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Per celebrare la «Giornata della Vittoria» ricordiamo l’umile dimenticata figura del medico ventimigliese

Giuseppe Ughetto

di Carlo Pozzi - 1983

    Cade in questo mese l’Anniversario della Vittoria italiana nella Prima Guerra Mondiale ed è tradizione che essa venga ricordata ai giovani, troppo spesso vittime di una vuota retorica negativa.

    Convinti come siamo che la storia, ammesso che sia fatta dai Grandi, viene poi sofferta nei suoi elementi negativi e mitigata dai semplici, dai volonterosi, da chi sa e vuole fare solo il proprio dovere, intendiamo quest’anno approfittare di una favorevole circostanza che ci ha posto in mano documenti della nostra Città relativi alla prima grande guerra, e rendere omaggio ad un uomo che i meno giovani tra noi ricordano con affetto e dolcezza e che non è male sia richiamato a chi non ha potuto conoscerlo affinché si veda quanto può compiere di bene chi opera con senso di dovere e spirito di abnegazione.

    Intendiamo parlare di Giuseppe Ughetto. Salvo errore, la Città - che non ha dimenticato i Martiri Ignoti, quelli del lavoro, della libertà, gli Eroi come Oberdan o gli uomini politici come Gramsci - non ha dato il nome di Ughetto a nessuna via: solo sulla casa della Croce Rossa spicca ancora questo nome, un po’ sbiadito per il vero, ma che in un prossimo restauro riprenderà ne siamo certi a brillare come gli è dovuto, perché fu Lui che donò alla Città la Sede di quella Croce Rossa che Egli seppe creare e che gli fu poi intestata con delibera unanime del Comitato Centrale di Roma della Croce Rossa Italiana.

 

 

Medico  nella  CROCE ROSSA ITALIANA

Le notizie le abbiamo tratte da estratti di giornali - Il Secolo XIX - Il Lavoro - Il Caffaro - Pro Patria - che vanno dal 27 giugno 1915 agli  ultimi giorni del 1918  e conservati  con cura  dalla signora Maria Antonietta Ughetto  in Tonet,  figlia di  Giuseppe Ughetto.

 

    Giuseppe Ughetto era un medico e nel 1915 presidente del Comitato distrettuale ventimigliese della sezione locale della Croce Rossa Italiana.

    Entrata in guerra l’Italia il 14 Maggio 1915, per disposizione regolamentare della C.R.I. il Presidente di un Comitato doveva assumere i pieni poteri e rendere conto solo al presidente regionale.

    Fu così che Giuseppe Ughetto tenne da solo la responsabilità di tanto organismo sino al 30 Novembre 1920, cioè durante tutta la guerra e l’immediato dopo guerra.

    Se la responsabilità era personale, non è per questo che il Comitato si sciogliesse: ne facevano parte nomi che molti dei nostri lettori ricorderanno con affetto; li citiamo così come appaiono nel resoconto del quinquennio 1915-1920 tenuto dallo stesso Ughetto; essi sono: Dr. L. Trucchi (senior), Giovanni Guglielmi, G. B. Gavazzi, Carlo Franco (che, accusato di peculato, venne poi assolto in un lungo processo), dr. G. Buonsignore, Enrico Costa, Pasquale Gotelli, Enrico Notari, G. B. Muratore, Augusto Lamberti, e, per la parte femminile (che, si noti, costituiva un consiglio a sè): baronessa Antonietta Galleani, Erminia Bianchi, Maria Buonsignore, Giuseppina Gerra, Katherine Hanbury, Giorgetta Laura, Eugenia Natta, Emilia Tommasini, Fanny Trucchi, Teresa Vota.

    I soci che erano 107 nel 1915, nel 1920 erano passati a 736.

 

L’Ospedale Militare

    La prima speranza del Comitato, appena iniziata la guerra, fu quella di trovare un luogo di convalescenza per militari feriti affinché si potessero avvantaggiare del nostro clima.

    La munificente patriottica gratuita offerta al Governo del Re del bello e novissimo orfanotrofio San Secondo, non ancora abitato, fatta il 31 maggio 1915 (n.d.r.: si noti la data: 15 giorni dopo l’inizio delle ostilità, cioè in modo spontaneo, immediato, pronto) da Mons. Ambrogio Daffra, esempio vivente del come si fondono insieme il pensiero e l’azione, fu la promettente spinta e il fondamento dell’opera.

    Sono parole della relazione Ughetto.

    Il 28 Ottobre 1915 l’Ospedale militare territoriale della C.R.I. veniva inaugurato dalla Regina Madre Margherita, cui poi venne intestato, e che venne molte volte dalla vicina Bordighera in visita, legandosi di vera amicizia con il vescovo Ambrogio Daffra, e di grande stima, sempre e in vari modi esternata, per l’opera di Ughetto.

    Nei suo reparti di medicina, chirurgia e di isolamento l’ospedale poteva ricoverare sino a 130 degenti.

    Dispensa, vitto, guardaroba, assistenza notturna furono assicurate dalle Suore di Santa Marta (le stesse che oggi conducono l’istituto-orfanotrofio) coadiuvate da infermiere della Croce Rossa (Ughetto aveva impiantato una scuola infermiere) sei delle quali vi prestarono opera continuativa per tutta la durata della guerra; una suora, suor Teresa Lupi, ed una infermiera, Teodolinda Rondelli, persero la vita per malattie contratte nella loro opera di assistenza.

    La modernità dell’edificio e di tutto l’ospedale appare oggi, per chi voglia meditarvi un momento, veramente stupefacente: c’erano acqua potabile (buona ed abbondante, dice Ughetto), impianto di gas, di luce elettrica, riscaldamento a termosifone, telefono: forse oggi in più c’è solo la TV !

    In un primo tempo le radioscopie venivano effettuate presso l’ospedale di Monaco, messo a disposizione dal Principe, ma già nel 1916 l’ospedale fu provvisto degli apparecchi necessari e si rese indipendente.

 

Qualche dato e considerazione

    L’ospedale venne chiuso con la fine della guerra, il 15 gennaio 1919, e l’edificio restituito al suo proprietario, il vescovo Daffra, che nello stesso anno trasportava ivi le orfanelle per le quali era stato costruito e sino ad allora ospitate nella casa madre delle suore di Santa Marta, dietro la Cattedrale.

    Durante questo periodo erano stati ricoverati per un totale di 65.654 giorni di degenza 1.485 militari, dei quali 9 erano francesi, 4 inglesi, 37 prigionieri di guerra e 348 intemeli; 34 morirono.

    Le sale erano intitolate a nomi di caduti della nostra zona, che forse alcuni discendenti oggi ricorderanno: Carlo Allegro, Nicola Abbo, Nicola Ceriani, Lorenzo Verrando, Giuseppe Palmero, Eletto Lorenzi, Ettore Campora, Stefano Usselli.

    Il Lavoro del 10 novembre 1915 dice di Ughetto: «è stato l’apostolo fervido dell’opera umanitaria ed ha superato con mirabile ardimento le insormontabili difficoltà che si opponevano alla attuazione della provvida istituzione, dando prova di serenità di spirito in mezzo alle piccole invidie degli immancabili oppositori».

    Nello stesso periodo, a lui si devono anche la istituzione di una “Commissione per il soccorso ai prigionieri di guerra”, di un “Posto di soccorso” presso la stazione, per il quale il capostazione cav. Bianchi mise immediatamente a disposizione dei locali, ed uno di ristoro.

    Nel 1918 aprì presso il ricovero Chiappori di Latte una colonia marina per i figli dei caduti dai sei ai dodici anni, con 130 posti, che funzionò anche nell’anno successivo, a guerra terminata, per 266 ragazzi.

    Nell’intero periodo di attività del Comitato durante la guerra ci fu un movimento, in entrata ed in uscita, di lire 52.173,87.

 

La sede attuale

    La guerra aveva lasciato strascichi di mali; molti in particolare gli afflitti da T.B.C.: per essi Ughetto riusciva ad acquistare dalle suore francescane uno stabile in Via Regina Margherita, da adibire a colonia marina ed aperto come tale il 22 luglio 1920 con l’ospitalità a 214 ragazzi d’ambo i sessi della zona.

    Se l’edificio dell’ospedale è giustamente tornato alla funzione per la quale era stato creato, nel nome di San Secondo, dal vescovo Daffra, è bello che dopo una parentesi legata alla seconda guerra mondiale l’edificio della C.R.I. di Via Regina Margherita, oggi Via Dante (chissà poi perché !) sia esso pure tornato alla associazione proprietaria per gli scopi che le attuali esigenze richiedono, e con sulla sua facciata sempre splendente il nome di chi spese la sua vita di lavoro e senza ricercare onori per il bene di tutti: il dott. Giuseppe Ughetto.

                                                                                Da: LA VOCE INTEMELIA anno XXXVIII  n. 11  -  novembre 1983

 

Da INTEMELIO di Nicolò Peitavino

 

    Il dottore cav. Giuseppe Ughetto, nato a Dolceacqua nel 1864, esercitò a Ventimiglia la carica di medico provinciale dell’ospedale fino alla morte, che avvenne il 30 marzo 1942. L’Ughetto fu davvero una cara e simpatica figura di medico, che per più di quarant’anni lenì i dolori di numerosissimi infermi nell’ospedale e nella sua casa privata. Egli fu uno studioso ed un clinico valente. Con grande insistenza cercò sempre che si apportassero all’ospedale le più utili riforme. Si poteva dire che l’ospedale fosse per lui una seconda casa. Dopo l’ospedale, la sua cura era rivolta alla colonia marittima. Io, che ne fui cappellano per oltre un ventennio, posso dire che, durante l’estate, tutti i giorni il medico Ughetto vi faceva la sua comparsa. Voleva essere informato di tutto e come fossero nutriti e educati i fanciulli e le fanciulle; chiedeva se vi fossero malati, desiderava che si divertissero all’aperto o sulla spiaggia del mare o nel giardino della colonia.

Tutte le domeniche e le feste di precetto, tanto il turno dei ragazzi quanto quello delle fanciulle assisteva alla Messa nella Cappella della colonia che il dottore Ughetto aveva arricchita di un altare e in marmo e di una balaustrata.

Tutti i giovedì io mi portavo a fare il Catechismo e il sabato ad ascoltare le confessioni di quelli che avevano già ricevuto la prima Comunione.

Il dottor Ughetto era un uomo di grandi desideri. Se avesse avuto i mezzi, chissà cosa avrebbe fatto a beneficio dell’umanità sofferente ! È morto, il dottor Ughetto, ma egli vive ancora, perché la sua memoria rimarrà indelebile nei Ventimigliesi, che lo apprezzavano quale medico valente e benefico filantropo. Egli era credente. Difficilmente mancava ai suoi doveri religiosi.