Fin dall’antichità, gli ampi, rigogliosi e numerosi prati montani
che attorniano le alte vette delle Alpi Marittime hanno
rappresentato una grande opportunità di pascolo per gli allevatori
del Cuneese, del Monregalese, del Nizzardo e dell’estremo Ponente
Ligure. Nel corso della stagione estiva quei suoli montani erano
meta della transumanza di mandrie e greggi provenienti dalla collina
piemontese e dalla costa marittima. Dal Piemonte prevalentemente
mandrie, mentre dal Nizzardo e dal Ponente Ligure erano numerosi
greggi di pecore e di capre.
Il Monte Bego, il Marguareis e il Saccarello sono state le alture più
significative attorno alle quali si è sempre orientata la
transumanza ovicaprina, delle greggi intemelie che durante l’inverno
scendevano nelle valli ponentine e nizzarde, fino alla costa del Mar
Ligure, dove trovavano abbondanza di iodio, in opportuni pascoli
invernali, gratificati da stagionalità assai più delicate.
Sugli abbondanti pascoli che si stendono attorno al Monte Saccarello,
meno elevati e quindi fruibili anche più a ridosso della stagione
fredda, vi praticavano spostamenti continuativi di greggi i numerosi
pastori di casa sul territorio Brigasco, mentre i pastori Tendaschi
privilegiavano le vallate del Cairos.
La transumanza, che in loco era conosciuta col nome di “u
ghidàgiu”, percorreva a piedi le antiche “dràire”,
segnate per secoli dal loro passaggio sui crinali affacciati verso
le due sponde della Roia, che dall’Authion conducevano alle falde
marine del Gramnmondo e di Belenda, o a quelle che dal Saccarello
portavano attorno a Monte Bignone, a Montenero o a Santa Croce.
Anche il crinale tra Roia e Nervia era percorso da opportune
dràire fino a Collasgarba.
Nel corso della stagione fredda, i pastori svernavano in vicinanza
della costa marina, conducendo sovente le pecore sulla spiaggia,
a sařinà, per aumentare l’assimilazione dello iodio. Le zampe,
ammaccate da lunghi periodi di pastura su terreni rocciosi,
trovavano gran sollievo con l’azione dei bagni d’acqua salata.
Durante la transumanza, ma sovente ingaggiandole alla bisogna,
succedeva che i proprietari di prati, ma anche di oliveti,
concedessero il pascolo ed il pernottamento alle greggi, al fine di
stercurà, cioè di provvedere alla concimazione del terreno e
nel caso alla falciatura delle àire. Le greggi composte
interamente da capre, più difficoltose da gestire, praticavano in
maniera ridotta la transumanza, preferendo cambiare pascolo in zone
più circoscritte, anche se più impervie.
Tra i punti d’appoggio della transumanza al mare sono stati, per
secoli, anche i villaggi posti alle immediate spalle di Mentone.
Persino la zona dei Mulini monegaschi era meta delle greggi di Val
Roia e dell’Alta Val Bevera. L'ampia zona umida che caratterizzava
la foce della Roia, è stata una delle maggiori stazioni invernali di
molte greggi tendasche, guadagnandoli il toponimo di Paschéi.
Inoltre, i Ciotti, sopra La Mortola; con Sealza, Sant’Antonio e
Villatella, nella Valle di Latte; San Lorenzo e Seglia, sopra Bevera,
erano punti di sverno delle greggi. Ciaixe e Sant’Andrea, per
Camporosso; Perinaldo e Saldano, in Val Verbone; con Sasso e Seborga,
sopra Bordighera, ma finanche le coste montane intorno a Sanremo,
hanno secolarmente ospitato la transumanza ovina invernale. Attorno
a Castellaro, Monti e Castiglione; a Dolceacqua, a Rocchetta, a
Castelvittorio e ad Apricale, le capre trovavano il foraggio per
tutto l’anno, tra la disperazione degli agricoltori.
u ghidàgiu
in ver a mùn
in ver a vàl
a dràira
l’arpézu
a vastéra
a bandìa
u campà
a sciòrta
u vàie
a parìa
l'averàzu
ghidàgiu
beveràgiu
erbàticu
purveràgiu
stercuràgiu
Tra i nostri pastori, la pecora già gravidata, conosciuta come a
féa è la principale componente del gregge, un certo numero di
fée vengono fecondate da u mutùn, provocando la nascita
de l’agnélu. Anticamente il montone veniva detto l’aréu
e possedeva corna più attorcigliate. La capra sprovvista di corna è
detta mùta; quella di due anni, pronta per la prima monta, si
chiama a bìma. Il maschio de a cràva è u bécu,
genitore de u cravéu. Il becco possiede un puzzo
caratteristico, particolarmente apprezzato dalle femmine, detto u
sbrégu.
Una particolare razza di pecore si è adattata, nei secoli,
all’allevamento nel nostro entroterra: a tendàsca. Questa
féa bizzarramente mantiene all’interno della cavità cranica
certi vermi parassiti, che in alcuni casi portano le povere bestie a
comportamenti anomali ed asociali. Simile a questa era molto diffusa
la variante brigàsca, chiaramente allevata nell’ampio territorio
attorno a La Briga.
La resa lattiero-casearia degli armenti di ambedue le qualità è
sempre stata buona, concedendo ad un pastore, mediamente fornito, di
mantenere un’esistenza decorosa, seppur falsata dal costante impegno
da dedicare ad una sciòrta, di circa cinquecento elementi.
Ottime ricotte, stupende tùme, succose cagliate, ma soprattutto il
vivace brùssu, hanno sempre caratterizzato la produzione del
gregge intemelio.
Nell’ultima metà degli anni Settanta del Novecento, i superstiti
eredi della tradizione pastorizia intemelia cedettero le loro
residue greggi ad avventurieri; resi in quel momento facoltosi da
appositi contributi della Comunità Europea, in quel campo.
Questi, una volta acquisite le greggi, ne fecero carne da macello,
eludendo i controlli comunitari e godendosi, indisturbati, i
proventi della malefatta; invece di incrementare l’allevamento,
com’era nelle intenzioni del legislatore. ... Forse.
Le cose andarono un po’ meglio oltre confine, nell’alta e media Val
Roia, dove i controlli governativi francesi riuscirono a portare a
buon fine le direttive comunitarie.
Visti i fatti, se oggi si vuole trovare u pegurà, il pastore
intemelio della tradizione, si deve cercare soltanto attorno alle
ricorrenti falde del Monte Bego, ma non più attorno al Toraggio o al
Saccarello. In mancanza di attività locale, i fertili pascoli del
nostro entroterra sono stati visitati da una serie di pastori sardi
che portarono seco pecore di razza isolana, neanche troppo adatte al
nostro clima ed al nostro territorio.
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in regione Latte alla Torre del Magnifico Aprosio e Casa de Giachei;
in Zona La Mortola «sin alla Cappella di N. S. dell’Ariverti e
Cappella novamente eretta alle Grimalde»; quelli della Villa e
Olignana fino a San Lorenzo e Castel d’Appio.
L’inoltrarsi con greggi sulle strade vicinali demarcate era oggetto di un’altra penalità: Lire 20, delle quali 10 all’accusatore, e Lire 10 al proprietario dei terreni lambiti dalla strada. Anche il Bandiotto imprevidente aveva a sborsare Lire 10 alla Comunità.
Era usanza che gli stessi Magnifici per letamare le terre agregate chiedessero «una o più notti per accumolo di strame». Per così vecchia usanza il parlamento si premura apportare alcuni codicilli dettati da convenienza: «... quando le capre - si sottolinea - dovessero passare da una regione all’altra per dare notti, in quel caso, possano passare per la pubblica strada oltre detti confini ne incorreranno in pena alcuna».
Ne intendevano palesemente ostacolare altre usanze di preto diritto dei pastori; nei mesi caldi i greggi caprini per ragioni di vita del bestiame erano soliti essere avviati alle spiagge «per satinare». Il continuato brucare erbaggi insipidi e aridi poteva apportare malattìe all’apparato digerente e ingenerare una ostinata inappetenza. Cibarsi di erbe bagnate di rugiada marina e salsa, sorseggiare acqua salina, bagnarsi sul bagnasciuga significava la salvezza del bestiame e l’ottima riuscita in latte.
Si legge nell’ordinanza: «Potranno passare su strade vicinali senza incorre in pena alcuna li quattro mesi dell’estate, per quelle tal volte ... senza però dannificare ad alcuno».
Il 27 Aprile il cancelliere Angelo Aprosio estraeva rigorosa copia che consegnava «al Cavalero Giuseppe Bottaro per una grida solenne». Il 29 e 30 dello stesso mese e il 2 di maggio, il Bottaro «ad alta, chiara et intelligibile voce, presenti et audienti molte persone» ne fa per tre volte proclamazione in Ventimiglia «in solite piazzette et inanzi la Cattedrale» e nel luogo di Airole e in quel di Bevera.
(vedi Copia auten. Delib. Parl. cart. 247)
LA VOCE INTEMELIA anno XLVIII n. 9 - settembre 1993
I MAGNIFICI E I CAPRARI
I Magnifici Galleani, Speroni, Orengo e Lanteri. più volte avevano fortemente lamentato - con energiche rimostranze - presso il Capitano contro i danni che «li caprari si facevano lecito apportare con liberi ardurre alla stessa spiaggia del mare le scorte».
Contro i caprari, in tempi di calamità e di timori infettivi, il Senato di Genova e il Magistero della Sanità s’erano premurati nell’emanare grida di divieto. Il tempo prima e lo scongiurato pericolo allentò la guardia dei Sanitari tanto che dagli stessi pastori, più volte incriminati, le stesse famiglie benestanti attesero e ricercarono personali benefici.
II 12 marzo 1758, congregato il Magnifico Consiglio e il Generale Parlamento alla Loggia, si pone all’ordine del giorno il problema dei pubblici pascoli delle Bandite. Sono i Campari a relazionare sull’operato dei caprari e degli notificati danni «relazionati».
I Magnifici invocano leggi nuove e più severe; si impone la regolarizzazione dei siti e la demarcazione dei tratturi e il tempo dei percorsi. La seduta è quanto mai animata: i Magnifici nel far prevalere i violati diritti, i parlamentari del popolo forti nella difesa dei poveri villici.
È notte di già inoltrata quando si adiviene ad un accordo tra le parti. Il cancelliere può redigere l’ordine del giorno. «Ogni Capraro o possessore di bestia caprina o ovina dovrà seguire le nuove accordate disposizioni. I trasgressori subiranno pena di Lire 30 applicabili: 7,10 all’illustrissimo Capitano della Città, Lire 7,10 all’accusatore, Lire 7,10 al padrone della terra dannificata e Lire 7,10 alla Magnifica Comunità».
Se le penalità sono eccessive, più pesante e restrittivo è lo steccato che la legge erige alle spalle della città. «Per riparare a così gravi pregiudizi i confini per lo innanzi» verranno così stabiliti: dalla zona del Nervia, escluso l’aggregato, si potrà lambire le case di Battaglin Orengo e di G. B. Galleani; il Brecco di Roverino sarà confine per le terre di Trucco.
I greggi nel Bevera «si potranno nutrire fino all’edificio dei Fratelli Gibelli»; dalla parte d’Olignana fino alla Cappella di San Lorenzo; alla Sgorra e Sealza fino alla Cappella di San Bartolomeo;