Luigino Maccario - 2008
Sullo sperone roccioso di
Nord-Est, che dalla cima maggiore di Monte Pozzo declina verso le Bocche
del Roia, presso Trucco, troneggia il mitico “Passo dello Strafurcu”,
già menzionato da Plinio e Tacito, che permetteva il passaggio del
cammino da Ventimiglia verso il Valico di Tenda, o viceversa; concedendo
il transito tra Varase e Collabassa. Unica via di comunicazione diretta
verso Breglio e il Piemonte fino all’anno 1877, quando entrò in
esercizio la strada carrozzabile per Tenda.
Il toponimo è abbastanza
chiaro, anche se sopporta numerose fantasie. Con formula sintetica, Nino Allaria Olivieri definisce
Strafurcu: lemma di derivazione latina ad indicare luoghi aldilà di
stretto passaggio e non agevole transito. Analizzandolo: stra- è
prefisso col valore locale di fuori e col valore modale di superlativo;
mentre furcu sta in luogo del geografico: passo, giogo, forca,
forcella.
Per la categoria, nel “nostru
parlà” esistono: stracolà come valicare, superare,
scavalcare, oltrepassare; oltre a: u straviùn che è il deviatore
della canalizzazione campestre, e: u stracavù quale canale
d’uscita per il troppo pieno dell’acqua in una vasca.
LA VOCE
INTEMELIA
anno LXIII n.6 - giugno 2008
U PASSU D'U STRAFURCU
IMBOCCO DEL CAMMINO PER TENDA
PERCORSI DI CRINALE
Visto dal Pussu
E. Muratore
Poco più di un secolo
fa chi avesse voluto andare da Ventimiglia verso il Piemonte avrebbe
potuto servirsi di due strade nazionali: l’attuale statale 20 del Colle
di Tenda e l’antica strada dello Straforco.
La statale del Tenda è
stata costruita intorno agli anni 1880; inizialmente era solo in terra
battuta, in seguito venne asfaltata ed ultimamente ampliata in vari
punti.
Negli anni antecedenti
il 1882 esisteva la strada nazionale dello Straforco che da Ventimiglia
era l’unica via di comunicazione col Piemonte. Da Bevera si saliva verso
il Monte Pozzo fino al passo che dava il nome alla via nazionale
dell’epoca.
Per quella strada,
fatta di mulattiere che si inerpicano su verso il colle, nel corso dei
secoli sono transitati personaggi illustri della storia: Giulio Cesare,
Carlo Magno, Federico Barbarossa e alcuni regnanti di Casa Savoia.
Colla nascita della
strada del Colle di Tenda, quella dello Straforco fu quasi abbandonata;
dico quasi perché, fino agli anni 1950, serviva agli abitanti di
Collabassa per andare e tornare da Ventimiglia.
Una delle ultime
persone che giornalmente vi transitava fu "u Marescialu" un uomo che
molti anziani ancora ricorderanno. Il suo era solo un nome di battaglia,
ma un nome a cui lui teneva molto e tutti lo chiamavano così. Quasi
tutte le mattine scendeva a Ventimiglia e alla sera ritornava a
Collabassa; se pioveva si fermava a Bevera e, dopo qualche bicchiere in
più, dormiva nei fienili.
Un altro assiduo
"frequentatore" della strada dello Straforco, anch’egli residente
a Collabassa, fu un certo Gastaldi. Un giorno andò a Ventimiglia a fare
spese e tra le varie cose comprò anche "ina mina de farina" (mezzo quintale
di farina).
Raccontano che il negoziante gli
disse: "Bon omu, vistu che nu’ gh’avé a müra, cume fe’ a purtà tüta ‘sta
roba a Collabassa ?" e che il Gastaldi gli rispose che l’avrebbe portata
in spalla. Il venditore naturalmente sorrise: "a Collabassa nu’ gh’arrivé",
ma il Gastaldi di rimando "Gh’a scumetému a farina ?".
Ne nacque una scommessa. Gastaldi
partì da Ventimiglia col suo carico e il negoziante lo seguì per
controllarlo. Giunti a Bevera, senza mai fermarsi, presero a salire per
la strada che porta al celebre passo e, giunti in prossimità delle Piné,
si fermarono a bere alla fonte allora detta "Funtana d’ê Piné".
Il negoziante disse: "Se vurré
beve, pousé püre u sacu", ma il Gastaldi, chinandosi, si dissetò senza
lasciare il carico. Quindi ripresero il cammino e, sempre con quel sacco
da un quintale sulle spalle più altra merce in mano, s’incamminarono su
per la mulattiera.
Giunti in prossimità dello
Straforco, il negoziante si fermò e rivolto al Gastaldi disse: "Collabassa
a l’é lì a dui passi, andai pure brav’omu, a farina a l’é a vostra, ve
l’avé gagnà".
A ricordo di quel fatto veramente
accaduto l’allora "Funtana d’ê Piné" fu ribattezzata "Funtana d’u Sacu"
ed in seguito "Funtana d’i Sachi". Questa fonte di acqua potabile e
sempre fresca, con regio decreto del re d’Italia Vittorio Emanuele III,
è stata donata al signor Luigi Lorenzi di Bevera.
Nino Allaria Olivieri - 1998
Da Varase si dipartiva con guado facile la strada che
inerpicandosi in Valle Amarin, immetteva in Camporosso, in Dolceacqua:
sebbene di secondaria importanza per il commercio dal 1700 al 1800
divenne strada di percorrenza militare ogni qual volta guerre locali o
transiti di milizie straniere attentavano la Ventimiglia murata.
Il rettore di Bevera in calce al registro di battesimo annota del
transito delle truppe gallo Ispane avvenuto il 7 maggio 1744 attraverso
la Val Roia, Bevera, Varase e la Penna in numero di uomini di 3670;
altro transito di 800 uomini con bestie da soma provenienti da Sospello,
Olivetta e Passo Strafurcu, diretti in Dolceacqua. L’assedio e il
bombardamento del castello portò alla cattura della guarnigione: la
valle nervina venne occupata: lasciata Dolceacqua con transito Varase si
portarono in Breglio. Il comandante della piazzaforte, De La Reque,
piegò su Saorgio, costrinse le milizie con marcia forzata a rientrare
negli accampamenti.
Il 16 giugno da Breglio, Fiorez, colonnello delle milizie sabaude,
avanza verso il basso Roia con percorso Olivetta, Collabassa, Strafurcu;
arriva in Varase.
Era la solennità del Corpus Domini. A tarda sera i soldati piemontesi
sono alla Porta della Colletta in Ventimiglia. Il magnifico Sperone e il
Colonnello Fenoglio con altri nobili si presentano al conte Alfieri,
strappano la promessa di non ingaggiare battaglia con il presidio
francese di stanza nella città e al Forte San Paolo. È solo promessa.
Alcuni picchetti di piemontesi, in totale 200 granatieri e miliziani di
fanteria sfilano ed entrano in città. Recatisi sulla Piazza i piemontesi
attaccano e sfondano i magazzini dell’esercito gallo-ispano. Il
magazzino del vescovado e dei canonici, situato nei pressi dell’oratorio
dei Neri è distrutto e saccheggiato. Lanciano sulla strada ciò che non
riescono a trasportare. In Sant’Agostino, alla Bastida e in Siestro
bruciano pagliai e casali (52).
A saccheggio finito i piemontesi s’avviano alla volta di Breglio,
s’accampano in Varase e lentamente s’infilano al Passo dello Strafurcu:
non hanno fretta, ubriachi ed esaltati impiegheranno venti ore per
raggiungere gli accampamenti. Recano buona quantità di calzature, di
liquori, di vini bianchi e neri e 50 soldati francesi con i loro
ufficiali. In Ventimiglia e casali vengono razziati; 150 animali tra
muli e cavalli, capre e pecore. Alcune pecore verranno cucinate nelle
soste alla Collabassa. Il 27 giugno 1745, al castello della Penna,
duecento soldati granatieri corsi sono sul piede di partire per Genova:
il Podestà della Penna comunica a Ventimiglia che da Breglio i soldati
del conte Alfieri in numero di 700, partiti i corsi avrebbero via
Strafurcu e Varase puntato sulla città.
Il re di Sardegna accampato in Bordighera, avuta notizia da due soldati
gallo-ispani che il Forte San Paolo era stato rafforzato con bombarde e
buon numero di soldati, invia il brigadiere Martini con diecimila uomini
ad aggirare la città via Camporosso-Varase: i gallo-ispani lasciano
Ventimiglia e ripiegano su Mentone.
Il 4 ottobre 1745, il conte Balbiani di presidio in Dolceacqua, tenta la
presa del Castello di Piena; invia 300 soldati del battaglione svizzero
al comando dell’Alfieri e del conte Pampara. Traghettano il Roia a
Varase e con spedita marcia si recano alla Penna.
Ventimiglia è posta in assedio. Il generale Guarini, con sei
battaglioni, si posiziona sulle alture di Bevera e Seglia. La truppa
transita per Varase: il 10 ottobre il re ordina l’assalto al castello.
Le truppe, sotto il comando dello stesso re, via Nervia, Dolceacqua,
Valle Amarin, con guado e sosta in Varase, Bevera, dove,
a tarda sera,
la guarnigione s’accampa. Il Rettore di Bevera scriverà delle
distruzioni, dei ladronecci, degli atti inconsulti cui furono soggetti
vecchi, bambini. Varase subiva la sua ennesima offesa ed umiliazione per
essere stata da Dio dotata di Strada, di derrate, di gente laboriosa ed
indefessa.
Lemma di derivazione latina ad indicare luoghi aldilà di stretto
passaggio e non agevole transito. Noto e citato da antichi storici per
la sua accidentalità, fu per Varase e terre viciniori ostacolo a quella
vocazione di espansione propria ad una terra fertile a monte della
Ventimiglia murata.
Il condottiero Giulio Cesare annoterà nel suo "De Bello Gallico" della
difficoltà incontrata nel mantenere libera la circolazione delle truppe
nel Medio Roia a causa dei continui assalti da parte dei capelluti
montanari, signori dei passi alpini. La campagna di romanizzazione nelle
Alpi Marittime durerà diciannove anni e a ricordo della vittoria finale, Augusto
Cesare innalzerà alla Turbia un trofeo con scritti i nomi delle tribù
sottomesse.
La romanizzazione delle popolazioni del Roia, i Sorgonti, i Brigani fu
attuabile attraverso le strade esistenti che da Intemelia conducevano
alla Valle Bevera e in Piemonte. Ai passi si costruiscono rastrelli di
controllo: Passo dello Strafurcu diverrà in breve via di unica
frequentazione e prenderà il nome di via municipale; la sua
praticabilità nei mesi invernali farà sì che resterà unico itinerario
che dal territorio degli Intemeli e della Liguria occidentale, immetterà
al Piemonte.
La compattezza amministrativa e militare romana, passati alcuni secoli,
verrà disintegrata dai barbari, che occupate le terre italiche,
marceranno su Roma. I Goti invadono le Alpi Marittime ed occupano la
Liguria: gli Ostrogoti con re Teodorico s’insediano in tutta la Val Roia;
un secolo dopo i Longobardi distruggono e saccheggiano i luoghi abitati:
Carlo Magno, conquistata la Germania, scende in Italia; fonda il Sacro
Romano Impero; divide il vasto territorio che concede ai vassalli:
Ventimiglia e la Val Roia iniziano un periodo di vita sotto i Conti.
Nel secolo XI la situazione s’aggrava nel ventimigliese causa le lotte
tra autorità papale ed imperiale: una nuova potenza s’inserisce tra il
contendere. Sono i Saraceni, i quali, approfittando delle lotte interne,
invadono la costa della Provenza e della Liguria; incoraggiati dal
successo invadono le valli alpine, sequestrano uomini, donne e mettono a
fuoco i villaggi, bruciano chiese e monasteri.
Il Passo dello Strafurcu torna di prima utenza alle orme saracene; nei
pressi vi installano guarnigioni che con spedita missione penetrano
verso Breglio, Briga e Tenda.
Passate le invasioni lo Strafurcu riprese la sua missione di transito
atto alle relazioni intervallive: fu facile via ai pastori locali, ai
commerci di legnami, di pelli e del sale.
Nel sec. XII diverrà via di comunicazione per le soldataglie genovesi
avendo Genova occupati, nel disegno di espansione, i castelli
disseminati in Valle. Sarà inoltre via sicura e breve ai messi papali e
vescovili durante il periodo dello scisma di occidente: documenti
curiali datati il 1328 il passo dello Strafurcu viene indicato "più
spedito e seguro cammino se fatto con speditezza e al sole, sebbene duro
nell’andare per suoi loci scoscesi".
Delle impervie del passo ne lamenta la comunità di Ventimiglia: Nel 1443
da incarico al gabelliere del sale, Paganino Pozzo, di studiare un nuovo
tracciato più agevole, che da Ventimiglia conducesse in quel di Breglio
e ciò ad evitare il duro passo del Strafurcu. Al non facile progetto si
oppone la Repubblica di Genova, e i Savoia, signori della Alta Val Roia,
timorosi che una nuova strada possa danneggiare il mercato del sale
proveniente da Nizza.
Il Passo resterà sempre luogo di continuato andirivieni di truppe e di
commercianti ma forzate requisizioni di bestiame, di derrate alimentari,
di abbandono dei campi piegheranno Varase nel suo sforzo di espansione
abitativa.
Varase nel suo insieme aveva vocazione ad affermarsi in un prossimo
futuro per la fertilità, e abbondanza di acque. Ad incidere
negativamente sulla possibile espansione vi concorse la seconda
viabilità che si inseriva per legge di natura nel contesto abitativo ed
agricolo.