NOTE:
.
(1) Betilo deriva dal greco baitilos, nome dato
nell’antichità alla pietra sacra, che si supponeva animata da
vita divina.
(2) Nell’attuale lingua tedesca, nabel ha il significato
di ombelico.
(3) I Carnuti sono stati un antico popolo della Gallia
Lugdunense che occupava la regione compresa tra la Loira e la
Senna. Si ribellarono ripetutamente a Cesare e furono
definitivamente sottomessi dal legato Caio Fabio.Centri
principali Cenabum (Orléans) ed Atricum (Chartres).
(4) Forse “druido” stesso deriverebbe dal nome celtico della ü
dialettale, dove “ü” ha il significato di rigoglioso, come
“drudo” in lingua, può significare florido e prospero, ma anche
leale e fedele. Nelle designazioni topografiche il dorso deriva
dal celtico drum. “Droma” è l’insieme dei pezzi di
un’alberatura marinara.
(5) In ventimigliese la glossa “mézu” ha il medesimo significato
di metà.
(6) Sempre in latino, l’aggettivo nemorosus si addice a
boscoso, ricco di alberi, fitto, frondoso; mentre nemoralis
ha il significato di “silvano”, appartenente ad un bosco sacro,
inoltre, nemorivagus è poeticamente detto ad uno vagante
per i boschi.
(7) Oltre a riportare in disegno il cerchio rilevato dalla forma
dell’astro solare, astro assai apprezzato per quanto concede,
anche il cerchio lunare ha ispirato l’homo disegnatore, ma la
precarietà nella forma del pianeta terrestre oltre alla
circonferenza ha insegnato anche a disegnare la figura cornuta,
che noi chiamiamo “bovide”, nelle iscrizioni delle Meraviglie.
Sull’evoluzione della croce inscritta e della Rosa celtica,
rimando al mio: INTEMELI POPOLAZIONI CELTOLIGURI, sulla base di
toponimi e tradizioni, confermati dalla diffusa presenza, sul
territorio della “Rosa celtica” - C.d.V. 1999.
(8) Stiegelmann rilevò il segno in questione sulle Ciappe di
Fontanalba e il Gruppo Imperiese di Ricerca Archeologica riporta
la notizia sul volume secondo dell’opera “I LIBRI DI PIETRA DEL
MONTE BEGO”, edita da Dominici ad Oneglia nel 1983..
(9) Tra le tribù dell’Amazzonia o del Borneo, l’ampia capanna
che funge da abitazione comune è situata sul bordo di una radura
circolare in mezzo alla quale è eretto il totem. In tempi più
recenti questo logo, col medesimo significato, è servito a
progettare la pianta del colonnato del Bernini, antistante San
Pietro in Vaticano, con l’obelisco a fungere da centro della
cristianità.
(10) Una teoria trova, nella rappresentazione del cranio bovide,
la figura discontinua della falce lunare, nelle sue fasi,
indicanti le stagioni ed il trascorrere ripetitivo e
rassicurante del tempo, riferibile alla vita della tribù.
(11) Incontreremo il toponimo Alpem o Albium, che
ha creato i nomi di Albenga, Ventimiglia ed Albissola, oltre che
quello della Catena Alpina, legato al significato di montagna,
ma anche di oppida primaria, gli antichi “castellari” liguri
situati in altura. Nel dialetto intemelio, l’alveare viene detto
arbinà, con la r palatale dal suono intermedio l-r, lo stesso
col quale si chiamano le menzionate alture Tésta d’Árpe ed
Arpéta
(12) Alcuni scheletri ritrovati, malamente sepolti, al termine
del Secondo Conflitto Mondiale si sapeva appartenuti a
combattenti partigiani trucidati da quelle parti.
(13) A pagina 6 della STORIA DELLA CITTÀ DI VENTIMIGLIA, scrive:
Si fu Intemelio adunque, che forse compì il primo atto
religioso a Belen, dio dei Liguri sul monte Belenda, nella
vallicella di Latte; come molti secoli dopo i flamini si
recavano a sacrificare al Re degli dei sulla vetta del monte
Giove (Gion), nella valle di Nervia; ne si può pensare
altrimenti, scrivendo il Manzoni, che dove i fatti sono scarsi,
si deve scernere ciò che ha carattere di probabilità, e meglio
si connette cogli altri fatti principali, affermati comunemente
da tutti. - Il toponimo in questione è il picco alpino:
Scafa di Gion, dove Scafa sta per gnomone di cui si servivano
gli antichi per misurare la distanza zenitale di un’astro; ma lo
stesso termine è adoperato per indicare il vaso per sacrifici,
in forma di gondola, o definire una piccola nave.
(14) Il professor Lamboglia, nel suo “Toponomastica intemelia”
del 1946, citando Strabone, presume che le città dei Liguri di
ponente sorgessero in forma di oppida fortificati in cima alle
alture, assumendo perciò lo stesso significato di “montagna”.
(15) Le pietre ritrovate dopo la caduta di una meteora erano
dette del fulmine e per la maggior parte si tratta di
selci preistoriche, ritenute punta della saetta.
(16) Tra le prerogative che si attribuivano a San Bartolomeo
apostolo, era prevalente la lotta contro i demoni ed i falsi
idoli. Nella “vita” del santo scritta da Jacopo da Varagine
viene descritto l’episodio del demone di Astaroth, costretto dal
santo a confessarsi e fuggire:” ... e quello subito uscendo
demolì ogni genere di idoli; fece a pezzi non soltanto il grande
idolo, ma le insegne ornamentali e distrusse ogni paura”.
(17) Nella cartografia sabauda ottocentesca dell’Imperiese, il
Monte Mucchio di Pietre era segnato come “Monte Baraccone”.
Un’altura con questo nome è sita tra la località di Ciaixe e
quella di Brunetti, sul crinale che da Collasgarba a Testa
d’Arpe divide i bassi corsi del Roia e del Nervia.
(18) Dal 6 maggio del 1800, la leggenda, allacciata all’antica
ricorrenza celtoligure dei maggi, è stata legata ad un fatto
d’arme tra Austriaci e Francesi, terminato con la sconfitta di
questi ultimi, i quali si ritirarono su Nizza, abbandonando sul
sito la cassa del reggimento, sotterrandola.
FONTI BIBLIOGRAFICHE
.
Franco Amirante - Nico
Vatteone
I LIBRI DI PIETRA DEL MONTE BEGO
Gruppo Imperiese di Ricerca Archeologica -
Dominici - Oneglia 1983
Joseph Campebell
LE FIGURE DEL MITO
Mondolibri S.p.A. - Red studio - Como 1991
Terence Meaden
STONEHENGE - Il segreto del Solstizio
Gruppo editoriale Armenia - Milano 1998
Paolo Cerasetti - Dario Cimorelli
LE VALLI DELL’OLIVO
Comunità Montana dell’Olivo - A. Pizzi - Cinisello Bals. 1998
OMPHALOS, BETILO
e NEMETON
.
In quasi tutte le
tradizioni l’origine del mondo ha inizio da un ombelico,
“Omphalos” da cui la manifestazione si irraggia nelle quattro
direzioni. Oltre ad indicare il centro fisico, l’Omphalos è
anche il nucleo spirituale del mondo stesso.
Così il beith-el, il bétilo a forma di colonna,
eretto da Giacobbe, oppure, lo stesso omphalos di Delfo, centro
del culto di Apollo.1 Sull’ombelico del mondo si
pone simbolicamente il fuoco sacrificale vedico, ed ogni altare
o qualsiasi focolare raffigura per estensione un tale centro.
L’isola di Ogigia, era chiamata da Omero
“ombelico del mondo”, l’isola di Pasqua era ed è un ombelico per
le popolazioni dell’Oceania, alla stregua della pietra dell’Arca
dell’Alleanza, nel Tempio di Gerusalemme, oppure di certi menhir
che sono stati omphaloi locali, tra i Celti.
In ambito celtico il simbolismo dell’ombelico è
rappresentato principalmente dal teonimo “Nabelcus” soprannome
della divinità simile a Marte, attribuita a quella cultura,
documentato da alcune iscrizioni del Sud-Est della Gallia.
La parola è apparentata al gallese naf: capo,
signore ed è conosciuta, a livello indoeuropeo, quale
corrispondente del greco omphalos: punto centrale, centro.2
Marte Nabelcus è quindi padrone o signore, oppure
il dio di un centro. I Celti hanno avuto dunque centri sacri:
Cesare parla di un locus consecratus nella foresta Carnua.
Questo luogo era considerato il centro del paese
e, in ogni caso, in Gallia si hanno diverse decine di toponimi,
come Mediolanum, “centro della perfezione” o “pianura centrale”.
In Irlanda tutta la vita religiosa era concentrata nella
provincia centrale di Midhe, nella grafia inglese Meath.
Così, come non hanno avuto città vere e proprie,
i Celti non hanno avuto templi nel senso classico del termine.
Hanno avuto “németon” o santuari tra i boschi sacri, centri
iniziatici e spirituali, quali per l’appunto, il bosco al centro
della Gallia, presso i Carnuti, dove i Druidi eleggevano il loro
capo.3
Il querceto sacro, ovvero il tempio della
quercia, veniva chiamato "Drynemetun", dove “dry” stava per
quercia. “Driade” era la ninfa della quercia, che dai laziali
era chiamata Egeria o più genericamente Diana, dai romani.4
Scavando a Zignano, sopra La Spezia, è stato
ritrovato un cippo, databile al VII-VI secolo a.C., nella
cultura di Hallstat. Questo cippo è sormontato da una testa
grossolanamente scolpita, recante un’iscrizione in caratteri
etruschi che si legge MEZUNEMUSUS.5
L’iscrizione corrisponderebbe sia ad un toponimo
celtico MEDIONEMUSUS, sia ad un nome d’uomo MEDDUNEMUSUS. Nel
primo caso il significato sarebbe assimilabile a MEDIONEMETON,
varrebbe a dire santuario di mezzo; nel secondo si riferirebbe a
colui che si prende cura dei luoghi sacri e li misura.
Anche in latino, nemus - nèmoris risponde al
significato di bosco, selva, foresta, bosco sacro, in
particolare quello di Diana presso Ariccia, descritto dal Frazer
ne “Il ramo d’oro”.6
In greco, invece, nemo assume il significato di pascolo
di montagna, quello che per noi sarebbe l’alpeggio, o meglio
l’ARPE.
IL LOGO DELLA TRIBU’
.
Considerando gli Intemelii, così
come tutti i Liguri, popolazioni indoeuropee molto affini ai
Celti, almeno nella religiosità, sul nostro territorio si
possono scovare e ricercare toponimi e tradizioni affini alla “celticità”,
quali le iscrizioni rupestri e soprattutto l’espressione
artistico-artigianale della “Rosa celtica”, logo diffuso lungo
tutto l’Arco Alpino, dalle Marittime alle Dolomiti, sui
territori anticamente frequentati dai Celti subalpini.7
L’elaborazione di questo segno prevede la conoscenza
delle tracce esoteriche più elementari, ma essenziali
nell’evoluzione del genere umano, quali il punto inscritto nel
cerchio, a voler indicare l’uomo sul territorio che lo ospita,
il totem al centro del territorio, se non addirittura l’albero
ancestrale, quale luogo di rifugio e di religiosità.
In quel momento l’uomo primitivo lasciava da
parte l’originaria, incombente individualità, prendendo
coscienza dei privilegi acquistati vivendo in tribù, nella quale
il totem centrale al territorio assumeva tutti i significati
“centrali” fino allora conosciuti.
Nel 1909, tra le incisioni rupestri del Monte Bego,
l’archeologo Stiegelmann ha individuato un segno da lui già
trovato su monete galliche e su altri reperti della prima età
del Bronzo, nel bacino del Mediterraneo; assai simile al punto
inscritto nel cerchio.8
Al cerchio era stato aggregato un quadrato
picchiettato, assai simile ai segni così detti: bovidi cornuti;
ma in questo caso starebbe rappresentando l’insieme della tribù,
unita attorno al totem.
Il punto iscritto nel cerchio ingrossato da un
riquadro nel quarto inferiore, ossia rinquadriato, starebbe ad
indicare l’unione della tribù, rappresentandone il logo fin
dall’antichità.9
Nella moneta gallica citata, le due appendici
distaccate dal cerchio sarebbero la parte terminale delle corna
del bovide contenuto nel grafito, col loro significato di
ricorrenza temporale per un avvenimento.10
Quel grafico celebrerebbe un “ver sacrum”, la
cerimonia tribale tesa a evitare una calamità che comprendeva il
sacrificio agli dèi di tutte le persone e gli animali nati in
una certa primavera.
Nel VI secolo a.C., questa pratica cruenta
era già abbandonata, ma i giovani che in quella primavera
consacrata avessero raggiunto la maggiore età avrebbero dovuto
emigrare e lasciare la patria, guidati da coetanei di rango,
portando entità celtiche verso il volere degli dèi.
Interessante è notare come la pratica del
Ver Sacrum sia stata suggerita dalle api, che nelle medesime
condizioni di ristrettezze alimentari dell’alveare, in quella
stagione effettuano la condotta dello sciamare, anche se a
partire è l’ape regina più attempata ed esperta, accompagnata
dalle operaie anziane.11
CENTRALITA’ INTEMELIA
.
La centralità del punto sacro, sia esso
totem, omphalos o nemeton, si è dimostrata dunque di grande
importanza per le antiche popolazioni, dal Neolitico fino
all’Età del Ferro.
Era sacrale il centro del villaggio, ma
anche il punto di mezzo posto tra i villaggi di un medesimo
clan, così come il centro di un più vasto territorio, abitato da
elementi di una stessa tribù.
Considerando la riconosciuta padronanza di conoscenze
astronomiche, nelle popolazioni affini ai Celti, questa avrebbe
permesso una perfetta localizzazione del centro di una zona
molto estesa, tanto da poter ritenere non casuale la
localizzazione del sito sacrale, anche per una zona vasta come
quella abitata dagli antichi Intemelii.
Tanto più, se questa zona risulta essere,
fin dall’antichità, una radura nel mezzo di un ragguardevole
bosco, fino a rappresentare quello che potrebbe essere stato un
nemeton.
La certezza della sacralità del sito è
racchiusa nel toponimo, che si è conservato fino ai nostri
giorni, nella cultura parlata delle nostre genti, come per
contro lo stesso toponimo è opportunamente evitato dalla cultura
scritta e dalla cartografia ufficiale.
A due chilometri da Gola di Gouta, lungo la
strada sterrata che porta a Testa d’Alpe, sul bivio che conduce
all’Arpetta, a quota 1360 metri sul livello del mare, è situata
FASCIA SAGRÀ, una radura tra una fitta foresta di larici, lunga
poco più che ottanta metri, per il verso Est-Ovest, e larga meno
di quarantacinque, sul lato Sud-Nord, nei punti di maggior
estensione
Oggi il terreno è assai dissestato, per il
passaggio di numerosi fuoristrada, ma in passato lo spiazzo si
presentava abbastanza appianato, con un dislivello, a calare, da
Ovest ad Est, di non più di tre metri, e con un avvallamento
concavo, nel senso Nord-Sud, di circa due, dal limitare del
bosco.
Da Ovest a Est, il centro della spianata è
percorso da un fossato che raccoglie le acque piovane,
dell’ampio anfiteatro che cinge la radura.
Nel sottosuolo sono stati ritrovati scheletri
umani maschili, databili al tardo medioevo, per qualche esperto
ragguagliabili persino al periodo feudale, non disdegnando di
giungere fino all’VIII secolo, longobardo.
Potrebbe trattarsi di semplici boscaioli
che avessero avuto il vezzo d’essere sepolti in un sito che
conservava i caratteri di una sacralità ancestrale, se non i
continuatori di usanze che prevedessero l’interro di personaggi
importanti come i nostri antichi “druidi”, dei quali finora non
sono stati trovati resti, riferibili all’età del bronzo.12
TOPONIMI ADIACENTI
.
Il territorio, più vasto, attorno al sito
di Fascia Sagrà, è caratterizzato dal toponimo SUAN, che dall’Arpetta,
verso Levante, contrassegna una superficie di oltre settecento
metri quadrati. In questo territorio, è attiva la Margheria di
Suan, a meno di cinquecento metri ad Est della Fascia. Il
significato di Suan, potrebbe ritrovarsi in sudante, ossia:
territorio ricco d’acqua affiorante, caratteristica appropriata
al sito in questione.
A Nord-Est si erge la Scafa di Gion, monte
che viene definito sacro persino da Girolamo Rossi. Suggerisce
come, nei secoli antichi fino al V°, i Flamini ventimigliesi si
recassero a in adorazione di Giove, proprio nella radura alla
Scafa di Gion, altura dalla stupefacente forma di nave, (vista
da Nord) rivolta verso i grandi santuari montani delle Alpi
Liguri, come Monte Bego, ma specialmente il Colle di Cornio,
passo alpino da dove gli antichi Intemelìi sono entrati in
quello che diventerà il loro territorio .13
Altro toponimo interessante è GOUTA, che la
Petracco Sicardi individua in “estremità laterale”, dando come
causale: “... nel senso figurato di monte che ha l’aspetto di
uno sbarramento laterale”, mentre potrebbe voler dire
semplicemente che contribuisce ad esaltare il lato d’un
importante punto sacrale.
Anche le adiacenti Testa d’Arpe ed Arpetta contengono
significati degni di attenzione: il toponimo Albium - Alba, per
definire montagne, pare abbia delineato anche il nome delle
Alpi, cioè di tutta la Catena Alpina.
Ciò sarebbe avvenuto, passando attraverso
il latino “Alpem” che ha traslato un termine di origine
preindoeuropea, col significato di montagna alta, appunto.14
Per gli antichi abitanti della Val Roia, quindi,
Testa d’Alpe avrebbe potuto indicare l’inizio di un’infinita
catena d’alture rilevanti, tra le quali la prima è proprio l’Arpetta.
Fascia Sagrà potrebbe essere stata il
MEZUNEMUSU degli antichi Intemelii, ossia il luogo di raduno dei
Druidi, capi spirituali della più ampia tribù, in certi periodi
dell’anno, per celebrare cerimonie sacrali.
SCELTA SACRALE
.
Nell’antichità, la
scelta della radura sacra non avveniva per caso, magari
selezionando un luogo per poi opportunamente disboscarlo, al
contrario, il sito sarebbe dovuto, obbligatoriamente, essere
indicato da un intervento celeste, quale un fulmine che avesse
provocato un vasto incendio tra gli alberi di una foresta, o il
passaggio di una tromba d’aria devastante, come la caduta di una
meteora, ossia, tutto quello che avrebbe potuto indicare
l’intervento effettivo di congiunzione tra il cielo e la terra.15
Se il cielo sceglieva un determinato
luogo per unirsi alla terra onde fecondarla, quel luogo era
certamente degno di essere sacralizzato e frequentato in futuro
come tempio della comunità.
Anche gli Ingauni determinarono il centro
geografico del loro territorio e vi posero il loro Nemeton, in
un sito che conserva ancora un particolare fascino paesistico.
Il Mucchio di Pietre è un’altura di 770
metri s.l.m., situata presso la frazione di Càrtari, in Comune
di Cesio, nell’alta valle Impero, nei pressi del Colle di San
Bartolomeo, dove oggi viene segnalata la presenza di un antico
Castellaro.16
La displuviale di Ponente del Mucchio di
Pietre avvia il vallone del Rio Trexenda, affluente dell’Impero,
nome probabilmente derivante dai frequenti tremendi temporali
che interessano il circondario del Mucchio di Pietre, su quel
lato.17
Come per tutte le località che supportavano un
antico sito ieratico, il Mucchio di Pietre conserva una leggenda
che lo vorrebbe riempito di contenitori zeppi d’oro, magari
soltanto in determinati periodi dell’anno.18
A ratifica dell’opportunità di centralità
nella conferma del sito sacrale per gli antichi Celti o simili,
si può costatare la recente determinazione del territorio
abitato dalla tribù degli Insubri, nella Pianura Padana.
Recenti studi, portati da Mariateresa Grassi,
segnalano gli Insubri dislocati nelle vallate del Ticino e dell’Ossola,
tra le Valli Sesia e Serio, fino alle rive del Padus flumen.
Al centro di questo territorio sorge
Milano, l’antica Mediolanum, della quale è oramai nota la realtà
sulla fondazione per mano del leggendario Belloveso, a capo
degli Insubri e d’una coalizione di Bituringi, Arverni, Senoni,
Edui, Ambarri, Carnuti ed Aulerci.
Presso il villaggio che
costituirà il nucleo dell’attuale metropoli, provocata dal
fulmine in un particolare momento vissuto dalla tribù, era
situata una radura, scelta dai Druidi di Belloveso come “luogo
di perfezione”, così come lo sarebbero state Fascia Sagrà ed il
Mucchio di Pietre.
|