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CARLO GALLARDI
di Renzo Villa - 1985
Il nome di
Gallardi non è certo nuovo ne ignoto a Ventimiglia anche se pochi si
chiedono o sanno perché un popoloso quartiere ed una via della nostra
città lo portano da molti anni. Bisogna infatti risalire al 1930, anno
in cui l'89° Rgt. Fanteria - fino a quel momento di stanza a Genova -
giunge a Ventimiglia per restarvi di guarnigione.
Il vecchio Forte dell'Annunziata, divenuto Caserma Umberto 1°, si rivelò
inidoneo ed insufficiente ad accogliere il nuovo reggimento e fu per
questo che si decise di costruire una moderna caserma all'inizio della
strada di Val Bevera, a ridosso della collina di San Bernardo.
I lavori, iniziati nel 1933, si protrassero per oltre due anni. La
caserma, composta di due corpi di costruzione, capace di un migliaio di
uomini, dotata di ampio cortile interno, scuderie e servizi vari, fu
intitolata al S. Ten. dell'89° Carlo Gallardi, caduto eroicamente sul
Carso durante la prima guerra mondiale e decorato di Medaglia d'Oro al
V. M. alla memoria. Contemporaneamente anche il tratto di strada Ponte
Roia - Ponte Bevera prendeva il nome di via Gallardi.
Alla solenne
cerimonia di inaugurazione, avvenuta il 16 luglio 1935, Festa del
Reggimento, fu invitata anche una rappresentanza di ufficiali,
sottufficiali e truppa del 47° Régiment d'Infanterie Coloniale a
fianco del quale l'89° aveva combattuto a
Bligny, nel 1918.
Dalla Gallardi, sede del Comando di Reggimento, partirono nel 1940 i
fanti per la battaglia del fronte occidentale e, nel luglio 1942, per il
fronte russo. Al termine del 2° conflitto mondiale, la caserma Gallardi,
abbandonata come molte altre opere militari della nostra zona, fu
occupata dai senzatetto e, col passare degli anni, si trasformò in area
di parcheggio e poi di residenza stabile per gli immigrati che sempre
più numerosi giungevano dal Sud.
A partire dall'anno scolastico
1955-56, vi fu istituita la
Scuola Elementare, sistemata nell'ex Palazzina Comando, scuola che è in
funzione ancora oggi, e, sempre in quel periodo, fu ricavata una
cappella nei locali del corpo di guardia.
* * * *
Ma chi era e che cosa aveva fatto Carlo Gallardi per legare il suo nome
a Ventimiglia ?
Nato a Vercelli il 21 luglio 1885 (e dunque quest'anno ricorre il
centenario della nascita) era figlio del fondatore del giornale locale
La Sesia, che aveva iniziato le pubblicazioni fin dal 1872, e,
prima di andare in guerra, anche Carlo Gallardi esercitò l'attività
giornalistica scrivendo sul periodico paterno.
Al fronte, Gallardi dimostrò subito coraggio e spirito combattivo.
Rimasto ferito, rifiutò di abbandonare il posto di combattimento ed il
giorno seguente, mentre si lanciava all'attacco, cadde colpito
mortalmente.
Questa la motivazione con cui gli venne conferita la Medaglia d'Oro
al V. M.,
il 19 agosto 1921: Durante un
contrattacco nemico, in un momento di grande pericolo, strappava al
capo-arma una mitragliatrice; la portava arditamente in campo aperto
manovrandola egli stesso. Mentre il nemico, specialmente per l'ardito
intervento di lui, ripiegava, cadeva ucciso sull'arma.
La sera precedente, avendo riportato una frattura all'avambraccio
destro, in seguito a scoppio di proietto avversario, tenne contegno
stoico. Non abbandonò la linea, si fece fasciare il braccio da un
sergente e stette tutta la notte vigilando, dando mirabile esempio di
alto sentimento di dovere e di abnegazione.
Carso (quota Alberata), 21-22 agosto 1917.
Quanto al giornale La Sesia (presente a Ventimiglia alla
cerimonia dello scorso mese nella persona del suo Direttore Dr. Antonio
Tarchetti) esso si pubblica ancora oggi, dopo oltre un secolo, benché la
testata sia passata in altre mani essendosi la famiglia Gallardi estinta
con la morte del Fondatore.
LA
VOCE INTEMELIA
anno XL n. 11 - novembre 1985
La strada che corre sull'argine destro del Fiume Roia, dalla spalla sud del
ponte Doria, nel Borgo, verso la piazzola presso la foce del fiume, alla
Marina, è conosciuta come Via Trossarelli, eroe a cui è dedicata anche la
Caserma, che oggi ospita la Tenenza della Guardia di Finanza, al numero
civico nove.
Giovanni Luigi Trossarelli è
nato a Savigliano il 30 ottobre 1863.
Medaglia d'oro, eroicamente caduto sul Mrzli Vrh, il 28 agosto
1915.
Colonnello, Comandante del 89°
Reggimento Fanteria, Brigata Salerno; guidando i suoi fanti all'assalto dopo
aver per più giorni guidato con slancio il proprio reggimento all'attacco di
una forte posizione nemica, colpito a morte, mentre dimentico di se non
pensava che alla direzione del combattimento, spirava sul campo senza voler
essere trasportato al posto di medicazione vietando anzi agli astanti di
parlare dell'accaduto per il timore che la sua morte impressionasse il
reggimento e ne diminuisse lo slancio nel difficile attacco.
Il Monte Mrzli, che i soldati
italiani chiamavano semplicemente Monte Smerle, svetta lungo la valle
dell’Isonzo, tra la Bainsizza e Caporetto, appena al di là della frontiera
tra Italia e Slovenia. La sua forma ricorda un cono, la sua cresta è lunga
poco più di trecento metri, solcata interamente da un trincerone austriaco.
Forse lo chiamavano così a causa del suo aspetto merlato, simile al Vodil
che gli è presso, oppure per la storpiatura del nome dall’impossibile
pronuncia.
Il palazzo che ospita oggi il Tribunale, in Piazza XX Settembre, è stato
eretto nel 1882, quale sede di Tenenza dei Reali Carabinieri ed ha portato
avanti il suo compito fino agli Anni Sessanta, quando la migliorata
logistica dell'Arma, non ne ha più premesso l'utilizzo. La Tenenza
Carabinieri ha trovato sede in via Ernesto Chiappori, angolo Via Roma, dove
è stata appositamente edificata la moderna caserma, dedicata alla Medaglia
d'Oro: Livio Duce.
Livio Giuseppe Francesco Duce è nato
a Ventimiglia, il 5 dicembre 1897, di Benedetto e di Modestina Lorenzi. In Licciana, il 22 settembre 1932, ha sposato Lia
Asti. è stato
decorato di Medaglia
d’Oro al Valor Militare, il 6 febbraio 1951.
Aveva interrotto gli studi d'ingegneria per
prendere parte, come ufficiale d'artiglieria alla prima guerra mondiale.
Concluso il conflitto si era arruolato nei carabinieri e, nel 1942, era
stato assegnato come capitano al Servizio Informazioni Militari. Allo
scoppio della seconda guerra mondiale, promosso Maggiore, era stato mandato
in Grecia e aveva preso parte a quelle operazioni, al comando di un
battaglione di carabinieri. All'armistizio decise di contrastare i tedeschi
sulle montagne dell'Attica.
Tra quelle montagne, dal 13 agosto al settembre del
1943, la situazione era durissima. In alcuni casi i carabinieri che volevano
aggregarsi ai partigiani e che avevano già sottoscritto un patto di
cooperazione con l'Elas, esercito greco popolare di liberazione, furono
internati in miserabili campi o uccisi.
Livio Duce, caduto in una imboscata con una
piccola colonna e circondato da soverchianti forze nemiche opponeva, benché
ferito, accanita ed eroica resistenza imponendosi all'ammirazione degli
stessi avversari, finché, ferito una seconda volta, sopraffatti e caduti
quasi tutti i componenti della colonna, veniva catturato. Sottoposto ad
indicibili sevizie materiali e morali, rifiutava sdegnosamente l'offerta di
aver salva la vita a patto di sottoscrivere falsa dichiarazione atta a
trarre in inganno altri reparti italiani. Appreso che un compagno di
prigionia era stato fucilato dichiarava che, se gli fosse toccata la stessa
sorte, avrebbe saputo morire da "Italiano e da Carabiniere". Condotto al
luogo del supplizio manteneva col suo contegno fede alla promessa, finché
cadeva fulminato dal piombo del nemico il 24 settembre 1943.
Nomi che entrano anche giornalmente nei nostri discorsi, quando indichiamo un luogo della nostra città, per molti, a volte corrispondono esclusivamente al luogo; se sono nomi di persone del passato, sovente non ci si chiede neppure: "chi era costui !".
In pieno Centro Storico, nel Sestiere Campo; dove Via Giudici si affaccia su
Vico Scuri per proseguire verso Nordovest come Vico Coperto, collegato
con Vico Rocchetta, incontra l'essenziale Piazzetta Morosini, che fino alla
seconda metà del secolo XIX si era chiamata Piazzetta Balenoi,
conosciuta come la piazza dell'Ospedale Santo Spirito, prima del
trasferimento di questo sui bastioni di Porta Nuova.
Emilio Morosini era nato a Varese, nel 1831, dal nobile Gian Battista e da
donna Emilia Zeltner; unico maschio con cinque sorelle, ebbe come educatore
il patriota Angelo Fava e studiò a Milano nel ginnasio di Brera e al liceo
di Porta Nuova, dove si fece amico dei fratelli Enrico ed Emilio Dandolo e
con Luciano Manara.
Con loro, fu fra i primi a salire
sulle barricate nelle Cinque Giornate del marzo 1848, ma continuando a
combattere contro gli Austriaci, a Castelnuovo del Garda, Lazise, Monte
Suello e Gavardo, come ufficiali sotto gli ordini di Manara, fino alla firma
dell’armistizio di Vigevano.
In seguito alla sconfitta di
Custoza, invece di rifugiarsi in Svizzera, dove avrebbero goduto di un
riparo sicuro, restò con gli amici nel Vercellese, dove continuarono a
svolgere il ruolo di ufficiale nelle truppe ausiliarie dell'esercito
piemontese.
Dopo il fallimento militare e
diplomatico di Novara, nel 1849, accorsero con Garibaldi a difendere la
Repubblica Romana, inquadrati nel battaglione comandato da Manara., Durante
la resistenza sul Gianicolo, contro le truppe francesi il 29 giugno, Emilio
Morosini fu gravemente ferito e morì due giorni dopo per le ferite
riportate.
La caserma dove ha sede il Commissariato della Polizia di Stato è dedicata a Bligny, come lo è la strada che la costeggia sul lato Sud, tra Via Roma, sul Largo G. Rossi e Via Angelico Aprosio.
Il grande storico francese delle Cattedrali Gotiche, Daniel Rops, era solito ricordare ai suoi allievi che tre erano le strade per rifare la storia civica o religiosa di una città, o di un borgo: i documenti cartacei coevi, le “recordatio” e le dediche viarie ...
Sospinto dall’illustre insegnamento e incuriosito, più che mai, dalle iscrizioni viarie della vecchia Ventimiglia, inizio la mia scarpinata storica, che, condotta con interesse, rivelerà pagine di storia, oramai dai più dimenticata.
A pochi passi da Porta Nizza, lasciate le indicazioni viarie che instradano alle «Salite Vecchie Mura», poco a valle a fianco della piazzetta San Francesco, si diparte verso «Porta Piemonte» e «Piazza San Michele» un vico stretto e densamente abitato.
All’imbocco un’iscrizione riporta un nome «Saonese». Ma chi era costui, quali i meriti, le sue gesta, le sue benemerenze presso la Comunità di Ventimiglia: i libri, quelli custoditi sui documenti, appena ne fanno accenno. Saonese era il capo del «rione degli indipendenti liberi», un partito di uomini liberi in opposizione ai partigiani dei De Giudici e alle velleità di conquista di Genova.
Libertà e amore della città, indipendenza dai Conti e opposizione ai loro intrighi era il programma del piccolo disperato manipolo.
Nell’anno 1238, alla notizia che le città di Savona e Porto Maurizio erano insorte e fatto prigionieri il Podestà e le guarnigioni, un folto gruppo di liberi cittadini con a capo Guglielmo Savonese pongono l’assedio alla fortezza e fanno prigioniero il Podestà e gli uomini della guarnigione.
Genova invia una flotta di tredici galee e, gettata l’ancora ad un miglio dal porto, con una sortita serotina, tenta l’occupazione dei terrapieni in mano ai rivoltosi; tentativo vano. Un secondo attacco è decisivo per la vittoria delle forze genovesi. Un balestriere riesce a conquistare gli spalti della fortezza e vi inalbera la bandiera del Podestà.
I Ventimigliesi inutilmente si apprestano alla difesa; per le strade si accendono scontri fratricidi. I partigiani del partito dei De Giudici si schierano per Genova. I “saonesi” hanno la peggio; in massa lasciano la città e si rifugiano in Sant’Ampelio nella speranza di potere un giorno fare rientro.
Guglielmo Saonese resiste tra le mura della fortezza con un piccolo manipolo di famiglia; saranno sopraffatti dai partigiani dei De Giudici e consegnati al Podestà.
II Saonese, accusato di tradimento per sentenza del Podestà, viene condannato a morte per impiccagione. Guglielmo sale il patibolo e con fierezza esorta i compagni di prigionia a lottare per la libertà.
Una pagina di eroismo che il tempo ci consegna sbiadita e di difficile ricostruzione nei particolari.
Guglielmo venne impiccato sulle mura della Fortezza oppure, a detta di alcuni storici, la condanna venne eseguita, radunato un folto gruppo di rivoltosi a pochi metri dalla spiaggia all’albero maestro della Galea ammiraglia ? Le conseguenze della sconfitta gravano sugli uomini della Contea di Ventimiglia. Genova impone condizioni umilianti; sono decurtati i diritti di gabella, è imposto alle barche ventimigliesi l’obbligo di eleggere ogni anno un Podestà, un Giudice e due scrivani, nativi di Genova o del distretto, questi ultimi amministreranno la città e saranno stipendiati dalla comunità.
Genova offre le sua liberalità ai Ventimigliesi quale la protezione e la concessione di formarsi statuti propri purché non in contrapposizione a quanto si è convenuto e la libertà di esigere dazi ad eccezione di quello dei sali.
La rivolta del Saonese e la dispersione temporanea dei suoi partigiani portò nel 1251 ad una convenzione tra Genova e i Ventimigliesi.
La convenzione, conservata in Regestrum Eccl, Intemel. dell’Archivio Curiale, merita essere riletta; è una concessione che il Podestà Bernabò di Turicella concede, a nome della Comunità di Genova, a Fulco Curlo, a Arcidio Giudice procuratori della Comunità di Ventimiglia:
«Concediamo - si legge - che possiate abitare dalla casa che fu di Guglielmo Saonese fino al fiume e che nella parte superiore della terra che è sopra la detta casa non vi possiate abitare in alcun modo, inoltre si deve fare un muro tra il vico superiore ecc.».
Il richiamo al Saonese e a quella che fu la casa fa parte della nostra storia. E inoltre conferma che vennero distrutte le sue abitazioni ed incamerati i suoi bene terrieri, beni che ci vengono indicati situati fuori le mura di cinta.
Nuovo tassello e conferma che nell’anno 1251 oltre l’attuale Piazza della Fontana, altro non c’era che un appezzamento terriero di proprietà del Savonese.
Nino Allaria Olivieri
LA VOCE INTEMELIA anno LX n. 4 - aprile 2005