Nell'approccio verso la danza, il popolo intemelio
si è sempre riferito alle tradizioni delle genti con le quali si rapportava,
siano state provenzali o piemontesi, diversificando parecchio le mode che
gli giungevano dalla Liguria.
Tra i tipi
di danza più praticati, sono stati accertati: a Curénta, a Burré, a Giga,
a Farandùla, a Contradansa, u Balétu, u Rigulé, u Galòpu, u Perigurdin
e a Cadrìglia.
Nel
XVI secolo, a Nissarda è entrata dirompente e avversata, poi sono
arrivati: a Gavòta, u Svàrsu, a Pùrca e a Muzürca.
CONTRO "LA NIZZARDA" 1585
Siamo allo scadere del secolo XVI. In Ventimiglia il ceto dei nobili vive un
tenore di vita godereccio e di spensieratezza; il popolino, in certe
circostanze non è da meno: fede, moralità, onestà sono in pericolo.
Il vescovo Galbiati con lettere pastorali, decreti e predicazione
stigmatizzata la situazione e, determinato nella sua azione di riforma dei
costumi a riparo, conosciuta la crescente indifferenza ai richiami, usa
l’arma della scomunica. Si scaglia contro ogni tipo di danza, in maniera
particolare contro il ballo della “Nizzarda, orrido e diabolico modo di
danzamento inverecondo”.
Era tale l’aborrimento della Chiesa contro questo metodo di danza, che gli
stessi Sinodi di Savona e di Ventimiglia ne determinarono non solo la
gravita ma giunsero a catalogarne sia le pene spirituali che fisiche. “È
da scongiurare quel genere di saltare, volgarmente detto la Nizzarda ...
ballo che a poco a poco irrompe nelle nostre diocesi ... noi lo proibiamo e
sotto pena di scomunica interdiciamo sia i saltanti che i suonatori”.
Le minacce non sortirono effetto: se il ceto povero si comportò
prudentemente, non di umile parere fu la nobiltà ventimigliese: varie
restano le inquisizioni attorno a feste estive organizzate dai nobili con la
richiesta partecipazione di cicisbei e donzelle fatte venire da Monaco, da
Mentone e Sospello.
La partecipazione di forestieri, di suonatori orchestrali, il direttore fu
un ripiego: non essendo essi fedeli sottoposti al vescovo di Ventimiglia non
incappavano nella scomunica.
E non sortirono effetti anche i ripieghi. Il 31 agosto 1586 il vescovo
Galbiati si reca in visita in Sospello; volendo ammettere alla chiesa molti
irretiti dalla scomunica per aver danzata la Nizzarda, fatto radunare il
popolo sulla piazza antistante la Chiesa Collegiata, vi si reca, seduto in
cattedra e rivestito dai paludamenti pontificali.
Rivolge agli scomunicati e ai presenti una forte reprimenda “e poiché
siamo Padre a voi perdoniamo di aver disobbedito a Noi e a Dio con il
danzare la Nizzarda“.
Agli scomunicati ordina di recarsi nella piazza in cui danzarono e quivi
giunti, gli uomini lasciassero i calzari e le donne si sciogliessero i
capelli sulle spalle, e “così dalla piazza, luogo del loro peccare,
pervenissero in preghiera alla porta della chiesa e quivi giunti, in
ginocchio e capo chino, mani congiunte uno ad uno, a chiara ed alta voce,
chiedessero l’assoluzione”.
Con meno apparato scenico il Galbiati usò in Ventimiglia.
Traduco da note del suo diario pastorale. “Oggi nel corridoio del nostro
palazzo alla presenza di tre canonici e dei miei famigli e segretario ho
assolto per aver danzato la Nizzarda il nobile De Judici Iacobo e Mariolina”.
Che fosse la Nizzarda una danza di strana esecuzione e che incuriosisse i
più si estrae da una relazione del segretario del Cardinale Aldobrandino, in
data 1601, il quale relaziona della curiosità del cardinale e come in Nizza
la Famiglia Martini in suo onore “fece per lui una festa invitandovi
tutte le dame della città per farci vedere i balli della Nizzarda, che sono
veramente graziosi”.
Osservatori del tempo così descrivono la danza e la sua esecuzione.
“Il cavaliere invita con quella creanza del cortigiano la dama. Prende la
mano della dama e ordina il suono; mano nella mano, fanno con passo lieve e
svelto il corso della sala una o più volte. La dama corre senza pianelle
sollevando le vesti graziosamente saltellando e correndo mostra la sua
leggiadria e le grazie della sinuosità della vita. Fatti due o tre giri,
abbraccia la dama introducendo la mano sinistra dietro i fianchi e con la
destra stringe il di lei braccio. La solleva tutto in torno, fa fare dieci o
dodici salti per tutta la sala e chi sa meglio fare è più gaia e leggiadra
dama, e chi più alto e retti li fa fare, è più valoroso e forte cavaliere. E
nel fine di essi, giri e salti, solleva la dama con l’aiuto del ginocchio
suo e quello della dama e con forza di braccio la solleva tanto alta: nel
calare per mercè di tanta fatica ne prende un bacio grazioso nelle umide
labbra”.
Archivio Curia Vescovile
(atti, decret. Galbiati 1581)