Conclusioni dell'articolo di L.M.,
pubblicato nel 1993
FREIXETI,
un “giallo” con avvio “verde” !!!
. . . . . . . . . . . . .
Dalla storia degli olmi, dello schiaffo e del terremoto, è derivato lo
stravolgimento edilizio ottocentesco della zona a sud-est della Cattedrale.
La costruzione delle canoniche è aggregata ai restauri successivi al 1842,
così come il monastero di vico Battistero, mentre, a conclusione, con
ordinato consolare il 15 aprile del 1835, venne approvato dal Comune il
progetto del capo d’opera Secondo Notari, per la costruzione del nuovo
seminario diocesano, ritenuto fin da allora «senza qualità e difettoso»
dall’ingegnere Verdese, del Genio Civile.
È lo stesso palazzone che ancor oggi, ridotto a «civile» abitazione, deturpa
irrimediabilmente il panorama generale della nostra città medioevale, mentre
restringe la piazza «insc’ê crote» ed opprime la Cattedrale da
levante. Quando arriveremo a ripristinare l’urbanistica del sito,
accontentando il temerario Costa ?
LA VOCE INTEMELIA anno XLVIII n. 4 -
aprile 1993
Nella nota n. 3, al NECROLOGIUM, pubblicato in coda alla sua STORIA cittadina, Girolamo Rossi riporta: «La piazza di cui si parla è l’antìca “platea crotarum“ che si stendeva davanti al palazzo vescovile (ora seminario) e davanti le tre porte della cattedrale. Su questa piazza sorgeano olmi, sotto di cui i notavi redigevano i loro atti. Nel libro delle spese del comune, dell’anno 1425, leggo: pro faciendo plantare urmos ante ecclesiam et pro ipsos aquando. Sulla scomparsa poi di detti olmi corre, per le bocche del popolo, una tradizione. Un vescovo avrebbe ordinato lo abbattimento di detti alberi, perché intervenendo sopra di essi grandi stormi di passeri, disturbano i canonici nella recita dei divini uffici. Irritata la popolazione di questo, vi fu un tale di cognome Costa, il quale avrebbe avuto la temerarietà di dare pubblicamente uno schiaffo al prelato per cui, incorso nella scomunica, avrebbe visto subissare da un terremoto la contrada dei “freixeti“ dove abitava. Di questa contrada presso la, cattedrale si vedevano non ha molto alcuni ruderi».
LA VOCE INTEMELIA anno LIX n. 3 - marzo 2004
In quel periodo, il francescano osservante Bernardino da Siena ha
tenuto in Cattedrale sermoni memorabili, contro le eresie e la
stregoneria. Nel giugno del 1497, l’inquisitore fra Girolamo era
inviato a Briga, per estirparvi gli eretici. In agosto, smise di
sgorgare l’acqua dal pilastro di sinistra del
peristilio. Quell’acqua era creduta miracolosa ed
attirava numeroso pubblico, la vigilia dell’Assunta; ma somigliava
troppo alla magia.
Sarà però nel 1741, dopo due secoli e mezzo, che il vescovo Pier
Maria Giustiniani acquistava l’attuale episcopio, pensando di
istituire in quello vecchio il Seminario diocesano; operazione che
venne condotta a termine dal vescovo Domenico Clavarini, nel 1775.
Da quell’anno, i lussureggianti olmi della Ciassa sono stati
sostituiti dall’antiestetico palazzone, il quale, essendo stato in
piedi per due secoli e mezzo, potrebbe ora dar spazio ai nuovi
lussureggianti olmi della Ciassa.
I notai del XIII secolo stendevano
i loro rogiti sotto gli olmi nella verdeggiante piazza che fiancheggiava
la Cattedrale, antistante la medievale dimora del Vescovo, costruita
appunto sulla “platea crotarum”.
Nel 1423, quello che si definiva Liber Communis Vintimilii, il
quale languiva invece sotto il dominio di Filippo Maria Visconti,
riceveva dal Capitolo della Cattedrale una petizione per l’abbattimento
di quegli olmi, antistanti le canoniche, a causa delle cattive
esalazioni che mandava lo strame che essi accumulavano e dei troppo
cinguettanti passeri che ospitavano.
Il Comune li accontentava, ma con l’insorgere della popolazione, un
certo Costa, ambientalista del tempo, abitante nella limitrofa località
Freixeti, inveiva contro il vescovo Ottobono De Bellonis e lo
schiaffeggiava sulla porta della Cattedrale.
Era il periodo nel quale i Grandi Inquisitori provavano piacere a far
bruciare o recidere quest’albero magico e profetico, pensando così di
estirpare le radici del male e di vincere i demoni.
Soltanto tre anni dopo, nel 1425, il Comune decideva di guarnire
nuovamente la piazza di alcuni rigogliosi olmi, per ridargli l’antico “splendore
con i tolti alberi voluti dai nostri antenati”.
* La contrada Freixeti sarebbe stata ubicata nei pressi della Cattedrale, dove ancora nei primi dell’ottocento si potevano vedere alcuni ruderi, proprio dietro il Battistero, dove oggi sono sistemate le canoniche ed un monastero. Il termine “freixeti“ gli deriva per essere stata contrada della corporazione dei sarti, in quell’epoca intenti ad accessoriare gli abiti con grandi quantità di nastri e nastrini. Ma il nome, in senso dispregiativo, veniva usato per indicare le abitazioni del «malaffare» d’allora. Allegre donnine avrebbero potuto abitare in contrada Freixeti, ma ancor peggio per al morale d’allora, i noti travestiti dell’epoca. Come veri e propri «viados» con molta probabilità si sarebbero potuti servire, durante la notte, delle evanescenti ombre prodotte dagli olmi per i loro convegni depravati. E questa potrebbe essere una più plausibile scatenante, tanto del taglio degli olmi, quanto dello schiaffo e del susseguente anatema.
di
Nino Allaria
Oliveri
Nel corso dell’anno 1425 il contabile del Parlamento notificava una certa
spesa sostenuta dalla Comunità di Ventimiglia, per “fare sostituire,
piantare e innaffiare alcuni alberi di Olmo sulla piazza della Cattedrale”.
L’ordinanza, che era stata emessa con il consenso unanime dei deputati,
compresi quelli delle ville, doveva porre fine ad uno scontro, in atto da
molto tempo, tra i canonici e la popolazione e ridare alla piazza l’antico “splendore
con i tolti alberi voluti dai nostri antenati”.
Per il solerte contabile la notificazione era una dovuta registrazione di
una spesa e, anche se di minimo valore, il tralasciarla avrebbe sconvolto la
contabilità tra entrate ed uscite; per noi, a distanza di alcuni secoli,
resta ad indicare e, con un pizzico di fantasia, a far rivivere le antiche
usanze e come la Piazza della chiesa Cattedrale fosse il fulcro della vita
politica e cittadina. In essa i Ventimigliesi si riunivano per la difesa dei
diritti conculcati, giuravano sottomissione; si affrontavano in sanguinosi
scontri le varie fazioni, e i notai, in alcuni giorni del mese, la
invadevano con i loro scanni portatili per stendere atti e compromessi di
compra e di vendita. La loro attività piazzaiola resta confermata da una
infinità di documenti coevi, che, attuato il richiesto, si sottoscrivevano:
«Io notaio; questo atto ho fatto in Piazza della Chiesa sotto gli olmi».
Il continuo richiamo “agli Olmi” in atti antecedenti alla delibera del
Parlamento dell’anno 1425 è la conferma come da tempo svettassero sulla
piazza due o più alberi di olmi. Una ennesima conferma della loro presenza
si estrae da due proteste, datate l’anno 1423, che i signori canonici della
cattedrale inviavano al vescovo e ai consoli della città. Conservate nel “Libro
I del Capitolo della Cattedrale” ricordano l’oggetto della loro
protesta: una letamaia maleodorante che invia cattive esalazioni fino ai
piedi dell’altare e fra gli scanni ed una infinità di passeri, che notte e
giorno, con il loro brusio rendono impossibile il salmodiare e la preghiera
dei fedeli.
«Lo stesso sacrificio dell’altare è impossibile. Si ordini da Vostra
Paternità di abbattere i due olmi antistanti la chiesa, causa di tanto
disturbo».
Non è dato conoscere il nome del vescovo a cui i canonici avevano inviato la
lettera, si ipotizza fosse esso il Vescovo de Bellonis, un monaco di Valence,
dal carattere mite ma di una determinazione proverbiale; di lui resta noto
il rifiuto a presenziare al Concilio di Costanza per l’elezione a Papa del
Duca Amedeo VIII e la proibizione ingiunta ai suoi vicari di parteciparvi.
Ricevuta in Sospello, sua temporanea abitazione, la protesta dei Canonici fa
ritorno in Ventimiglia e senza sentire i consoli della Città viene emanato
un ordine perentorio affinché i due olmi vengano abbattuti: «il tutto per
il buon decoro del culto e la santificazione dei fedeli». L’ordine viene
eseguito nello spazio di una settimana «se diversamente a decisione del
vescovo la scomunica». I Canonici esultano, alcuni fedeli lodano
l’operato, ma il grosso della popolazione insorge, si irrita e corre alle
minacce.
Fra i malcontenti un certo Costa, scorto il vescovo sulla porta della
Cattedrale in compagnia dell’arcidiacono, urlando parole di invettive, e
trascinato dall’odio, pubblicamente schiaffeggia il prelato. Per l’indegno
atto incorre “ipso facto” nella scomunica maggiore. A nulla valsero e
il pentimento e le interposte scuse da parte dei due consoli; solo da Roma
sarebbe giunto il perdono e tolta la scomunica.
La tradizione vuole che nel frattempo di attesa, il Buon e Giusto Padre
Eterno avocasse a se e il perdono e il castigo. Il Costa abitava nella
contrada dei “Freixeti”
*
a pochi passi dalla Cattedrale; a metà settembre una scossa di terremoto
rese un acervo di pietrisco e di legnami la povera abitazione del Costa,
lasciando agibile la contrada.
Si gridò da ogni parte ad un intervento del cielo; pare che lo stesso Costa
andasse affermando, sulle piazze e tra i parenti, essere quello un vero e
giusto castigo.
Lo storico Rossi glossando un antico “Necrologium Ecclesiae Cathedralis”
richiama con alcuni brevi accenni ai nostri fatti e buon per lui, che
ascrive il tutto al “si dice” e conferma che ai suoi giorni si vedevano
ancora alcuni ruderi di quella che fu la casa del malcapitato Costa.
LA VOCE INTEMELIA
anno LVI n. 1 - gennaio 2001
DUE OLMI, UNO SCHIAFFO, UN TERREMOTO