FORTEZZA DEL COLLE
I residui bastioni,
oggi esistenti a cavaliere della Centro Storico, che costituirono l'ottocentesco Forte San Paolo, marcano
soltanto una parte del sito occupato dalla piazzaforte sabauda, che
aveva sostituito ed ampliato il duecentesco Forte del Colle, eretto dai
genovesi, per il controllo dall'alto della Città appena occupata, sul sito del contile
Castelvecchio.
I ricordi di gioventù dei
ventemigliusi anteguerra, non mancano di annoverare l'intrepida visita
nei sotterranei, fino alle temute "séte stànsie", o alla galleria
verso l'Annunziata, oggi immancabilmente precluse.
.
Erino Viola - Serena Vatta Leone - 1978
Nel Trattato di Parigi stipulato alla caduta di Napoleone, l’Austria
aveva voluto che una cospicua parte del miliardo d’indennità imposto
alla Francia venisse assegnato al Piemonte, affinché provvedesse a
fortificare il suo confine occidentale.
Più di Vittorio Emanuele I e di Carlo Felice, sarà il giovane re Carlo
Alberto ad accogliere l’invito, facendo addirittura raddoppiare le
fortificazioni che chiudevano i passi delle Alpi. Imponenti lavori
verranno così eseguiti ad Alessandria, a Fenestrelle, ad Exilles, a
Vinadio e altrove.
Nei patti fra i commissari imperiali e quelli sardi si era anche
convenuto che la bellissima strada detta «della Cornice» che abbracciava
tutto l’arco litoranee da Genova a Nizza, non andasse oltre Savona,
[...]
si
decise di costruire in Ventimiglia una cittadella destinata a chiudere
ai Francesi quella troppo agibile via di penetrazione.
Furono incaricati degli studi il conte-colonnello Malaussena e il
tenente-colonnello Podestà i quali, dal 1827 presentarono un sistema di
fortificazioni tendente al triplice scopo di battere i vicini paraggi,
di chiudere la via della riviera e di servire di punto estremo di
sinistra della linea militare della Roia».
Questa serie di eventi fa sì che Camillo Benso di Cavour, diciottenne
luogotenente del Corpo Reale del Genio sabaudo, venga destinato a
Ventimiglia, trasferitevi dalla direzione torinese.
(19 ottobre 1828)
Per
raggiungere la sede di quella che era la sua prima nomina egli dovette
fare il lungo giro vizioso sull’unica carrozzabile che metteva in
comunicazione il Piemonte con la Riviera di Ponente. [...] Il 25
febbraio 1829 l’agognata partenza: destinazione Exilles. Tre mesi dopo
il trasferimento a Leseilon, vicino a Modane.
da "L’esilio
a Ventimiglia del luogotenente Cavour",
in “I MESI” Anno 6 - N. 4 - Ottobre-Novembre-Dicembre 1978.
Giunto a cavallo, seguito da un numeroso corteo, veniva ricevuto dal comandante iterinale della piazzaforte, il cav. Brichentau e quindi dal Sindaco, proprio davanti alla porta di Sant’Agostino, nel Borgo. Proseguiva a cavallo la salita del Cavo, fino all’altezza del Battistero, dove sotto un arco trionfale, riceveva gli ossequio del governatore e dell’intendente di Nizza oltre che il benvenuto del vescovo De Albertis, presso il quale avrebbe alloggiato. L’indomani mattina, dopo aver visitato la piazzaforte, partiva alla volta di Nizza. In agosto, si verificavano le dimissioni del vescovo GioBatta De Albertis, che tornava a Genova. Assunse la guida della Diocesi in un momento di particolare decadenza. La rivoluzione francese ed il periodo napoleonico avevano influito in modo negativo sulla amministrazione diocesana, rimasta senza guida vescovile per un totale di sedici anni. Si adoperava per far aggregare la Diocesi cosi com’è attualmente, facendo staccare dieci parrocchie da Nizza e ben ventisette della molto estesa consorella di Albenga, profittando della vacanza di quella sede. Intraprese numerose iniziative per ridare decoro e disciplina alla vita religiosa della diocesi, con numerosi decreti sulla liturgia, sui canonici e sul seminario. Svolse accurate visite pastorali percorrendo tutta la sua ampia nuova giurisdizione. Allestì una tipografia nell’episcopio, per dare alle stampe e diffondere capillarmente i numerosi documenti emessi. Rifiutava di far pagare al clero ogni tassa di successione, reclamava le decime dalle parrocchie che ne erano state esentate nel corso della rivoluzione e soprattutto chiedeva l’abolizione di ogni censura sugli scritti ufficiali. Ma gli episodi decisivi furono quelli riguardanti il comportamento da assumere nei confronti dei parroci di Bordighera e di Terzorio, con opinioni, in proposito completamente opposte alle autorità civili.
Fondato per influsso dell’omonimo sodalizio monegasco, esercitava anche il tiro al piccione. Giunta la primavera, si allestivano i concorsi del tiro a volo sugli spalti del Forte Vecchio con nutrita partecipazione dall’intera riviera ligure, ponentina e levantina. Presidente ed anima del Circolo, il farmacista Luigi Amoretti trascorreva sul campo interi pomeriggi, aiutato da Giosè d’Airole, uomo nerboruto, dal segretario Peppuccio Allegro e da altri soci. Le quaglie ed i piccioni erano forniti dallo spedizioniere Diana, vice-presidente, comperati da Costantino Ferrea, grossista genovese.
Il rapido sviluppo delle armi da fuoco aveva fatto cadere l’importanza delle fortezze di Monaco e di Ventimiglia. Con la soppressione della fortificazioni litoranee, Ventimiglia perdeva la servitù quale piazzaforte difensiva. Questo concedeva alla città una nuova prospettiva di sviluppo, che i ristretti vincoli militari avevano precluso per molti secoli.
Umberto aveva allora tredici anni, Amedeo solo dodici. Il padre, Vittorio Emanuele II, aveva voluto questo viaggio istruttivo lungo la Riviera di Ponente, senza onori e ricevimenti ufficiali. Giunti in carrozza, salirono al Capo, per avere visione delle orride montagne della Roia. In Parlamento ebbero il saluto del Sindaco Amalberti e del capitano delle Guardie Civili, Secondo Gibelli; poi attraverso piazza San Michele raggiunsero il Forte. Alle sei di sera, cena alla Ridotta.
Nel 1850, Camillo Benso di Cavour, ricordava questo fatto, avvenuto poco prima che il convento venisse demolito per far posto all’attuale Ridotta. Eccone la memoria:«Io mi ricordo nella prima gioventù essendo a Ventimiglia d’aver visto a ricoverarsi in un convento un frate ch’era inquisito d’un delitto, e quindi questo convento circondato per un mese da truppa di soldati e carabinieri. - Mi sovvengo dell’effetto che un fatto tale produsse sopra di me o della popolazione tutta e posso accertare che fu niente affatto favorevole ne alla religione ne al sacerdozio».
Il conte di Cavour prenderà alloggio nella casetta sotto il Forte, dove prima era la polveriera. Lo stesso Cavour, in un discorso alla camera, del 7 marzo 1850, ricorderà la sua esperienza ventimigliese. Nominava le specialità gastronomiche assaggiate all’Osteria del Cervo; le serate mondane vissute nel Teatro Politeama; descriveva la passione per il ballo delle donne ventimigliesi e ci ha dato notizia d’un corteo di Carnevale, con falò finale sulla piazza superiore al sito della Chiesa di San Giovanni, quella che opportunamente ampliata diventerà “u Cavu” il belvedere cittadino. Ne informava, in una lettera, la nonna Filippina, definendo il nostro Carnevale del 1829 “… oltremodo brillante” e diceva ancora: “… In compenso si balla tutte le domeniche, tutto il giorno e la notte, sebbene fino ad oggi non si siano viste che delle danze popolari, cui ha partecipato unicamente il popolino. Tuttavia ci son stati promessi dei balli un po’ più eleganti ai quali interverranno tutte le bellezze ventimigliesi. E siccome il bel sesso del luogo è molto grazioso, la cosa si presenta senz’altro sotto un aspetto affascinante”.
L’attenta fortificazione del confine occidentale piemontese, veniva ampiamente incoraggiata dall’Austria. Nel progetto che riguardava Forte San Paolo, oltre alla riedificazione del genovese, vecchio Castello del Colle, veniva soppresso il Convento dei Minori Osservanti, per far posto alla Ridotta dell’Annunziata. Erano stati incaricati degli studi i colonnelli Malaussena e Podestà, mentre i direttori ai lavori saranno il capitano Salin e Camillo Benso di Cavour, giovane luogotenente del Genio sabaudo.
Un trombetta scendeva dalla nave e si recava sotto le mura della Marina a chiedere la resa della Piazzaforte: Il Commissario Negrone Agapito, in compagnia del colonello Giacomo Gaetano, respingeva il trombetta e dava ordine di terrapenare le mura della marina, viste dal trombetta. Essendo la città difesa da soli centoquaranta soldati, divisi in due Compagnie, gli stessi dettero ordine di reclutare gli uomini delle Ville, fino ad inquadrare seicento militi locali, con la dotazione di cinquanta barili di polvere. Intanto tre galee genovesi, guarnite di duecentosettanta moschettieri e guidate da Giustiniano Galeazzo, battevano le acque tra la Roia e Monaco, senza curarsi delle difese di terra, attendendo addirittura la fuga delle truppe della postazione ventimigliese, alla vista del preponderante esercito. Ventimiglia capitolava.
Appena costituito questo suo dominio, Vittorio Amedeo era chiamato a raggiungere immediatamente suo padre, che doveva difendere Acqui assalita dal Duca di Feria. Lasciò dunque la Riviera assai indebolita.
Di buon mattino, il ventiduenne alfiere della Milizia, il nobil Porro, veniva braccato dai rivoltosi e si chiudeva in vescovado. Lo seguirono i magnifici Francesco Riccobono e il figlio Giuseppe, Clemente Orengo Augusto Porro e Giannettino Bernaus, Agostino Sperone e Agostino Porro. I rivoltosi, guidati da Mariantonio Costa, provenivano dall’Olivato al grido di “Viva San Giorgio” e giunti in Piazza, spezzarono i ferri del portone vescovile e con lui entrarono Bernardo Bellone di Vallebona ed atri di Bordighera e Soldano, oltre a Batò Viale, detto Verga.
Il 18 maggio, giorno di
Pentecoste, scoppiò una rivolta che portò i cittadini e quelli delle
Ville a bruciare, rubare o rovinare ogni cosa appartenesse ai
Magnifici. Soltanto l’intervento del vescovo pose fine alla rivolta,
mentre duecentosettanta moschettieri del Giustiniani riuscivano a
presidiare la città, intanto che le truppe del Savoia occupavano
Bordighera.
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Il 16 maggio, una delegazione
ventimigliese andò dunque a trattare la capitolazione, ottenendo
qualche privilegio. Le truppe savoiarde occuparono il Forte.
Il 20 maggio, il Principe
savoiardo entrava in città, ricevuto dal vescovo, col conte Dogliani,
governatore di Nizza, che intanto si era impadronito del castello di
Penna, passando poi nel territorio di Pigna. Pose l’assedio al
forte, difeso dai quattrocentosettantasei genovesi del capitano
Giuseppe Cassero, che si arrese dopo sei giorni.
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L’8 giugno, a Perinaldo, nasceva
Gian Domenico Cassini, che sarà astronomo di chiara fama.
Fin dal 17 giugno, una fregata
genovese, salpata da San Remo, sbarcava a Ventimiglia per intimarne
la resa.
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Il 13 giugno, veniva emanata la
sentenza sui fatti della rivolta di Pentecoste. Scomuniche per
tutti.
In luglio, otto ventimigliesi
vennero tenuti nelle carceri ducali di Nizza, per rappresaglia ad un
presunto debito di 71.028 fiorini da parte della comunità
ventimigliese verso il Savoia.
In agosto i genovesi, ottenuti
soccorsi dagli spagnoli ripresero tutte le terre del Ponente e si
apprestarono a richiedere Ventimiglia che ottennero dopo lunghe
trattative, durate fino al 14 settembre, per la città ed al 21 per
la Rocca.
Attraverso la mediazione del
vescovo Gandolfo, che aveva la Diocesi divisa tra la Repubblica ed i
Savoia, i genovesi speravano in una pace.
L’11 ottobre, il Commissario
delle Armi, Benedetto Spinola, scriveva al Senato genovese:
«Domattina comincerò a tirare il fiume accanto la Città, che sarà di
molto giovamento».
Il 6 novembre, G.B. Aprosio,
ricco commerciante, supplicava il Senato genovese per la liberazione
degli otto ostaggi del Savoia, a Nizza.
In febbraio, gelata degli
agrumeti.
Il commissario Ottavio Maria
Doria veniva a restaurare il Forte del Colle.
Con l’intervento del
principe di Monaco, il vescovo Promontorio consacrava la chiesa
parrocchiale di Mentone.
Il commissario Pietro Paolo
Restori lamentava, verso Genova, la necessità di riparare il Forte.
Il commissario Francesco Ottone
avvicendava il discusso Giuseppe Felice Carbonara.
Genova inviava il commissario Domenico Invrea con un
buon numero di granatieri còrsi a proteggere e restaurare il Forte
del Colle.
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VENTIMIGLIA
IMPORTANTE PIAZZAFORTE DIFENSIVA
SULLE
COSTE TIRRENICHE DEL REGNO SARDO
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A Torino, si decideva di potenziare le fortificazioni
della piazzaforte ventimigliese, in funzione antifrancese.
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Il 18 aprile, Onorato V° di Monaco ripristinava il
Comitato per la coltivazione dei limoni, che resterà in vigore fino
al 1848.
Nei primi giorni di ottobre, giungeva in città, da Nizza, il
luogotenente del Genio Camillo Benso, conte di Cavour, per dirigere
i lavori nel Forte San Paolo.
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Il frate
Pianavia di Taggia, incolpato d’omicidio, cercò asilo nel convento
dei Minori osservanti dell’Annunciata, che venne circondato per un
mese dai carabinieri.
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Il 9 novembre, un terribile
terremoto sconvolse la Liguria.
Il 25 febbraio, Camillo
Cavour lasciava Ventimiglia, per Exilles, eppoi Leseilon, presso
Modane, con il medesimo incarico.
Il giorno 11 d’aprile, alle sei pomeridiane, il re
Carlo Alberto giungeva nella nostra città, allo scopo principale di
visitare le opere militari appena costruite.
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Il comando di Forte San Paolo era affidato al nobile
colonnello Giovanni Di Negro, che seguirà i lavori di armamento
delle fortificazioni.
Il re Carlo Alberto nominava Governatore della
piazzaforte di Ventimiglia il maggiore generale Carlo Pochettini di
Serravalle.
Il Comandante del Forte era il maggiore Rho di Tornielli.
Il 12 gennaio, nella terra
del vescovo a Nervia, era scoperto il mosaico rappresentante le
Quattro Stagioni. Il 16 aprile, l’Intendente generale La Marmora era
in visita al vescovo Biale.
Comandante del Forte era il maggiore d’artiglieria Luigi
Scagnelli.
In febbraio, il deputato Biancheri dibatteva contro
l’invio di truppe in Crimea. In settembre si festeggerà la presa di
Sebastopoli.
La piazzaforte era comandata dal
maggiore artigliere Pietro Lurago.
Il 21 gennaio, alle 11, il conte di Cavour, accompagnato dal
commendator Rattazzi, visitava i lavori per la Strada Traversa.
Il 29 gennaio, alle ore 4,10, da Nizza giungeva il re
Vittorio Emanuele II°, ricevuto dal Comandante del Forte Pietro
Lurago e dal sindaco Giobatta Amalberti.
Il 9 settembre, alle ore 10, giungevano in città, in viaggio
di studio, i principi Umberto ed Amedeo di Savoia, che andarono ad
alloggiare alla Ridotta dell’Annunziata.
Il giorno 10, alle ore sette, i principi partirono per
Mentone, diretti a Nizza.
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Il maggiore d’artiglieria Ferrione assumeva il
comando del Forte. Veniva messa in cantiere la strada carreggiabile
consortile della valle Nervia, caldeggiata da Giobatta Biancheri.
Il Forte era sotto la reggenza del capitano Lachantain.
Al comando del Forte giungeva il maggiore Griffi.
Giungeva il maggiore d’artiglieria Paoli, quale
comandante del Forte, in attesa della demolizione.
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Il 18 dicembre, si dava inizio, con la dinamite alla demolizione del
Forte San Paolo.
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VENTIMIGLIA LIBERATA DAI VINCOLI DI
PIAZZAFORTE DIFENSIVA DI COSTA
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Il 29 febbraio ispezione allo smantellamento del
forte.
Il primo giugno, era istituito il Tiro a Segno
Nazionale.
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In maggio, si erano avuti parecchi casi di vaiolo,
con qualche decesso. Veniva allestito a lazzaretto il ricovero nella
fortezza superiore San Paolo.
Il 22 marzo, veniva effettuata la Prima Corsa
motociclistica internazionale, in salita; sulle pendici di Forte San
Paolo, lungo un percorso misto di 1200 metri.
Il 22 settembre, cannonate
sul Forte San Paolo, a Roverino e Siestro, in centro e sulla
Stazione. Minata l’Aurelia, dopo la Rocca.
Il 25 e il 26 settembre,
bombardamento navale sulla Stazione e sul Forte, con alcune vittime
e numerosi feriti. Fatta brillare la galleria ferroviaria al Murru
Russu. Colpi di mortaio su Bellenda in fiamme.
L’11 ottobre, presi di mira
stazione e cavalcavia. Il 12 ed il 13 un potente acquazzone ha
interrotto le azioni militari, riprese la sera del 13, sulla
stazione ed il Forte.
Il 21 ottobre, continuavano gli
sfollamenti delle frazioni di Ponente. In serata, cannonate su
Peidaigo, Forte, Ville e Stazione.
Il giorno 11 d’un giugno
caldissimo, su Bellenda e Granmondo venivano esumati molti cadaveri
sepolti sommariamente. Trovati nove cadaveri nel Forte San Paolo.
Nel Secolo Decimosettimo la giurisdizione del Comune ventimigliese comprendeva gli ampi territori, con Airole, in Val Roia e tutta la bassa Val Nervia. Confinava a levante col comune di San Römu, a nord coi comuni di Dolceacqua e Penna, a ponente col torrente Garavano, alle porte di Mentone. Importante supporto al Comune erano le Otto Ville: Camporosso, San Biagio, Vallecrosia, Sasso, Vallebona, Borghetto, Soldano e Bordighera, che fornivano un terzo dei rappresentanti del Parlamento ed un terzo dei Sindaci. Queste erano amministrate da due Consoli nominati dal Comune e dovevano partecipare ad ogni sorta di gravame amministrativo, traendo scarsi benefici locali. Gli incarichi d’onore e gli uffici amministrativi venivano conferiti ai soli ventimigliesi: il Priore del Consiglio, il Governatore dell’Ospedale, l’Ufficio d’Annona, Ufficiali di Milizia, Maestri Razionali, Tesoriere, erano cavati dall’ordine dei Magnifici, per prepotente consuetudine. A causa dell’elevato costo per il sostentamento del presidio militare, la Repubblica pensò seriamente a smantellare le difese al Forte del Colle. L’intera cittadinanza, come i commissari inviati dalla Repubblica, in considerazione del ruolo strategico della città, avversarono il paventato smantellamento del Forte; destinando un nutrito gruppo di guarnigioni per il Ponente ligure. A Ventimiglia vennero distaccate trentadue compagnie per un totale di 2.795 uomini.
Questi impiegò tre giorni per conquistare Penna, quindi conquistò, senza problemi quasi tutto il Ponente, il 13 maggio era ad Albenga, il 15 attaccava con impeto Oneglia e la occupava, entrando in Porto Maurizio il 17 maggio, ossequiato da una delegazione di San Remo, dalla quale ottenne una galera armata da spedire davanti a Ventimiglia per chiederne la resa. Il mattino del giorno 19 entrava trionfante in San Remo.
Antonio Viale, milite delle Ville, in quei fatti d’arme, impadronitosi di Porta Canarda la difese da ottanta soldati del duca di Savoia, ponendoli in ritirata, dopo averne uccisi alcuni e feriti sette.
La relazione sulla priorità dei percorsi nella possibilità di attacco vedeva la Porta di San Francesco quale punto di sfondamento. La strada della Fontana di Peglia era indicata come strada di accerchiamento. Porta Canarda veniva giudicata resistente, ma facilmente superabile attraverso Sealza e Sant’Antonio, oltre dalla strada di Forte del Colle, dalle Ville. Altro passo sguarnito era quello di Olivetta, seguito dallo Stafurco. La fortezza di Penna era superabile attraverso Saorgio o Briga, su Pigna e Dolceacqua. Altra direttrice poteva essere Perinaldo - Apricale - Camporosso.
L’ex parroco era incarcerato nel Forte per essersi ostinato a non versare nella mensa vescovile le Decime Annuarie, oltre ad aver provocato i canonici a seguire il suo esempio.
Veniva inoltre costruita o rinforzata la torre posta sul promontorio della Mortola, oggi inglobata in Villa Hanbury; che nel sistema di avvistamento corsaro era conseguente a quella di Balzi Rossi, dava inizio alla sequenza: Porta Canarda, Castel d’Appio ed era in vista col Torrione e Bordighera.
Uno dei pochi corpus organici di documenti della Ventimiglia medioevale, editi nel 1985, a cura di Laura Balletto, gli atti dell’Amandolesio, rogati dal 1256 al 1264, ci danno della città medioevale un ritratto, anche diverso da quello dipinto dal Rossi, che pure li aveva consultati. Il notaio ci parla di una “carreria Merçaria”, chiamata qualche volta “carrubio”, comprendente l’attuale via Giudici, con funzioni di mercato all’ingrosso. In quegli anni, i genovesi rinnovavano il vecchio castello dei Conti, situato sulla Colla, il “castro Collis”. Nei pressi del castello, lungo la cinta muraria di mezzogiorno risultava una porta, chiamate “della Colla”, anteriore di quella cinquecentesca che, nell’ottocento, sarà chiamata Porta Nuova. Davanti alla cattedrale di Santa Maria, esisteva una “apotheca” d’un imprecisato “domini”. Una chiesa dedicata a san Giovanni, risulta presente anteriormente all’oratorio costruito nel XVI secolo., potrebbe trattarsi del Battistero, aperto al culto. I Curlo possedevano una torre fortificata nel quartiere di Piazza. Ci precisa il numero ed i siti dei fortilizi, con il numero dei soldati presenti, i materiali e le armi, estrapolando una dettagliata descrizione delle balestre in attività. Apprendiamo cosi, del “castro Roche”, del “castro Colla”, che era stato Castelvecchio, per diventare in seguito Forte San Paolo; del “castro Apii”, nei pressi della Magliocca. Ogni anno, per la festa di san Michele, i Sindaci di Penna dovevano presentare, al Priore del Consiglio di Ventimiglia, una lira di Genova, in una borsa di cuoio nuova.
L’indipendenza ventimigliese era finita, svaniva la speranza di costituirsi un’autonoma potenza marittima. L’atteggiamento tenuto dai De Giudici, tradizionali nemici dei Curlo, accentuava la rivalità fra le fazioni cittadine. La città era prostrata. Il fiume deviato lontano dalle mura, comprometteva il porto canale, che era stato interrato. La resa comportava lo smantellamento delle mura verso oriente e la costruzione, da parte dei genovesi di due nuclei fortificati, sui rilievi sovrastanti l’abitato. Uno era il potenziamento di Castel d’Appio, l’antica fortezza romana, occupata da Genova nel 1158, per la inaccessibilità del luogo, che controllava l’accesso dalla Francia, spaziando ampiamente su tutto il litorale verso oriente. L’altro era il potenziamento del Castelvecchio, che i genovesi avevano edificato nel 1141, allo scopo di dominare il centro abitato ventimigliese dall’alto. Le nuove strutture presero il nome di Castel del Colle, definendo sul territorio quello che nel XIX secolo verrà nominato Forte San Paolo. La fortezza naturale de La Penna svolgeva il ruolo di controllo sul territorio Intemelio, nelle vie di comunicazione verso il Piemonte. Ad occidente veniva creato un premurale con il primitivo nucleo di Porta Canarda, in località Calandre, zona impervia e di difficile accesso, la stessa porta verrà sopraelevata e rinforzata nel corso del Cinque-Seicento. Mentre da oriente, si entrava in città da Port’Asse, demolita nel 1972, ricavata nell’antemurale, che partendo dal castello di Portiola, alla foce del Nervia si inerpicava sul colle soprastante, detto Mauře. Queste mura, costruite a protezione della città nuova, eretta temporaneamente dai genovesi in località Bastida, che sarà il nucleo primitivo del Sestiere di Sant’Agostino, il Cuventu.
I genovesi edificarono un nuovo castello, presso quello appartenuto alla famiglia comitale, costruito attorno al secolo XII, poco più a meridione, affacciato al poggio del Capo. Questo nuovo Castrun Rochae, con il Castrum Collis ed il Castrum Apii, erano i capisaldi del sistema difensivo genovese nella zona; sostenuti a settentrione dal Castrum Pennae. I castelli vennero costruiti dai genovesi in poco tempo, come dice questo annale genovese dell’epoca:...quorum unum fieri fecit in Apio, et alterum in superiori parte civitatis in arce; opus quorum inceptum fuit in hoc anno, et in sequenti mirabili providentia ac laudabili probitate expletum. Pro constructione quorum terram et domos tunc ibi residentes et spatium iuxta castra ipsa relictum comune Ianue, prout ex pacto promissum fuit, de proprio comparavit.
Le casupole provvisorie costruite nella Bastida durante l’assedio alla città di Ventimiglia rimasero popolate dai fuoriusciti che divennero proprietari del sito, conosciuto come Bastida. Gli appezzamenti terrieri ricavati nelle zone bonificate dal forzato allagamento strategico a Levante dei rio Resentello, in zona Cabane, vennero concesse ai fuoriiusciti ed ai militi genovesi che meglio operarono durante l’assedio.
Oltre a Raimondo De Giudici ed al vescovo, erano presenti Raimondo Priore, Ottobono Maroso, Pietro Curlo, Saonese ed il conte Guglielmo II. Certamente era presente anche il vescovo Guglielmo che fu testimone del memorando assedio e la sua autorevole parola valse, senza dubbio, a rendere meno gravose le condizioni della resa, cui egli assistette, anche se su quel documento si legge la firma del vescovo Guido.
Dopo l’occupazione del 1140, i genovesi consolidavano la loro presenza con l’erezione di una fortezza detta Castel d’Appio, sui resti di un castellaro d’epoca preromana. Anche la costruzione di un primo nucleo del Castelvecchio, che sarà Forte del Colle, sull’altura a cavaliere della città è del periodo; come lo è il bastione di Porta Canarda, ad esclusione della struttura successiva della torre, costruita superiormente nel 1221.
Nel primo tratto, la strada per Tenda si dipartiva dalla Porta della Colletta, costeggiava la “Fonte di Peglia”, proseguiva per “Ripa Santo Stefano”, poi regione Maneira, per giungere al guado del Bevera, sempre sulla riva destra della Roia. Attraversato poi l’agglomerato urbano di Bevera, presso San Rocco risaliva il costone di Monte Pozzo, giungendo all’abitato di Varaxe, dove vegliava la Grangia lerinense, confinante con la chiesa di Santa Maria. Da quel punto risaliva il crinale dello stesso Monte Pozzo, fino al Passo dello Strafurcu, per poi giungere alla Collabassa e seguendo in crinale il corso del Bevera toccava la Torre ed il Pilone, conosciuti poi come Olivetta, per raggiungere il valico del Braus, da dove poteva calare su Sospello, verso la Francia, oppure verso la Giandola di Breglio, sul cammino per il colle di Tenda ed il Piemonte.
Negli Annali genovesi, il Caffaro concede notizia dell’assedio, con studiata brevità. Mentre sappiamo da un cronista lombardo che la resistenza, guidata da Conte Oberto, era stata accanita. Sappiamo anche che nell’operazione i marchesi Del Vasto di Savona si erano impegnati con duemila militi, per ottenere in cambio, in caso di vittoria, le terre che i Conti ventimigliesi, possedevano dall’Armea al Finale. Al Comune genovese sarebbe andata tutta la Contea ventimigliese. In quegli anni il Libero Comune locale poneva mano all’ampliamento della cinta muraria, della quale resta, significativo avanzo, nella porta del Ciousu, che includeva, soltanto allora, la chiesa di san Michele all’interno del perimetro difensivo. Purtroppo la scarsità delle fonti locali, sui fatti storici antecedenti il grave incendio degli archivi comunali, appiccato dal Conestabile di Borbone, nel 1526, costringe ad utilizzare, quasi esclusivamente la storiografia genovese, che per ovvi motivi, pecca di parzialità, tacendo o esagerando determinati episodi. Risulta comunque evidente la paziente e tenace azione di Genova contro Ventimiglia, avviata proprio agli albori del XII secolo.
Il Comune pose mano all’ampliamento della cinta muraria, con particolare attenzione per quei tratti scoscesi e fortemente irregolari. Di questa costina muraria, rimpiazzata poi dalle mura cinquecentesche genovesi, restano tratti nel Ciousu, mostranti come la chiesa di San Michele fosse ormai all’interno del perimetro difensivo, come lo era l’abitato di età gotica, sul promontorio della Rocchetta. I resti evidenziano strutture murarie in pietra squadrata, poste persino a contenimento di terrapieni, alla base del colle; dove si notano un torrione semicircolare ed un arco a tutto sesto. Altre tracce sono presenti nella Porta Marina, che consentiva l’accesso al ricovero portuale , mentre in seguito sarà tramite con il borgo marinaro, venutosi a creare attorno alla chiesa di San Nicolò.
Dopo aspre lotte tra le fazioni cittadine, il Libero Comune
genovese otteneva di esautorare l’imperio dei Conti di Ventimiglia,
facendoli giurare la Compagna comunale genovese.
In agosto, Ventimiglia era improvvisamente stretta d’assedio.
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Gli abitanti di San Römu aiutarono i genovesi contro
Ventimiglia, chiedendo per premio le reliquie di Sant’Ampelio, che
vennero portate nella Chiesa di Santo Stefano, officiata dai Benedettini
genovesi.
Ventimiglia è stata vinta e sottomessa, ma continuava ad amministrarsi
come un Comune, con le sue otto Ville, collaborando col Comune genovese.
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Nell’allargamento delle mura verso Tramontana, l’apertura
della Porta della Colletta, che raccoglieva il traffico della Carraria
di Mezzaria, ossia Via Piemonte, tracciava un nuovo percorso iniziale
della strada che portava a Tenda, escludendo il tracciato di crinale
verso Castel d’Appio.
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Passando per Ventimiglia un
nunzio imperiale, disapprovava la costruzione del castello genovese ed
istigava i cittadini a raderlo al suolo, rivendicando le libertà che
Genova otteneva di soffocare, subito dopo, inviando una ambasceria al
Barbarossa.
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Armata una cetèa ed eluso il blocco i ventimigliesi superarono
Genova, per chiedere soccorsi, ma una galea di Porto Venere, al soldo
genovese, catturò i nostri a Corneto, trasferendoli a Genova.
Il 19 agosto, nel fossato davanti alle mura, i ventimigliesi
domandavano la pace, a Sorleone Pepe.
Il vescovo, i De Giudici ed altri notabili si recarono a
Genova, a declinare la resa.
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VENTIMIGLIA
CAPITANEATO GENOVESE
In agosto, potrebbe essere deceduto il vescovo Guido, che
dopo aver firmato l’atto di resa ventimigliese, in Genova, non si sente
più nominare.
L’8 settembre la città esausta, apriva le porte al podestà
genovese Spino da Soresina, che entrava in Ventimiglia, dove nominava
podestà Sorleone Pepe, con incarico di abbattere le mura della nuova
città, alla Bastida ed abitare le casupole del sito conosciuto come
Cabane.
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Il podestà nominava comandante del forte della Rocca i
nobili Marino da Bolgaro e Guglielmo da Savignone, con cento uomini di
presidio. A Castel d’Appio, nominava Ugolino Boccuccio ed Ottone della
Murta, con altri cento uomini nel forte di Piazza, che fino ad allora
era stato la dimora dei conti ventimigliesi.
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Il conte Bonifacio, figlio di Emanuele, partigiano genovese,
vendeva metà del luogo di Dolceacqua e si ritirava in Provenza dove sarà
stipite dei conti di Verdiére.
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Il 10 dicembre, il notaio
del Sacro Impero: Giovanni de Amandolesio, cominciava ad operare in
città.
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Il 20 marzo, dopo aver provveduto a restaurare e
rimodernare le fortezze e la cinta muraria, la Repubblica inviava le
istruzioni per i Castellani comandati.
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I Commissari della
Repubblica, Giorgio Centurione e Paolo Doria, giudicavano la piazzaforte
di Ventimiglia: “frontiera et chiave dello Stato nella parte
occidentale”.
Il 28 marzo, al Forte del Colle,
don Ascanio Aprosio, ex prevosto della Cattedrale, ivi incarcerato,
riconsegnava un’ostia consacrata che conservava indosso quale amuleto,
al confessore, fra Paolo da Camogli, cappellano delle truppe corse di
stanza in città.
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Il diacono Fenoglio,
nottetempo, con arma alla mano, faceva irruzione in casa di una
“damigella di grande virtù”, procurandosi la condanna al carcere,
scontata nel Forte del Colle.
La Repubblica di Genova ammassava
truppe a Camporosso, temendo un attacco da parte di Carlo Emanuele I di
Savoia, in seguito al Convegno di Susa.
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Carlo Emanuele I° di
Savoia, figlio del duca Emanuele Filiberto, preso a pretesto il possesso
del marchesato di Zuccarello, negatogli da Genova, confederatosi col Re
di Francia e con Venezia, s’avventava contro questa capitale, che
sprovvista di armi, decise di difendere il solo centro cittadino,
prosciogliendo i sudditi della Riviera, ad eccezione di quelli di
Ventimiglia.
Il 13 aprile, da Sospello, in
disaccordo col conestabile di Francia Lesdighiéres, il Savoia mandò
Vittorio, Principe di Piemonte, ad assalire la Riviera.
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Intanto a
Ventimiglia i genovesi ed i ventimigliesi si organizzavano alla
difesa, raccogliendo gli ottocento militi delle Ville, con i
centoquaranta armati del presidio.
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Il vescovo Francesco Gandolfo
aveva chiamato Galeazzo Giustiniani che era sopraggiunto con tre
galee, ma invece di incoraggiare la difesa, manovrò in segreto per
portare fuori le artiglierie rimaste sugli spalti giudicati
indifendibili.
Aiscì u Ciòussu u l’eira u recantu de tüti , fina a Pulissia a
l’àva puira d’andàghe ... a cheli tempi.
Ma int’a Prima nu gh’éira ün de nui ch’u nu’ fusse andau aumenu
in pa’ de voute au Forte.
Lasciü, au San Paulu, s’arrampegavimu atacai ae ginestre e ai
ruvei e se infiřàvimu int’u curridù ch’u portava int’e stansie.
Andaghe l’éira dificile e brütu, perché, dopu u curridù, gh’éira
ina specie de stànsia runda cun séte sgarbi, cumpresu chelu pe’
intrà e sciorte, paréschi a tüti i autri. Cuscì, ghe lasciavimu
u segnale de passagiu, pe’ nu’ sbagliàsse. Da ‘si sgarbi
s’arrivava inte sei stansie, ch’i l’àva de feritoie da duve i
surdati i sparava.
Dau Forte se n’andavimu au Caster d’Apiu a ve’ u pùssu d’u
castelu derrucàu, e a lanssàghe i bàussi drente; i ciü grandi i
gh’andava fina a fa’ l’amù. Pöi, da San Lurensu, carravimu ae
Vile e a Porta Canarda e , d’â Cola se ne riturnavimu a San
Giüsepe a fa’u bagnu.
Beli tempi d’a zuventüra ch’i nu’ riturna ciü.
LA VOCE INTEMELIA anno XXXV n. 7 -
luglio 1980
Regordi ventemigliusi
A Margunàira, u Ciòussu, u Forte
San Paulu
d’u Françesun
E chi l’é che s’é scurdau a Schina d’àse
e a Margunaira ? Da figliöi, d’estàe, gh’andavimu tüti i
giurni e, de voute, aiscì int’a Prima, candu u tempu u nu’l’éira
abelinau cume avura.
Ghe favimu e ciumbe e ghe çercavimu e patéle. Pöi, parlandu d’a
Marina: de strade nuì ghe n’éira e sentei mancu, e alura passandu da
a galeria d’a ferruvia, (che avura i a ciama "d'a Galardi", andavimu
a bagnàsse ae Calandre, duve gh’éira l’arena e se purreva caminà
aiscì çentu metri , avanti de trüvàsse cun l’àiga â guřa.
M’arregordu d’u poveru laità, chelu ch’u l’àva e stàle suta u caselu
a Peglia, avanti d’a galeria: Batistin, ch'u se gh’é anegau.
Canti ani i sun passài ... e cante n’àmu viste dapöi !
M’arregordu aiscì a Scařa Santa, che a favimu da San Miché cume i
cravei, e pöi dai bastiui d’a strada de Bevera, favimu fa' e mate ae
müře, cun de baussàe, che ghe tiravimu da lasciü.
E chi s’arregorda chela ca’ derrucà ch’a l’éira int’a ciàssa davanti
â caserma d’a finànsa e de lì gh’éira u passagiu ch’u l’andàva in
via Biancheri.
un “troglio” di chiappa murato per il salsedine quasi vuoto; un secchio di polvere umida e passata; tenaglie consunte ed inservibili; forme da fare palle n. 31, cioè: tre da smeriglio, tre da archibugio e le altre da moschetto e da spingardo.
L’elenco continua; nulla di utile o di ricuperabile: “veroggi, maneglie di ferro, mortari di marmo, una serra inservibile, forcine da moschetto marce; un barile da salnitro vuoto, alcuni accendini per bombarda rotti, Cavalletti da spingarda e da moschetto inservibili, mazze di legno senza manico, alcune rotte, n. 3 bilance rugginose e prive di piatto.
Non meno efficienti gli “ornati militari e le robe di casermaggio:
n. 3 armature petto e spalla; un armario in legno con due elmi da parata
n. 43 coperte vecchie e di nessun valore; quattro brandiole per la notte;
n. 5 tela da branda e altrettante catinelle.
Da un nutrito elenco si evince che alla fortezza vi era un forno per la cottura del pane: “Una porta per il forno vecchia: tre tavole per la paniicazione e la conservazione; una madia, rotta, da pane e altra con poca farina, che emana un cattivo odore perché vecchia”.
Che dire della Cappella? “Una pietra sacrata di rispetto; otto tovaglie per altare; tre paramenti, bianco, rosso e nero; tre camici; tre tele turchine per coprire l’altare; una Croce di legno, una pace in legno; quattro candelieri e quattro vasi con i suoi fiori, un baldacchino di cuoio, vecchio, n. 3 messali rotti e sfogliati”.
Una nota aggiuntiva conferma che il Cappellano, nominato da Genova, “poche fiate si porta alla fortezza”.
L’elenco non lascia di menzionare e descrivere della prigione: “Un locale di metri 3x5, la sua finestra, tre pancali, una finestrella ferriata, e, lungo il muro, anelli con sua catena”.
E l’inventario si snoda particolareggiato per 272 oggetti. Una fonte di notizie per la storia dell’abbandonato “Forte San Paolo”.
Una visita al Forte, nell'anno 1684
I resti del fortilizio, denominato San Paolo per la cappella dedicata all’Apostolo delle genti, massiccio, di un grigio umido, ricorda attraverso i pochi e vecchi documenti, che un tempo per la sua presenza, la sottostante Città fu ossequiente ai voleri di Genova. Bordighera vi si oppose invano; i villaggi delle Valli promisero alleanza.
Più che la forza giovò il timore; al numero dei militari fece spalla la maestosità del costrutto.
La nostra ispezione, cartacea, inizia nell’anno 1684, tempo in cui il Senato della Repubblica di Genova, per tacitare strane dicerie e accuse contro il Commissario Giuseppe Felice Carbonara, decretò a nuovo commissario il nobile Francesco Ottone e fu aumentato il numero dei soldati corsi, in numero di tre.
Per legge il passaggio dei poteri e delle “robe proprie al Forte” doveva essere redatto da un notaio genovese. Fatto nel giugno 1684, letto e sottofirmato dall’accettante e dai testi presenti, l’inventario venne steso in sei copie. Una copia numerata “la quarta”, giunse al vescovo Francesco Promontorio, che, letto ed approvato per quanto riguardava le suppellettili proprie alla Cappella, ordinò che l’inventario venisse posto in “Criminalia”. Col tempo sarebbe stato di grande utilità.
Sono sette grandi e corposi fogli, di stesura ammirevole, di scrupolosa enumerazione di ogni oggetto. Scorsi per sommi capi, sono conferma, come al tempo, il Forte san Paolo, altro non era che un massiccio costrutto, atto ad incutere sottomissione. Un commissario, un bombardiere, un cappellano e otto soldati corsi erano la forza attiva nell’anno 1684.
Si legge: “al tempo della consegna spaziosi erano le sale, ma erano un ripostiglio di mille cose, poche efficienti e in disuso molte. Non sempre i soldati, in forza, erano presenti”.
Alcune elencazioni ne sono la conferma. Visitiamo la santa Barbara: alabarde 27 di cui solo tre in buono stato; numero 14 altre alabarde senza aste; 332 palle da cannone inservibili perché di altro calibro; 138 munizioni da Falcone rotte;
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Il Cunicolo Annunziata - San Paolo
di Luigino Maccario
Se Ventimiglia avesse un minimo di velleità per candidarsi al richiamo turistico, il ripristino di quel che resta del Forte San Paolo, oggi concesso impropriamente all’uso di privati, porterebbe alla realizzazione di un fantastico belvedere, quale contenitore di forme di cultura, valorizzando una zona oggigiorno assai degradata.
La Ridotta dell’Annunziata svolge già oggi, il ruolo di contenitore culturale panoramico, quindi, il collegamento sotterraneo tra la Ridotta e il Forte verrebbe a costituire un richiamo d’avventura non indifferente, per il quale molte persone sarebbero disposte a visitare la città.
La costruzione di cunicoli sotterranei fra fortilizi adiacenti era assai in voga nel 1827, quando i colonnelli sabaudi Malaussena e Podestà studiarono di predisporre il complesso conventuale dei Minori Osservanti in Ridotta militare, collegandola appunto coi lavori di ripristino del Forte, condotti dal capitano Salin e da Camillo Benso di Cavour, giovane luogotenente del Genio piemontese.
Nel 2002, l’architetto Sabina Viale ha condotto un dettagliato rilievo dell’Annunziata, elaborando una serie di prospetti grafici di buona fattura e di grande utilità, esposti in bella vista nella Sala Azaretti, del Civico Museo Rossi.
Dalla sezione del rilievo mezzano N-S si ricava chiaramente la posizione del cunicolo, deducendo persino il punto di frana, sotto il centro di via Verdi, rivolto al lato mare della strada.
Quando si racconta in pubblico come il Forte San Paolo fosse collegato da un cunicolo sotterraneo, in ripida discesa, alla Ridotta dell’Annunziata, si assiste a reazioni di velata incredulità; ma il cunicolo è esistito realmente e ha funzionato fino al 1946, quando venne sbarrato per motivi di sicurezza.
Da quel tempo è stato percorso, non senza difficoltà, da qualche avventuroso incosciente, fino agli Anni Ottanta, quando i lavori di scavo per la posa in opera del cablaggio internazionale in fibra di vetro, passando lungo via Verdi, davanti all’Annunziata, hanno fatto franare il cunicolo ostruendolo definitivamente.
Terrazza
Frana
Þ