SECOLO DECIMO TERZO XIII
SOTTOMISSIONE GENOVESE
I luoghi di sepoltura della città medievale erano situati presso le chiese. Tra le Canoniche, il Battistero, chiamato ecclesia Sancti Johannis, e le absidi della Cattedrale vi era il cœmeterium Sancte Mariæ, officiato dai Canonici; a tramontana della ecclesia Sancti Michæli era officiato dai Benedettini,
Dalle Canoniche si raggiungeva la Piazza, platea Vintimilii, attraverso il carrubeo intra palacium episcopi et ecclesia Sancte Mariæ, dal cimitero, attraverso il tracciato della via antiqua, la strada romana, che dal Cavu attraversava la città per uscire dalla Porta di Provenza.
Sulla piazza si affacciavano il palatium Episcopi, due domus cum portico ed una apoteca; sul lato a Ponente, appollaiato sul colmo del colle, troneggiava il Castrum Rochæ, che era stato sede della famiglia comitale ed in seguito sarà sede del Capitaneo e dei Podestà genovesi. Nel Castello officiava la chiesuola dedicata a sant’Antonio, che in qualche occasione dava nome al castello medesimo.
A tramontana della piazza, dove aveva inizio il carrogiu sotan, cui toti domui coheret, a tribus partibus via publica et retro, videlicet versus montaneas, domus Bartholomei Scarelle, quì si ergeva il palatium Aprosium, vera dimora signorile: ... magne domus, que vulgo dicitur palatium Aprosium, in qua comprendit aulam sive caminatam magnam cum camera et coquina ac scalis, cum suo accessu, ingressu et regressu.
La città si stava espandendo verso tre nuclei fondamentali per la società intemelia: l’area del Castrum, sede dell’autoritas laica e religiosa; l’aglomerato del Burgo, cuore della vita commerciale ed economica; ed infine il poggio dell’Oliveto, luogo di vita monastica ed agricola, extramœnia, quindi soggetto ad altra giurisdizione, ma rilevante per lo sviluppo insediativo.
1200 In luglio, il podestà genovese Orlandino Malapresi sbarcava a San Römu con nuove armate e metteva campo a capo Sant’Ampelio, dando il guasto alle campagne di Nervia.
I conti ventimigliesi, Guglielmo ed Enrico, erano alleati con i genovesi.
Il cavaliere cataro, Bertrand de Berre, perseguitato ad Albi, protetto dai monaci lerinensi, giunse alla Grangia di Varaxe, dove visse a guardia dell’ospizio grangiale.
Triora acquistava da Gerardo Travacca (o Tranucca) di Roccabruna, che lo aveva comprato a sua volta dal conte di Ventimiglia Guglielmo I, metà del paese (castrum) di Doi o Dho (oggi Castelvittorio).
1201 I ventimigliesi armavano una galea che era attaccata da tre legni genovesi, in Spagna. Corse falsa notizia che fosse stata catturata, provocando il tumulto del popolo che chiedeva la resa a Genova e la restituzione dell’equipaggio. Questo avvenne in luglio, quando molti ventimigliesi, guidati dalla famiglia De Giudici, tornata al potere, si recarono in Genova imploranti, per sottomettersi.
1202 Papa Innocenzo III, nominava Ottone Ventimiglia di Gerace, cardinale di Santa Romana Chiesa.
Il 18 marzo, il comune di Triora stipulò, insieme ad altri venti paesi delle valli di Arroscia, Andora, Oneglia, Prelà, Rezzo e Nasino, un trattato di mutua amicizia con Genova
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Il podestà di Genova Goffredo Grasselli, promise di prendere le difese dei paesi firmatari dell’accordo qualora questi avessero subito degli attacchi o delle molestie da parte della contea di Ventimiglia, mentre i rappresentanti dei comuni firmatari del trattato si impegnarono solennemente a difendere i cittadini genovesi offesi o attaccati nei loro possedimenti, a garantire la libera circolazione nei suddetti territori del grano, della biada e delle altre mercanzie dirette a Genova o da questa provenienti, a provvedere l’esercito genovese, in caso di guerra, di grano, biada e vettovaglie, e ad inviare nella chiesa di San Lorenzo a Genova, come segno di devozione e fedeltà, in occasione della festa di San Giovanni Battista, un grosso cero di venticinque libbre.
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1203 A Genova, Guifredotto Grassello, Podestà d’origine milanese, interveniva per porre fine alle lotte faziose delle famiglie Curia, Pevere, Doria e Porcelli.
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In questo secolo, i canonici della Cattedrale salirono al numero di otto.
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1208 La Loggia del Parlamento potrebbe essere stata costruita in quel periodo.
1210 Trovandosi in Nizza il conte Sancio di Provenza, che reggeva il governo in nome del nipote minore Raimondo Berengario V°, alcuni legati del Libero Comune ventimigliese strinsero convenzioni.
Il conte Sancio, per sedare ogni focolaio d’ostilità, dovette fermarsi un anno, nella regione.
Il marchese di Saluzzo interruppe l’autonomia del Comune di Cuneo, sospettato di offrire ospitalità agli Albigesi in fuga.
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Avendo perso il favore del vescovo di Asti e di conseguenza quello papale, il Libero Comune di Cuneo venne definito “bourg tournant”, che apriva le porte agli eretici senza più patria, li assisteva e poi li immetteva in Val Padana. L’inquisizione contro i Càtari - Albigesi, che devastò la Linguadoca proprio in quegli anni, con una violenta crociata da parte dei Franchi del Nord su precisa esortazione papale, si interessò anche di Cuneo, legittimando e giustificando l’intervento del marchese di Saluzzo, che non aspettava altro.
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1211 Sancio di Provenza stringeva patti segreti con il partito dell’indipendenza ventimigliese; intanto che i Genovesi avrebbero potuto essere sollecitati dal papato a privarli dell’autonomia; forse per ragioni simili all’occupazione di Cuneo.
1212 Il primo maggio, Federico di Svevia, mentre si recava in Germania a ricevere la corona imperiale, approdava a Genova, ospite di Nicola Doria. Riceveva dal Comune 2.400 libbre d’oro, per le spese. Confermava alla città gli eccezionali privilegi mercantili. Ripartiva per Pavia, dopo due mesi e mezzo, il 15 luglio.
Il 24 agosto, giungevano al porto di Genova i tremila fanciulli del Nord Europa, guidati dal tedesco Nicolò, che speravano di attraversare il Mediterraneo a piedi, come Mosè fece nel Mar Rosso. Dopo sette giorni, furono rinviati ai rispettivi paesi.
Il 25 dicembre, all’ora del desinare, scoppiò un terremoto tanto grave ed eccessivo da cagionare quasi la rovina di molte città liguri.
1213 Preposito della Cattedrale era Guglielmo dei conti Ventimiglia.
1214 Francesco d’Assisi, trentatreenne, si avviava verso il Marocco per predicare ai Càtari, che vi erano riparati, dopo la sconfitta nella battaglia di Las Navas de Tolosa.
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Dopo aver percorso la Provenza, terra nativa della propria madre, giunto in Spagna, una grave malattia faceva fallire il progetto missionario francescano, costringendo san Francesco al rientro. Sarebbe molto probabile che il santo transitasse per Ventimiglia sia all’andata che al ritorno di questo rocambolesco viaggio. È tradizione che nella nostra città lo stesso Francesco abbia avviato un cenobio di frati minori, lasciandovi un non meglio definito compagno di avventura quale coordinatore delle numerose vocazioni locali verso la regola francescana.
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1215 Il conte Oberto affrancava gli uomini di Cipressa e confermava le consuetudini concesse dal padre Ottone agli uomini di Baiardo.
In Nizza, il partito genovese conquistava il potere, convenzionando la città con il potente Comune ligure. Il confine occidentale genovese giunse formalmente al Varo.
Per rintuzzare i disegni di espansione dei Provenzali, i genovesi incaricavano Fulcone di Castello di fortificare il poggio di Monaco, con un castello,
quattro torri e mura di trentasei palmi.
Il vescovo Guido derimeva la vertenza tra l’abate di Lerina ed il prevosto di Saorgio, per la chiesa di N.S. del Poggio. Era tra i testimoni, quale prevosto, il futuro vescovo Guglielmo.
1216 Un Corriere pisano, di passaggio dalla Provenza, trovava ospitalità dalle famiglie Saonese e Curlo, che avevano ripreso il governo del Libero Comune. I Consoli consegnavano al corriere una lettera per chiedere convenzioni con il Comune pisano. La lettera venne intercettata dai genovesi.
1217 Il conte Oberto, per acquistare certi diritti nella valle del Maro, cedeva alla contessa Rosmunda, figlia di Raimondo di Candeasco, il castello di Roccabruna e metà di Pigna.
Dopo la Pentecoste, frate Pacifico e frate Masseo furono inviati da san Francesco in missione nell’amata Provenza.
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Transitarono per la nostra città, riposando nel cenobio francescano, situato fuori dalle mura di Tramontana, sulla strada verso la Provenza. Giunti ad Albi, vennero scambiati per “càtari albigesi”, cosicché dovette intervenire lo stesso papa Onorio III° per convalidare la cattolicità della “Regola” attentamente studiata dal vescovo locale.
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VENTIMIGLIA INGANNATA DAI DE GIUDICI
1218 Il 3 maggio, una delegazione del Comune ventimigliese, composta da Folco Bellaverio, Oberto Brondo, Giraldo Giudice, Beltramo Curlo e Guglielmo Intraversato, chiedeva leale sottomissione al podestà Rambertino da Bovarello, il quale inviava a Ventimiglia il notaio Nicolò Pane, per far apporre il sigillo dei Consoli sui trattati, non ottenendo che eccezioni.
In settembre, il Podestà, di passaggio su una galea, al largo di Ventimiglia, era invitato a prendere possesso della città, da parte del console Oberto De Giudici, che aveva tramato, sopportato dagli altri consoli, di concedere la nostra città alla signoria di Oberto Spinola, in nome della città di Genova.
La fazione dei De Giudici era rovesciata, mentre Genova ricorreva nuovamente alla guerra.
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Il Comune avrebbe dovuto recepire nei propri Statuti i provvedimenti emanati dall’autorità pontificia in tema d’eresia. Sul tema è proponibile una credibile.
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Con bolla di papa Onorio III l’Ordine Ospedaliero dei canonici regolari di Sant’Agostino e di Sant’Antonio abate di Vienne veniva confermato.
1219 Nei primi giorni di maggio, una forza di cinquecento uomini a cavallo e una moltitudine di pedoni, reclutati nei paesi rivieraschi sottomessi, fra cui Taggia, sorrette da tre galere e numerosi vascelli, al comando di Conti e Baroni rivieraschi, quali i Malaspina, i Clavesana e i Del Carretto, marciavano verso Ventimiglia.
Con l’appoggio dell’imperatore Ferderico II° e giovandosi inoltre de l’ambiguo atteggiamento del conte Emanuele e dell’annunciato passaggio di campo di una delle più prestigiose famiglie, quali i De Giudici, Genova scatenava un’offensiva senza tregua, accampandosi a San Römu, dov’era sbarcato l’esercito.
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Genova studiò, nei contempo, di isolare la città dal suo retroterra. A tal proposito, rinnovò il patto di assistenza militare con il Conte Guglielmo I, con l’obbligo particolare, per questi, di tener interrotta la strada di Tenda; indi vietò ai Comuni montani dei due Bacini, della Roia e del Taggia, ogni commercio con Ventimiglia, ottenendo il 2 ottobre 1220 un decreto imperiale che li condannava, in caso d’infrazione, a una forte penalità. Un altro decreto ordinava altresì a Ventimiglia di arrendersi, minacciandola, in caso contrario, di una multa di 8000 marchi d’argento.
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Il 10 maggio, i genovesi catturavano una nave di frumento diretta in città, producendo anche danni alle campagne dei dintorni e lasciando poi il solo assedio dal mare. I ventimigliesi armavano una cetea (nave dai cento remi) eludevano l’assedio e riuscivano a catturare due galee genovesi, nel mare di Trapani, poi sulla via del ritorno, catturavano un’altra nave, che abbandonavano, perché soccorsa da una galea di Donadio Bo. Incoraggiati dall’esito favorevole, armavano una grossa galea con la quale, nel porto di Tunisi, catturavano la nave genovese detta “La Benvenuta”, formando una piccola flotta corsara.
Al largo delle isole di Hyéres, in Provenza, le navi ventimigliesi, attaccavano un legno genovese, proveniente dalla Sardegna, detto “San Leonardo” soccorso da due galee genovesi al comando di Zaccaria di Castello, che riusciva a riprendersi “La Benvenuta”, costringendo i ventimigliesi a prendere il largo col favore del buio, per finire ad incagliarsi negli scogli sotto Roccabruna dove i genovesi cercarono di catturarla, senza riuscirvi per l’intervento di numerosi armati di Ventimiglia.
Aiutato dal Comune di Milano, il Comune di Cuneo riotteneva la propria libertà.
Il 2 ottobre, l’Imperatore Federico II° deputava il marchese Ottone Del Carretto di ottenere, a suo nome, la sottomissione dei ventimigliesi. Il Del
Carretto venne imprigionato; tanto che l’Imperatore mandò Guidone Feldrato a San Römu, affinché i conti Oberto ed Ottone ingiungessero una multa
alla città e ponessero la cittadinanza sotto bando imperiale.
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Il marchese Del Carretto ordinava ai consoli delle ville di Pigna, Baiardo, Airole, Castel Doi (Castelvittorio), Perinaldo e Rocchetta, sotto la pena di 500 marche d’argento e del bando, di non prestare aiuto, favori e vettovagliamento ai ventimigliesi, giacché la città era incorsa nel bando dell’Impero.
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1220 Il marchese Del Carretto inviava una deputazione, a capo di certo Enrico Piperata, che veniva catturato e messo in catene. In seguito inviava il savonese Guidone Feldrato, che a San Römu, in presenza dei conti Oberto ed Ottone, invitava i paesi circostanti a far lega contro la città ribelle.
Il Podestà si accordava col conte Emanuele, con uno stipendio mensile di 150 lire, per isolare la città dalla strada della Roia e la presa della rocca de La Penna. Per contro i ventimigliesi cercarono di espugnare il castello di Lucerame, attaccando poi Sospello, dove i tendaschi al comando di Oddone Sevenco avevano, la meglio e catturavano quarantacinque prigionieri che il conte Emanuele consegnò al Podestà genovese, per 1500 lire.
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Essendo i prigionieri tra i cittadini più in vista, i ventimigliesi tentavano di liberarli, ma cadevano in mano nemica altri prigionieri, tra i quali il podestà, Giacomo da Caraglio, che rifiutava di essere liberato prima dei compagni di prigionia.
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Durante l’assedio, una saettia ventimigliese riusciva a superare il blocco navale e giungere salva in un porto provenzale, indi ritornare in città con provviste, sostenuta dai Rettori di Marsiglia che, pressati dai genovesi, rifiutavano di consegnarla.
Lo scopo primario di questa sortita ventimigliese era stato, quasi certamente la richiesta di aiuti da parte del conte Raimondo Berengario V°, che giunse a dar aiuto con un buon numero di armati.
Il podestà genovese, Lottarigo di Martinengo, metteva campo a San Römu e cominciava a dare il guasto alle campagne prendendo tempo.
La strategia genovese aveva la meglio, infatti, prima il provenzale Berengario, indi il luogotenente Guglielmo di Cottinago, da questi lasciato in città, abbandonavano la causa.
Il vice ammiraglio genovese, Lanfranco De-Mari, attaccava la città, senza esito, quando il Martinengo, portò molti prigionieri ventimigliesi in vista agli assediati e minacciò di accecarli se la città non si fosse arresa entro otto giorni.
Alcuni ventimigliesi si arresero, mentre altri catturarono i genovesi deputati al presidio di Castel d’Appio, costringendo il Martinengo a portare a fine la minaccia.
In dicembre, le “Assise di Capua”, decretate da Federico II°, ponevano fine ai privilegi del Comune genovese nell’ambito del Regno del Sud. Genova perdeva la base di Siracusa, determinante per la conquista di Creta.
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L’inimicizia verso Genova, scatenata dalla politica autarchica di Federico II° di Svevia, poneva in condizioni di profitto pisani e veneziani. Toccare gli interessi economici della Superba, costò caro allo stesso imperatore, che non poté condurre a termine il disegno del “Regnum Italie”, contrastato dalla maggior potenza del Tirreno. Malauguratamente, come riflesso, l’aver abbandonato gli sforzi per la conquista di Creta, pose quale più impellente disegno espansionistico genovese, l’affermazione sui cosi detti “Dominii di Terra”. Le forze richiamate dai mari del sud erano tutte dedicate alla sottomissione di Ventimiglia.
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1221 In marzo, un gran numero di armati sbarcava a Bordighera e dava fuoco ai copani da trasporto che erano ormeggiati nell’ansa del fiume.
Il Martinengo comandava di chiudere il porto ventimigliese, facendovi affondare un copano all’imboccatura, inoltre di deviare il corso del Fiume Roia.
Venivano eretti due castelli sul colle delle Mauře, allora chiamato di San Cristoforo e nella zona litoranea, oggi detta Valun, costruiva una nuova città; una Bastida difesa da terrapieno e palizzata e da duemila fanti, comandati da Sorleone Pepe, che organizzò molto bene uno stretto, costante assedio.
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La sequenza di antiche mura ancor oggi visibili sulle falde del colle delle Mauře è stato fatto erigere dai genovesi in quell’occasione, assieme alla elevazione a torre di Porta Canarda, a servizio del bastione naturale che la congiunge a Castel d’Appio, a Ponente; servivano a controllare il flusso di viaggiatori lungo la via franchigena, dirottando eventuali aiuti diretti a Ventimiglia su cammini campestri del tutto impraticabili e controllando il territorio agricolo della Val Nervia, vera dispensa del Mercato ventimigliese. Una Porta situata sulle Mauře, a quota 50, a meno d’un centinaio di metri dall’attuale bivio sulla mulattiera per San Giacomo, controllava i passaggi a Levante, un’altra Porta, nel Vallone, poco distante dal luogo dove sorge oggi il cavalcavia controllava le Asse, completamente allagate. Queste Porte, nel tempo presero il nome di “Portasse”, fino a quando l’ultima venne demolita nel 1972, per transitare verso il costruendo condominio dei ferrovieri. Sul lato a Levante della Bastida, avevano allestito un attracco provvisorio, corredato da un fondaco per i loro approvvigionamenti, rimasto nella tradizione col toponimo a Fundega, mantenuto da quel sito, mentre sull’altura asciutta alle falde delle Mauře, protette dalle mura sovrastanti, vennero edificate le baracche per il perdurante accampamento genovese, che assunse il toponimo di “Cabane”, esistente ancora nel XVIII secolo.
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Molti ventimigliesi, affamati, disertavano per abitare la nuova città, dietro l’esempio indegno della famiglia De Giudici.
Gli abitanti di San Römu, stanchi di dover ospitare gli assedianti, si ribellarono e chiesero soccorso al loro signore, l’arcivescovo di Genova, Ottone,
che recatosi sul posto, cercò di favorire i propri sudditi richiamando le ire dei genovesi, i quali inviarono i capitani Aimerico e Rubaldo Elia a guastare i
beni sanremesi.
I ventimigliesi approfittarono dei disordini per catturare una delle galee assedianti, sorprendendo il capitano Guglielmo d’Aldone, mentre dormiva.
Il conte di Tenda, Guglielmo disertò dal partito genovese e si mise a disposizione della sua città d’origine, dove ricevette l’incarico di Podestà.
1222 Armata una cetèa ed eluso il blocco i ventimigliesi superarono Genova, per chiedere soccorsi, ma una galea di Porto Venere, al soldo genovese, catturò i nostri a Corneto, trasferendoli a Genova.
Il 19 agosto, nel fossato davanti alle mura, i ventimigliesi domandavano la pace, a Sorleone Pepe.
Il vescovo, i De Giudici ed altri notabili si recarono a Genova, a declinare la resa.
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Oltre a Raimondo De Giudici ed al vescovo, erano presenti Raimondo Priore, Ottobono Maroso, Pietro Curlo, Saonese ed il conte Guglielmo II. Certamente era presente anche il vescovo Guglielmo che fu testimone del memorando assedio e la sua autorevole parola valse, senza dubbio, a rendere meno gravose le condizioni della resa, cui egli assistette, anche se su quel documento si legge la firma del vescovo Guido.
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VENTIMIGLIA CAPITANEATO GENOVESE
In agosto, potrebbe essere deceduto il vescovo Guido, che dopo aver firmato l’atto di resa ventimigliese, in Genova, non si sente più nominare.
L’8 settembre la città esausta, apriva le porte al podestà genovese Spino da Soresina, che entrava in Ventimiglia, dove nominava podestà Sorleone Pepe, con incarico di abbattere le palizzate della nuova città, alla Bastida ed abitare le casupole, anche quelle sul sito conosciuto come Cabane.
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Le casupole provvisorie costruite nella Bastida durante l’assedio alla città di Ventimiglia rimasero popolate dai fuoriusciti che divennero proprietari del sito, conosciuto come Bastida. Gli appezzamenti terrieri ricavati nelle zone bonificate dal forzato allagamento strategico a Levante dei rio Resentello, in zona Cabane, vennero concesse ai fuoriiusciti ed ai militi genovesi che meglio operarono durante l’assedio.
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Il podestà nominava comandante del forte della Rocca i nobili Marino da Bolgaro e Guglielmo da Savignone, con cento uomini di presidio. A Castel d’Appio, nominava Ugolino Boccuccio ed Ottone della Murta, con altri cento uomini nel forte di Piazza, che fino ad allora era stato la dimora dei conti ventimigliesi.
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I genovesi edificarono un nuovo castello, presso quello appartenuto alla famiglia comitale, costruito attorno al secolo XII, poco più a meridione, affacciato al poggio del Capo. Questo nuovo Castrun Rochae, con il Castrum Collis ed il Castrum Apii, erano i capisaldi del sistema difensivo genovese nella zona; sostenuti a settentrione dal Castrum Pennae. I castelli vennero costruiti dai genovesi in poco tempo, come dice questo annale genovese dell’epoca:...quorum unum fieri fecit in Apio, et alterum in superiori parte civitatis in arce; opus quorum inceptum fuit in hoc anno, et in sequenti mirabili providentia ac laudabili probitate expletum. Pro constructione quorum terram et domos tunc ibi residentes et spatium iuxta castra ipsa relictum comune Ianue, prout ex pacto promissum fuit, de proprio comparavit.
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Il conte Bonifacio, figlio di Emanuele, partigiano genovese, vendeva metà del luogo di Dolceacqua e si ritirava in Provenza dove sarà stipite dei conti di Verdiére.
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L’indipendenza ventimigliese era finita, svaniva la speranza di costituirsi un’autonoma potenza marittima. L’atteggiamento tenuto dai De Giudici, tradizionali nemici dei Curlo, accentuava la rivalità fra le fazioni cittadine. La città era prostrata. Il fiume deviato lontano dalle mura, comprometteva il porto canale, che era stato interrato. La resa comportava lo smantellamento delle mura verso oriente e la costruzione, da parte dei genovesi di due nuclei fortificati, sui rilievi sovrastanti l’abitato. Uno era il potenziamento di Castel d’Appio, antico baluardo romano, potenziato da Genova nel 1158, per la inaccessibilità del luogo, che controllava l’accesso dalla Francia, spaziando ampiamente su tutto il litorale verso oriente. L’altro era il potenziamento del Castelvecchio, che i genovesil avevano edificato nel 1141, allo scopo di dominare il centro abitato ventimigliese dall’alto. Le nuove strutture presero il nome di Castel del Colle, definendo sul territorio quello che nel XIX secolo verrà nominato Forte San Paolo. La fortezza naturale de La Penna svolgeva il ruolo di controllo sul territorio Intemelio, nelle vie di comunicazione verso il Piemonte. Ad occidente veniva creato un premurale con il primitivo nucleo di Porta Canarda, in località Calandre, zona impervia e di difficile accesso, la stessa porta verrà sopraelevata e rinforzata nel corso del Cinque-Seicento. Mentre da oriente, si entrava in città da Port’Asse, demolita nel 1972, ricavata nell’antemurale, che partendo dal castello di Portiola, alla foce del Nervia si inerpicava sul colle soprastante, detto Mauře. Queste mura, costruite a protezione della città nuova, eretta temporaneamente dai genovesi in località Bastida, che sarà il nucleo primitivo del Sestiere di Sant’Agostino, il Cuventu.
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Saliva al soglio vescovile il prevostro della Cattedrale: Guglielmo dei conti Ventimiglia.
1223 I ventimigliesi parteggiavano per i Dianesi contro gli uomini di Cervo. Due galee ventimigliesi batterono una nave marsigliese con un ambasciatore per il Re di Tunisi.
Il Martinengo faceva ritorno a Genova, lieto di aver soggiogato Ventimiglia.
1225 Papa Onorio III riordinava la Chiesa Metropolitana Milanese, staccando da essa alcuni paesi che avevano abbracciato l’eresia dei Nicolaiti e dei Siminiaci; confermando la suffraganeità della Chiesa Ventimigliese.
Nel suo viaggio di predicazione in Provenza e Francia, transitava Antonio da Padova, trentenne.
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Antonio, incaricato da San Francesco, nel 1223, di foggiare la scuola teologica dell’Ordine, insegnava nel convento bolognese di Santa Maria della Pugliola, quando venne inviato a contrastare l’eresia càtara. In Francia, Antonio venne incaricato dal governo di Limoges al ruolo di custode della città.
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1226 Legati savonesi, albinganesi e ventimigliesi, si recavano presso Tommaso di Savoja, Vicario dell’Impero, per denunciare i soprusi genovesi. Non ottenendo da questi soddisfazione, decisero di andare dallo stesso Imperatore, in quei giorni in dieta a Cremona. Andarono i savonesi e gli ingauni a perorare anche la causa ventimigliese.
Una convenzione tra Pigna e Castel Doi (Castelvittorio), vedeva garanti il conte Manuele, signore di Pigna, ed il conte Guglielmo, signore di Castel Doi.
1229 Il 21 maggio, il vescovo Guglielmo interveniva al Concilio provinciale, indetto in Lodi. Infatti, la diocesi intemelia era stata riconfermata alla
Metropolitana milanese, da papa Onorio III°, con altre quindici Chiese suffraganee
Si poneva mano ai lavori nella Cattedrale, con rifacimenti tardo-romanici, in pietra calcarea durissima.
1230 Il conte Oberto cedeva la villa di Gionco e la Rocca di Perinaldo a Fulcone de Castello; cedeva una casa in città, nella contrada Giudici, a certi Boccacci.
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Fulcone de Castello, che era rampollo d’una delle famiglie più in vista di Genova, terrà queste proprietà fino all’anno 1288.
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Una convenzione tra Pigna ed Apricale vedeva garanti i conti Manuele, signore di Pigna, ed Oberto, signore di Apricale. Autore della trattativa fu il frate Minore francescano Giovanni, del convento di Ventimiglia.
Il Giustiniani, nei suoi Annali ricordava, primo di quattro famosissimi corsari, Guglielmo da Ventimiglia, il quale condannato alla forca, benché appeso non morisse, onde ne ebbe salva la vita.
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Mentre il potere dei Conti si trasferiva sempre più nell’entroterra, si assisteva al permanere di uno stato di profonda tensione in città e nelle campagne. I Conti rifugiatisi nell’alta Val Roia, aggiunsero al loro titolo primario, quello di Tenda, mantennero il controllo dell’importante valico, della media valle con Breglio e Saorgio, con Pigna in Val Nervia, Sospello sul Bevera e tutta l’alta valle del Varo, con il titolo di Bailaggio della Contea di Ventimiglia e di Val Lantosca. Un ramo dei conti ventimigliesi si trasferiva nelle valli di Maro e di Prelà, prendendovi fissa dimora ed esercitandovi il feudo. L’insicurezza era diffusa, come testimonia la presenza di Corsari locali e l’esplodere di una rivolta rurale nelle valli delle Alpi Marittime, fino nei dintorni della città.
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1231 A vario titolo, i conti Ottone e Oberto risultavano padroni dei castello di Maro e di Prelà, rispettivamente.
Il 12 settembre, Carlo I° Grimaldi otteneva, da re Roberto di Napoli, la signoria di Monaco, Roquebrune e Mentone, diventando il vero primo signore
della Rocca monegasca.
1232 Moriva il vescovo Guglielmo, all’età di 63 anni. Dal popolo fu tenuto per lungo tempo in concetto di santità.
Alla morte del conte Guglielmo I, il figlio Oberto, signore di Badalucco giurava fedeltà al comune di Genova, a nome del paese di Bussana.
Sommosse a Dolceacqua, dove il conte Oberto voleva governare contro le precedenti tradizioni.
1233 Vennero legati imperiali in Liguria per controllare le azioni genovesi. Il vescovo d’Albenga, Tagliaferro, sotto gli auspici genovesi, poneva assedio ad
Oneglia per sottometterla ai Marchesi di Clavesana, suoi congiunti. L’azione venne battuta dagli onegliesi, mettendo in pericolo i partigiani genovesi
per tutta la Liguria, numerosi dei quali vennero trucidati in Savona e Ventimiglia.
Dopo due mesi di trattative, era eletto vescovo, Nicolò Lercaro, della Collegiata delle Vigne, in Genova.
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L’elezione dei vescovi era allora spettanza dei canonici. Risultarono in lizza: Fulcone da Dervio, della Metropolitana milanese, contro Nicolò Lercaro, genovese. Non pervenendo a nessuna conclusione, l’arcivescovo propendeva per Fulcone; ma il Lercaro ricorse al Vaticano e papa Gregorio IX gli accordò la nomina.
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1236 Il 4 novembre, moriva don Bonfilio, per trentatré anni sacerdote in San Nicolò alla Marina.
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Con ogni probabilità la chiesa venne chiusa, a causa del spopolamento dovuto alle ridotte attività marinare, dopo l’interramento del porto. Le reliquie di San Nicolò vennero traslate in Cattedrale.
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1238 I Comuni del Ponente ligure si ribellarono ai soprusi genovesi.
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Il lunedì di Pasqua, i savonesi si impossessarono del castello della Briglia, (Priamar) eretto nel 1227 dai genovesi per controllare la città; e mandano via il podestà genovese Ansaldo Mallone. Seguiva la sollevazione d’Albenga e di Porto Maurizio, mentre i ventimigliesi non si erano preparati per tempo.
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Per indecisione, in Ventimiglia, si permetteva al podestà Bonifacio Embriaco di serrarsi nella fortezza e chiedere aiuto ai genovesi.
In maggio, a capo di un manipolo di uomini liberi, Guglielmo Saonese si impadroniva della guarnigione genovese, imprigionando il Podestà.
Quattordici galee, al comando di Fulcone Guercio e Rosso della Turca assediavano Ventimiglia, per catturare Guglielmo Saonese.
Il Saonese respinse gli attaccanti sulla spiaggia, dove trovava la morte il valoroso capitano genovese Giovanni Usodimare.
Il 21 maggio, un nuovo attacco, portava un balestriere da Bogliasco a piantare la bandiera genovese sulle alture dietro la città, concedendo il
vantaggio della sorpresa ai nemici. Ventimiglia si arrendeva ed i capitani genovesi portano i prigionieri a Genova, dove il giorno di Pentecoste
mandano al patibolo l’eroico Guglielmo Saonese.
In estate, nei mari di Sicilia, un bucio pirata al comando di Oberto, conte di Ventimiglia catturava Venuto di Cefalù ed il pisano Alessandro Russo.
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Episodio di pirateria, che si presentava come antefatto della storia navale e corsara dei conti di Ventimiglia di Sicilia. Attività eccessivamente romanzata dal Salgari, ma che aveva basi storiche reali.
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L’imperatore Federico II riconobbe la libertà al Comune di Cuneo, che nel 1259 stringeva alleanza con Carlo D’Angiò.
1239 Tredici galee genovesi, al comando di Fulco Guercio distruggevano Sepe, o Sepellegio, antico borgo sito sul capo di Sant’Ampelio, abitato dai fuoriusciti ventimigliesi, partigiani del Saonese.
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La battaglia vedeva, anche, la distruzione dell’ospedale benedettino, sito sul promontorio della Madonna della Ruota.
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Ottone, arcivescovo di Genova e valente canonista, ebbe contese col governo per violazione dei diritti dell’arcivescovo sul castello di San Römu. Fu costretto a riparare a Sestri.
Papa Gregorio IX decideva di estromettere il Lercaro dalla Diocesi ventimigliese, a causa del comportamento poco consono.
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Veniva intentato un processo inquisitorio quale salutare e giusta punizione a chi nella chiesa semina scandali. Venivano nominati inquisitori l’Abate del monastero di Tiglieto ed il vescovo di Sabina. Per oltre un anno il processo langue in volute lungaggini.
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1240 I conti Manuele e Guglielmo Pietro cedevano Mentone a Guglielmo Vento.
Gli uomini di Carpasio assediavano il conte Oberto nel castello di Badalucco, perché questi pretendeva imporre tasse eccessive con metodi ingiusti e capricciosi.
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La popolazione di quei paesi era suddivisa in due parti: Homines e domini, ma i primi erano più tassati dei secondi. In Genova, il computo delle date nell’anno cominciava “a Nativitate Domini”, perciò otto giorni prima di quello dell’Era volgare o comune. Però l’anno per le gabelle e per le imprese e quello per l’insediamento del capo del Comune cominciavano il due di febbraio, a San Biagio.
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Il conte Oberto veniva ad accordi e concessioni con gli uomini di Carpasio.
Papa Gregorio IX, nell’intento di destituire il Lercaro investiva il vescovo di Nizza affinché per autorità emanata dalla sede apostolica lo destituisca, magari con l’aiuto della forza secolare.
1241 Col trattato di Aix, sollecitato dall’ambasciatore Simone Doria, Berengario IV° di Provenza, s’impegnava con Genova a non più aiutare i ventimigliesi ed a non acquistare terre ad oriente della Turbia.
In Genova, irrompevano le faide tra i partigiani dell’Imperatore, detti Mascarati, contrapposti ai Rampini, fedeli al papato.
Il conte Oberto raggiungeva accordi anche con gli uomini di Montalto, in aperta rivolta.
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Montalto, come Carpasio era retta da due Sindaci, che non permettevano abusi da parte del signore feudale. Per mantenere i suoi feudi, il conte Oberto versava annualmente al Comune di Genova una forte somma che egli recuperava con balzelli agli abitanti dei suoi feudi. Moltalto per questo avrebbe contribuito con 15 lire, ma ne avrebbe aggiunto altre sette e mezza, ogni volta che in paese fosse stato commesso un omicidio od un adulterio. Questo era l’accordo raggiunto.
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Moriva papa Gregorio IX, lasciando in sospeso la destituzione del Lercaro.
Il 3 maggio, l’armata del Comune pisano, cui partecipavano alcune navi ventimigliesi e quella di Federico II° di Svevia, battevano la flotta genovese, presso l’isolotto toscano della Meloria e l’isola del Giglio.
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La flotta genovese era in viaggio per Ostia, dove doveva condurre i prelati francesi e lombardi che dovevano recarsi al Concilio Lateranense, convocato da papa Gregorio IX°, per deporre Federico II°, mancatore di fede e persecutore della Chiesa. I prelati vennero fatti prigionieri, chiusi nelle fortezze pisane e liberati dietro riscatto. Molti dei prelati francesi in viaggio per Roma, transitarono per Ventimiglia, via terra, alcuni dimorandovi per qualche giorno, presso la Curia vescovile.
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1242 Data 16 ottobre, il documento che segnalava la presenza del castello di Portiloria, in Nervia.
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Dove un tempo agiva il porto canale nel torrente Nervia e dove ghiaie ed arene avevano sepellito le vestigie di quella che era stata la città capitale degli Intemelii, sorgeva il fortilizio di Portiloria. Prima i Conti e poi il Comune vi tenevano una guardia armata, per la sicurezza del ponte in legno e come posto di dazio per le vie verso Genova e verso la Valle Nervia ed il Piemonte.
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1243 Dopo il breve pontificato di Celestino IV°, veniva eletto Innocenzo IV°, del casato genovese dei Fieschi.
Il 18 marzo, papa Innocenzo IV, dal Laterano veniva il decreto di rimozione delle insegne sacerdotali ed episcopali del Lercaro.
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L’abate Gioffredo scriveva del Lercaro: “Non so se tra i prelati destinato al Concilio avesse luogo Niccolò, vescoivo di Ventimiglia, accusato presso la Sede Apostolica che si fosse a forza di simonie intruso nel vescovato di Ventimiglia; che per denaro permettesse l’impunità a qualsivoglia delitto; che contro contro le disposizioni dei sacri canoni lasciasse contrarre matrimoni illegittimi e sciogliere i legittimi; che aggravasse con indebite estorsioni gli ecclesiastici, esigendo le usure; che ammettesse ai sacri ordini persone irregolari; che tenendo egli pubblicamente una concubina dispensasse con i concubinari; proferisse e predicasse proposizioni ereticali; rivelasse il segreto di confessione e celebrasse, quantunque per più capi caduto in scomunica”.
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1244 Papa Innocenzo IV° notificava la nomina a vescovo di Ventimiglia, per fra Jacopo da Castel Arquato.
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Claustrale dell’ordine Domenicano, d’intemerata vita, il vescovo Jacopo si impegnò a rimediare agli effetti della scandalosa condotta di Nicolò Lercari, suo predecessore e del clero, purtroppo corrotto. Invitò i canonici a formare nuova statuti, ristringendone il numero a sette, anche se tale riduzione non ebbe mai luogo.
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1245 I l 9 maggio, sotto l’arco di Porta Canarda, passava papa Innocenzo IV, Sinibaldo Fieschi, dei conti di Lavagna, in fuga verso Lione, dove riunirà un
Concilio. Aveva soggiornato, per la notte, nel nostro vescovato. Lo ricorda la lapide posta sopra l’arco da Sir Hanbury.
Il 3 giugno, il vescovo Jacopo consacrava la chiesa dedicata ai santi Antonio e Bernardo, in Vallecrosia.
1246 Le monache del Monastero di Pogliola, presso Mondovi. venivano invitate dal vescovo Jacopo a non far pascere gli armenti nel luogo detto Alpi, presso Morozzo, nel territorio di Briga, soggetto al Vescovo ed al Conte di Ventimiglia.
1247 Una grande inchiesta dell’Inquisizione, in Provenza, costringeva la gerarchia catara albigese, alla fuga verso i nuclei di Càtari presenti in Lombardia, attraverso le valli Piemontesi, il Nizzardo e via mare, verso Genova.
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Attraverso il confine ventimigliese, furono i Templari, presenti attivamente coi Minori francescani, che provvidero a far filtrare i “perfetti’ càtari, in fuga verso la Lombardia.
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1248 Dalla chiesetta di Capo Ampelio, i genovesi prelevano la reliquia del corpo del Santo eremita, che trasferiscono a Genova, nella chiesa di santo Stefano, con la scusa della salvaguardia delle spoglie.
I Curlo, nobile famiglia locale, vendevano alcune terre in Val Roia, alla Certosa di Pesio. Si tratta dei terreni che oggi contengono Airole.
1249 La famiglia guelfa, genovese, dei Vento acquistava Poipino e Mentone dal Conte di Ventimiglia, quale feudatario del Comune genovese.
Enrico dei conti di Ventimiglia, ramo del Maro, sposava Isabella (Elisabeth) dei Craon, conti di Ischia e signori delle Madonie, divenendo conte di Gerace.
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Secondo un recente studio di Henri Bresc, i conti Ventimiglia di Sicilia, che si sarebbero inseriti nelle parentele della corte sveva, presenterebbero la loro avventura come una storia di individui, insediati con felici matrimoni, capi di casato che conservano con orgoglio i cognomi e le armi delle famiglie di Lombardia e di Liguria. Le antecedenti parentele con famiglie di Lombardia mettono in nuova luce le radici altomedievali dei Conti ventimigliesi. Avendo poi subito le conseguenze negative della sconfitta di Benevento, avversato dal vescovo di Cefalù che gli faceva confiscare i beni, dapprima, riparava alla corte della regina Costanza, in Valenza, per poi ritornare nel suo feudo di Conio, nel Maro, mantenendo la contea di Gerace per il figlio Baldoino, del quale non se ne sentì più parlare dopo i Vespri; proprio quando, nel 1282, l’altro figlio, Aldoino, armate tre galee a sue spese portava aiuto a Pietro, re di Aragona, Enrico tornerà in Sicilia nel 1298, rientrando in possesso dei suoi beni e la sua progenie aumenterà notevolmente i feudi siciliani dei Ventimiglia. (documenti di Henri Bresc, da Intemelion)
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Il popolo di Apricale scacciava il conte Guglielmo, che potrà ritornare in paese solo dopo aver consentito alla comunità di potersi reggere secondo le
proprie leggi, come aveva accettato di fare il conte Oberto, in precedenza.
1250 Il 13 dicembre, a Palermo moriva l’imperatore Federico II° di Svevia.
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Le residue speranze del riscatto ventimigliese si sopirono definitivamente. Della vittoria imperiale al Giglio, del 1241, col disastro delle flotta genovese alla rivincita della Superba nelle acque di Levanto nel 1242; con la elezione del genovese Innocenzo IV° al soglio pontificio, nel 1243, seguita dal viaggio papale a Lione, per la scomunica all’Imperatore; fino al disastro imperiale di Panna, nel 1248 ed alla successiva sconfitta di Modena del 1249, si ebbe la prospettiva di uno scontro tra forze pressoché pari, che avrebbe potuto risolversi anche a favore dell’Imperatore. Ma alla sua morte, il Pontefice si prospettò come il vincitore assoluto, sia per il potere temporale del papato, ma molto di più per l’appoggio dato al potere emergente della sua patria genovese.
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Il Capitolo della Cattedrale ventimigliese si dotava di statuti propri, continuando a riservarsi il diritto di eleggere il vescovo.
Genova acquistava sale sul mar Nero, in Nord Africa, a Cipro, a Creta, facendo di Ibiza il maggior centro produttivo di sale del Mediterraneo.
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I genovesi comprarono o noleggiarono le grosse navi in uso tra i baschi, portandole a commerciare lungo le coste del Mediterraneo, rivaleggiando con Venezia, sulla quantità delle merci trasportate, riuscendo a non rimettere i capitali attraverso l’istituzione delle assicurazioni marittime, molto in auge a Genova.
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1251 Prima del 14 febbraio, moriva compianto il vescovo Jacopo di Castell’Arquato. Era nominato: Azone Visconti, rampollo d’un ramo della nobile famiglia milanese, venutosi a stabilire a Ventimiglia, ed estintosi nel XV secolo.
Dal giorno 7 di maggio al 9, era nella nostra città il papa Innocenzo IV°, Sinibaldo Fieschi, nel corso del suo viaggio di rientro a Roma, da Lione; dove aveva convocato un Concilio per deporre l’imperatore Federico II°, nel frattempo deceduto.
L’8 di giugno, gli inviati del Comune di Ventimiglia Fulco Curlo ed Ardizzone De Giudici, sottoscrivevano, in Genova, davanti al podestà di quel Comune, Bernabò Torricella, le convenzioni che resteranno valide fino alla rivoluzione del 1797; con la presenza, in Ventimiglia, di un Podestà genovese.
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Ventimiglia, dopo il tentativo di rivolta appoggiato dall’imperatore Federico II°, cessava la propria autonomia, diventando città convenzionata con Genova. Spettavano a Genova la gabella del sale, i diritti di navigazione, la nomina del Podestà, del Giudice e di due Scribi. Il Comune confinava ad oriente con San Römu, ad occidente con Mentone, presso Garavano; a settentrione fin oltre Airole ed i boschi di Penna, il Toraggio e Langan. La città era divisa nei quartieri: Castello, Campo, Lago e Borgo. Erano numerose le opere pie. Annesso alla chiesa di San Michele era l’Ospedale de Oliveto. Verso Nervia era l’Ospedale de Arena. Fuori le mura, verso Nizza, era il romitaggio di San Lazzaro, ora Ridotta dell’Annunziata; mentre all’estremo confine orientale del Comune era l’Ospedale di Santa Maria della Rota. L’amministrazione era divisa tra nobili e popolani, mentre le terre erano assegnate ai Signori. I monaci di san Benedetto officiavano a San Michele, i frati minori a San Francesco, presso porta Nizza, che per qualche tempo era stato mansione Templare. Sulla presenza di questo Ordine monastico cavalleresco emergono sensate, alla luce di recenti pubblicazioni. Molti si dedicavano alla cultura dei campi, ma vi era chi non disdegnava la vita del soldato o del Crociato, in Terrasanta, oppure l’arte del marinaio. Forte del contributo della gente di mare, Ventimiglia stringe trattati di commercio con Marsiglia, Aix, Arles e Montpellier. I nobili praticavano il commercio e tenevano banco in molte città della Liguria. Le scuole in città non erano molte e l’istruzione era privilegio dei nobili. I fondi e le abitazioni che furono di Guglielmo Saonese vennero divise in due cespiti, uno consegnato ai De Giudici e l’altro trattenuto dalla Comunità genovese, all’interno delle mura cittadine.
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1252 I canonici chiedevano al Pontefice la soppressione dell’Arcidiacono in Cattedrale, adducendo alla povertà delle decime.
Fervevano i lavori per l’adattamento delle mura esistenti all’espansione della città, con l’aggiunta di un tratto murario verso il Murrudibò, aggregato alle fortificazioni di Forte del Colle; ma anche quelli di adattamento delle semidistrutte canoniche, riedificate intorno ad una specie di chiostro.
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«Buona politica di Genova era intanto quella di costruire quanto aveva distrutto con la guerra. In Ventimiglia [...] vennero ricostruite le canoniche, comprando le case di Imberto Curlo, Oberto Barbaxora, Giovanni de Vescovo, Richelmo di Tenda, Fulcone del Castello e Guglielmo figlio di Adalasia, cercando con questi lavori di accontentare i canonici». N. Calvini. Relazioni medievali ....
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1253 Il conte Filippo, figlio di Oberto e nipote di Guglielmo Ventimiglia, cercava l’insediamento nel regno svevo di Sicilia, tramite i marchesi Lancia, esuli a Nicea.
1254 Un insediamento, fondato da fuoriusciti antigenovesi veniva citato, in località precedentemente detta Sopergo. Era il nucleo della prima Bordighera, esistente ancora a metà del Trecento.
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Si tratta del più antico documento su Bordighera, risultante negli atti del notaio De Amandolesio, conservati nell’Archivio di Stato in Genova: «Obertus Porrus de Burdigheta vendit peciam terrae, cui coheret superius ecclesia Sancti Ampelii».
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Moriva il papa genovese Innocenzo VI°, dei Fieschi.
Una convenzione tra il comune di Pigna e i conti ventimigliesi Bonifacio e Giorgio, impegnava il comune al pagamento della quarta parte di una somma dovuta al comune di Ventimiglia.
1255 Il conte Oberto cedeva metà del luogo di Dolceacqua a Lanfranco Balborino, ammiraglio della flotta genovese e marito della vedova di Emanuele, conte di Ventimiglia, che la rivenderà nel 1277. L’altra metà verrà venduta da Bonifacio, del fu Emanuele, a Desiderato Visconti, capitaneo genovese in Dolceacqua.
Il 25 giugno, ad Anagni, papa Alessandro IV estendeva ai frati dell’ordine Agostiniano i privilegi concessi ai frati dimoranti in Toscana.
Gualtiero, arcivescovo di Genova, inviava un suo rappresentante a Ceriana per infeudarla.
I tre nuclei fondamentali della città erano: l’area del Castrum, sede dell’autoritas laica e religiosa; l’agglomerato del Burgo, il cuore della vita commerciale ed economica; ed infine il poggio dell’Oliveto, luogo di vita monastica, situato extra moenia e soggetto ad altra giurisdizione, ma luogo di sviluppo cittadino.
1256 Il 10 dicembre, il notaio del Sacro Impero: Giovanni de Amandolesio, cominciava ad operare in città.
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Uno dei pochi corpus organici di documenti della Ventimiglia medioevale, editi nel 1985, a cura di Laura Balletto, gli atti dell’Amandolesio, rogati dal 1256 al 1264, ci danno della città medioevale un ritratto, anche diverso da quello dipinto dal Rossi, che pure li aveva consultati. Il notaio ci parla di una “carreria Merçaria”, chiamata qualche volta “carubio”, comprendente l’attuale via Giudici, con funzioni di mercato all’ingrosso. In quegli anni, i genovesi rinnovavano il vecchio castello dei Conti, situato sulla Colla, il “castro Collis”. Nei pressi del castello, lungo la cinta muraria di mezzogiorno risultava una porta, chiamate “della Colla”, anteriore di quella cinquecentesca che, nell’ottocento, sarà chiamata Porta Nuova. Davanti alla cattedrale di Santa Maria, esisteva una “apotheca” d’un imprecisato “domini”. Una chiesa dedicata a san Giovanni, risulta presente anteriormente all’oratorio costruito nel XVI secolo., potrebbe trattarsi del Battistero, aperto al culto. I Curlo possedevano una torre fortificata nel quartiere di Piazza. Ci precisa il numero ed i siti dei fortilizi, con il numero dei soldati presenti, i materiali e le armi, estrapolando una dettagliata descrizione delle balestre in attività. Apprendiamo cosi, del “castro Roche”, del “castro Colla”, che era stato Castelvecchio, per diventare in seguito Forte San Paolo; del “castro Apii”, nei pressi della Magliocca. Ogni anno, per la festa di san Michele, i Sindaci di Penna dovevano presentare, al Priore del Consiglio di Ventimiglia, una lira di Genova, in una borsa di cuoio nuova.
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Bonifacio di Ventimiglia, conte di Castellane in Provenza, faceva donazione di beni al Priorato di San Giuliano.
Il conte Guglielmo Pietro II cedeva segretamente, a Carlo d’Angiò, i feudi posseduti sul litorale dalla valle dell’Argentina a Capo d’Aglio, ritirandosi a vivere nel castello di Tenda, feudo che manteneva per controllare entrambi i versanti del più importante valico tra il Piemonte ed il Mediterraneo.
Genova dichiarava i Ventimiglia-Lascàris decaduti dai feudi ventimigliesi come: infedeles et rebelles Comuni Janue et inobedientes et multas fellonias commiserint contra Comune Janue..
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Il conflitto tra Papato ed Impero coinvolse anche la Provenza, terra dell’Impero che si schierò a lato della Chiesa per potersi espandere in Italia. Acquisita la Provenza per matrimonio, Carlo d’Angiò approfittando della crisi economica che attenagliava il Basso Piemonte e la Contea di Ventimiglia, esausti dalle continue guerre e strette in una sudditanza asfissiante, contattò i Conti ventimigliesi che già stavano alienando i propri diritti sui loro feudi. Le trattative tra l’angioino ed il conte Guglielmo Pietro II° vennero alle orecchie del Comune genovese, che puniva coi Conti la stessa città di Ventimiglia.
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GUELFI E GHIBELLINI - RAMPINI E MASCARATI
1257 Presso la Rocca, il templare Galliano feriva a morte Guglielmo da Voltri, un inserviente della guarnigione genovese.
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Non potendo imprigionare il Galliano, in quanto Templare, i genovesi pretendevano una condanna da parte del vescovo Azzone Visconti, che risponde: “Un vescovo di fede guelfa né sarà guardiano di un guelfo, né suo giudice; i Templari sono della Santa Sede”.
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Il vescovo Azone Visconti, scomunicava un giudice, che aveva fatto arrestare un canonico reo di aver ferito una donna. Molti membri della famiglia genovese Visconti si stabilirono, in quegli anni, in città.
In Aix, il 10 gennaio, il conte Guglielmo II°, detto Guglielmino, figlio di Guglielmo, cedeva tutta l’eredità paterna al conte di Provenza, Carlo I° d’Anjou. Questi cedeva in cambio altrettante terre in Provenza ed una rendita, oltre che subinfeudarlo della Contea di Tenda della quale diventerà il capostipite.
In Genova, un tumulto di populares, appoggiati dal partito ghibellino, sceglieva come Capitano un loro elemento, Guglielmo Boccanegra, che allontanava il podestà Alberto di Malavolta.
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A Genova la parte ghibellina era rappresentata dalle famiglie: Adorno, Fregoso, Doria e Spinola; erano guelfe le famiglie: Fieschi, Grimaldi, Guarchi e Montaldo. Nel Ponente Ligure, la parte guelfa era rappresentata dai Grimaldi e dai Vento, mentre ghibellini erano i Doria e gli Spinola. Queste famiglie abbandonarono Genova, quando la parte avversa saliva al potere, i Mascarati prima ed i Rampini poi.
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Il Comune genovese dichiarava decaduti dai feudi i Conti ventimigliesi.
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La nobiltà di fatto si trasformava in nobiltà di diritto, cioè nobiltà di sangue, affermata dai contrassegni ereditari: i blasoni. Chiudendosi in casta, la nobiltà si condannava a scomparire o ad impoverirsi. L’estinzione dei lignaggi era tanto più rapida in quanto vi concorrevano diversi fattori: la mortalità, la tendenza a limitare il numero degli eredi o a destinarne il maggior numero possibile alla Chiesa o agli Ordini militari, per evitare le divisioni del patrimonio. Più grave era il divieto fatto talvolta ai nobili di esercitare un’arte meccanica o il commercio. In Provenza, i nobili dovevano astenersi da qualsiasi lavoro agricolo e la donna appartenente all’aristocrazia era definita come quella che non va “né al forno, né al lavatoio, né al mulino”.
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Il 14 ottobre, era deceduto l’arcivescovodi Milano.
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Il clero milanese comunicava la notizia al vescovo di Ventimiglia, annunciando che il successivo 28 ottobre si sarebbe provveduto alla nomina del successore.
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1258 Il 23 febbraio, in cambio della baronia di Glandevez, in Provenza, e di una cifra, i conti Bonifacio e Giorgio, del fu Emanuele cedevano tutti i diritti su
Saorgio, Breglio, Pigna, Dolceacqua e Rocchetta.
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La baronia rendeva 5000 tornesi ed il versamento una tantum era di 1000 tornesi, mentre il Conte cedeva in perpetuo i castelli di Sant’Agnese, Gorbio, Tenda, La Briga, Castellaro, Castiglione, tutto ciò che possedeva in Val Lantosca ed i diritti su Ventimiglia, Roccabruna, Monaco, San Römu e Ceriana.
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Il 14 marzo, i Benedettini di stanza a San Römu cedettero il loro convento, coi possedimenti e la chiesa di Santo Stefano all’Arcivescovo di Genova, Gualtiero.
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Con la facoltà di papa AIessandro IV, l’Arcivescovo entrò in possesso di parte del territorio di San Römu, mentre i monaci ebbero la chiesa di San Martino, presso il Bisagno, dove traslarono le reliquie di Sant’Ampelio.
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Il 28 marzo, Carlo d’Angiò acquistava dai conti Guglielmo, Bonifacio e Giorgio, il castello di Sospello e certi diritti su Breglio, Saorgio e Pigna.
Nella domenica delle Palme, sulla Ciassa, all’uscita di chiesa, si generò una colossale rissa tra Oberto Giudice e Giovanni Bellaver, cui presero parte diversi uomini, tra i quali, assai impegnati: Ottone Bonebella, Ansaldo Embrone e Bartolomeo Giudice.
Il 4 aprile, nel Forte del Colle, il notaio De Amandolesio, rogava il testamento di Alasina, moglie di certo Oberto De Dandala, la quale voleva essere sepolta nella chiesa di San Francesco, che i Frati Minori stavano costruendo presso la Porta verso la Provenza.
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Si pensa che la costruzione della chiesa con l’aggregato convento fosse stata stimolata anche da padre Bonaventura da Bagnorea, divenuto generale dell’Ordine, durante il suo passaggio per il viaggio di andata verso Parigi dove insegnerà filosofia, nel 1267. Sempre alle zelanti cure dell’illustre claustrale San Bonaventura si deve il rifacimento della porta maggiore della cattedrale, che aveva sofferto nel terremoto del 1212 e nell’assedio del 1221. Venne poi edificato l’attuale peristilio esterno, coi proventi delle elemosine richieste dal padre durante le prediche in Cattedrale, eseguite maggiormente nel 1269, nel suo viaggio di ritorno, oltre che nella sua nuova andata a Parigi del 1273-
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Il 20 aprile, Guglielmo Borsa e Rollando Montaltino, Sindaco e i Console del Comune di Dolceacqua stipulavano convenzione con Zaccaria de Castello e Ansuisio Cartaenia, Vicario e Capitanio genovesi.
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L’Univesità di Dolceacqua si impegnava a servire militarmente il comune di Genova. In caso di assedio del borgo, Genova avrebbe corrisposto ad ognuno dei combattenti la somma di 8 denari di genovini.
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In aprile, Genova concludeva accordi col Comune di Dolceacqua ed acquistava: Badalucco, Baiardo, l’Arma, Bussana, Triora ed altri paesi minori.
Il 30 giugno, Enrico di Ventimiglia, conte di Gerace riceveva l’investitura delle due Petralie.
Il Comune lasciava che gli abitanti di Penna lavorassero nei boschi posti in “contile Matogne”, in “contile Campi” e in “contile Libri”.
Gli abitanti di Cuneo, per difendersi dai Marchesi di Saluzzo, aderivano al. partito di Carlo d’Anjou, conte di Provenza, valorizzando la via di Tenda e la contea che si espandeva fino ai luoghi di. Limone ed Alvernante.
Guglielmo Boccanegra, rappresentante del Comune di Genova, intimava ai magister antelami, ai fabbri e ai maestri d’ascia, di stanza nelle guarnigioni
di Castel del Colle, Castel d’Appio e quello della Rocca, di cessare la pratica usuale dell’arrotondare lo stipendio con incarichi fuori servizio, eseguiti
durante le ore di guardia.
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Il magister antelamus Bertramus, della guarnizione di Castel del Colle, avrebbe lavorato ai conci del costruendo portico della Cattedrale; anche un certo Blancus de Molzano ha lavorato a Ventimiglia e a San Remo. Anche buoni pittori operavano nelle guarnigioni in quel periodo: sul primo pilastro di destra della chiesa di San Michele sono visibili una cornice fitomorfa ed i capelli di quel che poteva essere un San Cristoforo affrescato in quel tempo.
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Un poeta provenzale, Bonifacio da Castellaro, dava per certa la perdita di Ventimiglia e ne traeva pessimi auspici per Genova.
La confraternita dei flagellanti Bianchi, in processione da Ventimiglia a Nizza per espiare le stragi tra Guelfi e Ghibellini.
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Le confraternite tendevano a migliorare le condizioni di civile convivenza. Una grande processione di “battuti” partita dall’Umbria, giungeva in Liguria. Queste notizie venivano menzionate nell’Histoire de Nice, del Durante.
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Il Comune di Genova acquistava casali e terreni presso il Cavu, lungo la via antiqua.
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L’atto rogato dall’Amandolesio dice:...quibus coheret superius Cavus colle inferius terra que fuit heredum quondam Guillelmi ludicis ab uno latore terra quam fuit Nicolai Barle et ab alio latere via antiqua...
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1259 Il 5 febbraio, Carlo d’Angiò stipulava, col comune di Cuneo, un trattato per rendere sicura la strada del sale di Tenda, per farvi transitare il prodotto
delle saline di Hières e di Peccais.
In maggio, il castellano di Appuio, Iacopo di Burgaro comprava 25 mine di frumento per i suoi soldati.
Il 13 maggio, Folco Curlo, ghibellino, ed Ardizzone e Giudici, guelfi, per intercessione del vescovo Azone Visconti, giuravano pace solenne tra le fazioni ventimigliesi.
Veirana, figlia del conte Oberto di Balaucho, cedeva la metà dei beni paterni al fratello Bonifacio. Balaucho potrebbe leggersi Badalucco, ramo dei Ventimiglia che si estinse con lo stesso Bonifacio. (annalista Jacopo Doria)
Un certo Giovanni Martino di Carpasio, di 48 anni, in una testimonianza del 1259, dichiarava sull’assedio portato a Badalucco dagli uomini di Carpasio, che assediarono il conte Oberto, quando lui aveva una trentina d’anni. Guglielmo “de Podieto” ed il fratello Raimondo; Conti di Ventimiglia, figli del conte Guglielmo, Podestà nel 1222 e partigiano dei Curlo; cedevano ai De Giudici i loro diritti verso i Curlo e diventavano i capostipite delle contee del Poggetto e di Sant’Albano.
Alla presa di Damiata, tra le truppe del re di Francia Luigi, era presente il nobile nostrano, Ottone De Giudici.
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La spinta espansionistica di Carlo d’Angiò, ancora conte di Provenza, ma già proteso alla conquista dell’Italia meridionale, si manifestava con una serie di accordi con i conti di Ventimiglia, che si scontravano con i contrapposti interessi genovesi. La diaspora dei conti Ventimiglia, porta ad una vera e propria internazionalizzazione della famiglia nobiliare, imparentandosi con i Lascàris di Costantinopoli e fondando un nuovo ramo, mentre altri componenti del “clan” si trasferiscono in Sicilia. al servizio di Manfredi e di Corradino di Svevia, fino ad acquistare importanza, come conti di Gerace. Il convento francescano, arroccato sui bastioni a ponente della città, sarebbe stato, sino alla fine del secolo XIII°, una mansione dell’Ordine Cavalleresco dei Templari, che possedevano terre in zona Ville ed altri beni in Tenda. Un priorato di Templari, col titolo di san Gervasio era presente in Sospello. In città esistevano ricoveri, o alberghi privati, per i pellegrini diretti a Compostela o in Terrasanta. Uno di questi risultava gestito da Beatrice, vedova di Filippone da Gavi, dove riparò Giovanni de Porta, da Piacenza al servizio di Manuele di Castiglia, in viaggio verso il Monferrato, nei primi mesi dell’anno 1260.
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Dagli atti rogati dall’Amandolesio si ricava che: in Ventimiglia venivano trattate circa ventimila litri di vino. Dolceacqua, retta da Consoli e da un Parlamento, risultava infeudata ai nobili Lanfranco Bulbonino e Zaccaria de Castro.
Un atto notarile datato al 7 novembre recita:”Actum in colla Vintimilii ante portam novam”.
1260 Il 5 gennaio, il Consiglio del Comune ventimigliese trattava sulla possibilità di cambiare le regole per le future elezioni del podestà.
Trovandosi la Cattedrale mezzo rovinata per i danni subiti durante l’assedio dell’anno 1222, i canonici si adunavano nel vicino Battistero, conosciuto come chiesa di San Giovanni.
Il 21 febbraio, Bonifacio, figlio del Conte Oberto, vendeva Tiora e metà del paese di Bussana a suo cognato, l’avvocato Jannella, per tremila lire genovesi.
In febbraio, il principe spagnolo Manuele di Castiglia, figlio di Ferdinando III°, il Santo, giunse al porto sulla Roia, sbarcò e proseguì il viaggio via terra, in territorio genovese.
Giungeva una grande processione di flagellanti partita dall’Umbria. Una numerosa schiera di cittadini ventimigliesi era partecipe in Nizza ad una pubblica flagellazione come rifusione ai guai prodotti nelle lotte tra i “partiti”.
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In tutta Italia, i Guelfi ed i Ghibellini si dilaniavano con tale ferocia, che il popolo riteneva trattarsi d’un castigo divino, tale che le Confraternite dei “battuti” cercavano di allontanare, flaggellandosi pubblicamente. Recita l’Amandolesio: Verberibus laudes Christo gens nuda canebat / atque suas fraudes et crimum viscere flebat / atque cantuatim signo crucis anteriore / pergere teratim Christi patiuntur honore.
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Il 13 maggio, i canonici della Cattedrale provvedevano ad una nuova divisione delle prebende.
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Dall’acqua di Nervia fino alla Ruota, una prebenda; dal Nervia fino alle acque della Roia, una prebenda; Dalla chiesa di San Martino sul Resentello fino a Ventimiglia, due prebende; dall’acqua della Roia fino al torrente Latte ed al Cornaro, una prebenda; dal torrente di Gorbio fino a Monaco, per tutto il territorio di Roccabruna, una prebenda.
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Ascherio Marengo si ammalò in Ventimiglia mentre era diretto in pellegrinaggio a Santiago, volle che fosse dato del denaro a chi avesse proseguito il
viaggio per lui. (Atti Donenico Cambiaso)
Il 10 novembre, Ugo di Negro, conestabile del Castello d’Appio e tutti i sergenti costituivano il loro procuratore.
1261 Guglielmo Pietro, secondogenito del conte Guglielmo di Tenda, inviato dal Comune genovese con la quarta Crociata, a soccorso del nuovo Imperatore d’oriente, l’usurpatore Michele Comueno Paleologo, era da questi obbligato alle nozze con Eudossia, figlia del defunto Imperatore bizantino Teodoro II°, con questo atto i conti Ventimiglia di Tenda aggiunsero il nome Lascàris, che li renderà famosi nella storia.
Il 4 marzo, i fratelli Giacobino e Jannella vendevano il castello di Triora e la metà dei castelli e delle ville di Dho, Arma e Bussana, per 2300 lire genovesi, a Guglielmo Boccanegra, rappresentante del Comune di Genova.
Il 6 luglio, Guglielmo di Prina, castellano entrante del Castello di Appio, riceveva le chiavi da Ogerio Veelo, uscente.
Il 13 marzo, a Naffo, in Asia Minore, col trattato del Ninfeo, i genovesi riottenevano il possesso dei fondachi orientali, occupati dai veneziani..
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Il Comune di Genova, padrone delle sue Riviere e saldamente arroccato in Corsica e Sardegna, aveva ottenuto dagli imperatori di Bisanzio il monopolio del commercio nel Mar Nero, in Crimea e nei paesi del Caspio, assumendoi il predominio commerciale e marittimo in Oriente.
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Il 24 agosto, trovandosi presso Tolentino, nella marca di Ancona, Enrico conte di Ischia Maggiore acquistava dai fratelli Oddone ed Umberto il castello
e la castellania del Maro “in Marchia Albinganae, in contraeta vallis Uneliae”, per il prezzo di 1.110 lire genovesi. (Da documento pubblicato dal Gioffredo)
Il 21 novembre, il conte Filippo, signore di molte terre in Val d’Oneglia, confessava di aver ricevuto dal proprio figlio Enrico, conte di Ischia Maggiore e
di Gerace, 300 lire genovine, onde ipotecargli il luogo di Conio in Val d’Oneglia. (Da documento pubblicato dal Gioffredo)
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Queste vicende ci suggeriscono come il conte Enrico, lasciata la casa paterna in Val d’Oneglia per praticare la guerra di corsa navale, a nome del re Manfredi di Sicilia, riuscì ad infeudarsi Ischia Maggiore e Geraci, attraverso il matrimonio con Isabella di Craon.
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Il notaio de Amandolesio ricordava come il Priorato di Sant’Ampeglio fosse assegnato a Paulus præpositus S. Ampelii di Burdigheta .
1262 Dal Podestà veniva arrestato il canonico Giovanni de Gandolfi, per bravate notturne e porto abusivo di armi.
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Alle rimostranze del vescovo Visconti il governo genovese non rispose alcunché, costringendo lo stesso a scagliare una scomunica contro il Comandante del Forte e lo stesso Podestà Boccanegra. Una volta libero, lo stesso vendicativo canonico, si introdusse in casa del comandante, ferendo la moglie di costui. Verrà bandito, finendo tragicamente la sua vita in Provenza. Accusato di protezione il vescovo Azzone scagliava una seconda scomunica ai notabili genovesi.
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Nei rogiti dell’Amaldolesio, dal 1256, compare la portam novam in Colle. (atto 452 del 2 febbraio 1262)
Il 12 luglio, ad Aix, con un trattato, Genova si accordava con la Provenza per la spartizione della Contea di Ventimiglia, secondo una nuova linea di confine. Per Genova trattarono i guelfi Teodoro Fieschi e Bovarello Grimaldi.
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La Provenza si annetteva il territorio che dalla Turbia andava ai distretti di Sospello, Molinello, in Val Bevera; Fontano, Breglio, Saorgio, Castiglione e Briga in Val Roia; Rocchetta e Pigna in Val Nervia. Genova conservava le terredi Monaco e Ventimiglia, con le sue Ville fino a la Penna, oltre a Perinaldo, Dolceacqua e Castel Doi, l’attuale Castelvittorio. Tenda e La Briga restarono in possesso dei Conti di Ventimiglia; Poipino, Mentone e Roccabruna resteranno ai Vento, loro Signori. Ventimiglia, privata del suo retroterra in Val Roia, si trasformava in piazzaforte di frontiera, con un ruolo economico sempre più asfittico. I confini stabiliti ad Aix, consolidatisi negli anni, segnarono una demarcazione anche linguistica e culturale, sostanzialmente conservata fino ad oggi. L’alta valle della Roia veniva inglobata nella contea indipendente, retta dai conti ventimigliesi ormai malvisi in patria ed esiliati da Genova per inadempienze. In un documento dell’epoca veniva nominata una Porta Nova, sul versante occidentale del promontorio.
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Il 24 agosto, il vescovo Azzo Visconti consegnava la gestione dell’ospizio “de Arena” a Giovanni Cavuggio, un laico di fede guelfa.
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L’ospizio de Arena era sito sulle fini rene che risultavano tra il Fiume Roia ed il Nervia, in una zona apresso le cosidette Asse, aveva avuto ruolo di supporto della Domus Templare cittadina, per ospitare i viandanti provenienti dalla Provenza, o dal Piemonte, attraverso lo Strafurco. L’arcivescovo di Genova, Gualtiero, decretò che il Capitano della Rocca inviasse il “minister Roccae” a reggere l’ospizio per lo spirituale, con l’intento di introdurre la parte ghibellina in Ventimiglia, fino a rendere la diocesi suffraganea di quella genovese. Il vescovo Azzone, che dipendeva dalla Metropolita di Milano ed era di fede guelfa, col provvedimento intrapreso ha voluto puntualizzare la fermezza della diocesi intemelia verso i problemi politici che si dibattevano tra questa ed il governo genovese.
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Il 29 agosto, il podestà ventimigliese Bulborino confermava ai Consoli di Dolceacqua gli stessi patti stretti coi Conti.
Guglielmo Boccanegra addottava provvedimenti di rafforzamento delle mura e delle guarnigioni ventimigliesi. Sarebbe defunto il vescovo Azone Visconti.
Il vescovo Norgando, era menzionato in una lettera, ora conservata nel Registro Vaticano (230 foglio 33). Alcuni atti inediti darebbero ancora vivo Azzone Visconti.
A Genova, un’insurrezione popolare deponeva il Boccanegra , cosicché il potere tornava in mano al Podestà ed al Senato.
1263 Presso la chiesa di san Michele, era presente un pezzo di terra intestato all’Ordine del Tempio. Nel territorio delle Ville, lo stesso “hospitalis Templi” possedeva un altro appezzamento. (Amandolesio - 569 - 613)
Oberto Doria, per consolidare la propria autorità sulla Riviera, acquistava Loano.
Il conte Enrico Ventimiglia si confessava debitore verso Oddone, Oberto e Manfredo di 57 once d’oro, 23 tureni ed alquanti grani, dovuti per il castello del Maro. (Da documento pubblicato dal Gioffredo)
1264 In maggio, un atto dell’Amandolesio conferma il vescovato di Giovanni da Alzate.
Nello stesso anno si parla dell’elezione episcopale di Oberto, fratello di Ottone Visconti, arcivescovo milanese.
Il 7 dicembre, il notaio De Amandolesio cessava di operare in Ventimiglia.
GENOVA RETTA DA UNA SIGNORIA DI FATTO
In Genova, il Capitano del Popolo assumeva più poteri dei Consoli e del Podestà, più tardi verrà instaurata la carica di Dux o Doge, che durerà fino al
1797.
1265 I De Giudici confabulavano per il potere a Ventimiglia.
Oberto Doria acquistava da Lanfranco, vescovo di Albenga, il castello di Loano.
1266 Soldati angioini transitarono per la Liguria. L’Inquisizione e gli ordini mendicanti, favorirono apertamente l’avvento di Carlo d’Angiò.
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In seguito all’intervento ed alla vittoria di Carlo d’Angiò, in tutta Italia i guelfi presero il sopravvento. Nelle città dove i ghibellini continuarono ad essere forti, come Pisa, si mantenne una presenza càtara. Ma generalmente la Chiesa càtara esule o italiana si esauriva verso la fine del XIII secolo, pur col ritorno dei ghibellini al potere.
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1269 Alcuni Frati Spirituali francescani operavano nell’angusto “Loco” aperto dai Frati Minori francescani, sito nei pressi di Forte del Colle.
1270 Il 18 gennaio, Oberto Doria acquistava da Balborino, un congiunto dei Conti ventimigliesi, i due terzi del luogo di Dolceacqua.
Si ha notizia del vescovo Jacopo Gorgonio, da Piacenza.
Luchetto Grimaldi, guelfo, era nominato Podestà di Ventimiglia, con numerose illegalità.
I Ghibellini abbandonavano la città, mentre i Curlo venivano incarcerati. Da Genova, i Doria ed i Balbi vennereo in aiuto dei fuoriusciti. Baliano Doria li scacciava dall’Arma antiqua, d’overano rifugiati presso Borghetto, radendo al suolo l’antico borgo. Ma le milizie inviate da Genova vennero battute nel Pian di Latte e accerchiate sul Ruassu, fino alla resa.
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Ottennero di poter andar in esilio, salve le vite e le persone, ma Luchetto Grimaldi mancò alla parola data: lasciò liberi i soli cittadini genovesi e imprigionò gli altri. Giunti in Genova, i Doria e i Balbi reclamarono tumultuando la liberazione dei compagni ventimigliesi, ma, poiché il governo guelfo nicchiava, ripresero le armi nella capitale e, dopo un crudo spargimento di sangue, riuscirono ad impadronirsi del potere. La rivolta si propagò vittoriosa in tutta la Liguria e i guelfi dovettero sottomettersi o abbandonare il Comune.
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1271 Oberto Doria ed Oberto Spinola, ghibellini, assaltavano il Podestà e si facevano nominare capitani del popolo, mentre Baliano Doria veniva eletto Vicario del Podestà, a favore dei Curlo.
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I fuorusciti genovesi ripararono presso Carlo d’Angiò e gli offrirono la signoria del Comune se li avesse rimessi al potere. Il Re colse l’insperata occasione ed entrò in guerra.
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1272 In agosto, Re Carlo, Siniscalco di Provenza, mandava un’esercito che conquistava Apricale e Mentone, dove trincerava le truppe guelfe per assediare Roccabruna e La Penna, che cedevano, grazie al tradimento del castellano, aprendo la strada per Ventimiglia, dove rovesciò i Ghibellini.
Le truppe di Ansaldo Spinola attaccano i Provenzali con alterne vicende.
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Genova reagì vivacemente, si impadronì dei cinque castelli in Val d’Oneglia, in mano provenzale, parando così una discesa accerchiante dal Piemonte. In Ventimiglia cominciarono le vendette e le persecuzioni e la famiglia Curlo venne cacciata dai De Giudici. Una scritta, posta presso la porta San Francesco, ricordò il fatto: Curlorum familia praepotens guelforum praesidio Entimilio expulsa.
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1273 Il 25 gennaio, il nobile Folco Curlo donava Ayrole alla Certosa di Pesio.
Il 16 dicembre, in Genova, il vescovo intemelio Guglielmo, dei Conti di Ventimiglia, accordava indulgenza ai diocesani che avessero beneficiato l’ospedale di Sant’Antonio in Genova, dove si curavano i malati di fuoco sacro.
Passava per Ventimiglia, diretto a Lione, il francescano Bonaventura da Bagnorea, cardinale, vescovo di Albano, predicatore.
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La rafforzata monarchia francese, aveva condotto la Francia a controllare l’economia europea, ma nello stesso tempo il monopolio dell’aristocrazia francese sui trasporti aveva condotto i mercanti toscani e lombardi a servirsi di piste tracciate attraverso le Alpi centrali, a scapito degli antichi valichi delle Alpi occidentali, verso Lione, Parigi ed i paesi del nord Europa. L’assenza di traffico su quei valichi, ne diminuiva la sicurezza, mentre gli onerosi dazi richiesti da chi li controllava, rendevano conveniente il transito attraverso la nostra città.
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1274 Erano rimessi in carica i De Giudici, a loro volta sbalzati da Ansaldo Spinola, ghibellino, Vicario per la Riviera di Ponente, che con una flotta attaccò Mentone e si portò fino alle isole di Hyères. Intanto Oberto Doria riconquistava, ai genovesi, Ormea, Cosio e Pornassio.
1275 Il vescovo Guglielmo dava il suo consenso per troncare la vertenza col monastero di Pogliola, iniziata dal Castel Arquato.
Il 9 aprile, con procura fatta a Nicolò Gabello, podestà in Ventimiglia, Oberto Doria acquistava i diritti su Dolceacqua vantati dal conte Oberto di Ventimiglia, con quelli, comprava anche Apricale ed Isolabona.
I cinquanta abitanti di Montolivo, tenevano funzionante l’attracco del porto di Olivula, nella baia presso Nizza.
1276 Il 12 giugno, papa Innocenzo V°, mediava la pace tra Re Carlo ed la Signoria genovese, firmata in Aix.
Il 21 giugno, su istanza del Pontefice, Carlo I doveva restituire ai genovesi il castello di Roccabruna, contro la consegna del territorio di Ventimiglia ed i castelli circostanti. Esecutore Bertrando, vescovo di Sabina.
Sarebbe di questo periodo la fondazione di un monastero di Clarisse, nella chiesa sotto il Capo, verso la Roia.
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L’oratorio del convento delle Clarisse ospitò, dalla fine del Quattrocento, la confraternita dei Disciplinanti, che lo ha trasformato nell’attuale oratorio di San Giovanni, conosciuto appunto, come oratorio dei “Bianchi”.
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DOLCEACQUA AI DORIA - MEDIA VAL NERVIA E VALLE ARMEA UNITE IN MARCHESATO
Oberto Doria acquistava la seconda metà di Dolceacqua.
Il vescovo Guglielmo pronunciava un compromesso per la chiesa di san Michele, in Sospello.
Il 18 luglio, Re Carlo d’Angiò metteva taglia su Pietro Balbo e Raimondo Rostagno, figli di Guglielmo II°, conte di Tenda, e certo Ferrando di San Salvatore.
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Su una lettera, scritta da re Carlo al siniscalco di Provenza Gualtiero de Alneto, i Ventimiglia di Tenda venivano definiti “grattatores et capita proditionis facte contra nos” e la taglia loro riservata prevedeva la condizione di “vivos vel occisos,’.
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1277 Carlo d’Angiò si apprestava a riconquistare il Piemonte, ma essendo fermato dal Marchese di Saluzzo e di Alba, ripiegava su Tenda, giungendo ad una tregua.
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In quel periodo la Francia scopriva di essere un paese prospero, ma in penuria di denaro contante. Tentò per lo meno d’impedire che uscisse dal regno, dalla parte dell’Italia, cioè della grande banca. La frontiera diventò ciò che non era mai stata, una barriera costellata di posti di controllo.
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Catturati a Sirmione, venivano decapitati centosettanta Càtari albigesi che ancora prativavano la loro fede occitana.
1278 I due Conti di Tenda, Guglielmo Peire Lascàris e Pietro Balbo, coi loro fratelli Guglielmo del Poggetto, Raimondo Rostagno ed Oberto Templario, dovettero sottomettersi giurando fedeltà e vassallaggio al re angioino, Carlo I°, nelle mani di Giovanni di Burlasco, siniscalco di Provenza, promettendo anche per i loro figli e per il nipote Guglielmo.
Credenti càtari minacciati, si servirono di un passatore, nel Varo, per raggiungere Genova, dov’era presente Bernard Olive, l’ultimo vescovo cataro del Tolosano, in esilio; mentre suo figlio maggiore, Philippe Cathala, svolgeva attività a Pavia. Altri esuli càtari erano a Coni, Cremona e Piacenza.
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Oltre all’episodio del “passatore” nizzardo, presenze albigesi così elevate in Liguria e Lombardia, avrebbero dovuto portare un gran traffico, per Ventimiglia, di fedeli càtari, da e per i paesi occitani, sostenuto dall’attiva presenza in città di un monastero Templare, presso Porta Nizza, riconosciuto, al tempo, zona neutra per i viandanti albigesi.
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Il 25 dicembre, moriva il canonico Bonifacio, preposito di San Römu.
1280 Il 13 luglio, convenzione tra Triora e Castel Doi (Castelvittorio) che regolava i confini di pascolo ed i termini tra le due comunità.
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Triora comperando il castello di Dho dai conti di Ventimiglia nel secolo XIII, gli mutò il nome in Castelfranco, quando nel 1280 lo liberò dalla servitù cui era tenuto. (Rossi - Vent. pag. 42 n. 7)
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Dolceacqua e Ventimiglia stipulavano un accordo sulla possibilità di pascolo invernale e di fienagione in Lovaira ed Amarini, a vantaggio delle greggi
di entrambe le comunità, anche se i terreni appartenevano alla giurisdizione di Ventimiglia.
1281 Moriva Rinaldo Piro, sacerdote in cattedrale e di San Nicolò alla Marina.
1282 A fine marzo la guerra riprendeva a Tenda. I Lascàris occupavano Saorgio, Breglio, Rocchetta, Pigna, Bussana e Castellaro.
1283 Il 4 gennaio, convenzione tra Triora e Carpasio sull’allevamento del bestiame.
1284 Il 18 febbraio, Enrico Ventimiglia si trovava in Conio col fratello Oberto, conte in Tenda, quando si fecero prestare una somma di denaro dal fratello Filippino, signore della metà di Prelà. (Da documento pubblicato dal Gioffredo)
Genova reclutava un esercito di terra e di mare per porre fine all’egemonia navale pisana nel mar Tirreno.
Il 6 agosto, presso l’isolotto toscano della Meloria, la flotta genovese di Oberto Doria annientava quella pisana.
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La flotta genovese era composta da 130 navi. Ventimiglia partecipava con sei navi e forniva: sei nocchieri, centoventi balestrieri, centotrenta vogatori, per un totale di 256 armati; numero tra i primi posti per i comuni rivieraschi. Lo scontro fu terribile.
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1285 Moriva Carlo I° d’Angiò ed al Regno di Provenza era subentrato alla reggenza il primogenito Carlo II°, lo Zoppo, in quel tempo prigioniero degli
spagnoli.
Il 18 dicembre, ad Aix, per intercessione del Vescovo di Riez, Provenza e Tenda convenivano una pace:- Il Re restava padrone dei paesi ribelli del
Bailaggio: Saorgio, Breglio e Fontan, mentre i Lascàris ottenevano l’indipendenza dei loro feudi, riottenendo i castelli di Gorbio e Castellaro. – Col
trattato di Aix finiva l’espansione provenzale, che perdeva la Contea di Piemonte a favore del Marchese di Saluzzo.
1286 Il 5 gennaio, il conte Bonifacio cedeva l’altra metà del luogo di Dolceacqua al genovese Desiderato Visconti.
Con un arbitrato dell’Abate di San Vittore, i Lascàris riottenevano i loro diritti in Val Lantosca.
1287 Il vescovo Guglielmo, col parroco della Cattedrale Ottone Lascàris, interveniva al Concilio provinciale nella chiesa di Santa Tecla, in Milano.
Oberto Doria acquistava Isolabona ed Apricale.
1288 Oberto Doria, ghibellino, dopo aver acquistato Dolceacqua, Isolabona ed Apricale; dagli eredi di Simeone Zaccaria, acquistava il castello di Perinaldo e la villa di Gionco, confinanti con Ceriana, intanto che comprava casa a Ventimiglia, in contrada Giudici.
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Verso la fine del XIII secolo, sul nostro territorio cominciava a circolare il “soldo reale”, che era la ventesima parte della lira. In precedenza, da un po’ di tempo, circolava il grosso di quattro denari.
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1289 La Provenza provvedeva a rendere a Genova il castello di Roccabruna, che aveva trattenuto dal trattato del 1276, giacché i Lascàris non avevano ancora deposto le armi. Il Podestà di Ventimiglia, Lamba Doria, ne riceveva la consegna a nome della Signoria genovese.
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Favorito dal disinteresse della Provenza, il blocco Ghibellino della frontiera si andava coinsolidando, attraverso Oberto Doria, i Lascàris di Sicilia e quelli di Tenda, Genova controllava la zona compresa tra la Val Roia e la Valle di Oneglia.
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1290 Genova reclutava una flotta per un’azione contro Cagliari. Ventimiglia partecipa con un modesto contingente, inferiore a quello delle località rivierasche, guidate da Porto Maurizio.
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Il cronista Jacopo Doria, nell’annale relativo, ha additato alla pubblica lode il valore dei ventimigliesi arruolati.
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1292 Un nuovo trattato tra Genova e gli Angiò, nella persona di Carlo II° di Sicilia, confermava i confini precedenti e frenava le mire espansionistiche provenzali.
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Era quello il tempo che il latino, come lingua parlata e scritta era relegato alla liturgia ed al mondo dei dotti e della ricerca. Si cominciava a parlare in volgare e prendevano forma quelle che poi saranno le varie lingue nazionali ed i dialetti. Nel sud della Francia si parlava la lingua d’Oc, nelle accezioni provenzale ed occitana, per le zone più vicine al nostro territorio. Oltre Genova si parlava e si scriveva il toscano, più a nord vi erano i territori dei dialetti celto-italici, quali il piemontese, il lombardo e l’emiliano. A Ventimiglia si cominciò a parlare un dialetto italo - provenzale, non molto dissimile a quello tramandatoci; con diffusione sfumata del ceppo generale dalla Catalogna, per la Provenza, fino ad oriente di Genova. La diffusione di questa parlata era stata in massima parte dovuta ai “trobator”, poeti della Provenza in lingua d’Oc, che operarono il “trobar clar” nell’epoca tra il 1070 ed il 1220, in tutte le corti catalane, occitane e liguri fino al basso Piemonte.
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1293 Carlo d’Angiò trasferiva gli abitanti di Montolivo in una nuova cittadina portuale chiamata Villafranca, nella baia presso Nizza.
Veniva restaurata la Cattedrale sullo Scoglio.
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Totalmente rifatte le absidi, aggiunto il tiburio, venivano sostituite le capriate della navata centrale, con volte a botte ed a crociera sulle navate laterali. Veniva aggiunto il porticato goticizzante, sulla facciata proto-romantica. Dai rogiti dell’Amandolesio, apprendiamo quanto resti vivace l’uso laico del monumento.
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La Signoria genovese istituiva l’Officium Salis.
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In quell’anno, il monopolio del sale, su tutto il territorio compreso tra Marsiglia ed il Monte Argentario, rendeva alle casse della Signoria genovese più di 30.000 lire, pari al 21% di tutte le entrate dello Stato. Soltanto i marchesi Del Carretto, nel finalese, contestarono il monopolio che i genovesi avevano ottenuto dall’Imperatore.
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1294 In dicembre, il vescovo Guglielmo era nominato delegato pontificio, con i vescovi di Alberga e Noli, sull’utilità delle cessioni dei luoghi di San Römu e Ceriana.
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I due territori facevano impropriamente parte della Curia Arcivescovile di Genova, retta in quegli anni da Jacopo da Varagine, che reclamava eccessivi diritti, scontentando gli abitanti che si ribellarono, arrivando ad assaltare la mensa vescovile, mettendo all’asta il diritto per l’esenzione delle gabelle. Jacopo, chiesto il permesso al neo papa Bonifacio VIII, cedette i feudi ai genovesi Oberto Doria e Giorgio De Mari.
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1295 Il 23 agosto, si riuniva la commissione di vescovi per la vendita di San Römu e Ceriana.
In dicembre, a Genova, stimolato dalla politica di Bonifacio VIII, scoppiava l’ennesimo scontro tra Guelfi e Ghibellini locali, durato quaranta giorni. I Grimaldi, da fuoriusciti, si rifugiarono in Provenza, dove il capofamiglia, Ranieri, acquistava da Carlo d’Angiò, i diritti sulla rocca di Monaco.
1296 In febbraio, a Genova, fu fatta pace generale ed universale tra Mascarati e Rampini, sollecitata dall’arcivescovo Jacopo da Varagine.
Il 16 febbraio, a Marsiglia, Ugone de Vicinis, Siniscalco di Provenza, prometteva all’ambasciatore genovese Abraimo Pallavicino di non permettere accoglienza a fuoriusciti guelfi nei territori di competenza.
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Nei territori provenzali, Rocchetta e Pigna erano veri e propri covi di fuoriusciti guelfi, che accoglievano ed aiutavano chiunque lasciasse i territori genovesi. La questione non si risolse in breve tempo, infatti Genova continuò a lamentarsi anche dell’accoglienza data ai guelfi in Monaco ed in “cert’altro castello detto Labeglio ... posto in Val Nervia, in sito molto eminente e malagevole da espugnarsi. G.Rossi, Storia del Marchesato di Dolceacqua ... p.64/67.
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Il 12 giugno, la sede episcopale risultava vacante, mentre qualche storico, vi ascrive il vescovo Bonifacio. Era designato episcopo: Giovanni III°.
Il 23 novembre, Ruggiero Grimaldi, in qualità di usciere del Pontefice, veniva ricevuto con tutti gli onori a corte da Carlo II d’Angiò, il quale però ordinava ai suoi rappresentanti in Provenza di opporsi al riarmamento dei guelfi genovesi, mentre, sconoscendo gli accordi paterni, cedeva i diritti su Monaco a Genova, in cambio della nomina di un Podestà tra i suoi vassalli. I ghibellini genovesi al potere cedevano la rocca di Monaco agli Spinola, per 100 once d’oro.
1297 La notte dell’8 gennaio, Francesco Grimaldi, detto “Malizia”, con uno stratagemma riconquistava Monaco e scacciava lo Spinola che si rifugiò a Dolceacqua. Simeone ed Andriolo armarono una schiera e mossero verso Ventimiglia, che li contenne ben presidiata da Opecino Spinola. I Doria si scontrarono col Grimaldi che trovò la morte nella furiosa lotta.
Il 28 gennaio, Oberto Doria e Giorgio De Mari firmavano l’atto di acquisto di San Römu e Ceriana, dal vescovo di Genova Jacopo da Varagine.
Il 2 febbraio, Il Doria ed il De Mari prendevano possesso dei territori di San Römu e Ceriana.
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Il territorio di San Römu era stato possedimento dei vescovi genovesi, amministrato dai gastaldi: nelle famiglie dei Ricolfi e dei Premartini.
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Il 9 giugno, con la bolla Ad apostolicae dignitatis, papa Bonifacio VIII eresse a Priore Aimone de Montany, diciassettesimo Gran Maestro dell’Ordine Antoniano.
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Il Gran Maestro diventa così il primo abate dell’ordine degli Antoniani a cui faranno riferimento tutte le commanderie sparse per il mondo. Aggregati sotto la regola di Sant’Agostino, i canonici regolari dell’antica compagine ospedaliera, formeranno così l’Ordine Ospedaliero dei canonici regolari di Sant’Antonio abate di Vienne, detti comunemente “Antoniani Viennois”.
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1298 Il 14 luglio, in Genova, moriva l’arcivescovo Jacopo da Varagine.
L’8 settembre, presso l’isola dalmata di Curzola, i genovesi battevano la flotta veneziana del Doge Andrea Dandolo. Numerosi marinai e balestrieri ventimigliesi erano arruolati coi genovesi.
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I genovesi, guidati da Lamba Doria, catturarono o distrussero 85 delle 95 navi veneziane., facendo più di settemila prigionieri e provocando circa diecimila morti. Tra i prigionieri era anche Marco Polo.
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OCCUPAZIONE GENOVESE
Divisa in quattro rioni: Castello, Campo, Borgo e Lago, la città era controllata dalle sparute guarnigioni genovesi, insediate nella Rocca del Colle ed a Castel d’Appio. Ventimiglia ricostruiva ed ampliava l’antica Cattedrale, danneggiata da un terremoto, traendo spunto dalla predicazione del francescano Bonaventura da Bagnorea. Sorse il primo insediamento francescano, fuori porta San Michele, mentre la chiesa di San Lazzaro, sulla strada di Provenza, veniva corredata di un lazzaretto. Con la crisi, qualcuno si accaparrava proprietà immobiliari, mentre l’agricoltura restava il punto di forza dell’attività produttiva, incentrata su culture di vigne, piantagioni di fichi, ortaggi e granaglie. Il commercio vivacchiava con vino, sale, bestiame. Il territorio ad oriente era stato occupato dai Doria di Dolceacqua, ghibellini, quello ad occidente dai Grimaldi di Monaco, guelfi. I Grimaldi mossero ripetutamente verso levante, scontrandosi immancabilmente con i Doria, padroni di tutto l’arco costiero, da San Römu fin oltre Oneglia. La fortezza di Monaco, in mano alla famiglia Grimaldi, divenne un principato autonomo, che con alterne fortune, durerà fino ai giorni nostri. I Grimaldi si fecero protettori della fazione guelfa, traendo nella loro orbita le famiglie ventimigliesi:De Giudici, Bulferii e Vento. Mentre le simpatie ghibelline dei Doria trovavano agganci locali piuttosto forti di marcata tendenza anti genovese. Ventimiglia conformava il proprio aggregato urbano, riplasmando l’edificato preesistente e la definizione del Quartiere Oliveto, del quale si hanno citazioni nel XIII° secolo. Il quartiere, sorto sui pendii coltivati ad olivi, già appartenenti ai Benedettini di San Michele, unici spazi ancora utilizzabili all’interno dell’antico perimetro murato, ed idonei all’insediamento.
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1299 Il 31 luglio, trattato di tregua tra genovesi e pisani, che durerà venticinque anni.
3. - Caduto, dopo i Conti, anche il Comune di Ventimiglia, Genova, che aveva per la seconda volta le mani libere, intensificò la sua azione in Nizza, dove il numero e la forza dei suoi partigiani crebbero in modo sensibile.
Il Reggente di Provenza, Conte Sancio, dovette accorrere con un buon seguito d’armati per sostenere la sua autorità in pericolo. Poté ottenere il rituale omaggio dalla città (1210), ma la situazione era talmente compromessa che, per sedare ogni focolaio d’ostilità, dovette fermarsi un anno nella regione. Ne profittò per entrare in contatto con il partito dell’indipendenza ventimigliese e si allontanò nel 1211 dopo aver stretto con lui dei patti segreti. Ma quattro anni dopo, nel 1215, il partito genovese in Nizza conquista il potere e questa volta convenziona la città con Genova alla stessa tregua delle altre città liguri. Nizza è genovese. Dopo aver segnato il passo per tre quarti di secolo sulle sponde del Roia, Genova ottiene il suo primo sostanziale successo. Ma è un po’ tardi, troppo tardi, e invano a spalleggiare questi suoi nuovi sudditi essa si affretta a costruire un castello sulla punta di Monaco. È un castello composto di quattro torri con una cinta alta trentasei palmi.
Abbiamo detto, più sopra, come il partito Saonese-Curlo fosse entrato in contatto con il Conte Sancio; riavuto il Governo del Comune, esso non tardò anche a voler riprendere l’antica alleanza con Pisa. Senonché il corriere a cui aveva affidato la lettera cadde in mano ai Genovesi i quali, d’altro canto, erano già venuti a conoscere l’intesa con Sancio.
4. - Di fronte a questa nuova minaccia, che le impediva di consolidare il troppo recente acquisto nizzardo, Genova si accinse apertamente a distruggere l’ostacolo ventimigliese rimovendolo dalle fondamenta.
In San Remo, prevedendo il danno che sarebbe ancora derivato da nuovi sbarchi, scoppiarono delle sommosse che Genova stroncò duramente.
Impressionati, i ventimigliesi dei due partiti, volendo evitare un conflitto supremo, inviarono il 3 maggio 1218 a Genova una delegazione per giurare obbedienza e chiedere nuovi patti di sottomissione, che furono i seguenti: Ventimiglia deve far guerra e cavalcata per mare e per terra se e quando il Podestà di Genova lo comanda; le sue navi non possono navigare oltre la Sardegna e Barcellona, senza entrar prima nel porto di Genova ad ottenerne licenza; deve rompere le convenzioni e i trattati stretti con i Comuni nemici di Genova e in particolar modo quello del Conte Sancio; deve far pace con i Comuni vicini, rispettare e far rispettare i cittadini genovesi; i suoi Consoli dovranno giurare ogni anno le presenti convenzioni.
In Ventimiglia, la ratifica di questo patto incontrò delle difficoltà e fu menata per le lunghe, sicché, al fine d’imporle, il Podestà Rambertino di Bovarello guidò in persona una dimostrazione navale davanti alla città, composta di 8 galee e molti legni minori. Qui giunto, i Consoli Oberto De Giudici, Guglielmo Valloria, Guglielmo Guercio e Arnaldo Intraversato si recarono sulla galea ammiraglia ad ossequiarlo, pregandolo di voler prendere possesso di Ventimiglia. Seguito da un corteo di nobili, il Podestà sbarca e si reca in Cattedrale dove Oberto De Giudici gli consegna solennemente la città.
L’effetto sortito è identico a quello del 1199: la fazione De Giudici vien rovesciata. Genova ricorre ancora una volta alla guerra. La condusse con mezzi formidabili e con rigore estremo. Trovò però un avversario più risoluto e più forte che mai, che si battè con tale decisione da mutar la fisionomia stessa della guerra, che da guerra di annientamento divenne, per Genova, di difesa del proprio prestigio e della propria stessa sicurezza nella Riviera di ponente. Essa decise delle sorti dell’espansione genovese in Provenza.
Con il concorso dei Malaspina, dei del Carretto, dei Clavesana e di vari paesi sottomessi, fra cui Taggia, il 10 maggio 1219 un forte esercito di terra, spalleggiato da sei navi, attacca la Città, ma viene respinto e si ritira in San Remo, dov’era sbarcato. Come nella guerra passata, Genova distrugge le campagne e ricorre al blocco marittimo, lasciando questa volta una squadra a incrociare davanti al porto. Si ha qualche notizia delle vicende del blocco. I genovesi riuscirono a distruggere un grosso carico di frumento, ma i ventimigliesi, armata una centea (nave dai cento remi) catturarono due navi nemiche nelle acque di Trapani e, nel ritorno, una terza che riuscì a fuggire. Una galea catturò presso Tunisi un’altra nave, la Benvenuto. Due galee genovesi la liberarono, e la ventimigliese venne gettata sulla costa da una tempesta.
Genova studiò, nei contempo, di isolare la città dal suo retroterra. A tal uopo, rinnovò il patto di assistenza militare con il Conte Guglielmo I, con l’obbligo particolare, per questi, di tener interrotta la strada di Tenda; indi vietò ai Comuni montani dei due Bacini, del Roia e del Taggia, ogni commercio con Ventimiglia, ottenendo il 2 ottobre 1220 un decreto imperiale che li condannava, in caso d’infrazione, a una forte penalità. Un altro decreto ordinava altresì a Ventimiglia di arrendersi, minacciandola, in caso contrario, di una multa di 8000 marchi d’argento.
L’ambasceria che portò in città l’ingiunzione imperiale venne per qualche giorno imprigionata. Una domanda d’intavolare trattative venne respinta. Il Conte Manuele, figlio di Guglielmo I, essendo, per 150 lire mensili, entrato m guerra cedendo La Penna, provocò una spedizione contro i suoi castelli, ma l’impresa fallì sotto Lucerame, dove cadde il Podestà di Ventimiglia, Giacomo da Caragia. Un successo, e importante, ebbe per contro Ventimiglia l’anno seguente, 1221, ottenendo che il Conte di Provenza, Raimondo Berengario, in base agli accordi con Sancio, conducesse personalmente un esercito in suo aiuto.
Genova aveva nel contempo rafforzato il proprio, che era sempre in San Remo. I due eserciti, provenzale e genovese, si limitarono però a sorvegliarsi a distanza. Berengario, vedendo che i nemici schivavano la battaglia, ma non erano per nulla decisi ad abbandonare l’impresa, prevedendo una lunga guerra d’assedio, si ritirò, lasciando ai suoi alleati qualche forza.
Partiti i Provenzali, i Genovesi condussero contro Ventimiglia un assalto generale, che venne però duramente respinto. Fu tanta la violenza dello scontro che gli sconfitti, irritati, accecarono undici prigionieri. La piazza venne allora investita. Le prime opere dell’investimento ebbero per iscopo di togliere alla città l’uso del porto. Venne, a tal uopo, scavato un largo canale lungo due miglia, a nord della città, onde svuotare il «Lago», e venne affondato davanti alla foce del fiume, ormai semisecco, un vascello carico di pietre; indi, in questo punto, furono collegate le due rive con un muro e un pontone. Contro le mura vennero rizzati due fortilizi e, dalla parte del mare, costruiti dei baraccamenti, difesi da alti e solidi bastioni; una piccola città contro la grande. Ben presto i ventimigliesi, stretti da ogni parte, non poterono neppur più andar nei campi vicini senza correre il rischio d’essere presi. Sicché molti cittadini, e fra i primi i De Giudici e i loro partigiani, onde schivar le privazioni e gli obblighi dell’assedio, si rifugiarono nella città-recinto genovese.
Con tutto ciò, Ventimiglia continuava la lotta. La sua eroica e lunga resistenza, siamo già nel 1221, finì per produrre un movimento di ribellione nei Comuni della Contea i quali, se si dichiararono sempre ossequienti al Conte, convennero però di resistere con le armi alla dominazione genovese. Si può credere che sia stato questo movimento a indurre lo stesso Conte Guglielmo II a disertare il campo genovese e a passare in quello dei Ventimigliesi. Le notizie che abbiamo sui due importanti avvenimenti sono troppo scarse per poterli analizzare e spiegare, ma è probabile che Genova, disperando di aver mai ragione di Ventimiglia, o per altro motivo, avesse pensato di togliere l’assedio, e che il Conte e i Comuni, avutone sentore, avessero creduto giunto il momento di potersi sottrarre, il primo alla tutela, e i secondi alla coercizione genovese.
Entrato in Ventimiglia, il Conte Guglielmo II vien fatto Podestà e gli si affida la condotta della guerra, ma l’aiuto morale e materiale che egli reca è inutile: la città è agli estremi. Con tutto ciò la lotta si ravviva, ma alla fine, più dissanguati che vinti, dopo tre anni di guerra, i Ventimigliesi, il 19 agosto 1222, domandano la pace. Ma la domandano nel fossato della Città, perché i genovesi non erano riusciti a penetrarvi. Convenuti i patti della resa, mentre una delegazione giurava in loco a Sorleone Pepe di osservarli, un’ambasceria si recava a Genova per fare altrettanto.
Questa volta, accompagnati dal Vescovo, partono i rappresentanti dei due partiti. Infatti vediamo, accanto a un De Giudici, Guglielmo Saonese e Pietro Curlo. Le condizioni imposte e accettate il 31 agosto sono essenzialmente le seguenti: le cose e le persone dei Ventimigliesi saranno salve, nonché quelle del Conte Guglielmo e dei suoi figli (si ignora perché e a quali condizioni fu perdonata al Conte la sua diserzione); il Comune di Genova ha. sopra i Ventimigliesi, suprema giurisdizione e dominio, ed a lui appartiene la nomina del Podestà; il Comune di Genova si riserva il diritto di costruire due fortezze, una sul monte sovrastante alla Città e l’altra nella regione d’Appio.
Qualche giorno dopo il Podestà di Genova, Spino da Soresina, si recò a Ventimiglia per prenderne solenne possesso. Ne ripartì lasciandola fortemente presidiata e ordinando al Podestà, Sorleone Pepe, da lui stesso insediato, che ne abbattesse le gloriose mura.
La consegna della Città con i rispettivi distretti e la Penna fu fatta ufficialmente dal Conte Guglielmo II con rogito del notaio Marchisio, in Ventimiglia, l’8 settembre.
5. - La guerra, sebbene totalmente vittoriosa, non diede però a Genova i risultati che aveva contato ottenerne; anzi, se l’avesse perduta, questi non sarebbero stati di molto peggiori. I Comuni della Riviera di ponente, in preda a quel disagio e a quel fermento che sempre lascia dietro di sé una guerra troppo vicina, troppo lunga e costosa per tutti, accogliendo l’istigazione dell’Imperatore, fattosi in quegli anni minaccioso, nel 1226 si collegarono in una ribellione accanita, che durò vari lustri, qui rinascendo se là era domata, e che compromise gravemente il dominio genovese. Fu difatti al Vicario Imperiale per l’Italia, Tommaso di Savoia, che il Marchese Del Carretto di Savona e il Comune di Albenga si offrirono quali vassalli.
Alla ribellione della Riviera si aggiunse un altro rovescio, e questo irrimediabile. Raimondo Berengario V, Conte di Provenza, profittando dell’imbarazzo in cui trovavasi la Repubblica, marciò su Nizza e, malgrado la resistenza e le galee genovesi, se ne impadronì. Ciò seguì nel 1229.
Il grande assedio di Ventimiglia ebbe quindi per Genova, come prime conseguenze, la perdita del tranquillo possesso della Riviera e quello definitivo di Nizza.
Dopo averci provato l'anno precedente, nel 1200 Genova tentava una seconda spedizione. Un esercito, condotto dal Podestà Malapresi, sbarcava in San Remo e metteva il campo a Sant’Ampeglio. Ma anche con questo, come per il precedente, deve ritirarsi. Dovrà ancora passare un altro anno affinché Genova possa raccogliere i frutti del blocco.
I danni subiti da Ventimiglia sul mare dovettero essere senza dubbio ingenti, se si giudica dal fatto che alla notizia, probabilmente sparsa ad arte, della cattura d’una sua galea da parte di tre nemiche, sulle coste spagnole, provoca la nascita d'un tumulto in città, dove si grida alla pace (1201). Con tutto ciò, non è che al termine del Consolato in carica che la fazione De Giudici, risalita al potere, può recarsi in Genova, a piedi scalzi e con le croci in mano, a chiedere clemenza e giurar fedeltà e sottomissione.
IL GRANDE ASSEDIO
Il testo è ricavato da:
LA FUNZIONE STORICA
DELLA CONTEA DI VENTIMIGLIA
di Filippo Rostan
Istituto Internazionale di Studi Liguri
Bordighera 1971