FASCE e MAIXéI
Il più grande monumento ligure
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di
Andrea
CAPANO
In una regione povera di tratti di pianura coltivabili quale è la
nostra, l’unico modo di strappare alla terra il necessario per vivere è
sempre stato quello di ridurre i ripidi pendii delle montagne ad una
serie di ampi gradini, le terrazze (e fasce), a sostegno delle
quali sono stati costruiti nel corso dei secoli chilometri e chilometri
di muri a secco, i maixéi.
L’importanza della fascia (dal latino FASCIA “fascia”, “benda”,
“cinghia”) per l’economia ligure è dimostrata, oltre che dalla sua
massiccia diffusione in ogni punto ove la natura del terreno lo
permetta, anche dalla toponomastica, la scienza che studia i nomi dei
luoghi.
Una rapida occhiata alla carta geografica della nostra zona ci rivela
infatti, a titolo di esempio , i toponimi Les Faisses, Ruisseau des
Faisses, Fascia Fonda, nel comune di Castellar, sopra Mentone; Fasceu
nel comune di Airole; Fasce presso Buggio; Fascia Megiara
sul Monte Toraggio, Fasciassa nel comune di Pigna; Fascia d’Ubaga
nel comune di Ceriana; Fascia d’u Capurale, d’u Prau, nel
comune di Sanremo.
Dicevamo sopra che la struttura portante della fascia è il
maixé (dal latino MACERIES “muro a secco”), costruito a fatica di
braccia con pietre del luogo, a volte rozzamente squadrate.
L’uso di materiale locale presenta alcuni vantaggi notevoli: le pietre
non costano nulla; il problema del trasporto (tanto più drammatico in
passato) viene di molto ridotto; e, cosa questa troppo spesso
sottovalutata, il materiale del posto è più resistente alle intemperie e
si adatta meglio alla natura del luogo.
La struttura stessa del maixé, nella sua semplicità, è un piccolo
capolavoro di ingegneria: lle pietre infatti vengono incastrate con cura
una sopra l’altra, e si appoggiano, spesso in lieve pendenza, al terreno
retrostante, che viene a sua volta trattenuto da esse, con uno di quei
caratteristici giochi di spinte e controspinte tipici delle architetture
“povere”, che non dispongono di tecnologie sofisticate.
Il muro a secco presenta inoltre una particolarità del tutto assente nei
moderni muraglioni in cemento armato: esso infatti “restituisce” l’acqua
piovana più o meno come la riceve, attraverso gli interstizi tra una
pietra e l’altra. E quando, per eccessive piogge o per altre cause
(spesso radici di grossi alberi, come gli ulivi) frana, il danno si
limita, per il solito, ad un fronte di pochi metri. Al contrario il muro
di cemento obbliga l’acqua ad incanalarsi attraverso pochi buchi di
scarico, convogliandola a rivoli, e non più a pioggia; e quando gli
scarichi non sono sufficienti, l’acqua finisce per scalzarlo in blocco e
trascinarlo più a valle, con un danno notevolmente maggiore.
Va tenuto presente infine l’aspetto estetico della questione: i
maixéi hanno contribuito a creare quell’immagine della Liguria che
ci è familiare, e che riesce ancora (ma per quanto ?) ad attirare le
correnti turistiche.
La loro sostituzione con muraglioni in cemento equivale alla distruzione
di una grande opera di architettura, realizzata attraverso i secoli da
generazioni di anonimi contadini liguri: si tratta di centinaia, forse
migliaia di chilometri di muri a secco,che solo la modestia delle loro
origini e l’umiltà della loro destinazione impediscono di paragonare,
per estensione e per importanza,
alla Grande Muraglia Cinese.
LA VOCE INTEMELIA
anno XXXIV n. 6 - giugno 1980