NOTE :
1)
Quelle genti
credevano che le anime dei morti giungessero tra i vivi per portare
a termine quanto avevano lasciato incompiuto, andandosene. Per
stemperare un eventuale macabro incontro avevano lasciato l'incarico
ai bimbi, i quali, con l’arma della loro ingenuità, sarebbero stati
gli esseri più adatti ad informare i viventi sulla “emergenza” di un
simile momento spazio-temporale. Per questo Hallowéen, come sul
nostro territorio la Ströpa
natalizia, si somigliano. I bimbi informavano i viventi sul
sopraggiungere dell’anomalia, ma in compenso pretendevano “dolcetto
o scherzetto”, in un caso, oppure:”dolcetto o furterello”
nel nostro territorio; ossia la questua che retribuiva il loro
“lavoro”. Nei primi anni dell’Ottocento, con l’avvento dell’Impero
Napoleonico e lo spostamento dei cimiteri fuori dell’abitato, la
ritualità della “ströpa” perse vigore e soprattutto un’indicazione
temporale precisa.
2)
La disapprovazione esternata da buona parte del
clero verso le innocue pratiche dell’Hallowéen odierno, non sono
raccolte dalla popolazione, in genere, mentre rischiano persino di
allontanare ancor di più i fedeli dagli altari.
3) La celebrazione d’Ognissanti fu resa obbligatoria, in tutta la
Chiesa d’occidente, da papa Sisto IV, nel 1475. L’istituzione della
festa, caldeggiata da Alcuino, consigliere di Carlomagno, per
estirpare le usanze celtiche, fu istituita da Ludovico il Pio, per
richiesta di papa Gregorio IV, nell’anno 830. La commemorazione dei
defunti fu stabilita nel X secolo, ad imitazione dei bizantini,
furono i monaci benedettini che ne introdussero la pratica.
4) L’usanza di banchettare nei luoghi di sepoltura era in auge anche
fra gli Etruschi; mentre i Romani, nelle Parentalia, celebrate dal
13 al 21 febbraio, offrivano sul sepolcro familiare farina di farro
e sale, con pane inzuppato nel vino. L’ultimo giorno, detto Feralia,
anche loro si radunavano presso il sepolcro per offrire libagioni.
Inoltre, i primi cristiani celebravano la messa sulla tomba di
famiglia, ma nel IV secolo, la Chiesa proibì sia quelle messe sia i
banchetti funebri.
5) In molte parti d’Italia, come la Lombardia ed il
Piemonte, per San Martino cominciava l’attività dei tribunali e
delle scuole, ma soprattutto si pagavano fittanze ed erano rinnovati
i contratti agrari, quindi sovente si traslocava; evenienza che da
noi era spostata a San Michele.
6) Taranis
(Thor)
“dio buono”, detentore del tuono. Divinità druidica
con funzioni sul sacerdozio. Riconoscibile per l’attributo della
ruota. La ruota, assieme alla sua mantella corta e l’oca sono
attributi, poi ereditati da San Martino.
7) Come il cigno, l’oca è un animale benigno
associato alla Grande Madre ed alla “discesa verso gli inferi”.
Appare spesso nei racconti folclorici ed è collegata col destino,
com’è dimostrato dal “gioco dell’oca”, che è una derivazione
profana, spaziale e temporale del simbolo, rappresentando i pericoli
e le fortune dell’esistenza, prima del ritorno al seno materno. Si
credeva che la carne d’oca aumentasse il desiderio amoroso e la sua
bile era considerata un mezzo per aumentare la potenza virile.
8) Che cosa può essere la conchiglia, del tipo pecten,
che oggi è simbolo del pellegrinaggio verso la Galizia, se non una
stilizzazione della palma dell’oca, affermato segnale rituale
celtico...? San Martino, così intransigente nell’evangelizzazione
dei Celti, si è trovato a recuperare molti degli adattamenti, a
volte inconsci, concessi ai convertiti per non sradicarli dalla
tradizione.
9) Dai documenti
pubblicati da Laura Balletto, sui cartolari notarili dell’Amandolesio, rogati a Ventimiglia tra il
1256 ed il 1264, apprendiamo che: quando per un qualsiasi motivo, un
pellegrino non avesse potuto proseguire il suo viaggio verso
Compostela, con atto notarile, pagava un volontario che finisse il
viaggio per lui, assolvendo dal voto, riportando le insegne del
pellegrinaggio al titolare, che lo attendeva nella nostra città.
10) La chiesetta di San Rocco, a Vallecrosia, quella
di San Giacomo, sul crinale di Ciaixe, le rovine della grangia
sottostante i Martinazzi, lo stesso Santuario delle Virtù, San Rocco
presso Bevera, Sant’Antonio sul crinale della valle di Latte e la
perduta chiesuola di San Gaetano, sulla Spiaggia di Latte,
potrebbero essere un percorso segnato per i pellegrini, anche con
riferimenti visivi, che andrebbe studiato con approfondimento.
a partire da INTEMELION n. 13 - 2007 - Archivio della memoria p. 157
Luigino Maccario - 2005
Il consumismo globale è riuscito a riportare in Europa la bizzarra
celebrazione di Halloween, concedendogli di ottenere un innegabile
successo nel mondo delle discoteche e della ristorazione. La
divulgazione dell’usanza “dolcetto o scherzetto” ha persino ampiamente
coinvolto la sfera degli adolescenti, nell’ambito della quale ha preso
forma una sorta di mascherata, che pare venga presa in considerazione
molto più dell’opportuno ripristino del carnevale, in febbraio.1
La festività d’Ognissanti, abbinata alla commemorazione dei defunti, che
nel tentativo di rassettare quelle che oggi ci sarebbero indicate come
le “radici d’Europa”, avrebbe dovuto
sovrapporsi agli “eventi magici” che caratterizzano la notte di fine
ottobre, non sono riuscite nell’intento; lo spirito popolare che aleggia
in questo periodo dell’anno pare voglia continuare a riferirsi a radici
ben più antiche.2
Considerando le sensazioni interiori individuali, connaturali
all’avvento della stagione del freddo e delle tenebre, il subconscio
degli europei è ancora collegato con l’antichissimo capodanno
ancestrale, che si manifesta comunque nell’ultima notte d’ottobre.
CAPODANNO
AGROPASTORALE
Le collettività di contadini e pastori che costituivano la maggioranza
della popolazione europea nell’evo antico, sentivano la necessità di
esprimere riti opportunamente rivolti a conservare la fertilità della
Terra, che aveva da superare indenne la stagione oscura.
Quel capodanno segnava la fine dei raccolti, mentre con l’inizio
dell’inverno la vita cambiava radicalmente: i greggi rientravano dai
verdi pascoli estivi, e le persone si chiudevano nelle loro case, per
trascorrere al caldo le notti lunghe e fredde notti, passando il tempo a
raccontare storie e a fare lavori di artigianato.
Ma anche quelle genti avvertivano sensazioni interiori individuali, che
li investivano spontanéamente in quel periodo, forse anche in misura
superiore a quelle provate da noi, oggi; considerando la perdita di
percettibilità che ci riguarda. Temevano che durante quel giorno di
passaggio, tutte le leggi dello spazio e del tempo fossero sospese,
permettendo al mondo degli spiriti di unirsi al mondo dei viventi.
In quelle iniziali notti gelide, gli spiriti dei defunti recenti
avrebbero magari sentito la necessità di riparare nelle case; quindi per
evitare confusione di condizioni, lasciavano la casa disabitata, non
tralasciando di porre generi di conforto a disposizione dei poveri
morti.
Ad ogni latitudine europea si sono evoluti e conservati differenti
folclori, legati a questa manifestazione immateriale, tutti però
vertenti al contatto con gli spiriti dei defunti.
INTERVENTI CRISTIANIZZATORI
Dapprima inopportunamente osteggiati, senza costruttivi risultati,
quegli antichi riti sono stati assorbiti dal cristianesimo affermato.
Nell’anno 835, papa Gregorio IV spostò la festa di “Tutti i Santi” dal
13 maggio al 1° novembre; con risultati insufficienti, a causa del
troppo flebile collegamento col culto dei morti comuni.3
Nel 998, Odilio di Cluny aggiunse a Ognissanti, il 2 novembre, la
Commemorazione dei Defunti; ma il popolo cristiano adattò le vecchie
pratiche alle nuove esigenze mantenendo una promiscuità dei riti che
persiste ancor oggi, manifestandosi con la mania dell’addobbo smodato
delle tombe cimiteriali, ad uso dell’esteriorità più banale.
USANZE
LOCALI
Ancora nel Tardo Medioevo, anche tra le nostre genti era viva l’antica
usanza di recarsi nei cimiteri corredati da abbondanti cibarie per
banchettare, in allegria, sulle tombe, dividendo coi defunti alcune
porzioni.4
Le autorità faticarono moltissimo ad estirpare questo tipo di ritualità,
relegandola in insane paure ed in ferali tristezze, ma non cancellarono
del tutto quel tipo di dolcetto realizzato con albume d’uovo e mandorle,
che chiamiamo “ossu da mortu” ed è retaggio delle usanze appena
accennate.
Ancora nell’ultimo dopoguerra, nei villaggi delle nostre vallate, la
sera della vigilia di Ognissanti, prima di coricarsi i bimbi ponevano un
pezzetto di pietanza dolce sul bordo del letto o sotto il guanciale,
affinché le anime dei morti, che quella notte venivano a trovarli,
potessero calmare la loro fame.
L’antico cerimoniale popolare legato all’ultima notte d’ottobre era
conosciuto come “Astràgilu”, non mancando di mostrare evidenti
similitudini con le usanze celtiche del periodo; quelle stesse che hanno
permesso ad Hallowéen di tornare trionfante dall’America, dopo aver
subito trasformazioni nel corso di parecchi secoli.
SAN
MARTINO
Nelle usanze celtiche accennate, i riti per il capodanno invernale duravano
due fasi lunari; da quel bagaglio calendariale ci è pervenuta la
conclusione del periodo che conserviamo con la ricorrenza di San
Martino, vescovo di Tours, la quale indubbiamente mantiene la
funzionalità del capodanno dato che, un tempo era considerata festa di
precetto e veniva celebrata con fiere e banchetti innaffiati dal vino
nuovo pronto proprio in questi giorni.5
Tra i menù dei banchetti era sempre presente l’oca, giacché quest’animale
è attributo del Santo. La popolarità del vescovo di Tours è derivata dal
collegamento con le antiche tradizioni celtiche e dai rituali druidici
che egli contribuì ad estirpare.
Il fatto che fosse stato un soldato ed un cavaliere ed avesse deciso di
tenere per sé una corta mantella, dividendola col povero infreddolito,
aveva contribuito a renderlo erede del culto verso una divinità celtica
che era considerato cavaliere del mondo infero, patrono della
vegetazione che potrà sbocciare soltanto attraverso la morte
“invernale”, nella semina.6
E appunto l’oca, sempre presente nell’iconografia del Santo di Tours, è
attribuita al culto degli inferi. Le oche, migranti in questo periodo
dell’anno, da nord a sud, erano considerate dai Celti come messaggere
dell’Altro Mondo; e anche per questo motivo oche sacre accompagnavano i
pellegrini verso i loro santuari nei boschi.7
La zampa dell’oca sarebbe stata dipinta sul petto degli artigiani nomadi
dell’Ançien Régime, stilizzandosi via via in conchiglia e diventando
anche il simbolo dei pellegrini che si recavano a Santiago de Compostela,
in origine santuario celtico. Il segno della palma d’oca fu così
sostituito con le bianche conchiglie a pettine come quelle che i
viandanti medievali raccoglievano sulle spiagge di Finisterre, a memoria
dell’avvenuto pellegrinaggio.8
Una delle “vie franchigene” transita proprio sul nostro territorio; è
d’importanza minore di quella che scavalca le Alpi Cozie tra il Piemonte
e il Delfinato, ma è stata pur sempre uno dei percorsi più graditi dai
pellegrini medievali, che compivano il viaggio verso Compostela.9
Era tradizione accogliere, con benevolenza, tutti i pellegrini; sia si
recassero a Roma, sia ai Luoghi Santi, tanto che nei nostri paesi si
sono accasati molti “Palmero” (portatori di palme) e persino dei
“Romeo”(pellegrini diretti a Roma), mentre trovarono qualche difficoltà,
almeno fino al secolo XII, i pellegrini diretti a Compostela, i quali
dovevano evitare la città scegliendo percorsi alternativi lungo i
crinali.10
I DUZÀIRI
Le popolazioni celtiche consideravano quelli che oggi sono i primi
undici giorni di novembre, aggiunti all’ultimo di ottobre, l’Inizio
del Tempo. Ancor oggi, i celtici abitanti di Sulmona, in Abruzzo,
chiamano quei giorni Capetiémpe e danno loro il significato
divinatorio per stabilire la meteorologia per i mesi dell’anno che
verrà.
L’originalità divinatoria dell’antico capodanno celtico stava nell’aver
stimato quella che noi chiamiamo l’Estate di San Martino, nel valutare
il rapporto meteorologico dei mesi futuri.
Dai proverbi apprendiamo che l’Estate di San Martino, che dura circa tre
giornate, potrà giungere cinque giorni prima dell’undici novembre, ma
qualche volta arriva cinque giorni più tardi.
Se giunge cinque giorni prima, considerando il trenta di ottobre quale
gennaio, abbiamo: febbraio al due, marzo al tre ed il sei sarebbe
giugno, inizio dell’estate; dopo tre giorni di “estate” ecco settembre
ed il peggioramento del tempo.
A conclusione si può ammettere che i primi giorni di novembre sono più
adatti alla divinazione dei duzàiri, più dei primi giorni di
gennaio, come capita ora, quando l’Estate di San Martino non ci verrà in
aiuto.
ASTRAGILU