ISOLABONA
PIGLIÉIRU, PIGLIÉIRU ...
Come a Camporosso e Dolceacqua, una processione dedicata a San Sebastiano è stata in auge anche a Isolabona. Si è trattato però di uno strano rituale itinerante, dedicato al Santo protettore dei malati, che trovò svolgimento fino al 1925. La bizzarra cerimonia aveva preso forma nel XV secolo, nel momento in cui era cessata la terribile pestilenza che aveva sconvolto l’intera regione.
Lo studioso di feste antiche, G.C. Pola Faletti, ce ne racconta la forma, che potrebbe essere scaturita dall’adempimento di un voto fatto dal parroco del Cinquecento per liberare la comunità dalla pestilenza. Quel prete avrebbe assunto per sé ed i suoi successori il pio impegno di farsi insultare nel corso di questa processione. Così avveniva che egli fosse rincorso dalla gioventù provocando scompigli poco adatti alla serietà della cerimonia.
“Il prete, in testa al corteo, attraversava le vie e i carrugi illuminati fiocamente da centinaia di lumini ricavati da gusci di lumaca riempiti d’olio e muniti di uno stoppino.
Quella liturgia aveva un inizio calmo, durante il quale i fedeli intonavano le litanie dei santi e in particolare si chiedeva a San Sebastiano l’allontanamento della peste, il prete iniziava poi ad aumentare il passo per darsi infine alla fuga. I fedeli che formavano il corteo, ma in particolare i giovani, lo rincorrevano al grido di “piglièiru, pigliéiru”. Naturalmente quando il prete veniva raggiunto veniva insultato e strattonato con una certa veemenza”.
Per ovviare alla eccessiva intemperanza dei giovani e per riportare la manifestazione entro i canoni del rito devozionale, nel 1925 il parroco don Tornatore fu obbligato a sopprimere la processione.
Una spiegazione della ragione per cui quel parroco promosse quello bizzarro tipo di rituale potrebbe trovarsi nel fatto che, secondo quanto ci è stato tramandato, quel sacerdote durante la pestilenza non aveva ritenuto opportuno entrare nelle case degli appestati per impartire l’estrema unzione. Non volendo avere contatti, per incolumità personale, si era limitato a camminare velocemente tra i carrugi impartendo rapide benedizioni ai moribondi dalla porta d’ingresso delle case. Cessata la peste e resosi conto di non aver adempiuto ai suoi doveri pastorali egli aveva promosso quel tipo di processione cercando di espiare le sue colpe, ma lasciandola anche in eredità ai suoi successori.
Dalla rubrica Cose d’altri tempi di Marino Cassini, pubblicata su “La Gazzetta di Isolabona” 1995.
SAN BASTIAN A CAMPOROSSO E DOLCEACQUA