Thomas Hanbury
Nel 1832 nasceva in Londra Thomas Hanbury che, come molti altri dei suoi conterranei, dopo una solida preparazione culturale e di relazioni umane, acquisita nelle mirabili scuole inglesi, decideva di cercare all’estero, all’ombra dell’Union Jack, la sua fortuna.
Ispirato forse dal fratello maggiore Daniel, farmacista, scelse a sua meta la Cina, da cui provenivano a quei tempi molte preziose spezie ed altre materie prime, assai ricercate in Europa.
Installatesi a Shanghai, che stava in quegli anni - dopo l’apertura agli europei del suo porto - diventando la più importante metropoli commerciale e industriale della Cina, seppe affermarsi giovanissimo nel campo delle esportazioni e più tardi, approfittando del tumultuoso sviluppo della città, in imprese finanziarie ed edilizie, tanto che intere vie cittadine erano passate in sua proprietà.
Thomas Hanbury non divenne però, come spesso accade, schiavo delle ricchezze che aveva saputo accumulare grazie alla sua intelligenza ed alla sua dedizione al lavoro, ma ancora giovanissimo - aveva soltanto 35 anni - decise di tornare in patria. Ed eccolo nel 1867, assieme al fratello Daniel, per una lunga vacanza di riposo a Mentone, già a quei tempi frequentata da una distinta colonia turistica inglese.
Ed è nel corso di questa vacanza che Thomas, innamorato della nostra incantevole plaga, non ancora snaturata dal cemento, della quiete che vi regnava, tanto diversa dalla convulsa baraonda di Shanghai e della dolcezza del clima, decideva di farne la sua seconda patria.
Ma non era certo confacente al suo dinamico carattere una vita dedicata soltanto al riposo ed alle relazioni mondane e sorse così il grandioso progetto, ispirato dall’eccezionale microclima della zona, di realizzare attorno alla nuova dimora che intendeva crearsi, un grande giardino di acclimatazione con piante provenienti da ogni parte del mondo. Un progetto che era certamente congeniale all’amore per la natura di Thomas ed alle capacità botaniche di Daniel. Fu così che, a seguito di accurate esplorazioni per terra e per mare nella zona compresa fra Mentone e Bordighera, venne scoperta e prontamente acquistata la grande proprietà di circa 40 ettari, già appartenente alla famiglia Lanteri e poi agli Orengo ed ai Grandis, degradante dal villaggio della Mortola fino al mare sull’omonimo pittoresco promontorio, che divide il golfo di Latte da quello di Mentone.
Altrettanto sollecito l’inizio dei lavori sia per il restauro della villa, nel rispetto delle sue caratteristiche architettoniche, sia per la sistemazione del giardino, rispettosa anch’essa della flora spontanea locale - comprendente il mirto che nel suo nome dialettale a Murtura ha dato il nome alla frazione - ed anche delle tradizionali coltivazioni dell’ulivo, della vite e degli agrumi, che hanno conservato nell’angolo superiore di ponente ed a sud della Strada Romana, che divide la proprietà, la loro antica dimora, mentre a poco a poco si aggiungevano - coltivate in pien’aria - piante provenienti dall’Australia, dalla Nuova Zelanda, dall’Estremo Oriente, dall’India, dall’Africa, dalle Canarie e dalle due Americhe.
Thomas Hanbury aveva ormai dedicata la sua vita - con l’intelligenza e la tenacia che gli erano proprie - alla grande impresa che doveva immortalare il suo nome e neanche la prematura scomparsa di Daniel, primo ispiratore del progetto, avvenuta nel 1873, ne intralciò il rapido progresso. A sostituire il fratello fu invitato dalla Germania, probabilmente per suggerimento di Otto von Penzig titolare della cattedra di botanica dell’Università di Genova, divenuto suo grande amico, un noto esperto tedesco di giardinaggio Ludovico Winter a cui seguirono, col progredire dell’impegno scientifico, illustri botanici inglesi e tedeschi, fra i quali ricorderò in particolare Aiwin Berger, autore nel 1913 della seconda edizione dell’Hortus Mortolensis, il grandioso catalogo che portò in tutto il mondo la fama dei Giardini Hanbury.
Ma pur assorbito dalla sua grande impresa e dalle visite e dai soggiorni di illustri ospiti - fra i quali la stessa Regina Vittoria - non dimenticò la terra che l’ospitava ed i suoi abitanti di cui fu sincero amico e generoso mecenate. Già la creazione stessa del Giardino, con le occasioni di lavoro generosamente retribuite che offriva, aveva interamente trasformato le condizioni economiche della popolazione della Mortola, dipendenti fino allora dai magri proventi dell’agricoltura e della pesca o dalla temporanea emigrazione. Egli si preoccupò inoltre senza indugio di migliorarne le condizioni di vita, sostituendosi alla carente amministrazione pubblica, e già nel 1868, appena un anno dopo la sua venuta, aveva aperto, a sue spese, scuole elementari private alla Mortola e a Grimaldi.
Più tardi, nel 1881, costruirà alla Croce un edificio scolastico modello con un vasto giardino consegnandolo, completamente arredato, al Comune per le frazioni di frontiera e costruirà anche per le stesse frazioni il cimitero e alla Mortola un acquedotto, a cui seguirà nel 1892 il grandioso edificio scolastico della frazione di Latte.
Le sue benemerenze non si limitarono però alle frazioni che circondavano la sua dimora, ma si allargavano con eguale generosità al centro di Ventimiglia ed in particolare al sestiere di Sant’Agostino che, malgrado stesse sviluppandosi rapidamente a seguito della costruzione della ferrovia, mancava di pubbliche attrezzature.
Anche qui sorsero a sue spese le scuole elementari e da lui fu donato il terreno per la costruzione di molte strade, fra cui il Corso della Repubblica, la Via Aprosio ed il Lungoroia Girolamo Rossi, del Teatro Politeama Sociale e del grandioso Giardino Pubblico, vanto della città. Generoso aiuto ebbero poi le istituzioni di beneficenza fra cui, in primo luogo, l’antico ospedale di S. Spirito che provvide ad ingrandire, a dotare di arredi e di apparecchiature e di mezzi finanziari di gestione e così l’orfanotrofio.
Ma è difficile ricordare tutte le sue opere filantropiche perché, come diceva l’on. Giuseppe Biancheri, allora deputato di Ventimiglia e Presidente della Camera dei Deputati: «Innanzi a quest’uomo mi porrei in ginocchio tanto è il bene che ha fatto e che fa ogni giorno e più è il bene che non si conosce, di quello che è noto al pubblico».
Non di rado veniva in città con la sua carrozza dove s’incontrava volentieri coi maggiorenti per informarsi dei bisogni e delle aspirazioni della popolazione e lo ricordo - quand’ero un frugoletto - nella farmacia di mio padre a intrattenersi con lui e ad accarezzarmi i capelli, mentre io guardavo con timore riverenziale quelle, per me stranissime, fedine che gli coprivano le gote e che non ho più dimenticato.
Ricorderò ancora la sua sensibilità per le iniziative culturali, alle quali collaborò sempre generosamente. A lui si deve tra l’altro la costruzione del Museo Preistorico dei Balzi Rossi a Grimaldi, l’acquisto ed il restauro della Porta Canarda, la compera di gran parte delle antichità scavate nella Ventimiglia romana, che erano state messe all’asta, come si usava a quei tempi, in un albergo di Bordighera e che furono in parte collocate nel Giardino ed in parte donate alla città di Ventimiglia e sistemate in una sala appositamente costruita a sue spese nel Convento di San Francesco che ospitava in quel periodo il Ginnasio.
Un’analoga sistemazione fu da lui offerta per i volumi della Biblioteca Aprosiana, che si trovavano da tempo racchiusi in casse. Nell’Università di Genova creò inoltre l’Istituto Botanico, che ricordo per averlo frequentato quando era ancora diretto dal suo amico Otto von Penzig, ed alla Reale Società di Orticultura di Londra fece dono di un grandioso parco.
Ancora in piena attività, sir Thomas Hanbury moriva il 9 marzo del 1907, all’età di 75 anni, fra il compianto sincero di tutta la popolazione che aveva così largamente beneficato, lasciando i suoi giardini al fastigio della perfezione e della fama.
Il figlio sir Cecil ne continuò l’opera, con la collaborazione della moglie Lady Dorothy, per un trentennio, profondendovi i beni ereditati, che già la prima guerra mondiale aveva largamente falcidiato. Poi, dopo la sua morte, sopravvenuta nel 1937, la grande tragedia della seconda guerra mondiale doveva colpire gravemente i giardini, rimasti per oltre sei mesi no man’s land, fra le linee tedesche ed alleate. Al termine della guerra la Famiglia Hanbury non aveva più i mezzi per riparare gli immensi danni e finanziare la gestione dei giardini e l’indifferenza delle pubbliche amministrazioni della provincia, divenuta in qualche caso collusione, fu sul punto di sfociare nella lottizzazione della proprietà. E dobbiamo ringraziare la battaglia condotta dal compianto prof. Nino Lamboglia, col quale ho sia pur modestamente collaborato, se l’integrità dei giardini è stata salvata, con l’acquisto da parte dello Stato nel 1960 e con l’opera di ricostruzione compiuta, con grave sacrificio economico, dall’Istituto Internazionale di Studi Liguri sotto la direzione botanica del prof. Onorato Masera e quella di conservatoria immobiliare dell’ing. Paolo Ceschi, durante il ventennio della sua gestione.
Auguriamoci che, col passaggio dell’amministrazione alla Soprintendenza ai Monumenti ed alla Università di Genova, continui ad essere pienamente rispettata la poliedrica impronta che sir Thomas aveva dato al suo giardino, riportandolo con i ragguardevoli mezzi che lo Stato mette ora a disposizione, ai fastigi di un tempo.
In particolare vorremmo che si procedesse non soltanto al reintegro delle varietà botaniche già esistenti e rilevabili dall’Hortus Mortolensis, ma anche all’acclimatazione in pien’aria di sempre nuove specie esotiche, che i progressi scientifici degli ultimi decenni ed anche l’esistenza di una fitta rete di servizi aerei internazionali rende oggi più facile.
Ma vorremmo anche che fosse conservata ed esaltata la componente estetica dei giardini che, non meno di quella botanica, ha contribuito alla loro fama.
Non dimentichiamo infine la generosità con la quale sir Thomas aveva aperto questo suo paradiso terrestre alla gente, rinunciando per alcuni giorni della settimana alla privacy, di cui gli inglesi specialmente in quei tempi erano tanto gelosi, e devolvendo ad opere benefiche il ricavato. Oggi purtroppo il pubblico non è più quello dei tempi di sir Thomas e i danneggiamenti e i furti rappresentano un pericolo reale che si può, a mio parere, evitare soltanto con l’organizzazione di visite accompagnate a gruppi non molto numerosi.
Cionondimeno, con la proprietà e la gestione pubblica del giardino, una visita turistica imperniata sui suoi valori culturali ed estetici costituisce un dovere imprescindibile dell’Amministrazione, anche se la sua organizzazione pratica potrebbe esser delegata, con opportuni finanziamenti, alla locale Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo.
Queste sono le caratteristiche essenziali che sir Thomas Hanbury ha voluto dare ai suoi giardini e penso che il miglior modo di ricordarlo e di commemorarlo sia quello di restargli fedeli nell’amministrazione della sua prestigiosa eredità.
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Se noi, oggi, malgrado il passare degli anni e le avversità degli eventi, siamo tuttora in grado di godere di tanta parte del patrimonio hanburiano, dobbiamo convenire che ciò è possibile grazie alla infaticabile e multiforme attività esplicata da questo personaggio la cui memoria, giunta sino a noi, continuerà a vivere nel tempo.
Un’attività tesa a creare un’opera vasta e duratura - improntata alla solidità, alla ricchezza, alla perfezione e al buon gusto - destinata a sopravvivere al suo Autore.
A Thomas HANBURY si può attribuire, a buon diritto, l’orazione exegi monumentum aere perennius perché egli ha veramente innalzato un’opera più durevole del bronzo e di cui noi, oggi, possiamo considerare il valore e valutare la portata lungo un arco che - partendo dal 1867, data della fondazione - abbraccia ormai 115 anni di storia.
Ai dati e alle notizie biografiche, che abbiamo or ora ascoltato, vorrei pertanto tentare di aggiungere anche il ricordo di qualche episodio della vita di Thomas HANBURY avvalendomi della tradizione orale, ancor presente nella memoria delle ormai pochissime persone viventi che lo hanno conosciuto direttamente.
Episodi che possono aiutarci a gettare luce sull’intima e straordinaria personalità dell’Uomo e a delinearne un ritratto morale quanto più veritiero possibile.
Ma, per far questo, è forse necessario, prima, indagare in un’altra direzione e soffermarci brevemente sul tempo in cui HANBURY visse ed in cui la sua figura va inquadrata, proprio per essere meglio compresa.
Approdato sulla spiaggia scogliosa della Mortola, nel corso di una gita in barca, compiuta nel marzo 1867, egli fa parte di quelle avanguardie di esploratori e di intellettuali inglesi che, attratti dal fascino naturale e dal patrimonio di testimonianze storiche della Riviera Ligure, precorsero il flusso sempre crescente di visitatori, chiamato, in seguito, turistico.
Già sul finire del ‘700 - secolo per eccellenza delle esplorazioni - scrittori come lo Smollett 1 e lo Young e, poi, agli inizi dell’800, paesaggisti come il Brockedon, avevano soggiornato nella nostra zona diffondendo in seguito in Inghilterra le descrizioni e le immagini della costa e dell’entroterra ligure attraverso le loro opere.
E, più tardi, un altro intellettuale, questa volta italiano, il Ruffini, coinvolto nei moti risorgimentali - percorrendo in senso inverso, e per motivi politici, il cammino degli inglesi - aveva portato in terra di Britannia, con i suoi ideali patriottici, l’immagine letteraria della Liguria come terra dolce e ospitale da scoprire.
L’escursione alla Mortola di Thomas HANBURY, anche se occasionale, non fu dunque dovuta al caso. Da Mentone, dove egli aveva stabilito, per così dire, la sua base, aveva iniziato l’esplorazione dei dintorni, alla ricerca di un sito idoneo all’attuazione di un progetto cui pensava da tempo.
Anzi, per la verità, quando egli visitò per la prima volta La Mortola, il luogo lo aveva già individuato sul promontorio di Cap Martin dove aveva in corso trattative per l’acquisto di una vasta proprietà da trasformare in giardino di ambientazione.
Fu la bellezza del paesaggio della Mortola e l’eccezionale mitezza del suo clima a determinare la scelta del luogo.
Egli, come molti altri suoi compatrioti, aveva mediato nel lungo contatto con i popoli dell’Oriente, l’amore per la natura ed una venerazione, quasi religiosa, per gli alberi che si veniva ad innestare sulla passione naturalistica, così diffusa nell’Inghilterra vittoriana, e che affondava le radici nella cultura inglese dei secoli precedenti. La cultura dell’instaurazione del regnum hominis sulla natura, dell’uomo ministro e interprete di essa, che aveva trovato in Bacone uno dei più autorevoli rappresentanti.
È dunque nel panorama storico-culturale dell’Inghilterra del secolo scorso - nel momento in cui essa sta raggiungendo l’apice della propria potenza imperiale ed economica - che si assiste ad un fervido sviluppo degli studi naturalistici. Darwin, con i suoi viaggi ed i suoi studi, ha fatto scuola e, sulle sue orme, uno stuolo di ricercatori si dedica all’allargamento e all’approfon-dimento delle conoscenze nel campo delle scienze naturali.
Sorgono e si moltiplicano iniziative, associazioni, accademie, che denotano la straordinaria diffusione dell’interesse naturalistico in tutto il mondo anglosassone.
È in questo clima, respirato in patria da Thomas e dal fratello Daniel che nasce e si sviluppa l’idea del Giardino Botanico ed è a Londra, fra le mura della stessa casa degli Hanbury - dove gli studi di fitofarmacologia, in cui è particolarmente versato Daniel, sono una tradizione di famiglia - che matura il proposito di acclimatare piante esotiche a scopo di studio e ricerca.
E Thomas troverà sempre nel fratello - valente studioso di piante medicinali e certamente più colto di lui - un prezioso consigliere, un instancabile collaboratore, un amico.
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Come abbiamo visto, la scelta della Mortola fu determinata dalle favorevoli condizioni climatiche e dalla bellezza naturale del paesaggio e, già in questo noi scopriamo una delle capacità, fra le più peculiari, di Thomas HANBURY, quella di saper cogliere ed armonizzare gli elementi della realtà in vista del suo piano creativo.
Il Giardino Hanbury sorse in un periodo storico di crisi del giardino classico, del cosiddetto formal garden. Stava infatti affermandosi, in quegli anni, il concetto del giardino romantico che doveva rispettare, quanto più possibile, l’immagine della natura, in omaggio a quel principio, così ben espresso in un verso di Victor Hugo, secondo il quale: L’homme fait le jardin, les champs soni faits par Dieu.
Thomas HANBURY seppe capire appieno lo spirito del tempo e riuscì a conciliare le esigenze dei due indirizzi, che si andavano intanto sintetizzando nello stile neoclassico-romantico, inserendo in questo contesto il giardino botanico vero e proprio, e il tutto in un ambiente che, infine, risultava una copia perfetta, anzi migliorata della natura.
Ma, molteplici sono ancora le sintesi che egli seppe ottenere nella concezione e nella realizzazione del suo giardino disponendo sapientemente, l’una accanto all’altra, le specie più svariate in modo che fossero parte di un tutto armonico ed esteticamente gradevole. E poté giungere a questo risultato avvalendosi della esperienza e dell’apporto delle due maggiori scuole botaniche del tempo - in un certo senso antagoniste - quella inglese e quella tedesca.
E non è ancora tutto: l’ambientazione delle piante esotiche avvenne nel più assoluto rispetto della flora mediterranea locale, fosse essa spontanea o coltivata, che fu oggetto di studio appassionato e di attenta catalogazione.
Ed infine HANBURY seppe conciliare la propria privacy con la fruizione pubblica aprendo i cancelli del suo giardino alle folle ammirate dei visitatori.
Il rispetto, che egli porta all’ambiente e che esige dagli altri, è assoluto e la preoccupazione ecologica di salvaguardare la natura in lui non conosce veramente limiti.
Fa ricostruire, per ben due volte, e sempre più a valle, il frantoio condominiale degli abitanti del paese - che è azionato dalle acque del torrente Sorba - e lo fa dotare di un sistema di pozzetti di decantazione onde evitare che i liquami oleosi delle moliture inquinino le acque del ruscello.
La parte di proprietà, conservata a bosco, è mantenuta con la stessa cura riservata al giardino e, periodicamente, viene effettuata la pulizia dei sentieri e del sottobosco.
Il suo Orario e Regolamento per il personale, del 1893, prevede severe sanzioni disciplinari e pecuniarie per chi fuma nel Giardino o nel Bosco e per chi tocca fiori o frutti.
I muratori che eseguono lavori devono fare in modo che le piante non abbiano a subire il men che minimo danno.
Le cartacce gettate a terra - allora assai più rare di oggi - sono considerate da HANBURY un vero insulto per il suo Giardino.
Ma queste cure minuziose, che assillano la vita quotidiana di Sir Thomas, non lo distolgono mai dalla visione generale dei problemi.
Egli porta a compimento il suo progetto, di portata mondiale, curando contemporaneamente gli interessi della zona che lo ospita.
Sceglie, sul luogo, la mano d’opera necessaria - ancorché non qualificata - e, a differenza di quanto spesso avviene ai nostri giorni, l’insediamento imprenditoriale non sconvolge l’assetto del luogo, non turba il paesaggio e non ne compromette la bellezza che, invece, risulta esaltata ed infine porta effettivo e durevole benessere nella zona circostante.
Ecco dunque chi fu, in realtà - al di là di tutti i suoi altissimi meriti - quest’uomo dall’aspetto signorile, di statura piuttosto alta, dagli occhi azzurri e dallo sguardo penetrante, sempre velato da un’espressione di umana simpatia.
Egli fu l’uomo dell’armonia con se stesso e con la realtà in cui operava.
La realizzazione delle innumerevoli opere pubbliche, sociali e culturali, che egli promuove e sostiene, le donazioni e le beneficenze pubbliche e private, le amicizie di cui si lega, sono la prova della sua visione multilaterale dei problemi ai quali egli seppe sempre dare una risposta positiva.
Ad arricchire la figura di HANBURY concorre, infatti, l’altro aspetto, non meno importante della sua personalità, che è quello del filantropo.
Ed, anche qui, per meglio comprendere il personaggio, è necessario tornare, ancora una volta, all’Inghilterra del secolo scorso, dove la filantropia non è una moda passeggera, o un fatto snobistico, ma una tradizione culturale profondamente radicata nel costume, e le cui origini risalgono all’illuminismo inglese del ‘700.
Filantropia che non si limita alla beneficenza spicciola, o all’atto caritatevole, ma che è iniziativa di progresso, creazione di istituzioni per l’elevazione umana e sociale, nella visione prospettica dei problemi del tempo.
Thomas HANBURY era stato fondatore, in Inghilterra, di due importanti società filantropiche: quella per la soppressione del crudele commercio dell’oppio e quella per l’abolizione della schiavitù. E ciò dovrebbe essere sufficiente a sfatare l’assurda, prima ancora che inveritiera, diceria secondo cui HANBURY avrebbe costruito la sua fortuna col commercio degli schiavi. 2
Quando egli giunge in Italia, e vi si stabilisce, non trova piaghe sociali gravi come quelle causate dai loschi traffici dei narcotici o degli schiavi, ma, da noi, la situazione non è certo rosea.
In quegli anni, il nostro Paese stava faticosamente uscendo dal travaglio dell’unificazione, ottenuta a prezzo di enormi e sanguinosi sacrifici.
Un traguardo storico che l’Italia raggiungeva con secoli di ritardo rispetto agli altri paesi europei, portando con sé il fardello delle passate divisioni e dominazioni, della decadenza e del sottosviluppo.
Anche se la Liguria di allora non poteva, per fortuna, essere annoverata fra le regioni più arretrate, i giganteschi problemi economici e sociali che gravavano sulla vita del giovane stato unitario facevano sentire anche qui da noi le loro pesanti conseguenze. Thomas HANBURY, nella Zona Intemelia, sopperì generosamente e, in molti casi, completamente alle croniche carenze della pubblica amministrazione.
Non a caso, dunque, la sua fama di filantropo spesso è pari - quando non supera - quella di Fondatore del Giardino Botanico.
Abbiamo visto che egli non si limitava ad occuparsi delle necessità contingenti del suo prossimo, ma si preoccupava di dare ai problemi una soluzione duratura, capace di assicurare l’avvenire di coloro che beneficava, memore forse di quel detto cinese - certamente a lui non ignoto - secondo il quale chi dona un pesce aiuta un uomo a sopravvivere per un giorno, chi gli insegna a pescare lo affranca dal bisogno per tutta la vita.
Thomas Hanbury, in quegli anni, intravedeva nella floricoltura uno dei principali fattori di sviluppo economico della nostra zona e desiderava che i suoi dipendenti - mettendo a frutto l’esperienza acquisita in giardino - fossero i pionieri di questa nuova attività, allora ai primissimi albori.
Un giorno, raduna i suoi giardinieri ed offre ad ognuno di essi una talea di rosa, di varietà pregiata, dicendo loro: «Questa pianta potrà
Ma, per la verità, pochi sono coloro che ascoltano quelle profetiche rappresentare, in avvenire, la vostra fortuna !». parole. I più preferiscono la sicura occupazione in giardino che permette, oltre tutto, di continuare a dedicarsi alla pesca e alle colture tradizionali - dell’olivo, della vite e degli agrumi - considerate immediatamente più redditizie.
E poi c’è sempre un’attività supplementare - un secondo lavoro, diremmo oggi - sorto e sviluppatesi dopo che la nuova linea di confine del 1860 ha diviso la nostra zona dal nizzardo: il contrabbando che viene esercitato, nottetempo, con le barche da pesca.
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Ma, vi è ancora un aspetto della personalità di Hanbury che vale la pena di ricordare perché dimostra come il suo slancio umanitario andasse oltre le necessità immediate e future del suo prossimo.
Egli desiderava, infatti, che coloro con i quali era a contatto avessero a godere anche di ciò che non fosse soltanto lo stretto necessario, forse, anche qui memore, dell’evangelico: non di solo pane vive l’uomo.
Ed è nel suo rapporto con i dipendenti e con le loro famiglie che noi scopriamo l’umanità più intima di Thomas Hanbury, testimoniata dal suo abituale comportamento nei confronti della popolazione della Mortola.
Ed ecco, infatti, le sue frequenti visite al villaggio - che egli faceva mantenere in ordine e costantemente pulito - visite che effettuava, sì per alleviare sofferenze, ma soprattutto per conversare con gli abitanti, per giocare con i bambini e portar loro regali, per organizzare le numerose feste annuali che egli desiderava si celebrassero nel modo più solenne e che culminavano nel sontuoso banchetto di San Luigi, offerto a tutti il 21 giugno, giorno del suo compleanno; banchetto al quale egli partecipava con spirito di cordialità e di amicizia.
Particolare interesse poi egli mostrava per le tradizioni popolari - che la trasformazione economica e sociale del paese, seguita alla fondazione del giardino, tendeva a far cadere in desuetudine - e che egli invece si preoccupava di conservare.
Egli non desiderava che il piccolo villaggio della Mortola - ormai assurto ai fasti della fama internazionale - avesse a perdere la sua identità, il suo genuino folklore locale.
Prova di questo suo interesse sono le danze popolari nel campo da tennis, il Ballo di San Luigi, le feste dei Maggi e la Festa della Vendemmia riportata in auge raccogliendo ciò che ancora sopravviveva degli antichi riti vendemmiali.
Quest’ultima festa, per volere di HANBURY, si celebrava in settembre, al termine della raccolta dell’uva nel vigneto del Giardino, e, per partecipare ad essa, Sir Thomas anticipava puntualmente, ogni anno, il rientro dal soggiorno estivo in Inghilterra, dove, invece, i suoi famigliar! si trattenevano fino ad autunno inoltrato.
Questa fu, dunque, la Belle Epoque della Mortola, aliena dalle frivolezze del tempo, ma intensa di vita popolare, di calore umano, di felice ed armonica convivenza civile, di progresso economico e sociale.
La grande umanità di Thomas HANBURY - diciamo pure in termini cristiani - il suo profondo amore per il prossimo gli valsero la famosa lettera che l’allora Vescovo di Ventimiglia, Mons. Ambrogio Daffra, gli scrisse con il formale invito a convenirsi alla religione cattolica e che egli fece incorniciare e conservò appesa alla parete del suo studio.
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Ed, infine, dopo la visione armonica della realtà e la benevolenza per gli uomini, un altro dato significativo emerge dalla personalità di HANBURY ed è quello dell’amore per questa nostra terra, che egli predilesse e considerò sempre la sua terra, e per questo Palazzo che egli trasformò in sua stabile casa di abitazione.
Anche se egli possedeva in Inghilterra proprietà e beni, non volle mai avere colà quella che noi, oggi, chiameremmo la seconda casa.
La sua vera ed unica casa fu il Palazzo e, durante i brevi soggiorni in patria, preferì sempre l’ospitalità di amici o la residenza in albergo.
Ed, ogni volta, tornando fra noi, dopo essere sceso dal treno alla stazione di Mentone, incurante della fatica del viaggio, amava percorrere a piedi il tratto di strada che lo portava alla Mortola. Giunto nei pressi del ponte sul Rio Sorba, attraverso un cancelletto di servizio, entrava nella sua proprietà e, seguendo il solitario sentiero che costeggia il torrente, raggiungeva il Palazzo gustando così, indisturbato, fra sé e sé, la gioia del ritorno alla terra e alla casa prediletta.
Un amore che, col passare degli anni, andava crescendo e che Sir Thomas voleva dimostrare anche oltre la barriera della morte.
Risale al penultimo decennio dell’800 il progetto, realizzato solo in parte, di costruzione del cimitero di famiglia nella zona sud-orientale del Giardino dove, ancora oggi, esiste un boschetto di cipressi, circondato, da tre lati, da un muro di cinta in pietra.
La recinzione muraria non fu portata a termine perché, nel frattempo, egli era venuto a conoscenza che insormontabili difficoltà di natura giuridico-burocratica avrebbero impedito, sia a lui che ai suoi famigliari, di trovare sepoltura in quel luogo.
La sua volontà di restare per sempre nella nostra terra avrebbe potuto essere esaudita soltanto a patto che il suo corpo fosse stato incenerito. Impartì allora le disposizioni necessario per la cremazione del suo corpo e fece iniziare i lavori di edificazione del mausoleo che furono completati nel 1886.
La sua morte, avvenuta per polmonite, alla età di 75 anni, il sabato 9 marzo 1907, getta nel lutto e nella costernazione tutta la zona intemelia. Innumerevoli sono le personalità, gli amici, gli estimatori che giungono, da ogni parte, alla Mortola per rendere omaggio alla sua salma.
Il giorno del funerale, una fiumana ininterrotta di gente si accalca lungo i cinque chilometri della strada che porta a Ventimiglia. Da qui il feretro proseguirà per Sanremo, dove ha sede l’Istituto di Cremazione, e da dove le sue ceneri faranno ritorno alla Mortola per restarvi in perpetuo.
Tredici anni dopo, il mausoleo accoglierà anche quelle della moglie, Katharine ALDAM, colta dalla morte in Inghilterra nel 1920.
Ma, anche dalla tomba, HANBURY non cessava di beneficare. Qualche tempo dopo la morte, per sua volontà testamentaria, agli oltre cinquanta dipendenti, venne corrisposta una somma pari ad un anno di stipendio.
Una sorta di pre-liquidazione (istituzione allora assolutamente sconosciuta) che fu una vera provvidenza per i magri bilanci familiari di quel tempo.
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Questi fu dunque, in vita e in morte, l’uomo HANBURY che noi, oggi, siamo venuti qui a commemorare.
A volte, quando si parla dei personaggi del passato - per sottolinearne maggiormente le doti di preveggenza ed i meriti acquisiti nei confronti della posterità - si usa dire che essi, anche se vissuti molto tempo fa, sono dei moderni.
Ebbene, io non credo si possa dire che Thomas HANBURY fu un moderno. Ritengo di fare cosa giusta, e di tributargli onore, lasciandolo nel passato in cui è vissuto ed al quale appartiene.
La nostra società, così depauperata di valori morali, sconvolta da tante tensioni e da tanti fattori di disgregazione, livellatrice degli individui e dei loro gusti, ben difficilmente sarebbe in grado di esprimere un personaggio come Thomas HANBURY.
Ne il nostro mondo attuale ne il nostro vivere senza qualità, rosi dall’ansia di trasformare i luoghi e gli ambienti in beni di consumo, potrebbero mai produrre un giardino come questo.
Non per nulla, quest’opera, questo incomparabile capolavoro dell’uomo, amico ed alleato della Natura, rischia - ogni giorno di più - di apparire un bene anacronistico, un retaggio gravoso che diventa sempre più difficile conservare.
Ed in ciò, il problema particolare del Giardino Hanbury rientra in quella caratteristica negativa generale, propria del nostro tempo, che è l’incapacità di raccogliere e tramandare ai posteri le testimonianze, ambientali e storiche, che abbiamo ricevuto dal passato.
E, del resto, il pubblico odierno che ne dovrebbe essere il fruitore, proteso com’è al godimento dei beni materiali, si dimostra sempre meno in grado di gustare le gioie dello spirito. Nella sua sfrenata e fragorosa ricerca di evasione - che è fuga da se stessi, prima ancora che dalle inospitali città - si rivela incapace di apprezzare i doni della natura, i valori della contemplazione e del silenzio di cui questo giardino è uno dei superstiti santuari. 3
Un vero mondo di bellezza indimenticabile come lo definì il Penzig in un magistrale articolo apparso ne Le Vie d’Italia e dell’America Latina del novembre 1927.
NOTE:
1) Tobias G. Smollett fu certamente fra i primi inglesi a stabilirsi in Riviera. Verso la metà del 1700 comprò, infatti, a Nizza, per 40 sterline, una casa colonica con annesso terreno e albero di fico. In seguito raccolse le impressioni di un suo viaggio in Italia in un libro, per la verità, non molto tenero nei confronti del nostro Paese.
2) Nel 1896, questa voce calunniosa trovò addirittura ospitalità sulle colonne del Caffaro il quale fu immediatamente costretto a ritrattare il contenuto di un incauto articolo, pubblicato nel numero del 3.4 ottobre. Il giornale dovette riconoscere che le dichiarazioni e gli apprezzamenti espressi sulla persona di Thomas Hanbury dal proprio corrispondente erano assolutamente privi di fondamento e di senso
3) Nei Kew Gardens di Londra si è dovuti giungere a proibire ai visitatori l’introduzione nel parco di strumenti musicali, o atti a riprodurre musica, per preservarne la tranquillità.
Emilio Azaretti e Renzo Villa