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RESTAURI  E  RITROVAMENTI  A  VENTIMIGLIA

CASTELLO    E

CATTEDRALE

IN  EPOCA  MEDIEVALE

di Luigino Maccario

    Nel X secolo, alla città si sostituì insensibilmente, come modello tipo di ogni vita sociale organizzata, la “corte”. Il compito del nobile governante consisteva nel mantenere nella pace e nella giustizia una comunità d’i uomini liberi. Tuttavia, in seguito principalmente alla cristianizzazione della regalità, il nobile, considerato rappresentante di Dio, si presentò un po’ alla volta egli stesso come un padre.

    I poteri dei quali era depositario rivestirono sempre di più l’aspetto di una proprietà personale, ereditaria, patrimoniale; il moto di appropriazione della cosa pubblica ebbe origine al sommo della gerarchia politica. Il palazzo, d’ove il conte amministrava la giustizia, fu visto come dimora e ciò si nota dal mutamento di significato che subirono certe parole, per esempio il termine latino “curia” dove nell’Antichità si celebrava la giustizia, attraverso la pubblica magistratura, che tendeva a trasformarsi in “corte”.

    Anche se non ci restano molti reperti dell’ipotizzato castello contile, sui resti del presunto fortilizio bizantino del “Cavu”, potremmo ammettere l’esistenza della necessaria dimora di rappresentanza dei Conti di Ventimiglia, certamente realizzata in bella pietra, come gli edifici pubblici dell’Antichità romana, derivando dalla scenografia urbana, civica; la porta monumentale, la torre nobile, di certo la galleria collegata con la Cattedrale, dove il conte veniva a dettar legge ed a prescrivere di farla applicare, nel corso delle assemblee pubbliche dei capi famiglia.*

    Nei secoli posteriori al XIII, dal ben accertato castello, l’autorità occupante genovese, si sarebbe servita della esistente e ben definita “Porta della Trinità” onde evitare il contatto col popolo, magari adendo ad una tribuna sospesa, nella navata di ponente, con vista diretta sull’altare.

    Per accedere alla chiesa, luogo delle assemblee, il Capitaneo prima e poi il Podestà avrebbero percorsa la pur solida scala scavata nella puddinga e ben celata che dal palazzo conduceva direttamente alla porticina. Questa entrata laterale, posta a Sud-Ovest, presso l’abside ed oggi restaurata ma chiusa, veniva citata da vecchi documenti, uno notarile del 1453 ed un’inscrizione lapidea del 1565, quando ancora era praticabile, mentre tracce murate nei restauri seicenteschi venivano citate dall’ingegnere B. Brunati, nella relazione del 9 marzo 1843. La scala esterna in puddinga venne alla luce nei primi anni del 1900, mentre il capomastro Anfosso attendeva a far scavare il letto per il nuovo lastricato di via al Capo.

    Come afferma il professor Nino Lamboglia nella relazione per i suoi restauri, la scala e la porta di comunicazione, riuscendo al di sotto del livello dell’attuale chiesa, sarebbero servite per l’accesso ad un passaggio fra il castello dei conti e la vecchia Cattedrale franco-longobarda, che si conosce esistente sotto l’attuale.

    L’evoluzione di questo tipo di passaggio, disponibile verso il nostro più importante monumento sacro, potrebbe riguardare il tipo di governo ventimigliese nei cinquecento anni di totale buio informativo, dal V al IX secolo.

    L’accesso verso la Cattedrale dall’eventuale castello comitale, per tutto il periodo dell’edificio sacro franco-longobardo, sempre che seguisse la scala protetta d’accesso, potrebbe indicare che il governante locale sia stato un vescovo-conte.

Sarà la concessione di feudi carolingia a portare in zona la famiglia contile, che infeudata la rocca, rinnovando il castello e portando ad un livello superiore la fatidica porta, ci ha condotto verso la lasciato la testimonianza più evidente, lasciata certamente dalla dominazione genovese.

                                                                                                 LA VOCE INTEMELIA anno XLVIII  n. 2  - febbraio 1993

Anche le ultime ricerche per il ritrovamento del castello dei Conti Ventimiglia in città non hanno dato frutti. Pare proprio che i conti, venendo a promuovere giustizia, dimorassero nelle dimore dei sottoposti;  quegli stessi che mantenevano gli uffici amministrativi, durante la loro permanente assenza.

   

 

Rilievo  del   lato   ovest

    Dal rilievo iconografico del restauro e dalla relazione, redatti dal professor Nino Lamboglia nel 1963, si ricava l’importanza del ritrovamento, celato dall’apertura dei finestroni seicenteschi, dei quali, quello interessato alla “Porta della Trinità” è stato ristrutturato subito, murandolo; come saranno murati tutti gli altri nel prosieguo del restauro Anni Settanta .

    Dalla testimonianza di Girolamo Rossi, in “Storia della Città di Ventimiglia”, emergono due testimonianze scritte di rilevante importanza.

“A lato del suo abside eravi una porta prospiciente il Castello, che anzi un fascicolo membranaceo di atti del notaio Antonio Carrubeo, serbato nell’Archivio Capitolare, porta la data dell’anno 1453 e la redazione in ecclesia Cathedrali apud portam S. Trinitatis. Tale porta esisteva ancora nel 1565, perché sopra di essa veniva murata un’iscrizione del Cardinale Lomellini, Vescovo di questa Chiesa, dicente: BENEDICTUS S. MARIAE IN AQUINO S. R. E. PRESBITEB CARDINALIS LOMELLINUS EPISCOPUS VINTIMILIENSIS MDLXV. Tracce di quella rinveniva ancora l’ingegnere B. Brunati, come lo chiarisce la sua relazione del 9 marzo 1843. Resti di un’antica scala di solida puddinga, che dal Castello (ora Monastero delle Lateranensi) metteva in vicinanza di questa porta alla Cattedrale vennero in luce pochi anni or sono, mentre il capomastro Anfosso attendeva a far scavare il letto pel novello lastricato; ma tale comunicazione riuscendo di sotto al livello dell’attuale chiesa, è indubitato che accennava ad un passaggio fra il castello dei conti e la vecchia Cattedrale longobarda”. Quest’ultimo accenno riguarda non la “Porta della Trinità”, che è assai più in alto, ma l’arco di costruzione altomedioevale al quale abbiamo accennato”.

.... Un elemento nuovo è ancora costituito, sul fianco laterale sud, presso l’abside, dalla scoperta di una porta ad arco fortemente ogivale, in pietra di puddinga, oggi chiusa: è la “porta della Trinità”, citata in vecchi documenti, che dava accesso alla chiesa da questo lato: è stato possibile isolarla per intero, ripristinare l’arco con le parti mancanti, e nella muratura di accecamento si è ritrovato un altro pezzo di scultura “longobarda”, che è stato murato sul posto.

    Il livello di questa porta è più alto dell’attuale livello di strada, segno dell’avvenuto sbancamento di terreno per la costruzione della strada medesima, ma ai piedi di essa un poco a destra, verso  l’angolo  dell’abside,  affiora  a  livello  del  suolo stradale un  avanzo  di  muratura  preromanica  con  tracce  di  un arco che  si  apriva  ad  un  livello  ben  più  basso.  È  questa la prova che il riempimento di terreno aderente da questo lato alla Cattedrale romanica è dovuto ad una frana o ad un terrapieno artificiale, ma non si riferisce allo stato originario del terreno medesimo. .....

 

 

IL CASTELLO SUL CAVU:

CASTRUM  ROCHE

    Pare dunque che i Conti di Ventimiglia, pur non risiedendo stabilmente nel capoluogo di contea, edificarono il loro castello sulla sommità del “Cavu”, dedicandolo a Sant’Antonio Abate, santo del quale vantavano la parentela e la capacità taumaturgica verso il “Fuoco sacro”. L’edificio potrebbe essere stato eretto tra l’XI e il XII secolo, utilizzando come base i muri ciclopici dell’antichissima fortezza eretta per difendere il Limes bizantino.

    Quando nel 1222, i Genovesi sottomisero il Libero Comune di Ventimiglia, occuparono il castello e lo trasformarono nella sede del Capitaneato, indicandolo nei documenti quale Castrum Roche.

    Nel 1943, in seguito ai consistenti smottamenti che riversarono sulla sottostante strada di cornice la parte più in alto del Capo, gli scavi realizzati in pieno periodo bellico per realizzare un consolidamento di sicurezza portarono alla scoperta delle strutture dell’antico Castello, mettendo in luce imponenti murature, eseguite con blocchi di pietra squadrati e disposti in  corsi regolari, che  suddividevano la formazione di diversi ambienti, alcuni coperti da volte con vani sovrastanti. Piccole porzioni di questi muri restano in parte ancora oggi visibili, sulla sommità del colle.

    Tra queste muraglie, a testimoniare la antichissima frequentazione dell’area, venne anche scoperta una piccola necropoli con otto tombe a “cappuccina”, in linea di massima datate tra V e VII secolo, sulle quali risultavano sovrapposte altre sepolture in pietra grezza, coperte da grosse lastre di pietra. Furono anche ritrovate strutture a pianta rettangolare di tre metri per sette, attribuite a una cisterna di età romana.

    Scavi più recenti, condotti nel corso del 1995 all’interno del Convento delle Suore dell’Orto, in prossimità dell’entrata, hanno portato alla scoperta di una notevole struttura ad angolo, alla profondità di quasi tre metri,, caratterizzata dalla presenza sui muri di cavità adatte a reggere assi per soppalco, riferibile con probabilità ai resti della antica fortezza; fatto che documenterebbe la grande estensione di questa struttura, a conferma delle testimonianze tramandate da documenti di archivio.

 

Veduta ottocentesca del Cavu dalla foce