di
Giovanni Giraldi
1982
Nel 1951, si spegneva a Losanna il dottor Sergio Voronoff.
Era nato a Voronez, in Russia, nel 1866. Ventimiglia non può
dimenticarlo, perché è stato suo figlio di adozione e di elezione; e
anche perché, in questi decenni, il valore della sua figura è
notevolmente cresciuto.
Voronoff si era laureato in medicina, ma era emigrato, ancora giovane,
in Francia; partecipò, come medico di un ospedaletto da campo, alla
prima guerra mondiale, nell’esercito francese. In seguito alla
rivoluzione del 1917, la Russia diventò per lui la patria perduta; si
fece cittadino francese. Utilizzando le immense fortune economiche di
cui venne a disporre, si dedicò allo sviluppo di alcune sue intuizioni
scientifiche, delle quali aveva avuto lo spunto dalla conoscenza di
tradizioni popolari orientali: in quale modo combattere
l’invecchiamento, formula che il giornalismo ha subito voltato
nell’altra, errata, di tecniche di ringiovanimento. Oggi siamo in grado
di comprendere esattamente il pensiero e la validità delle intuizioni di
Voronoff, il quale - sia detto qui per inciso (ma vi torneremo tra
breve) - non fu attento solo a questo problema della senescenza.
Gli orientali usavano far bere ai senescenti sostanze, contenenti succhi
estratti dalla macerazione di ghiandole genitali tolte ai giovani o agli
animali. Voronoff comprese che non si poteva lasciare la pratica a
questo stadio magico: da quel chirurgo ed evoluzionista che era, ideò la
pratica dell’innesto. Nei suoi libri, specie ne Les sources de la vie
(1933), racconta che si recò in Algeria, dove apprese dai contadini la
tecnica dell’innesto: e praticò l’innesto di spicchi di ghiandole
sessuali giovani, aprendo in un punto idoneo la ghiandola sessuale di un
individuo sessualmente compromesso; non, dunque, sostituzione di
ghiandole, ma solo inserimento di uno spicchio di ghiandola giovane su
di una ghiandola invecchiata; l’innesto basta a vitalizzare tutta la
ghiandola. Ma qui si ponevano i quesiti detti “di rigetto”: dai
contadini aveva appreso che, nell’atto dell’innesto, la parte ricevente
viene provocata, stimolata, irritata con tagli e punzecchiature; si
stimola una reazione, una emissione di succhi linfatici, una risposta
vitale di difesa; questa attività artificialmente provocata consente di
captare, ed inserire nella funzione totale, anche l’elemento innestato;
analogamente, Voronoff, nell’atto chirurgico di inserimento dello
spicchio ghiandolare, provocava dei piccoli tagli nel tessuto della
ghiandola ricevente, ne provocava una reazione vitalizzante, il che
consentiva l’inserimento efficace dell’innesto, senza rigetto. Una volta
acquisito l’elemento giovanile, la ghiandola funzionava di nuovo e lo
stato di benessere totale dell’individuo diventava visibile entro pochi
mesi.
Ringiovanimento ? Voronoff rifiutava questo vocabolo fuorviante e
neanche si doveva parlare di prolungamento della vita; invece voleva che
si pensasse ad un ritardo dell’invecchiamento, per tutta la durata del
funzionamento della ghiandola innestata; anziché verificarsi un
decadimento fisico costante e continuo durante un decennio (tanto
all’incirca durava l’effetto dell’innesto), per un decennio la
situazione si stabilizzava; l’invecchiamento accadeva poi quasi
improvviso (quello di un decennio) nel giro di qualche mese. Voronoff
allegava esempi, riferiva sulle opposizioni, anche citava i consensi,
che gli venivano particolarmente dal clero francese, in queste cose
sempre il più pronto e il più attento.
Abbiamo accennato alla cresciuta reputazione dell’uomo in questi ultimi
decenni. Voronoff aveva, a suo tempo, sentenziato che il cervello opera
in modo unitario, e che le celebri localizzazioni cerebrali vanno
considerate con molta cautela. Subito fu avversato come un fantasioso,
ma gli fu data piena ragione quando, in seguito ad asportazioni
chirurgiche di interi emisferi cerebrali colpiti da tumore, si constatò
che le funzioni affidate a puntigliose localizzazioni cerebrali erano
rimaste intatte.
Oggi, per ovviare ai fenomeni di senescenza, non si praticano interventi
chirurgici (lo stesso Voronoff li considerava solo marginali), ma si
somministrano estratti ormonali; ed anche questa è una convalida
indiretta delle sue intuizioni.
Ma Voronoff è stato, dallo scrivente, reinserito anche nel mondo dei
pensatori di estetica. A questo settore di ricerca che si era dedicato
un po’ sempre. In un primo momento aveva ritenuto che il genio fosse
condizionato da un prosperoso funzionamento delle ghiandole sessuali; ed
aveva raccolto una casistica per lo meno curiosa ed interessante. Ma,
nel seguito, corresse questa sua teoria così: condizione del genio è il
funzionamento perfettamente equilibrato della ghiandola tiroide. Questa
tesi egli svolse nel suo libro ultimo: Du crétin au genie (1947).
In quest’opera non escludeva, tuttavia, che anche il perfetto
funzionamento delle gonadi avesse la sua parte, ma, anziché nelle
secrezioni ormonali, riponeva nel bagaglio cromosomico genetico elementi
fondamentali del genio.
Queste teorie costituiscono la base di quella che viene chiamata
“estetica fisiologica”, la quale è stata coltivata anche da altri, e i
cui preliminari noi abbiamo rintracciato nientemeno che nella Critica
del giudizio di Kant. (Per tutta la questione rimandiamo al nostro
Dizionario di Estetica).
Questa estetica fisiologica, a nostro giudizio, non è del tutto
soddisfacente; tuttavia essa è immensamente più seria di quella
psicanalitica (che viene rifiutata persino da un freudiano ortodosso
quale è Cesare Musatti); a suo tempo, abbiamo fatto notare al Voronoff
che vi manca il passaggio tra il fenomeno puramente fisiologico e l’atto
spirituale (nel senso hegeliano di spirituale); constatare concomitanze
non basta a stabilire derivazioni; ma abbiamo solo collateralità, la cui
funzione sintetica occorre spiegare altrimenti. Voronoff si sentiva
impreparato a scendere su quest’altro terreno, e ci rispondeva: «Vous
pensez en philosophe; moi je pense en physiologue».
Ma neanche gli altri fisiologi (e meno ancora gli psicologi)
dell’estetica eseguono questo richiesto approfondimento. Se meriti si
vogliono riconoscere alla psicanalisi estetica, di maggiori ne spettano
a quella di Voronoff.
Con Ventimiglia egli ebbe rapporti di simpatia costante; del locale
ospedale era benefattore, e ne sollecitava segmenti ghiandolari per i
suoi innesti; quel castello sul confine di Grimaldi, col giardino che
ospitava non solo scimpanzè e scimmie cinocefale, ma anche varietà
pittoresche di uccelli esotici, costituiva un singolare incontro
culturale; non alludiamo alle personalità che lo frequentavano, come
Meterlink, ma alle riflessioni cui induceva la presenza di quelle
scimmie antropomorfe, di cui anche studiava l’intelligenza (L’amour
et la pensée chez les betes et chex les gens, 1936) e di quei resti
di uomini, alle scimmie ancora tanto simili nella forma, che venivano
studiati nella sottostante zona dei Balzi Rossi.
Sono troppo seducenti le connessioni “scientifiche”; le lasciamo ai
giornalisti; noi ci limitiamo a degustarne solo l’aspetto pittoresco e
sentimentale.
LA
VOCE INTEMELIA
anno XXXVII n. 2 - febbraio 1982
1928 - Pastonchi a pranzo da
Voronoff
Mi rivedo alla tavola di Voronoff nel Castello Grimaldi, là sul
confine tra Italia e Francia presso iI Ponte di San Luigi. Una sala
da pranzo rettangolare, della quale due pareti quasi per intero a
cristalli: l’una guarda la Francia, gli archi del porto di Mentone
ottocenteschi su un liscio mare turchino, con qualche barchetta
quasi messa là da un pittore a far paesaggio, e più su il colle
pettinato di giardini con chiare ville e le fronti spaziose degli
alberghi. L’altra parete vede l’Italia, le quinte dei promontori
prima di Ventimiglia, che mordono l’azzurro un poco brulli e pallidi
d’ulivi.
Cara mia terra che
sembri desolata al paragone della fastosa sorella latina, perché ti
mostri qual sei naturalmente, più nuda, più vera, più bella, più tu,
madre di poesia che nasce in scabre zolle meglio che in oziosi
giardini: tu sola in questo estremo lembo ti sei potuta serbare fida
alla tua anima ligure. (...)
Di fronte ho Diaghilev,
il maestro e conduttore dei famosi balletti russi. Una grossa testa
di vitello gli pesa sul corpo trascuratamente tozzo, ma la fronte
spazia ampia con vento di pensieri: e gli occhi, che se tace paiono
paludosi, quando parla e quasi con uno sforzo spremendo la frase di
tra le labbra tumide, allora subitamente si animano, e, strano,
guardano sempre di là dalla persona a cui egli si rivolge, come a
inseguire le loro visioni colorate.
La conversazione si è
avviata sulla danza. Una voce fievole di laggiù avanza il nome di
Joséphine Baker. Diaghilev scuote la testa:
- Graziosa, graziosa, e
anche tanto buona; ma non si parli di danza. Quale immagine ci
lascia ? Quale sentimento interpreta ? -
- La nostalgia
dell’esilio negro. -
- Una nostalgia
inventata a Parigi - afferma duro Diaghilev.
- lo la vedo danzare -
ribatte un letterato cronista che vive e si nutre a Montecarlo.
- È bastato nominarla,
che ella è presente. Ne sento il profumo. Non so più se Morand o
Giraudoux l’ha chiamata "un gelsomino nero". (...) -
Non so quale incauto
tra, quei variopinti convitati nomina ora Nijinskj, il bellissimo
ballerino russo, furor di Parigi, già allievo e intrinseco di
Diaghilev, toltogli da una donna e quindi impazzito.
La faccia del maestro
impietrisce, mentre gli occhi torbidi cercano a capo della tavola il
giovane segretario, russo anche lui, dal volto assente, il quale
vagamente sorride. Ma due servi negri han portato trionfi di frutta
che, sorprendenti di rarità fuori-stagione, distraggono la
conversazione.
A cancellare l’ultima
orma d’impaccio, Voronoff ora illustra con leggiadra modestia la sua
innaturale scoperta, volendola restituire a una realtà scientifica.
- No no - contrasta
egli a un signore maturo, con un cranio così calvo che parrebbe non
aver mai conosciuto capelli - la mia cura non mira a un risveglio
sessuale. Ho lasciato che i giornali dicessero: serviva. Ma
l’innesto non tende se non a rialzare il tono generale. Naturalmente
tutte le attività, e perciò anche le sessuali, ne guadagnano. Certo
è un ringiovanimento.
- Solo per gli uomini
!... – osserva con un rammarico acerbo una vecchia americana.
- Sto facendo
esperimenti anche per le donne - risponde amabile Voronoff, e si
leva. Tutti si levano.
Un collezionista
d’antichità, un greco famoso a Parigi, dal naso adunco sulla bocca
cascante sempre atteggiata a un sorriso che si direbbe un sogghigno,
mi si avvicina e mi insinua all’orecchio:
- L’esperimento lo ha
già fatto con la moglie. -
- Ah sì ? E con quale
risultato ? -
- Non so. lo non la
vedevo quasi mai: era americana e tornava spesso nel suo paese. -
- E ora dov’è ? Non
vive con lui ? Sono divisi ? -
- È morta, lasciandogli
una gran fortuna. Voi credevate - aggiunge e i piccoli occhi obliqui
gli si strizzano nelle occhiaie rugose - che tutto questo lusso
derivasse dalle sue operazioni... -
- Naturalmente; c’è
tanta gente che sogna di ringiovanire. -
- No no, ve l’assicuro:
più rumore che guadagni, io lo conosco da molto tempo: siamo amici
fin dagli inizi della sua carriera. -
Si passa nella grande
sala che ha una parete tutta occupata da uno splendido arazzo,
camminiamo su densi tappeti persiani.
- Guardate - mi fa
osservare il collezionista - questo tappeto. È un Hispano-moresco,
tra i più belli. Gliel’ho fatto comprare io a Costantinopoli. -
Ma io guardo lui,
Voronoff che ora discorre in piedi con Diaghilev: e questi lo
ascolta al suo modo fissando dietro alle sue spalle una scena
pastorale del Boucher, tutta svenuta di rosei.
Alto asciutto svelto,
non gli si danno gli anni che ha: la vivacità dello sguardo e un che
di volubile e di sfuggente nella parola distruggono quanto di
affaticato può mostrare il viso, un poco raggrumoso e terreo sotto i
capelli troppo neri. E pure in lui vigila una continua inquietudine,
come se aspetti una sorpresa.
Egli s’è accorto del
mio sguardo, mi sorride e viene verso me:
- Voglio darvi il mio
libro che vient de paraìtre. - E mi conduce nella biblioteca.
Una gran tavola al mezzo con grande sgargiare di riviste straniere e
le ultime novità francesi: molti libri negli scaffali, romanzi,
opere di varia divulgazione storica e scientifica, nulla che riveli
l’amore del libro o un ordine di cultura; tutto un insieme formatesi
da sé a caso. Su un tavolino una pila di volumi gialli e nuovi. Egli
ne toglie uno, vi scrive la dedica, e me lo offre. Leggo sulla
copertina La conquete de la vie.
- Grandiosa promessa -
dico io ringraziando.
- Più che una promessa
una speranza - corregge egli finemente. – Ma il mondo ha bisogno di
sperare; vedete, è uscito da pochi giorni ed è già al quinzième
mille.
Entra uno dei due servi negri con un
vassoio di tazze; l’altro lo segue con un altro vassoio che
lievemente tintinna.
- Un caffè ?... un
liquore ? -
Il primo servo mi versa
il caffè e me lo porge con perfetto stile: i denti gli biancheggiano
nell’inchino.
- È un cannibale -
m’informa l’ospite non appena il servo si è scostato. - L’ho preso
alla sua tribù ch’era ancora bambino. Ottimo: e, curioso, non mangia
carne.
Irrompe dalla soglia
l’ammasso ingioiellato dell’americana:
- Non si va a vedere le
scimmie ? –
- Ma certo... Avete
preso un liquore ? -
Usciamo dalla
biblioteca unendoci agli altri ospiti.
- Volete far da guida
voi, Nicia - prega Voronoff rivolto a una signora, la moglie del
suo aiutante, che sfavilla di brunezza, le punte dei seni erti
sforzando la seta del vestito - io devo telefonare, e vi raggiungo
subito. -
Eccoci in giardino: un
piccolo corteo tra siepi di piante arasse e fichi d’India. Ma la
prima visita si deve al laboratorio scientifico. L’aiutante, che era
a tavola con noi, ha già indossato il camice del lavoro e sta
esplorando un’ampolla. Tutti s’aspettano chi sa che vedere.
- Molto bravo - mi
confida ancora il mio caro collezionista - è lui che fa tutti gli
esperimenti... E ha una moglie così carina. -
Ma il molto bravo
aiutante ci delude informandoci serio che Voronoff ha ormai quasi
abbandonato lo studio degli innesti e sta lavorando sul cancro.
- Davvero ? il cancro
!... -
Esclamazioni stupite,
che vorrebbero suonare ammirative. Il pauroso nome ha gettato
un’ombra tra quei lucidi bianchi del laboratorio.
- E le scimmie ? -
domanda uno per allontanarla.
Come evocato entra da
una porticina interna un scimpanzé.
- Oh - dice il dottore
- un amico – e lo presenta - il signor Léonard.
Infatti educatissimo il
scimpanzé toglie di su un tavolino una scatola di sigarette e
destramente con quella sua manina grinzosa ma levigata le va
offrendo alle signore, solo alle signore. Le quali accettano tra
sospese e sorridenti: a una che rifiuta, Léonard fa una piccola
smorfia e si gratta il grugno.
Finalmente lasciamo il
laboratorio prendendo un vialetto tutto fiorito di rose che odorano
forte nel sole; un sentore vi si mescola, un lezzo acre.
E il gabbione
scimmiesco appare. Popolatissimo. Ma quei bestioni si dimostrano
poco gentili. Ci hanno appena scorto che si agitano, si grugniscono
un avvertimento e quindi si assestano sui bastoni trasversali
volgendoci sgraziosamente le terga, non certo piacevoli a vedersi,
gonfie qual sono di escrescenze rosso-violacee. Maleducati
scimmioni.
Delle signore
qualcheduna, dato un piccolo grido, torce il viso verso il mare che
azzurreggia laggiù tra gli aranci e le palme. Curiosità nelle altre
vince lo schifo: la scozzese è rimasta imperterrita a fissare lo
spettacolo con l’occhialino. Inutilmente Voronoff che ci ha
raggiunto invita i bestioni, chiamandoli per nome, a cambiar
positura. Uno solo di essi gli risponde con un tentennamento e una
specie di fischio, e non si volta. Ci licenziamo dalle sorelle
scimmie riavviandoci.
Ma Diaghilev che appena
in giardino, accasciato nella persona, non aveva più lasciato il
braccio del segretario e si faceva quasi trascinare, si attarda con
la testa premuta contro i regoli del gabbione.
- Regarde
- dice al suo segretario che appare tediato e vorrebbe tirarlo via -
regarde...
Qu’il est
amusant
!
Estratto da: F. Pastonchi, "Ponti sul Tempo", Milano, 1945.
Il pranzo qui ricordato si è svolto nel 1928,
anno di
pubblicazione de La conquete de la vie.