OPERE
biugrafie

                                                FILIPPO Giliu ROSTAN
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           Nato da famiglia di cultura valdese, proveniente dalle vallate di Pinerolo, veniva alla luce in Sanremo, il 25 aprile 1897. Trapiantato ad un anno a Bordighera, dove il padre Filippo e la madre Maria Caterina Rubino gestivano una pensione, frequentava le prime scuole. Trasferitasi la famiglia a Monaco, restò da una zia a Ventimiglia, dove frequentò le superiori diplomandosi in ragioneria nel 1914. Non ancora ventenne andava al fronte nella guerra del 1915/18, riportando un’invalidità permanente. Dopo il primo conflitto mondiale, tornava a Ventimiglia dove insegnava ragioneria e studiava per poi laurearsi in lettere. Il suo vero interesse era per il teatro e la letteratura, prendeva parte, molto volentieri, ai dibattiti che si tenevano al Cafè Ligure, in quegli anni, per merito del professor Vieri Bongi. In quel periodo, Rostan era una delle persone più conosciute in città. Nel 1925, al momento nel quale la cultura tradizionale stava per perdere la libertà di esprimersi, giacché il Governo considerava i dialetti come qualcosa di sovversivo, iniziava un’attiva collaborazione con Emilio Azaretti per la conservazione del dialetto ventimigliese, facendo della nostra parlata una bandiera di indipendenza e di libertà, ispirati da Mistral e dai Felibre della Provenza. Per Rostan questa avventura diventava subito una missione, tanto che su questa sua finalità lo stesso Azaretti dice: “Rostan ha fatto del dialetto ventimigliese la sua vera lingua, che adoperava tutte le volte che ne aveva l’occasione: parlando, scrivendo, e non solo quando scriveva poesie o commedie, ma soprattutto nelle sue lettere personali”. Nel 1927, con Azaretti, fondava la Cumpagnia d’i Ventemigliusi e nel 1928 la Cumpagnia d’u Teatri Ventemigliusu, poi, insieme iniziavano a scrivere commedie, sotto lo pseudonimo Yvan Dakordiu: L’AMU’ U L’E’ CIU FORTE CHE U BRUSSU / 1929 - U DOTTOR PEPIN SCURLUSSURA / 1930 - PAULIN U S’INCALA / 1932. Lui medesimo scriveva: RUFFINI A VENTIMIGLIA, ispirandosi al libro autobiografico “Lorenzo Benoni”. Ma Rostan non si accontentava di scrivere, infatti passava sere e sere alle prove della Compagnia, suggerendo persino il dialetto agli attori che recitavano per la prima volta. Poi, nelle serate di recita, fungeva da direttore di scena provvedendo ad ogni necessità, dai vestiti, al trucco, facendo coraggio agli attori, fino a spingerli in scena al momento giusto. Racconta sempre Azaretti: “Ricordo una sera, si recitava al Casinò di Mentone, vedo entrare in scena una faccia nuova che non avevo mai visto, alla fine dell’atto vado a vedere di chi si trattava: ebbene era Rostan ! All’ultimo momento mancava un attore, e lui si era fatto attaccare un paio di baffi ed era uscito in scena, con tanta paura, giacché era la prima volta che recitava, ma eseguendo la parte come nessuno aveva mai fatto così bene”. Nel campo della canzone dialettale, scrisse le parole per le musiche di Ughes, Niloni e Cebrelli: L’AIGA DA SCCIÜMAIRA, CUM’A L’E’ BONA A PISCIADELA, LEGENDA VENTEMIGLIUSA, PERCHE’ U L’E’ PESCAVU’, A FUNTANA D’A CATEDRALE, S’I PASSA AUTI. Sempre con Azaretti, ha redatto A BARMA GRANDE - Antulugia Intemelia - dove pubblicò numerose poesie dialettali. Alcune poesie in lingua vennero pubblicate nei libretti: TRA L’ERBA e RIMPIANTI. Negli anni ‘30, nel corso delle feste, da lui organizzate, con la Cumpagnia e la Biblioteca francese, conosceva e sposava Berta Bacilone, di famiglia tendasca, domiciliata ad Antibes, era Direttrice della Scuola Francese di Ventimiglia. Nel 1939, all’avvento del fascismo, si trasferì a Nizza, dove, subito dopo la guerra, nel ‘46, entrava come funzionario nel Consolato Italiano, lavorando per ristabilire le buone relazioni tra Italia e Francia, in questa nostra zona di frontiera. Da Nizza e da Antibes, dove andava a passare l’estate, con assidue lettere e numerose visite all’uno e all’altro “ventemigliusu” ha ottenuto che si riprendessero le pubblicazioni de A BARMA GRANDE, questa volta a cura dell’Istituto di Studi Liguri, del quale è stato fondatore e collaboratore per anni e per il quale ha dato alle stampe STORIA DELLA CONTEA DI VENTIMIGLIA, nel 1971. In quegli anni, scrisse le commedie dialettali: INA PURMUNITE DUGIA, IN VITALISSIU, DUI A CUGULETU, I SUN MEGLIU I OMI O E DONE?, prendendo parte attiva all’inaugurazione del Festival della Poesia e della Commedia Intemelia di Pigna. E’ stato fautore dello “Incontro regionale - Storia e vita di dialetti liguri” che ha gettato il seme per rendere grande la “Cunsulta ligure tra e Associazioni d’Arte e Tradizione”. Il suo ultimo scritto storico è stato LA OÚ SE JOUAIT LE SORT DE L’EUROPE, un saggio per spiegare ai francesi la verità sugli avvenimenti della guerra 1915/18, recentemente tradotto in italiano. E’ deceduto ad Antibes, l’8 luglio 1973.
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                                                                   Pubblicata su: “La Voce Intemelia” Anno XXVII - n° 7 - luglio 1973.

 rivista il: 19 agosto 2011

           COMMEMORAZIONE DI FILIPPO GILIU ROSTAN
                             tenuta al Festival di Pigna, da Nino Lamboglia, nell’agosto de 1973
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           Non avremmo detto mai, cari amici, negli scorsi anni, quando seguivamo questo Festival avendo in mezzo a noi Filippo Rostan, che lo ispirava e godeva beato in prima fila dell’aura di Pigna, che avremmo dovuto iniziare quest’anno ricordandone la scomparsa. Egli veniva da Antibo e da Nizza con la fedele Consorte, che ha voluto anche quest’anno essere con noi - e alla quale porgiamo tutti un pensiero non convenzionale di condoglianze - prendeva stanza all’Hotel delle Terme, saliva ogni sera in la Colla, un po’ irrequieto e timoroso dei suoi acciacchi, ma alla fine partiva sempre soddisfatto e felice, dopo aver felicitato autori e attori. Il suo posto rimarrà vuoto, domenica, su questo podio dove era solito leggere le poesie sue e dei suoi conterranei. Un vuoto incolmabile, perché personalità come quella di Rostan, in questa terra di frontiera complessa e tormentata, non emergono molte volte in un secolo.
         A lui principalmente dobbiamo se è nata la “Barma Grande” e con essa tutto il movimento letterario intemelio dell’ultimo quarantennio, e quindi il Festival di Pigna che ne è oggi l’espressione più popolare e genuina. D’accordo, non sarebbe nato senza l’ispirazione di Emilio Azaretti, senza il paterno viatico di Luigi Notari e l’afflato poetico di Marcelle Firpo e di quanti altri hanno collaborato con loro; ma senza il pensiero e l’opera di Rostan questa bella unità di spiriti che supera le persone e le frontiere non si sarebbe rafforzata, perché egli ne fu fin dai primordi l’autentica “cheville ouvrière”, colui che intrecciò e mantenne i contatti fra uomini di lingua e di cultura e di campanile diverso, e in tutti instillò la convinzione e meglio l’istinto dell’unità nella varietà e l’ideale di una Liguria intemelia una e indivisibile, nel nome di Ventimiglia e della sua antica Diocesi e del suo Comitato.
        Tale convinzione venne a lui dallo studio della storia, e si sviluppò di pari passo coi destini dell’Istituto di Studi Liguri, di cui fu uno dei fondatori; ad esso, fin dal 1933, si ancorò come in un porto sicuro. Fu lui che mi attirò giovanissimo, in quegli anni, da Albenga a Ventimiglia, fu lui che mi condusse la prima volta a meditare, dall’alto del Trofeo della Turbia, sui destini della Liguria d’oltre frontiera e della latinità mediterranea; i suoi principi al riguardo si forgiarono di pari passo con i nostri, e collimarono fino alla fine. Diventò storico senza aver fatto della ricerca storica una professione, anzi rimase e si dimostrò sopratutto un vero filosofo della storia della sua terra, ansioso di carpirne il segreto attraverso le mutevoli vicende di due e più millenni, e sognando la restaurazione almeno ideale e culturale della sua antica e indistruttibile unità.
         Ma Rostan rimane per noi, al di là della storia, sopratutto un poeta e un delicato interprete della gentilezza nativa del temperamento intemelio: un carattere che deriva dalla natura, dal sole e dall’avvicendamento delle Alpi ed ha forse una sola parola latina per definirlo: mansuetudo, che indica all’origine quella dolcezza, quella misura, quel senso di civile convivenza da cui nasce veramente la gioia di vivere. Uomo mite, calmo, signorile nell’animo e nel portamento fu anzitutto Rostan, pur nella sua semplicità e nella modestia delle sue origini. Da Baiardo a Sanremo, da Sanremo a Bordighera, infine a Ventimiglia, e di qui a finir la vita a Nizza e ad Antibo, ebbe modo di confrontare fin da bambino le diverse sfumature di carattere delle nostre principali città e delle nostre vallate, e ne estrasse per sé il succo migliore. Dal più alto paese della Liguria Initemelia venne forse a lui la profonda sensibilità della natura e dell’ambiente rusticano, quella stessa vena lirica che permane nel temperamento baiardese; da Sanremo la concretezza ligure e la tenacia che certo non gli mancò in tutta la vita; da Bordighera, protesa sul mare, la lungimiranza che da l’orizzonte marino e quel fine autoumorismo che caratterizza il carattere bordigotto e che trapela spesso nella sua poesia; da Ventimiglia infine quel senso profondo di umanità che sembra promani dall’acqua del Roia e che abbraccia monti e vallate, spartiacque e frontiere in una superiore visione della vita e della società fatta di saggezza e frutto di costante travaglio. Trasferito a Nizza, sposato ad Antibo, continuò a guardare a Ventimiglia e all’Italia come alla sua terra materna, e continuò a dedicarvi il meglio della sua attività e della sua produzione poetica e letteraria. La Li guria Intemelia fu il suo credo, l’unità del Bacino del Roia attraverso i dialetti, il folclore, la storia rimase il tema principale dei suoi scritti dell’età matura. La sua “Storia della Contea di Ventimiglia” resterà come il miglior compendio delle vicende storiche della città di frontiera e dell’intero territorio intemelio. Le sue commedie, semplici e spontanee come il suo carattere, scritte solo da lui o in collaborazione con l’amico Azaretti, dureranno nel tempo e saranno recitate finché durerà la fiamma della Cumpagnia d’u Teatru Ventemigliusu, che egli accese e stimolò da vicino nei primi anni, finché vivrà sulle nostre coste e nelle nostre vallate l’amore della lingua materna. Le sue poesie, altrettanto semplici e cristalline, come tante gemme o fiori che egli immaginava staccarsi “Fra l’erba” - titolo di uno degli opuscoli suoi a cui egli più teneva - con quella vena di sentimentalismo e di umorismo che la caratterizza, vivranno nel tempo e saranno tramandate ai figli. Un certo numero ce ne ha lasciate inedite, per la pubblicazione, e le leggeremo domenica ed esaudiremo la sua volontà.
          Tenne e lavorò molto anche alla grafia unitaria dei dialetti intemeli: argomento non pacifico e fonte di dispute senza fine con Azaretti e con Firpo e con Notari e con chi vi parla: la Barma Grande è stata sotto questo aspetto, per gran parte, opera sua, e la curò, con Azaretti, fino all’ultimo numero, che è in stampa.
           Mi ha sorpreso, fra i manoscritti che ha lasciato all’Istituto di Studi Liguri, leggere numerose sue poesie recenti, oltre che in dialetto, anche in italiano, ed anche per questo ho preferito parlarvi anch’io di Rostan in italiano e da italiano. In realtà, portato dal suo matrimonio e dalle vicende della sua vita a trasferirsi in Francia (e per questo ingiustamente calunniato negli anni anteguerra) ebbe, quanto più avanzava negli anni, la singolare reazione di sentirsi sempre più profondamente italiano, di origini e di cultura, anche se la Francia fu per lui come per tutti noi una seconda Patria, e se l’Europa unita, con capitale nel Distretto Europeo delle Alpi Marittime a cavallo fra la Francia e l’Italia, fu il suo grande ideale inarrivato, da buon socialista sano come egli amava riconoscersi; e in questo ideale di nazionalità una e bina egli educò il figliolo, facendone il vero tipo dell’homo novus europeo, e anzitutto italo-francese, che egli aveva lungamente sognato. Per il suo profondo sentimento di italianità egli dedicò non poco tempo - avendo partecipato alla prima guerra mondiale sul Piave a fianco dei commilitoni francesi, ed essendone rimasto mutilato - a quel singolare libro, scritto in francese per i francesi e tradotto ora in italiano dal generale Faldella “La où se jouait le sorte de l’Europe”, nel quale rievoca le vicende di Caporetto e tenta di ristabilirne la verità storica, sovente deformata all’estero. E di questo compito, egli che pur del guerriero non aveva nessuna stoffa, e ne sorrideva con gli amici, si sentiva particolarmente fiero, quanto d aver dato origine con la sua produzione e la sua opera intemelia a questo Festival di Pigna. Il quale quest’anno gli e particolarmente e naturalmente consacrato, e nel quale i suoi concittadini ventimigliesi, la Cumpagnia d’u Teatru Ventemigliusu che fu una sua creatura, hanno voluto stasera essere presenti per primi. Quest’opera dovrà essere naturalmente continuata da noi e da chi verrà. Pigna, alle sorgenti del Nervia che alimentò la prima Ventimiglia, offre su questa rocca dell’antico Castello dei Conti di Ventimiglia un terreno abbastanza solido e secolare per poter fondare su di esso questa grande speranza nell’avvenire, che è un sacro impegno di tutti noi verso la memoria di Rostan.

 
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Il testamento spirituale di Filippo Rostan
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 Agli amici
                                         Nino Lamboglia
                                     Emilio Azaretti
                                     Ettore Laura
       Perdonatemi se, pensando a Ventimiglia e al mio stato, vi confesso un mio sogno. poiché non mi sarà dato di riposare sulla foce del Roia, come era mio desiderio, e il mio nome non apparirà costì sul marmo di una tomba, avrei caro, affinché io possa restare il più lungamente possibile fra cadeste mura, che qualcosa lo ricordasse: un “carrugiu” a Ventimiglia, uno scaffale nel Museo Bicknell, un numero speciale della Barma Grande dove saranno raccolte le mie opere teatrali.
      Affinché voi possiate giustificare il mio amore per codesta mia terra innanzi a chi potrà sorriderne, lasciate che vi aiuti a ricordarvi con quali argomenti potrete difendermi.
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Per l’Istituto Internazionale di Studi Liguri
   
1° - Presentato il primo numero della Rivista Storico Archeologica Ingauna al prof. Vieri Bongi e a voi, Azaretti e Laura e, ottenuto il vostro consenso, m’incontrai in Albenga con Lamboglia e il Presidente della Società Ingauna. In quella seduta venne decisa la creazione della Sezione Intemelia. La Società prese il nome di Società Storico Archeologica Ingauna Intemelia.
         Fu questo il primo passo del suo sviluppo.
    2° - Qualche anno prima della seconda guerra mondiale, le relazioni tra l’Italia e l’Inghilterra essendosi deteriorate, la colonia inglese decise di abbandonare Bordighera e liquidare quel che vi aveva creato. Intervenni allora presso la signora Berry, che mi onorava della sua considerazione, e potei persuaderla a far dono del Museo Bicknell alla Società. Ti presentai, amico Lamboglia, alla signora Berry e fu così avviato il procedimento per la cessione di detto Museo con tutta la biblioteca, carte suppellettili ecc.
         Il Museo Bicknell divenne la bella sede della Società.
         E fu il secondo passo della sua fortuna.
    3° - Ottenuta l’adesione alla Società del monegasco Luigi Notari, lo presentai a te, Lamboglia e, quando decidesti di dar maggior respiro all’Istituto, mi adoperai al tuo fianco affinché ne assumesse la presidenza, il che fece. L’Istituto divenne Istituto Internazionale di Studi Liguri.
         L’ubicazione della sua Sede in prossimità della frontiera giovò, e giova, alla sua internazionalità.
         E fu il terzo passo del suo grande sviluppo.
    4° - L’Istituto ha pubblicato la mia "Storia della Contea di Ventimiglia", primo tentativo d’una storia della Contea, studio che rivela l’importanza del Bacino del Roia nella storia e nei destini d’Italia.
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Per i Ventimigliesi
     1° - Creai, con Azaretti, la “Cumpagna d’i Ventemigliusi”.
          Con essa intendevamo vivificare l’amore e l’interesse per il paese, l’amore e l’interesse per il dialetto.
    a) Dopo aver studiato una norma ortografica unitaria per i dialetti intemeli (Bacino del Roia e dell’Argentina} raccogliemmo parecchi dialetti locali in una antologia a più fascicoli, A Barma Grande.
          Caro Azaretti, tu puoi testimoniare che il lavoro che vi ho dedicato era grande. Vi portai la grande maggioranza dei collaboratori: Jacono e Spisani, miei compagni di scuola; Pallanca, mio allievo, Padre Allaria, amico di famiglia; Andracco e Miele, vecchie conoscenze di Bordighiera; Firpo, Notari, De Stefani, Rebaudi, Martini, Villarem, amici e conoscenze vecchie e nuove; Boyer e FErraironi per contatti epistolari; ecc.
     b) pubblicai una raccolta di mie poesie: “Tra l’erba”.
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      2° - Creai, con Azaretti, la Cumpagnia d’u Teatru Ventemigliusu e, per la prima volta nella storia di Ventimigna, il suo dialetto ebbe l’onore del palcoscenico, con opere originali. Commedie in tre atti in collaborazione con Azaretti: “L’amù u l’è ciü forte che u brussu”, “U ‘dottor’ Pepin Scurlüssura”, “Paulin u s’incala”; varie traduzioni e adattamenti.
        Opere mie proprie: “Ruffini a Ventemiglia”, in un atto; “Luvu de ma”, in due atti; “In vitaliçiu”, in tre atti; “Ina purmunite dugia”, in un atto; “Dui a Cuguletu”, in un atto; “I sun megliu i omio e done ?”, in un atto.
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Per la Diocesi
        Lottai, con Azaretti e gli amici, per il mantenimento del Seminano nell’area dell’Antica Diocesi. Il suo minacciato trasloco a San Remo, preludendo anche quello della Sede Vescovile, stesi una lettera al Papa, raccolsi le firme e indissi una riunione popolare di protesta nella chiesa di San Michele.
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Per Ventimiglia e la Contea
    1° - Presentai al Governo Italiano, tramite il comando americano che trovavasi a Nizza, la “controproposta” al ritocco della frontiera imposto dalla Francia (cessione di Tenda, Briga e Piena). Controproposta secondo la quale i due stati avrebbero dovuto possedere “indiviso” il Bacino del Roia, creandovi una provincia bilingue da amministrare in condominio, oppure accordandole l’autonomia come alla Repubblica di Andorra sotto l’alta sovranità dell’Italia e della Francia.
         La “controproposta”, tradotta in francese dal signor Notari di Monaco, la divulgai alle autorità locali, e a varie personalità politiche francesi.
Comunicata clandestinamente ad Azaretti, diede luogo alla proposta della Zona Franca.
    2° - Incaricato dalla Camera di Commercio di Imperia, in accordo con quella di Nizza, compilai la proposta di un “Distretto Europeo sul Mediterraneo” a cavallo della frontiera.
         Il progetto venne distribuito ai parlamentari del Consiglio d’Europa e a sei governi della Comunità.
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Pubblicazione personale
       
“Là où se jouait le sort de l’Europe” (Del Duca, Paris 1969). E’ il primo e l’unico libro apparso in Francia che tratta della guerra italiana 1915-18.
         La versione italiana, eseguita dal Generale E. Faldella, fu acquistata dal Club degli Editori di Milano.
                            A voi di cuore,
                                        Filippo Rostan

                                                pubblicato su "La Voce Intemelia" Anno XXVII - n° 8 - 31 agosto 1973

               REGORDU DE GIGLIU ROSTAN

       Discursu prununciau dau sciù meigu Emilio Azaretti, u 25 de nüvembre d’u 1975 pe’ a cumemuraziun de Filippo Gigliu Rostan, tegnüa inta Sala d’u Cunsegliu d’a Cumüna de Ventemiglia d’â Cumpagnia d’i Ventemigliusi, in presensa d’a vidua, scià Berta Rostan-Baciallone.

Scià Berta,
Amighi ventemigliusi,
Scignure e Scignuri,

      U prufessù Lamboglia e mì, amu regurdau, a vita e l’opera de l’amigu Rostan, insce pagine d’a Vuxe Intemelia, a l’Istitütu de Stüdi Liguri e au Festival de Pigna, ma sun següru che se Gigliu de lasciü u ne vé  - cume se custüma dì a Ventemiglia d’i nostri cari ch’i nu’ ghe sun ciü  - se de lasciü u ne vé, u serà propiu cuntentu de sentì che parlarmu de elu in ventemigliusu e de sentì e sou puesie reçitae dai atui d’u Teatru e e sou cansun cantae dae garsune d’a Curale, vestie intu nostru custüme.
     E sun següru che serà cuntenta iscì a scià Berta che tante vote, candu parlavimu cun Gigliu in sou presenta, a n’à ditu de parlà, in ventemigliusu, che gh’averessimu faitu tantu pieixé iscì a ela.
         
Da candu, intu 1925, zuveni cume l’aiga, e ispirai da Mistral e dai Felibre d’a Pruvença, àmu faitu d’u nostru parlà ina bandeira, ina bandeira de indipendensa e de libertà, int’in mumentu che stavimu pe’ perdiřa ‘sta libertà e che u Guvernu u cunsciderava  - giüstamente dau sou puntu de vista  - i dialeti cume caicosa de suversivu, Rostan u l’à faitu d’u ventemigliusu a sou vera lenga, ch’u duverava tüte e vote ch’u n’àva l’ucaixun: parlandu, scrivendu, e nu’ sulu candu u scriveva puesie o cumedie, ma iscì inte sou letere.
        
Pe’ i veci ventemigliusi nu’ ghe sereva propiu de besösgnu de dì chi u l’eira Rostan. Prima d’a gherra u l’eira üna d’ê persune ciü cunusciüe, ciü simpaticamente cunusciüe de Ventemiglia, ma disgrassiatamente ün pe’ ün i veci ventemigliusi ch’i u cunusceva, i se ne stan andandu. I cara cume aurive azezibae da l’arburu e i riturna â terra ch’a l’à visti nasce.
       
I l’eira uramai ascaixi vintiçinch’ani ch’u mancava da Ventemiglia e i zuveni  - sarvu poche eceziun  - i nu’ u cunusceva o i u cunusceva numà de nome. ‘Stu sou nome ch’u sona in po’ stranu  - cume du restu u mei  - intu mezu ai Palmero, ai Muratore, Lorenzi, Maccario, Sismondini, Biancheri u ne ven dae valae de Pinerolo. So’ paire u l’eira in valdese, vegnüu in Riveira a travaglià inti alberghi e u s’eira mariau cun ina Rubino de Baiardu.
        
A sou famiglia a l’è vegnüa a sta’ a Ventemiglia candu u l’àva in anu, a l’eira pöi passa â Burdighea duve a l’esercitava ina pensciun e duve Gigliu u l’à faitu e prime scöre. E forsci averé lezüu ürtimamente, insce a Vuxe Intemelia, i regordi ch’u l’à scritu de ‘sti sou primi ani de vita.
       
Caiche tempu dopu i sou i s’eira trasferii a Munegu e i l’àva lasciau a Ventemiglia, da ina so’ lala, pe’ cuntinuà i stüdi, ch’u l’à pöi feniu pigliandu u diploma da raixuné. Ma u nu’ l’àva ancura vint’ani candu u l’è duvüu parte pe’ a gherra 1915-18, riturnandu cun ina invalidità permanente.
       
Dopu a gherra u s’eira dedicau a l’insegnamentu da raixuneria, ma u sou veru interesse u l’eira pe’ u teatru e pe’ a leteratüra e u pigliava vurenté parte ae discüssiun ch’i se fava, inte cheli ani, au Café Ligure, che, per merìtu d’u prufessù Bongi, u l’eira deventau u centru inteletüale de Ventemiglia. E l’è cun grande entüsiasmu ch’u l’àva açetau u mei invitu de culaburà â creassiun d’a Cumpagnia d’i Ventemigliusi e d’â Cumpagnia d’u Teatru, pe’ rinfurçà inte gente l’amù d’u paise e d’u dialetu, ch’u rapresenta l’eredità spirituale d’i nostri veci.
      
Intu 1929 amu cumençau, suta u nome de Yvan Dakordhiu, a scrive a prima cumedia L’amù u l’è ciù forte che u brussu, du Trenta U “dottor” Pepin Scurlüssura, du Trentadui Paulin u s’incala e intu meiximu anu Rostan u l’à iscì scritu in atu Ruffini a Ventemiglia, ispirau au libru autubiugraficu de Ruffini, Lorenzo Benoni. Sempre inseme amu pöi faitu ina deixena de ridüçiun, pe’ u ciü dau françese, ch’i cumpletava u repertoriu d’a Cumpagnia d’u Teatru.
      
Ma Rostan u nu’ se cuntentava de scrive, u passava ure e ure ae pröve e a cheli ch’i reçitava pe’ a prima vota u ghe mustrava fina a parlà. Pöi, inte seire d’ê reçite, u l’eira in diretù de scena ch’u pensava a tütu, ae cose necessarie pe’ a reçita, ai vestì, au trücu, a faghe curagiu ai atui e a pussaři föra au mumentu giüstu.
        
Ina seira, me regordu, se reçitava au Casinò de Mentun, vegu intrà in scena ina facia növa che nu’ àva mai vistu, â fin de l’atu vagu a ve’ chi u l’eira: u l’eira Rostan !  A l’ürtimu mumentu mancava in atù, u s’eira faitu atacà in pa’ de mustassi e u l’eira sciurtiu, cun tanta puìra, percose l’eira a prima vota ch’u reçitava, ma fondu ina parte che nisciün àva mai faitu cuscì ben.
        
In ciü d’a sou atività teatrale, Rostan u l’à iscì scritu inte cheli ani e parole de tante bele cansun: L’aiga da scciümaira, Cume a l’è bona a pisciadela, Legenda Ventemigliusa, Perché u l’è pescavù, A funtana da Catedrale, S’i passa auti, e ancöi a nostra Curale a ve ne farà sentì caicùna.
       
Intu 1932 amu iscì cumençau a püblicaçiun d’a Barma Grande, l’antulugia d’i scritui dialetali intemeli, püblicandune sete volumi prima d’a gherra e çinche dopu e l’è staitu u preçiusu impegnu de Rostan ch’u n’à faitu utegne a culaburaçiun de gran parte d’i scritui.
      
L’è inte ‘sti ani che Gigliu u l’à cunusciuu, chi a Ventemiglia, inte feste d’a Cumpagnia d’i Ventemigliusi e â Bibliuteca françese, a prufessuressa Berta Baciallone  - iscì ela intemelia, de famiglia tendasca, benché emigrà da in pa’ de generaçiun a Antibu  - che a dirigeva alura a scöra françese de Ventemiglia e u n’à faitu a cara e fedele campagna d’a sou vita.
        
Cume ün d’i pochi invalidi de gherra ch’i l’àva refüau de iscrivise au partiu fascista, u l’eira marvistu dau regime e, pe’ sarvase dae persecüssiun, u l’eira staitu ubrigau, versu a fin d’i Ani Trenta, a trasferise a Niça, duve u l’à passau u restu d’a sou vita.
       
Sübitu dopu a gherra u l’eira intrau intu Cunsulatu italian de Niça, duve u l’à travagliau pe’ u ristabilimentu d’ê bone relaziun tra françesi e italiai inta nostra zona de frunteira.
        
Ma aiscì standu luntan u l’à cuntinüau a ucüpasse d’a Cumpagnia d’i Ventemigliusi, ansi u l’è sempre staitu elu «u levau d’a nostra pisciadela» ch’u l’à çercau, candu s’adurmivimu, de adesciane, scrivendu letere a tüti, cun tanta pasciensa e tanta custanca, sensa stancase mai, aiscì se e cose i nu’ l’andava sempre cume u l’avereva vusciüu.
       
De vote iscì mì, che d’ê sou letere ne riçeveva tante, tardava a rispundighe  - impegnau cume sun sempre inte tante cose  - ma u nu’ l’à mai persu a pasciensa, cume sentiré da üna de ‘ste letere ch’u me scriveva, â fin de deixembre de ‘st’anu passau. Savendu da che pé ciupegava, u gh’à faitu in capelu a ‘sta letera, indirissau â Madona d’ê Vertü. V’ù lezu.
                
«Cara Madona d’ê Vertü,
                           
ti vei scrivu a Migliu, e tè pregu, pigliařu pe’ ina man, assetiřu au taurin e fame risponde. Saciu che tè dumandu ina cosa ascaixi impuscibile, ma, se ti vöi, credu che ti fenirai pe’ arrescighe. Grazie».

        E da Niça e da Antibu, duve u l’andava a passà l’estae, cun ‘ste sou letere e cu’ e vixite che de tantu in tantu u fava a ün e a l’autru, u l’à utegnüu che se cumençese turna a fa’ sciorte a Barma Grande. U l’à iscì scritu de növe cumedie: In vitaliciu, Ina purmunite dugia, Dui a Cuguletu, I sun megliu i orni o e done ?, u l’à pigliau parte ativa a l’urganisaziun d’u Festival d’a Puesia e d’a Cumedia Intemelia de Pigna e u l’à püblicau Tra l’erba, in libretu de sou liriche, cine de pasciun e de sentimentu, che i atui d’u nostru teatru i ve reçiteran da chi a in po’.
       
U l’eira cuntentu, ürtimamente, d’a culaburaziun che avimu turna repigliau cu’ i munegaschi e, cu’ i zenesi d’a Compagna, u l’è staitu elu meiximu a cumbinà a mei partecipaziun a l’Incontru regiunale Störia e vita d’i dialeti liguri, ch’u l’è staitu tegnùu sabu d’a setemana passà a Zena.
     
Nu’ ve parleron chi d’u sou cuntribütu a custitüziun e au svilüpu de l’Istitütu Internaçiunale de Stüdi Liguri, che l’amigu Lamboglia u l’à ilüstrau inta sede stessa de l’Istitütu e au Festival de Pigna, ma, interpretandu i sentimenti d’i Soci d’a Cumpagnia di Ventemigliusi, devu esprime a nostra ricunuscenca a Rostan, pe’ a sou Störia d’a Cuntea de Ventemiglia, ch’a l’à avüu cuscì largu cunsensu. E vögliu ancura regurdà u sou ürtimu libru: La ou se jouait le sort de l’Europe, in libru scritu in françese, pe’ spiegà ai françesi a verità insce i avenimenti d’a gherra 1915-1918, ch’u l’è staitu recentemente tradütu in italian.
        
Intu sou testamentu Gigliu u l’à espressu u dexideriu che u sou nome u l’arreste in mezu a nui, aiscì se u sou corpu u repouserà luntan de chi e credu che ina strada a pösce esse in giurnu intitulà â sou memoria. Saciu ben che a leze italiana a prescrive che dev’esse passau deix’ani d’a morte, avanti che ‘sta dedica a pösce esse faita, ma mi vurrereva che ancöei i ventemigliusi ch’i sun chi drente, e specie i ciü zuveni, i pigliesse l’impegnu de ‘dumandà, candu serà vegnüu u mumentu, che Ventemiglia a paghe ‘stu debitu de ricunuscensa versu in sou figliu, ch’u gh’à dedicau tanta parte d’a sou vita e d’a sou atività.
        
Ancöi a scià Berta a n’à purtau in ritratu de Gigliu, in ritratu ch’u serà apesu inta sede d’a Cumpagnia, pe’ regurdařu sempre a cheli ch’i l’àn cunusciüu e ch’i gh’àn vusciüu ben, e pe’ fařu cunusce aizuveni, che i piglieran dae nostre mae l’eredità de l’amù pe’ e nostre tradiçiun, pe’ u nostru parlà, pe’ u nostru paise.
                                                                                                                
pubblicato su "A Barma Grande" - LIBRU XIII - I.I.S.L. 1974

Testamento spirituale