Selezione da
"VENTIMIGLIA e dintorni - Guida illustrata, storica,
artistica,
amministrativa,
commerciale e industriale", edita nella raccolta "Nuova Italia"
Torino - 1922
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CORNICE
OVEST, NEL 1929
Questa guida, pseudo turistica, nei turbolenti Anni Venti, servì
a descrivere il nostro territorio, divulgandone i pregi e le
attrazioni. Nel 1929, l'autore provvide ad una nuova edizione,
stampata ad Imperia, dove le descrizioni di attualità
aumentarono sensibilmente. Questa è la versione che abbiamo tratta.
In seguito, la guida restò una
delle poche pubblicazioni di richiamo, in qualche modo
circolanti, fino all'avvento delle patinate guide turistiche,
edite a cominciare dagli Anni Settanta; per le quali rappresentò
la maggior parte dei dati storici acquisibili. Aveva visto
giusto, Nicola Orengo, ad impegnarsi in questa fatica, che ancor
oggi può essere letta con facilità, richiamando la nostra
attenzione alle situazioni di quegli anni, che oramai fan parte
della "Storia".
Nicola Orengo nato a Ventimiglia, nel
1894, è stato professore al liceo ed apprezzato accademico. In
qualità di bibliotecario, tra il 1931 e il 1933, diede grande
impulso alla rinascita dell'Aprosiana e non solo come biblioteca
pubblica: recuperò tanti libri antichi ritenuti smarriti e
soprattutto aumentò il patrimonio librario sino a diecimila
unità, avendo ottenuto dal Ministero della Pubblica Istruzione
un contributo per aggiornare, anche con libri moderni, una
biblioteca praticamente rimasta ferma alle acquisizioni del
XVIII secolo.
A lui, cui spetta anche
il merito di aver lasciato una vera e propria cronistoria delle
vicissitudini della "Libraria", aggiornata da altri importanti e
laboriosi bibliotecari come gli storici Filippo Rostan, che lo
sostituì dal 1933 al 1937 e Nicolò Peitavino che amministrò la
biblioteca fino all'inizio del Secondo Conflitto Mondiale
Se è vero che nell’al di là esistono gli Elisi essi devono
rassomigliarsi certamente a questa plaga benedetta. E alla
brillezza della natura si accoppia lo sforzo dell’uomo ! I
Balzi Rossi sono un edificio dotato di tutte quelle comodità
che chiamar si usa con la frase di confort moderno. Una
ampia terrazza domina il mare e i saloni possono accogliere
e difatti accolgono la più elegante colonia di ricchi
forestieri.
è
l’Hotel Restaurant des Grottes con l’annesso «Circolo
Cosmopolita», maggiormente allettano a più brillanti
successi !
Le
Grotte
Venendo adunque dal Vallone San Luigi, si incontra la prima:
la «Grotta dei fanciulli». Presenta da principio (1874) un
certo numero di avanzi di cinghiale e di cervo, scarse
conchiglie, selci scheggiate, manufatti d’osso ed articoli
d’encrini fossili, che si suppongono oggetti d’ornamento. Il
7 luglio 1875 a maggiore profondità, vi si rinvennero due
scheletri di bambini coperti o circondati nella regione
lombare da circa un migliaio di conchiglie «Ciclonassa
neritea» forate. Vi si rinvennero più tardi quattro
scheletri umani di particolare interesse, il 10 aprile 1801
ad altra profondità di m. 1,90 lo scheletro di una donna e
l’altro di un adolescente dai 15 ai 17 anni. La loro
posizione era delle più bizzarre.
La grotticella N. 2, che è un piccolo cavo formato da una
sporgenza rocciosa di quella stessa ripa in cui si apre la
prima spelonca, non fornì che denti di Cervus elaphus,
associati a qualche scheggia di diaspro e ad altri residui
di scarso interesse.
Nel numero 3, grotta che misura m. 9,59 di larghezza e 7 di
lunghezza, si trovarono ossami in copia, con alquante selci,
un ciottolo di serpentina ammaccato ed arrossato di ocra ad
una estremità due pugnali di osso, un lisciatoio di corno,
ecc.
Più in alto, di fianco all’ingresso est della galleria
ferroviaria, si apre la Barma del Cavicchio, le cui
dimensioni erano di m. 19 per la lunghezza. Si trassero a
vari livelli residui organici, nonché pietre, conchiglie ed
ossa più o meno lavorate; poi uno scheletro umano, ben
conservato di adulto, a m. 6,55 sotto al livello primitivo.
Giaceva verso la parte laterale destra della cavità,
coricato sul lato sinistro, in atteggiamento di riposo, col
capo un poco sollevato e il mascellare adagiato sulle ultime
falangi della mano sinistra a contatto della base craniense
e della regione posteriore dello scheletro, v’erano varie
pietre greggie, più o meno voluminose, come sa avessero
servito di sostegno al capo.
Lo scheletro è tra i fossili umani uno dei più completi, non
mancandovi che alcune ossa dei piedi e pochi frammenti della
tibia del perone sinistro. Il suo cranio di forma
dolicocefala, assai allungato, convesso alla sommità, offre
strette analogie con quelli ben noti: le suture di questo
cranio sono tutte saldate e, per lo più, poco appariscenti,
le orbite di forma rettangolare hanno tal particolarità
comune coi teschi di Cro-Magnon; l’angolo facciale è assai
aperto e manca, nella faccia, ogni segno di prognatismo e di
altro carattere che accenni a razza inferiore; l’angolo
della mascella è arrotondato; le aposifi coronoidi sono poco
sporgenti. I denti sono sani o logori e non vi si scorgono
più ne tubercoli, ne incavi; la superficie loro prettamente
piana e orizzontale, fatto singolare se si consideri che i
caratteri osteologici dell’individuo, che doveva raggiungere
almeno, m. 1,85, non sono quelli di un vecchio.
Il cranio era circondato da circa duecento conchigliette
marine, artificialmente forate e da ventidue canini di
cervo, comune egualmente forati.
è impossibile non
riconoscere in questi oggetti gli avanzi di una acconciatura
che adornava il capo del defunto. A contatto del cranio del
medesimo, di contro al frontale, si raccolse un radio di
cervo, appuntato forse ad uso di stila, presso l’occipitale,
e si trassero dal terreno due lame di selce a sezione
triangolare, infrante entrambe alla base.
La caverna numero 5 o «Barma Grande» è più estesa perché
penetrava nella roccia per ben 28 m. presentando larghezze
variabili nei diversi suoi strati. Il suolo di essa constava
di un terriccio umido e nero, sparso di pietre angolose, il
quale conteneva numerosi manufatti litici, schegge di
piromaca, punteruoli d’osso e moltissimi avanzi di animali.
Nel febbraio 1892, si rinvennero tre scheletri incastrati
in un terreno ossifero nerastro, misto a detriti di roccia,
che giacevano l’uno vicino all’altro, anzi in piccola parte
sovrapposti, all’imboccatura della spelonca, trasversalmente
al suo asse, in una zona di circa m. 1,20 di larghezza.
Cranio ampio, dolicocefalo, con distinto prognatismo
facciale e dentale; statura media metri due. Una selce di 17
cm. di lunghezza fu trovata presso la mano del primo
scheletro ed un coltello o lama di selce bruna, di circa 33
cm. di dimensioni invero straordinarie, fu raccolto accanto
al terzo teschio. E il 12 gennaio 1894, a circa m. 1,50 dai
precedenti, verso il fondo della cavità e a m. 1,60 al di
sopra si rinveniva un nuovo scheletro umano. Si rinvennero
parecchi raschiatoi di arenaria di lunghezza variabile dai 7
agli 11 cm. Tra le selci segnalate in questa grotta è bene
ricordare due tipi non comuni; il raschiatoio doppio, lunga
lama di selce terminata a ciascuna estremità da un tagliente
ad arco, lavorato a sottili schegge, ed il perforatore, il
quale presenta una punta acuta atta a forare ed un margine
scheggiato ad uso di tagliente. La fauna, risulta
precipuamente di numerose specie fra le quali si reputano
emigrate quelle designate coi nomi di «Felis Spelaci»,
«Capra Primigenia», « Bos Primigenius» ed un suino affine al
«Sus Larvatus».
Sulla punta estrema del promontorio, sempre più in riva al
lido, si apriva la «Barma del Bausu d'a Ture», completamente
distrutta dalle cave di pietra installatevi. Era assai più
prossima al mare delle precedenti, larga m. 16 si inoltrava
per soli 12 m. Il suolo di essa, sotto in cumulo di detriti
caduti dalla volta, si presentava formato di una breccia
rossastra, ricca di residui organici. Presso la superficie,
vi si trovano spoglie di piccoli roditori, al di sotto, ossa
e denti di ruminanti e d’altri mammiferi, conchiglie
(specialmente mitili e patelle), nonché parecchie punte di
freccia e punteruoli d’osso, il tutto misto a cenere,
carbone e frammenti di roccia. Tra i testi di mammiferi,
debbono essere segnalati un canino d’orso delle caverne od
una mandibola di lupo raccolta alla profondità di m. 2,75.
Un po’ più in basso, a m. 3,75 di profondità si scoprirono
tre scheletri umani, due di adulti ed uno di giovane. Lo
scheletro del primo era accompagnato da armi, suppellettili
ed oggetti vari d’ornamento. Per quanto incompleto offre i
caratteri più segnalati nell’esemplare della quarta caverna,
ma di statura più alta: oltre i due metri. Presso l’omero
destro, si trovò una grande lamina di selce irregolarmente
ellittica, un poco smarginata nella parte media, e perciò si
argomenta che fosse originariamente unita ad un manico e
potesse adoperarsi ad uso di mazza.
Il secondo scheletro umano, scoperto a m. 3,90 di profondità
in mezzo ad un deposito di ceneri carboni, ossa di animali,
conchiglie, ecc. presentano un colore rosso particolare che
il Rivière attribuisce ad una tinta ocracea, applicata al
cadavere all’epoca del seppellimento. Identica colorazione
la si osserva sui manufatti, sulle conchiglie, su denti
forati rinvenuti a contatto od in prossimità di quelle ossa
umane. Riposava sul fianco sinistro, sopra un piano
inclinato dall’avanti all’indietro e dall’alto in basso. Era
incompleto: mancante di gran parte del torace, della colonna
vertebrale, di un osso oliaco, del sacro e di parecchie
parti delle estremità inferiori: forse in parte divorato
dalle fiere ?
Il cranio presenta una dolicocefalia pronunciatissima, e una
larghezza non comune della regione facciale: le orbite sono
rettangolari come quelle degli scheletri dei Cro-Magnons. La
testa del morto era circondata di piccole conchiglie e da
canini di cervo perforati, formanti quasi un copricapo od
una corona.
A breve distanza, avanzi di un individuo giovane, cioè ossa
alterate e quindi fragilissime, prive di ornamento e della
tinta ocracea osservata negli altri. Lo scheletro giaceva
disteso, col torace in basso e i piedi in alto presso
l’apertura della grotta. Negli scavi praticati
posteriormente, a profondità alquanto maggiore, si ebbe a
verificare che mancavano i soliti utensili di selce e di
diaspro ed erano sostituiti da manufatti d’arenaria quarzosa
a grana minuta.
Girato il promontorio o risalendo pel sentiero sino a
qualche passo sopra la strada ferrata, si incontra la grotta
numero 7 che ab antico prendeva il nome da un non esistente
Ponte Romano e che si ch’amò Caverna del Principe da quando
acquistata ancora vergine di scavi dal Principe Alberto di
Monaco, il magnifico creatore del Museo Oceanografico vi
fece eseguire accurate e fortunate ricerche. Le dimensioni
sono m. 33,70 di lunghezza, dai m. 9 ai 16 di larghezza con
un’altezza di m. 21 ed è questa attualmente, la Grotta più
vasta dei Balzi Rossi.
L’ultimo «focolare» dei cinque substrati, quivi rilevati si
riferisce indubbiamente ad una fauna medio quaternaria (od
anche infra quartenaria, consentendo ad un ordinamento
informato ad altri concetti) e ciò in contrasto con
l’opinione del Colini. Infatti mancano ossa e denti
lavorati. Quivi invece si raccolsero in copia manufatti
grossolani e poco svariati consistenti da schegge
subtriangolari ritoccate sopra due margini o sopra un solo
margine, in doppie punte, cioè schegge appuntite alle due
estremità e per lo più ritoccate in punte arrotondate ad un
capo e rese acuminate colla scheggiatura all’altro.
Proseguendo verso Ventimiglia scorgesi la successiva n. 8,
che non è che un’angusta anfrattuosità della roccia, che
presentò finora poco di notevole.
Il n. 8, a Barma dei Gerbai, piccola cavità che rimase
tagliata dalla trincea aperta per far luogo alla ferrovia,
offrì ossa di mammiferi pertinenti a buon numero di specie,
tra Ie quali son citate: l’Ursus Speluens, il Canis SpeIaeus,
(propriamente il Canis Aureus o sciacallo) la Hyaena Spelaea,
la Felis Spelaea, il Felis Antiqua o lince, rinoceronte di
specie indeterminata. A queste si trovarono associate alcune
ossa di gazza, di pernice e di colombo.
Balzi Rossi
Ultima borgata del confine occidentale è GRIMALDI, nome
che rimase a questi località dopo che di essa fece acquisto nel
1351. Carlo Grimaldi, Signore di Monaco. Bella Chiesa dedicala a
San Luigi: é del XVIII secolo.
La Dogana Italiana sorge poco discosto,
sopra un enorme scoglio a picco sul mare. Qui la discesa lungo
la montagna detta di Garavano, nei cui fianchi si sprofondano
grotte che dettero agli studiosi ricca messe di oggetti
preistorici. Chi seguendo la strada Iitoranea che da Ventimiglia
per Grimaldi immette a Mentone, attraversato appena l’attuale
confine politico tra Italia e Francia, corrispondente a
quell’angusto e scosceso burrone di San Luigi, si trova ad un
tratto innanzi ad un’antica rupe di calcare giurassica, entro la
quale, sopra una scarpa detritica, si apre una serie di
anfrattuosita e di caverne distribuite a varia altezza sul
livello del mare. Quelle rupi nude ed aduste ritraggono un
aspetto fantastico non solo per le forme bizzarre, ma anche
dalla tinta rossiccia della roccia, donde il nome di BALZI
ROSSI: tale era la dimora di una popolazione selvaggia di
stirpe bene diversa da quella dal Ligure odierno. Là il
troglodita nostro antenato chiudeva gli occhi al sonno, li
fabbricava le sue armi e le sue suppellettili, là componeva per
l’ultimo riposo le salme dei suoi morti, ponendo loro accanto
gli ornamenti e le armi che in vita avevano portati insieme alla
scorta di cibo che occorreva al gran viaggio.
La ricerche di Grand, di Forel, di Perez, di Moggdrige, di
Lechantre, di Broca, di Rivière, di Costa di Beauregard, di
Sulien, di Bonfils, di Verneau, dell’abate di Villeneuve, di
Cartailhac e del compianto Arturo Issel furono coronate del più
felice successo. Le tombe dei trogloditi dei Balzi Rossi furono
oggetto di vivaci discussioni da parte di chi volle determinare
l’epoca, ne sarebbe ancora risolta la quiestione, senza l’opera
del Colini, il quale con esauriente studio di analisi e di
critica ha potuto riconoscere essere recisamente «neolitici»;
che lo scheletro rinvenuto nella quarta caverna appartiene al
gruppo etnico dolicocefalo dei Cro-Magnons, spettante al periodo
quaternario, caratterizzato specialmente dall’ascia levigata,
dalla introduzione delle stoviglie, con l’uso del rito funebre
dell’inumazione.
Controversie circa l’età del depositi: Arturo Issel asserisce:
«Uno degli studi più estesi, e pregevoli .sulla stazione di
Balzi Rossi certamente il più comprensivo, se cosi posso
esprimermi, pel numero delle osservazioni riferite e discusse,
e sopratutto pel confronto fra i manufatti delle celebrate
caverne e quelli di altre stazioni di epoche diverse e di vari
paesi è la memoria del Colini. Il Colini conclude il suo
elaborato studio con queste parole: «Pertanto sotto qualunque
aspetto si consideri la questione dell’età delle tombe dei Balzi
Rossi, si viene sempre alle medesime conseguenze, che cioè
mancano argomenti per farle risalire ai tempi geologici, nonché
per i caratteri fisici degli avanzi umani, si collegano alle
sepolture neolitiche della Liguria.
Pei caratteri dei manufatti e dei fossili ivi scoperti fino a
quella data (1835) le caverne di cui si tratta si possono
legittimamente attribuire all’epoca delle renne, se si tiene
conto della posizione geografica e topografica di Ventimiglia e
se si riflette che sotto quella latitudine e sulle rive del
nostro tiepido Mediterraneo le specie postplioceniche di tipo
artico forse non giunsero e l’estinzione di certi mammiferi
quaternari del tipo meridionale, per esempio dei grandi felini,
deve essere avvenuta più tardi che altrove, si è naturalmente
condotti a ringiovanire i depositi dei «Balzi Rossi» fino al
punto di collocarli fra quelli di cui il renne suol essere il
fossile caratteristico».
Il
Materiale raccolto
Enorme davvero il materiale archeologico raccolto dai
numerosi ricercatori e da anonimi saccheggiatori. Se ne
arricchirono un poco tutti i Musei del Mondo: in rilevante
misura il Museo Antropologico di Monaco (Principato), quello
di Hanbury ai Balzi Bossi, il Museo Nazionale e l’Istituto
Cattolico di Parigi, i Musei di Ginevra, di Berlino, di
Nizza, di Lione, Musei d’America e, più modestamente il
vicino museo artistico di Mentone e i musei nostri di
Genova, Siena e Torino.
Il prodotto generale degli scavi consiste in parecchie
centinaia di manufatti silicei, in numerosissime schegge di
selce e diaspro (salvo poche eccezioni questi oggetti sono
di piccole dimensioni, assai grossolani e lavorati non solo
nelle varietà più tenaci di pietra, ma anche in quelle che
presentano più vago aspetto per lucentezza e tinta vivace),
rifiuti di lavorazione, in conchiglie marine e terrestri (di
specie per lo più scomparse, o abitanti di altre latitudini,
tali la Cunis Rufa e lo Strombus Bubonius), e in ossa o
denti di mammiferi, di mammouth, dell’elefante circumpolare,
dell’orso, del leone, del rinoceronte, della renna, ma
principalmente di cinghiali; di cervo e di capra. Tra questi
oggetti soni da notarsi i coltellini di piromaca o diaspro,
gli uni terminati in una punta ottusa, gli altri appuntati ,
dal margine tagliente, ben sovente ritoccato a piccole
schegge; punte di freccia a mandorla; punte di freccia ad
alette o che fanno transizione al tipo ad alette senza
peduncolo e sono fatte delle medesime pietre, punteruoli a
sezione triangolare, bulini, raschiatoi litici in forma di
larghe lamine dal margine tagliente, e cuspidi, accette
triangolari, ciotoli ovoidi di serpentina, diorite e afanite,
ecc.
Di mano in mano che si sale dagli strati più bassi ai
superiori, i manufatti si vedono in po’ meglio lavorati,
forse anche perché si lavorava la migliore pietra di prima.
Essi consistono accora in lame, punte, scalpelli in parte di
quarzite. Vi sono anche oggetti di arenaria. Rara nei più
profondi strati è la selce, ma si va facendo sempre più
preponderante; negli strati meno antichi.
Accanto agli oggetti di pietra si trovarono quelli di osso e
di corno cervino. I più notevoli esemplari di manufatti
furono trovati sempre accanto agli scheletri umani. Tali le
belle lame di selce e i molti piccoli oggetti forati, come
conchiglie, denti di ruminanti, vertebre di pesce, destinati
ad ornamento della persona.
I
Cavernicoli
Il cavernicolo dei Balzi Rossi non era ne pastore ne
agricoltore; viveva di caccia e di rapina: contro il nemico
belva, si difendeva con le pietre scheggiate, colle affilate
ossa, e con clave e spuntoni di legno. Assaliva o catturava
in preparate insidie, il cervo, l’alce, il camoscio, il
castoro, la linee e l’orso, la iena e il grande bovide ed
altri animali in parte diversi dalle specie oggi esistenti:
tra questi il grande orso delle caverne. Gli animali uccisi
costituivano per il cavernicolo la sua più grande
ricchezza: nelle carni trovava il suo miglior nutrimento;
nelle pelli gli indumenti, nelle ossa materie prime per
foggiar punte micidiali e molteplici utensili.
Le tribù dei Balzi Rossi collocavano i loro morti con molta
cura nelle proprie grotte, secondo un rito prefisso e
deponevano loro accanto le armi e le cibarie come fecero di
poi i cavernicoli neolitici. I cadaveri urano fregiati di
collane e monili (formati di vertebre di pesce, di denti
d’erbivori o di conchiglie forate) e in gran parte coperti
di indumenti ornati di conchiglie. Nelle tombe era sparsa
molta polvere di ematite, forse col pensiero di renderle più
gradevoli all’occhio, o perché il rosso fosse tenuto in
conto di colore sacro alle divinità. Abbiamo, adunque,
dinanzi a noi una catena estesissima, continua o quasi, così
nell’ordine dei caratteri scheletrici, come in quello dei
costumi; possiamo anche affermare che i cavernicoli dei
Balzi Rossi sono gli aborigeni della Liguria, e che la
medesima stirpe si è mantenuta, ad onta di qualche
commisto, sino all’aurora dei tempi storici.
Il Museo
L’esplorazione sistematica dèi Balzi Rossi entrò, per
iniziativa del Principe Alberto di Monaco, in una nuova
fase, e colà furono eseguiti nuovi scavi in larga scala,
sotto la direziono di scienziati competenti: il «Museum
Praehistoricum» di Grimaldi e il Museo Antropologico di
Monaco ne raccolgono i frutti poiché visitati continuamente
da colti stranieri e in cui posarono attento lo sguardo i
membri del Congresso Antropologico tenutosi in Monaco,
nell’aprile 1906.
Conviene pure ricordare come il commendatore Sir Tommaso
Hanbury, tanto benemerito della Liguria per le sue opere di
illuminata beneficenza, fece costruire a sue spese, dinanzi
alla Barma Grande (la quinta delle nove caverne) un piccolo
edificio a Museo Preistorico, perché vi fossero conservati
gli oggetti (scheletri umani, ossa e mammiferi, fossili,
manufatti) rinvenuti nella caverna dai proprietari del
fondo, i signori Abbo.
La caverna stessa, ora quasi completamente sgombra dai
detriti che ne riempivano la parte inferiore, costituisce
come un annesso del piccolo Museo, in cui possono studiarsi,
nella posizione che occupavano originariamente, i tre
scheletri umani più recentemente rinvenuti.
Delizie e
mondanità dei Balzi Rossi
Sono gli incantevoli locali, recentemente riaperti al
pubblico, che coronario gli sforzi dei proprietari in favore
dell’industria del forestiero. Osiamo dire che i luoghi
Internazionali di delizia siano di gran lunga sorpassati dai
miracoli operati in quella plaga incantevole ! Chi solo
guardi e domini con lo sguardo la deliziosa vista che si
dispiega ai piedi dell’Hotel Miramare, dal quale a mezzo di
un ascensore, opera ardita di ingegneri italiani, si
discende ai Balzi Rossi non può rimanere entusiasmato dal
seducente panorama. Mentre il mare azzurro di Liguria si
perde all’orizzonte, a destra le colline verdeggianti di
Mentone e di Capo Martino fanno contrasto con la fiorita
Riviera di Latte, il tutto si fonde in uno spettacolo, di
bellezza indimenticabile.
Monte Granmondo
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