Nel
1141, Ventimiglia è stata vinta e sottomessa, ma continuava ad
amministrarsi come un Comune, con le sue otto Ville, collaborando però
col Comune genovese.
Nondimeno, il Comune pose mano all’ampliamento
della cinta muraria, con particolare attenzione per quei tratti scoscesi
e fortemente irregolari. Di questa cortina muraria, rimpiazzata poi
dalle mura cinquecentesche genovesi, restano tratti nel Cioussu, a
dimostrazione di come la chiesa di San Michele fosse ormai all’interno
del perimetro difensivo, come lo era già stato l’abitato di età gotica,
sul promontorio della Rocchetta. Quei resti evidenziano strutture
murarie in pietra squadrata, poste persino a contenimento di terrapieni,
alla base del colle; dove si notano un torrione semicircolare ed un arco
a tutto sesto. Altre tracce sono presenti nella Porta Marina, che
consentiva l’accesso al ricovero portuale , mentre in seguito sarà
tramite con il borgo marinaro, venutosi a creare attorno alla chiesa di
San Nicolò.
Nel XIII secolo, gli oppressori genovesi provvidero a
ripristinare le mura, da loro stessi distrutte, però le lasciarono prive
di manutenzione fino al XV, quando i frequenti assalti barbareschi
resero inevitabile un ripristino.
Ma i genovesi vollero compiere una generale
revisione delle strutture fortificate delle città costiere liguri, per
far fronte alle armate francesi. Per il restauro delle mura la nostra
città, nel 1529, fu costretta a spendere 3.240 fiorini d’oro; ma già nel
1532, il Senato genovese chiedeva alle Podesterie della Riviera galeotti
per le galée armate contro i Turchi, proprio mentre, nel timore di
attacchi dal mare, ad opera di corsari barbareschi, il Consilium
Antianorum Civitatis Vintimilii, chiedeva a Genova di ripristinare e
potenziare le vecchie mura fortilizie del Cavo.
Nel gennaio 1554,
Giovanni Maria Olgiati ispezionava le mura costruite dai genovesi,
attorno a Ventimiglia, ritenuta vera piazzaforte di confine; ma già nel
giugno del 1564,
due commissari erano inviati da Genova e davano una descrizione
avvilente della città.
Lo stato di Ventimiglia in quel periodo era
deprimente. Il fiume, deviato dall’incuria, non passava più sotto le
mura, producendo terreni insalubri, mentre il ponte di legno che
traversava la Roia era guasto. Case in rovina impedivano il transito per
le strade, specialmente nel quartiere Lago, disabitato. Il terremoto,
oltre a numerose case aveva provocato gravi danni alla chiesa di san
Michele, che perse totalmente la navata nord, oltre a quella sud
inagibile. La popolazione era ridotta a soli seicento fuochi.
Dopo aver provveduto a restaurare e rimodernare le
fortezze e la cinta muraria, il 20 marzo 1565, la Repubblica inviava le
istruzioni per i Castellani comandati. Veniva inoltre costruita o
rinforzata la torre posta sul promontorio della Mortola, oggi inglobata
in villa Hanbury; che nel sistema di avvistamento corsaro era
conseguente a quella di Balzi Rossi, dava inizio alla sequenza: Porta
Canarda, Castel d’Appio ed era in vista col Torrione e Bordighera.
Nel 1570, il Governo della Repubblica approvava il
deliberato del Parlamento ventimigliese che ingiungeva agli abitanti
delle Ville di concorrere al ritorno e al mantenimento del fiume contro
le mura, con una giornata di lavoro per fuoco. Genova avversava un
ritorno di Ventimiglia all’antica energia, era però lungi dal volerne
l’annientamento e approvò la delibera, poiché ciò «concerne la
fortezza della città».
Ancora nel 1587, il Magistrato delle Galere obbligava
Ventimiglia a contribuire all’armamento della flotta genovese, oltre al
versamento dei tremila genovini già versati alla Camera repubblicana.
Il Comune ricordava alla Repubblica di essere
straordinariamente impegnato alla costruzione del Ponte sulla Roia ed
alla fortificazione di Porta Marina, ma non otteneva deroghe.
Il 6 novembre 1794, una barca approdava a remi nella
darsena della Roia, portando, in fuga da Nizza, il conte Lascàris
Ventimiglia di Castellaro e Peille, ospitato in Ventimiglia dai fratelli
Massa. Alla foce della Roia, dunque, protetto dai bastioni di Porta
Marina, un piccolo lago artificiale fungeva da darsena per la nostra
città, ospitando barchi commerciali di qualche stazza, secondo quanto è
visibile da una nota stampa settecentesca.
Nell’ottobre 1869, si metteva in appalto la strada d’argine, dal ponte
alle mura di Porta Marina.
Con
buona probabilità, furono gli armati mandati a presidio del punto
d'approdo, collegato al Limes Bizantino ligure, che costruirono un
primo nucleo di bastioni a protezione dell'altura del Cavu e del
retrostante Porto Canale.
Sul finire dell'VIII secolo, i Conti vi insediarono
il loro castello.
Nel X secolo, il Libero Comune ventimigliese, adattò
quei bastioni, che già nel 1141 hanno avuto necessità di
potenziamento, con una decisa elevazione di Porta Marina.
è stato però il
ripristino Cinquecentesco a dare le sembianze definitive a questa
elegante porta.
Il
proseguimento di via Falerina, verso il Sestiere Marina,
attraversata Via Biancheri, segue la linea delle antiche mura del
Duecento e del Cinquecento, affacciate sul terminale corso del Roia;
fino al collegamento con Porta Marina.
Nella toponomastica ufficiale quel tratto di strada
si chiama “Discesa Porta Marina”; ma nel concetto popolare è
conosciuto come “a Muntà d’i Ferrài”, a causa della Ottocentesca
presenza, consecutiva, delle botteghe artigiane di fabbro, che
tenevano banco direttamente sulla strada, con l’uso di incudini e di
maneggevoli forge a cielo aperto.
Discesa dunque nell’ufficialità che prevede la denominazione e
la numerazione delle “vie” a partire dal centro; che si è
trasformato in sacrosanta salita, per la popolazione, che dalla
Marina soleva recarsi in “Ciassa”, centro direzionale del tempo.