Il 10
giugno 1940, toccava a Ventimiglia il triste privilegio di essere la
prima città del territorio metropolitano a subire la furia della seconda
guerra mondiale. Fu infatti in quel mese, all’atto della dichiarazione
di guerra, che la nostra città venne a trovarsi in posizione di
avamposto e ricevette, prima fra tutte le città d’Italia, quello che –
in gergo militare – viene definito il “battesimo del fuoco”.
Lungo la linea di un fronte di oltre trecento chilometri, che si
estendeva su impervie montagne dal Monte Bianco al mare; dove si
fronteggiavano il
Gruppo Armate Ovest
e l’Armée des Alpes.
Ventimiglia era - da parte italiana - l’unico agglomerato urbano di una
certa importanza e rappresentava, al tempo stesso, il punto più a sud di
tutto il fronte occidentale.
Esula dagli intendimenti di questa breve nota rievocare l’analisi della
dinamica storica e politica, del resto ben nota, che portò alla
dichiarazione di guerra alla Francia, anzi il resoconto sarà dedicato
alla cronistoria di quei giorni e riguarderà esclusivamente la zona
intemelia che, nella suddivisione operata dagli uffici dello Stato
Maggiore, era denominata “Settore
Bassa Roia”.
Nei giorni precedenti il giugno 1940, a Ponte San Luigi e al posto di
controllo della Stazione Ferroviaria di Ventimiglia, si attuarono – da
ambo le parti –misure restrittive del transito viaggiatori, tanto che la
frontiera poteva considerarsi chiusa.
Sono giorni di angoscia per gli abitanti della zona intemelia e del
Dipartimento delle Alpi Marittime dove, fra l’altro, molte famiglie
hanno congiunti al di là o al di qua della linea di confine.
In tutti è ormai sceso un senso di fatalistica rassegnazione: si sa che
è ormai questione di giorni, o forse di ore. A Mentone è già in atto
l’evacuazione dei civili, qualsiasi momento potrebbe essere quello
decisivo: poi il funesto lunedì 10 giugno che finisce per cogliere tutti
di sorpresa.
Nella notte e nei giorni immediatamente successivi si svolge, piuttosto
caoticamente, lo sfollamento degli abitanti di Ventimiglia, delle sue
numerose frazioni, dei paesi nelle Valli Roia, Nervia e Verbone. Gran
parte delle popolazioni verranno trasportate con treni straordinari,
nella Lomellina, in provincia di Pavia.
Ne meraviglia il fatto che la evacuazione potesse svolgersi a guerra
dichiarata perché – come si vedrà – per un periodo di undici giorni si
trattò di una guerra dichiarata, ma non guerreggiata.
LE
FORZE IN CAMPO
Dopo le esplosioni con qui, nella notte fra il 10 e l’11 giugno, i
francesi avevano fatto brillare alcune opere stradali e ferroviarie in
Val Roia e nel mentonasco, un lugubre silenzio era sceso su tutta la
zona verso la quale, frattanto, affluivano truppe e materiale bellico.
Fu quella che i francesi definirono la “drôle
de guerre”
la strana guerra in cui entrambi gli eserciti che si fronteggiavano in
armi, avevano ricevuto l’ordine di limitarsi a rispondere agli attacchi
avversari.
Sembra addirittura che – qualche mese prima dell’inizio del conflitto –
una Commissione francese avesse fatto otturare la parte superiore delle
feritoie del forte di Cap Martin, in modo che le bocche da fuoco
potessero disporre di un alzo utile a colpire il nemico soltanto
nell’eventualità che esso fosse penetrato in territorio francese.
Quale era la consistenza e la disposizione delle opposte forze in campo
fra Ventimiglia e Mentone ? Da parte francese esisteva lungo il
confine, fra il Col
di Cuore
e il mare, una linea di avamposti (muniti di cannoni leggeri e
mitragliatrici) nelle località
Scuvion,
Pierre Pointue,
Chapelle Saint
Bernard,
Colletta Collet de
Pillon
e Pont St. Louis.
Dinnanzi a questa linea di avamposti, e negli intervalli, erano
scaglionate sei piccole unità di sorveglianza, le SES (Section
Eclaireurs-Skieur)rispettivamente
del 76mo, 86mo, 96mo BAF (Bataillon
Alpin de Forteresse)
e del 20mo, 25mo, 49mo BCA (Bataillon
Chasseurs Alpin).
Alle spalle lo schieramento era rinforzato dalle unità mobili del 96mo
BAF e dal 1° CIF (Centre
d’Istruction de Forteresse)
e protetto dal formidabile fortilizio di Mont Agel, che rappresentava la
punta di diamante dello SFAM (Secteur
Fortifié des Alpes Maritimes).
Da parte italiana, dal Grammondo al mare, era schiarata la Divisione “Cosseria”,
di cui faceva parte l’89 e il 90 Rgt. Fanteria mentre dal Grammondo al
“Passo Cuore”,
era disposta la Divisione “Modena”,
di cui facevano parte il 41mo e il 42mo Rgt.
Fanteria. Quattro battaglioni di Camicie Nere – il 33mo, l’81mo,
il 34mo e il 36mo – intervallavano i reggimenti di
fanteria. Erano inoltre a disposizione cinque raggruppamenti di
artiglieria.
In seconda schiera, sulla riva destra del Roia, era disposta la
Divisione “Cremona”,
mentre nella zona di Vallecrosia - Bordighera sostava, in attesa di
ordini, la Divisione “Cacciatori
delle Alpi”.
Dallo schieramento della forza in campo risultava una netta superiorità
numerica da parte italiana, dal canto loro, i francesi allineavano
artiglierie certamente superiori per gittata e volume di fuoco,
annidiate in un sistema difensivo praticamente invalicabile, tanto da
essere considerata la “Maginot
Alpina”.
I
COMBATTIMENTI
La tragica messa in scena della guerra dichiarata e non guerreggiata
durerà, salvo alcune scaramucce, dal 10 al 21 giugno, poi viene
impartito l’ordine di attaccare secondo i piani previsti dall’operazione
–R- (Riviera), diretta dalla Caserma Umberto I°, dove aveva sede il
comando del XV° Corpo d’Armata.
L’inizio delle ostilità fu fissato per le ore 9,30 del 22 giugno, ma le
operazioni nel settore “Bassa
Roia”
iniziarono alle 10, preceduto da un intenso fuoco di artiglieria al
quale prese parte notevole il treno armato n. 2, messo a disposizione
della “Cosseria”
dalla Reale Marina.
Il treno – in postazione allo sbocco ovest della galleria di Villa
Hanbury - sparò oltre duecento colpi sulle retrovie francesi e sulle
batterie di Cap Martin, prima di essere scoperto e inquadrato dal tiro
delle artiglierie di Mont Agel. Ciò malgrado, nel primo pomeriggio,
ricevette l’ordine di uscire nuovamente dal tunnel e fu colpito in pieno
da due salve, non prima però che da esso fosse staccato il vagone della
Santa Barbara. Il comandante, Tenente di Vascello Giovanni Ingrao, e
otto dei suoi marinai furono certamente fra i caduti di quel primo
giorno di guerra.
La distruzione del treno armato – che aveva rivelato la efficienza e la
precisione delle batterie francesi – provocò da parte dell’allora Capo
di S.M. Ma.llo Graziani l’ordine, impartito all’aviazione di bombardare
a più riprese le fortificazioni di Mont Agel. Ma l’eccezionale ondata di
maltempo, abbattutosi sulla Riviera, impedì che l’ordine avesse
esecuzione.
I tentativi di attraversare il confine, effettuato dalle truppe
italiane, nella giornata del 22, furono quasi ovunque respinti
dall’accanita resistenza francese. Il piano d’attacco prevedeva anche
l’effettuazione di sbarchi notturni (con base di partenza Capo Mortola)
nel porto di Mentone e nella baia di Roccabruna, ma l’idea venne poi
abbandonata perché le imbarcazioni dei pescatori, requisite sulla
Riviera, non si dimostrarono adeguate a trasportare le improvvisate
truppe da sbarco e, d’altra parte, le pessime condizioni del mare e il
plenilunio rendevano comunque impossibile l’impresa.
Infine all’alba della domenica 23 giugno, sotto una pioggia torrenziale,
quattro colonne varcarono il confine: la 1a e la 2a
(Div. “Modena”)
dal Colle Cuore
e dal Passo Treitore,
la 3a e la 4a (Div.
“Cosseria”)
dal Passo del Porco
– I Colletti.
La guarnigione francese di Ponte San Luigi, che fino a quel momento,
aveva sbarrato la strada di Mentone e che resisterà sino al termine
delle ostilità, venne aggirata da un contingente infiltratosi attraverso
il Passo San Paolo.
Alle operazioni del 23 presero parte ancora due treni armati della
Marina: il n. 1 e il n. 5.
I combattimenti continuarono nella giornata del 24 e si conclusero con
la completa occupazione di Mentone e di alcune piccole zone di
territorio nell’entroterra della città.
Le ostilità, a seguito dell’armistizio di Villa Incisa, firmato lo
stesso giorno alle 19, 15, cessarono alle ore 1,35 del 25 giugno.
La battaglia, nel settore Media e Bassa Val Roia, aveva causato, fra gli
italiani: 155 morti, 709 feriti e 39 dispersi. Nel corrispondente
settore delle Alpi Marittime i francesi registrarono: 7 morti, 10 feriti
e 33 fra prigionieri e dispersi.
DOPO L’ARMISTIZIO
Un ben triste spettacolo si presentava agli occhi degli sfollati che nei
giorni successivi il 25, facevano ritorno alle loro case. La città era
semidistrutta. I negozi chiusi, le serrande sventrate (uno spettacolo
che, in seguito, diventerà consueto), i tetti sfondati dalle granate. I
muri dei palazzi, sforacchiati dalle schegge, apparivano sinistramente
tappezzati da manifesti propagandistici, sui quali era stampata l’effige
di un soldato senegalese con la scritta: “Ecco i difensori della Francia
!” (Per la verità storica, il 24mo RTS “Regiment
Tirraleiurs Senégalais”,
accampato a Roquebrune non fu mai impiegato dai francesi, nelle
operazioni del giugno 1940.
Ma fu soprattutto nelle frazioni, specie quelle di ponente, dove la
guerra lasciò i suoi segni più rovinosi. Molte case erano inabitabili a
causa delle distruzioni; tutte avevano subito danni e saccheggi con la
scomparsa di arredi e suppellettili e la perdita delle provviste di olio
e vino, assai preziose nell’economia familiare del tempo.
Irrimediabilmente perduto,per ogni famiglia, anche il piccolo patrimonio
zootecnico che si era dovuto forzatamente abbandonare al momento della
fuga.
Mancava l’acqua e l’energia elettrica, scarseggiavano i viveri e i
generi di prima necessità. Sulle lettere, in luogo dell’affrancatura, si
scriveva”zona sprovvista di francobolli”. Si viveva alla giornata, in un
clima di provvisorietà incerta, in attesa che la vita, a poco a poco,
riprendesse il suo corso normale, mentre i sinistrati iniziavano le
interminabili pratiche per il risarcimento dei danni di guerra.
A seguito dell’armistizio – che aveva fissato il nuovo confine al
Pont de l’Union
– Ventimiglia dovette abbandonare,per la prima volta dal 1860, il suo
ruolo di città di frontiera e di stazione internazionale, anche se per
andare a Mentone italiana occorreva uno speciale lasciapassare,
rilasciato dal Commissario Civile.
Con la elettrificazione della linea Ventimiglia – Mentone, avvenuta
nell’autunno del 1940, veniva ripristinata la stazione di Latte
(soppressa in base alla convenzione internazionale del 1904) e la
stazione di Garavan prendeva la denominazione di
Garavano-Grimaldi.
Il conflitto italo-francese del 1940 – che aveva duramente colpito la
Zona Intemelia – scavò un solco profondo fra le due nazioni confinanti,
un tempo chiamate le “sorelle latine” e rappresentò l’angoscioso prologo
di una ben più vasta tragedia che avrebbe avuto, negli anni seguenti,
per Ventimiglia e per l’Italia i suoi momenti più amari e sanguinosi.
Il 10 giugno 2010, sano trascorsi settant'anni dalla nefasta entrata in guerra dell'impreparata Italia sabauda e fascista, contro una Francia già impegnata sul fronte nord, per contenere l'invasione nazista. I militari italiani non erano propensi a volgere le armi contro i cugini d'Oltralpe, per qui la guerra dichiarata ha tardato ad essere guerreggiata.
1940