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d
i Ventimiglia
.
versi
trobadorici da
Rambaldo di
Vaqueiras
E.l ser venguen ab Veysi al Pueg clar
Que.l fes sta.l gaug e tant nos voi.e onrar Que sa filha Aiglet ab lo vis dar Feira ab vos so soffrisses colcar; Vos lo mati, commsenhor e ric bar, Vosgues l’oste fort be garzadonar, Aigleta des Gui del.h Montelh amar, Pueys fetz ad Anselmet lacchine spozar E fez li tot lo comtat recobrar De Ventimilha, que devia tornar A Iacobina par la mort de son frar Malgrad del onde que l’au cuget gitar.
Se ne vengono verso Verezzo al Poggio chiaro
che fece stare in gioia e tanto noi vuole onorare che suo figlio Aquiletto ha quello visto chiaro farà a voi le sue sofferenze raccontare. Vuole il mattino, gransignore e ricco barone, volgere la gente armata forte quanto può esserlo un giovane, Aquiletto dei Guidi del Montaldo amare, potrà fare ad Anselmetto Giacobina sposare e gli farà tutto il contado ricuperare di Ventimiglia, che dovrà tornare a Giacobina dopo la morte del fratello malgrado lo zio che l’ha gettata a giacere.
I versi sono
tratti dal manoscritto membranaceo n° 225443, pag. 735 -
conservato presso la Biblioteca Nazionale di Parigi e
pubblicati dal Canonico Nicolò Peitavino in: Intemelio - 1920, per gentile concessione del
prof. Nicola Orengo, che lo ha ricavato.
Tentiamone una traduzione letterale:
Ci sembra che il brano pubblicato dal Peitavino sia incompleto, vista la vastità della storia
descritta dal Rossi, basandosi sul Serventese dello stesso
documento parigino, che finora è l’unico pubblicato.
La stessa vicenda viene riportata da Girolamo Rossi nella Storia della città di Ventimiglia: Gilbina, figlia di Allasia, secondogenita di Ottone II, conte di Ventimiglia, verrebbe defraudata dei suoi diritti paterni dallo zio Guglielmo, che per liberarsene la vorrebbe mandare sposa in Sardegna. Bonifacio, marchese del Monferrato, sentendo questa triste storia dal giullare Aimonetto, suo ospite nel castello di Montaldo, attorno al volgere del XII secolo, decide di intervenire per difendere la donzella dalle prepotenze del congiunto. Nell’agosto del 1197, Bonifacio, sostenuto da cinque nobili cavalieri astigiani, veniva a Ventimiglia, liberava Gilbina, fuggendo insieme a lei su una nave. Inseguiti per terra e per mare, ripararono in una macchia tra Albenga e Finale, dove stettero tre giorni senza mangiare e bere. Il terzo giorno, scampati agli inseguitori, si imbattono in alcuni briganti che, dopo dura lotta, misero in fuga, riuscendo a giungere in serata a Nizza della Paglia, dove il marchese di Ceva li ha ospitat per la notte. Così Anselmetto Del Vasto, figlio del marchese di Ceva, si innamorava di Gilbina e dopo poco tempo la sposava. Allasia, nel frattempo, decideva di cedere al terzogenito Raimondo le ragioni materne, in ulteriore beffa allo zio Guglielmo, nobile assai corrotto, essendo arrivato, di concerto col padre Ottone, il 4 marzo 1193, a patteggiare con Genova contro il Libero Comune Marinaro di Ventimiglia. Le nozze di Gilbina risuonarono famose tra le genti d’allora, e furono particolarmente festeggiate a Ventimiglia. Cantate dal trovatore provenzale Rambaldo di Vaqueiras, alla corte di Bonifacio del Monferrato, in un appassionato serventese del XII secolo, si diffusero presso le corti europee. Il Rossi pone quello zio Guglielmo come figlio di Oberto, mentre Peitavino considera Gilbina figlia di Guido Guerra. Più probabilmente è quel Guglielmo figlio di Ottone che il 4 marzo 1193 si accordava con Genova. È, infatti, con Guglielmo I e Raimondo che termina il cespite dei Conti di Ventimiglia. Il feudo divenne prima Libero Comune, poi, conquistato dai genovesi, Capitaneato e infine Podesteria.
Nell’estate del 1975 non si può ancora parlare di “Agosto
Medievale”, ma la festa si stava già delineando. Il 24 agosto
lungo via Garibaldi si dipanò un Corteo Storico, animato dagli
sbandieratori di Asti, che accompagnarono un gruppo di figuranti
maschili, giunti appositamente dall'astigiano, perché in loco non si
riusciva ancora a trovare personaggi maschili disposti a
sfilare, mentre un gruppo di fanciulle locali entrò senza
indugio nella pratica di “figurante”.
AGOSTO
MEDIEVALE - VENTIMIGLIA
da:
AGOSTO MEDIEVALE A VENTIMIGLIA 1976 - 1996 di Danilo Ghech e Luigino Maccario con testi di: Marisa De Vincenti, Gisella Merello, Renzo Villa, Erino Viola DOPOLAVORO FERROVIARIO VENTIMIGLIA 1998 Alzani editore - Pinerolo
rivista il:
05 marzo 2013
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125 Che noi desinammo con gioia senza troppo mangiare,
D’un pane tutto solo senza bevere e senza lavare.
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E se io vi volessi ritrarre o contare
Gli onorati fatti, signore, che io vi ho visto fare,
Potrei noi ad amendue annoiare
130 A me del dire a voi dell’ascoltare.
Più di cento pulcelle vi ho visto maritare
A conti, marchesi, a baroni d’alto affare,
Che anco con nessuna (di esse) gioventù non vi fece peccare;
Cento cavalieri vi ho visto retaggiare,
135 Ed altri cento distruggere ed esigliare,
I buoni levare e i falsi e i mali abbassare.
Ancora lusinghiero non vi potè assaltare;
Tante vedove e tanti orfani consigliare,
E tanti meschini vi ho visto aiutare,
140 Che in paradiso vi dovriano menare,
Se per mercè null’uomo vi deve entrare.
*
Alessandro a voi lasciò suo donare,
E ardimento Rolando e i dodici pari,
E il prode Beraldo il dameggio ed il gentil parlare.
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145 In vostra corte regnano tutti i benestari
Doni e dameggi, bel vestire, gentile armare,
Trombe e giochi e viuole e cantari,
Ed ancora non vi piacque nullo portiere al mangiare,
Così come fanno i ricchi nomini avari.
150 Ed io, signore, posso me di altrettanto vantare
Che in vostra corte ho gentilmente saputo stare,
Donare e soffrire e servire e celare;
Ed anco non vi feci ad uomo sua gravezza,
E non può dirmi null’uomo ne rimprocciare
155 Che mai in guerra mi volessi da voi allontanare,
Ne temessi morte per vostro onore alzare.
E poiché, signore, so tanto di vostro affare
Per tre d’altri mi dovete del bene fare;
Ed è ragione; che in me potete trovare
160 Testimone, cavaliere, e giocolare,
Signor Marchese.
125 Que nos dirnem ab gaug ses pro manjar
D’un pan tot sol, ses beure e ses lavar.
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El ser venguem ab Neyssi al pueg clar
Quens fes tal gaug e tant nos volc onrar
Que sa filha Naiglet ab lo vis clar
Seu sufrisfetz fera ab vos colgar,
Vos ab mati cum senher coriebar
Volgues los be fortmen guazar donar
Que son fìlh fes Iacobine spozar,
Efetz li tot lo comtat recobrar
De Ventamilha, que devia tornar
A Iacobina per la mort de son frar,
Malgrat del oncle que lon volia gitar.
Pueyssas volgues Aigleta
maridar
E dentz lagut del Montelh Azemar.
E
s’ie us volia retraire ni comtar
Los onratz faits, senher, qu’ie us ai vist far,
Poiria nos a amdos enuiar
130 A me del dire a vos de’ l’escotar.
Mais cen piuzellas vos ai vist maridar
A coms, marques, a baros d’aut afar,
C’anc ab neguna jovens no us fetz peccar;
Cent cavayers vos ai vist heretar
135 Et autres cent destruir’ et issilhar,
Los bos levar, e’ls fals e’ls mals baissar;
Anc lausengier no vos poc azautar;
Tanta veuva, tant orfe cosselhar,
E tan mesqui vos ai vist ajudar,
140 Qu’en paradis vos deurian menar,
Si per merce nulhs hom hi deu intrar.
*
Aleyxandres vos laisset son donar,
Et ardimen Rotlan e’ lh dotze par,
E’l pros Berart domney e gent parlar.
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Quar anc nuls hom dignes de merceyar
Si laus preyet noi laissetz fadiar,
Et ab merce voletz costemp tenhar
E qui vol dir per vertat ni comtar
145 En vostra cort renhon tug benestar,
Don e domney, belh vestir, gent armar,
Trompas e joc e viulas e chantar;
Et anc no us plac nulh portier al manjar,
Aissi cum fan li ric home avar.
150 Et ieu, senher, puesc me d’aitan vanar
Qu’en vostra cort ai geni saubut estar,
Don e sufrir e servir e celar
Et anc no y fi ad home son pezar,
Ni no pot dir nuls hom ni repropchar
155 Qu’anc en guerra ’m volgues de vos lunhar,
Ni temses mort per vostr’onor aussar.
E pus, senher, sai tan de vostr’afar,
Per tres d’autres mi devetz de be far,
Et es razos.qu’en mi podetz trobar
160 Testimoni cavalier e jocglar,
Senher marques.