SOGGIORNO
VENTIMIGLIESE
DI CAMILLO
SBARBARO
Camillo Sbarbaro entrò a far parte della Croce Rossa Italiana nel 1916, all’età di 28 anni facendosi chiamare Sbarbaro Pietro Giuseppe, utilizzando cioè il secondo e il terzo nome nel tentativo di celare dietro l’anonimato il desiderio di aiutare il prossimo. Militò presso l’ospedale militare di Rapallo, in seguito a Genova, poi nel presidio di Ventimiglia prima di essere trasferito in Trentino, allora zona di guerra. Di questi trascorsi rimangono tracce negli scritti e nelle cartoline inviate all’amico e poeta Angelo Barile.
"Qui mi hanno assegnato all’Ufficio e anche qui, forse per la mia apparente mitezza, m’attiro la simpatia di tutti. I miei superiori diretti gareggiano nel darmi di loro iniziativa permessi d’uscita, diurna e notturna. Ne approfitto largamente: lunghe soste beverecce a un caffeuccio vicino, gite a Sanremo, alla Mortola, a Apricale, a Dolceacqua ... E mi piglio ogni tanto il lusso di far spedire, da questo paese dei fiori, omaggi anonimi a persone che magari ho solo intravisto: cento garofani americani, un cesto di rose bianche ... Ma, come succede, il troppo dolce stucca; da una vita così comoda e prevista nasce il desiderio d’un mutamento ... che, avrai letto, s’annuncia imminente.
Mi pareva d’aver tante cose da dirti ... Ah, questa almeno: sono contento di aver avuto occasione e tempo di conoscere Sardi e di ammirarlo. La sua scomparsa m’ha privato, se non d’un amico, d’un esempio: l’esempio d’una vita piena e sana, tanto diversa dalla mia ... Pare che buttandosi avanti non certo alla cieca alla testa del suo plotone si sia fatto sfracellare da una bombarda; lui che, ripartendo di sua volontà per il fronte, m’aveva detto che s’augurava di tornarne monco storpio e cieco pur di tornare ...
... sto inzuppando nel cognac (cognac pura fiamma, non quello nazionalista raschiagola) zolle di zucchero ... Qui a Ventimiglia si vede e più si respira la mia patria d’elezione ... Ci sono quartieri miserabilissimi (che mi toccano per un altro verso) ma anche anticipi di Francia. Nei locali (ne ho assaggiati parecchi nel timore di non fare in tempo) il benessere è nell’arredamento, nell’aria: si è ricchi.
L’ospedale è in alto, nella parte vecchia della città. Lindo, splendente, vi sa di buono anche la creolina. Segretario del direttore, il prof. Ughetto, preferirei far l’infermiere, ma sono grato delle buone intenzioni. Rientrando alle nove dalla libera uscita, vedo sulla costa francese brillare Monaco (credo): sordamente, come un braciere quando se ne scuote la cenere; e due fari accendersi e spegnersi alternativamente, quasi una lucciola che faccia e rifaccia lo stesso tratto di strada.
Ultimamente ho scritto parecchie cose scadenti: meglio mi azzittì.
PS. Turchini è pseudonimo di Soffici; sicurissimo: basta una riga."
... Sto centellinando un vino che ha il peso e il colore dell’oro; pregno di aromi, spremuto dal sole alla pietra. Ex vite vita, per me nel senso più pieno: solo dalla vite un po’ di vita ...
... ti scrivo ancora da una taverna di Ventimiglia vecchia. Mi par d’essere nella semi ebbrezza un personaggio di Cézanne. Sul tavolo, al quale siedo solo, la bottiglia prende un’importanza straordinaria. Circondano fastidiosamente la mia saggezza i moscerini della svinatura ... (endecasillabo)
Ho passato il Natale 1916 alla Mortola nel giardino Hanbury; vi ho fatto la conoscenza del Cephalocereus senilis e d’altri essere incredibili; ho anche bevuto alla Fontana della Sirena ma non ne ho udito il canto ...
da: CAMILLO SBARBARO
- L’opera in versi e in prosa - Trucioli 1916 - pag. 563 GLI ELEFANTI - Garzanti - Milano 1999
Sempre nel 1916, in “Trucioli” ha pubblicato il seguente capolavoro:
C’è nel fungajo di case di Ventimiglia vecchia un’antica chiesetta. Una notte che vagando sbucai su una piazza, essa m’apparì staccata su un cielo più celeste che di giorno dove una grande luna faceva di madreperla un gregge di nuvolette ammonticchiate e leggere. Non c’era che questo: ma la luna dava al luogo un aspetto così stupito che pareva di vivere in un’antica stampa.
Un bambino, che passava per mano d’una donna, alla vista del cielo s’impuntò, smaniando alla luna come verso un giocattolo nuovo; e i due si fermarono in mezzo alla piazza con esclamazioni di meraviglia.
Uno, rasentando il gruppo di premura, volle dir solo: Cielo a pani se non piove oggi piove domani; ma, fatti altri due passi, anche lui s’arrestò a viso in su, colto da stupore.
Questo ricordo avrà virtù di farmi sorridere chi sa fra quant’anni ancora.
Cielu faitu a pan,
se nu’ ciöve ancöi, ciöve duman.