Ai Soci dell'Unione Intemelia

  Nell’arco delle “Manifestazioni Aprosiane”, pensate e volute per far conoscere o per riscoprire l’opera del sommo Angelico Aprosio, anche la “Voce Intemelia”, da tanti anni punto di riferimento culturale della Città, ha desiderato dare il suo contributo in merito.
    L’Autore del racconto “Il dono dei Magi” - Notte dell’Epifania, 1681, Ventimiglia, Biblioteca Apro-siana, è il prof. Bartolomeo Durante, lo studioso più prestigioso tra quanti studiano il personaggio Aprosio.
   La pubblicazione, edita anche grazie alla sensibilità dell’imprenditore Dino Masala, verrà inviata in omaggio a tutti gli abbonati della “Voce” e sarà il miglior augurio d’una Epifania di luce per ognuno di noi ed un seppur modesto ma prestigioso segnale di inizio delle importanti manifestazioni di questo Anno Aprosiano.
                            Con amicizia        
La Voce Intemelia
                                                       L’Editore e la Redazione

ALZANI EDITORE - PINEROLO
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[ricostruzione documentaria]
 sul frontespizio vedesi:



INCUNABOLO DE PATIENTIA DI BAPTISTA (FR.) MANTUANUS -  VENEZIA 1499 IN C.B.A.

VI SI LEGGE DAL LATINO:

«FRATE ANGELICO APROSIO,
MINIMO FRA I SUOI CONFRATELLI
E FONDATORE DELLA BIBLIOTECA,
ASSIEME A DUE ALTRI
ORMAI NON PIÙ BEN RILEGATI,
RESTAURÒ A SETTANTAQUATTRO ANNI
 QUESTO CODICE, NELLA VEGLIA NOTTURNA
DELL’EPIFANIA DEL 6 GENNAIO 1681.

PREGATE PER LUI»



QUANTO AMORE PER I LIBRI,  LAVORAVA ATTIVAMENTE A DUE MESI SOLO DALLA MORTE:   LA  GRAFIA  È  CAMBIATA,   DENOTA  LA STANCHEZZA E L’INVECCHIAMENTO MA NON SI ARRESE MAI ... PROVA INDISCUSSA D'UN GRANDE BIBLIOTECARIO E SOPRATTUTTO

 D'UNO STRAORDINARIO BIBLIOFILO !



Edito col patrocinio della Società Agricola
“A TRINCEA” di Airole

 

Angelico Aprosio morì due mesi dopo, in una fredda notte del 23 febbraio 1681.
    Domenico Antonio Gandolfo ne rese ancor più grande la biblioteca e divenne uno dei massimi scrittori agostiniani pubblicando la storia di tanti scrittori dell’Ordine nella sua Dissertatio: per il prestigio raggiunto, anni dopo dovette recarsi a reggere il convento di Genzano, tra i Castelli romani e, poi, sempre obbedendo si sistemò a Roma, divenendo membro dell’Arcadia, con il nome di Arcanio Caraceo.
    Morì, quasi dimenticato, nel febbraio del 1707, trecento anni fa: una leggenda si sparse per il cenobio che reggeva nuovamente a Genzano, ... avrebbe detto per ultima una frase cara al proprio maestro ... che anche la sua vita era stata giustificata per esser stato tromba delle glorie altrui, cioè per aver anche lui tramandato nel ricordo il nome di tanti eruditi e dotti, le cui opere o il cui ricordo si sarebbero altrimenti persi.
     Senza quel dono dei Magi, nell’Epifania del 1681, forse, Domenico, come era nei presagi, sarebbe divenuto un preminente personaggio del suo ordine agostiniano, ma forse non sarebbe riuscito a tramandarsi, con tanti altri, nei suoi libri, al pari di altri uomini che si tramandano invece nella carne di un figlio ... destini comuni per due grandi, o forse i due più grandi personaggi che Ventimiglia abbia avuto !

    Stette a guardarlo per un po’, finché non parve addormentarsi e s’avviò all’uscita: ma una voce ben nota lo raggiunse e lo fermò !
     Aveva riaperto gli occhi e nella luce morente d’una candela lo fissò senza dire nulla a lungo, poi di colpo esclamò “Abbassati ... per favore”.
   Domenico non avrebbe voluto sentire l’ultima parola, ma obbedì ... rimase di sasso mentre quello lo sfiorò con una carezza: “E’ come avessi ritrovato il figliuol prodigo ... anche a me i Magi han fatto un dono, mi hanno restituito per un giorno l’allievo migliore che abbia mai avuto e che forse, in altra condizione, avrei voluto come ... ma ... che dico mai, va via ora, è tardi ... io posso stare a letto tu no, hai i tuoi impegni”.
    “Forse voleva dire ...figlio ?” Domenico pensò una cosa di cui subito si pentì: “Sì ... ho molti impegni, e soprattutto uno, che ho riscoperto, quello di “bibliotecario dell’Aprosiana”.
     Voltandosi, per questo non ne fu mai certo, ebbe l’impressione che sul volto del vecchio, ormai condannato, fosse scorsa una luce di vita, per un attimo, sfavillante !
   Domenico Antonio Gandolfo, sul limitare della soglia del chiostro, si fermò a fissare l’alba: “Lui sarà ricordato per sempre, ... chissà di me che sarà: poco importa, continuerò il suo lavoro ... e se mi cadrà sopra l’oblio, che sia pure !”.
    Assistito da Domenico, che ne scrisse l’elogio poi stampato sul primo manifesto cartaceo in Ventimiglia,

 

E

una scia d’inchiostro seguì il pennino ed il vecchio masticò una bestemmia, poi biascicò un mea culpa e con cura asciugò contro il saio lo strumento troppo carico di inchiostro “ ... Tanto questo vestito non mi servirà per molto ... almeno da vivo”.
    Il Priore distolse lo sguardo per nascondere un moto di pietà che l’altro, stante il suo carattere, non avrebbe gradito, ... quando si girò il vecchio monaco stava già scrivendo, con mano ferma, ... Domenico non poté far a meno d’ammirare quello sforzo del vecchio, che per non sbagliare era così concentrato da tenere, come i bambini, la lingua tra i denti.
    Il frate più giovane stando in piedi alle spalle del proprio antico maestro non poté far a meno di leggere ciò che quello scrisse e che per sempre rimarrà su quel libro della Biblioteca intemelia: “Frate Angelico Aprosio, minimo fra i suoi confratelli e fondatore della biblioteca, assieme a due altri ormai non più ben rilegati, restaurò a settantaquattro anni questo codice nella veglia notturna dell’Epifania del 6 gennaio 1681. Pregate per lui”.


        bbe appena tempo di tamponare con carta assorbente quell’appunto che s’afflosciò sul libro: Domenico lo afferrò subito, portando una mano alla fronte che scottava. Lo sollevò, era magrissimo ormai e straordinariamente leggero: gli fu facile portarlo nella sua cella, avvolto al meglio nel saio e in una copertaccia della Libraria.

    In effetti, con terrore aveva visto una goccia di sangue su una carta abbandonata sopra il ripiano ed un grumo fresco all’angolo delle labbra dell’altro: sentiva di doverlo portare al riparo, nella sua cella, nel letto, almeno più al caldo.
    “No ... non ancora” al primo gesto d’impazienza l’antico bibliotecario fece seguire una frase meno aspra: “... fammi sedere ti prego, ... ho una cosa da fare ... forse l’ultima qui ... lasciamela fare, per favore”.
     Aveva detto “per favore”; mai il Priore aveva sentito un uomo tanto altero e indipendente supplicare qualcuno e non poté negarsi, lo trascinò alla prima sedia ed attese che l’altro gli dicesse qualche cosa, qualsiasi cosa, tranne quel silenzio in cui era caduto, tenendosi la testa fra le braccia coi gomiti fissi sul ripiano di legno antico.
    Qualsiasi cosa ma niente “per favore” pensò il Priore ... aveva odiata la durezza del maestro, un tempo, ma per essa aveva imparato tutto e nulla dimenticato. ...”Passami il libro di Battista Mantovano” la voce del frate lo aggredì con nuova  energia e ne fu quasi lieto. “Perché maestro ? Abbiamo finito ...” alle sue parole l’altro rispose interrompendosi, ancora, per tossire “Passamelo ... non so se potrò mai tornare qua su”.
     Era un ordine, d’un uomo morente ... ma non si poteva discutere ed il Priore glielo rimise innanzi chiuso: l’altro girò il piatto iniziale ed accarezzò con amore evidente il frontespizio, ... poi allungò una mano, verso una penna d’oca intinta nel calamaio ...

 

L

ed i raschiatoi, le colle, i pennelli di calibro diverso, ... tutto gli scorse per le mani con una sicurezza di cui dubitava da anni.
     “Non ti sei rammollito ... dunque”: il maestro parlò in dialetto, in modo più colorito di come volle sentire il Priore ... non approvava quel modo d’esprimersi ma si sentiva del tutto pari al vecchio, quella notte i Magi avevano portato un dono anche a lui: il ricordo di quello che era stato ... un grande bibliotecario !


           a luce prese a filtrare dalle finestre ben serrate ma sconnesse per il tempo, il fuoco della lampada oscillava per l’olio ridotto al minimo ... altri due libri antichi stavano sullo scrittoio: tutti e tre, parevano rinati, compatti, lucidi, assemblati da una perizia imparata a Venezia, nella patria della stampa, e trasmessa con amore di padre da quel vecchio frate ad un discepolo che un tempo amava più i libri che gli onori e che aveva nome Domenico, detto per complimentosa burla “il legatore principe”.
     “Allora legatore principe per l’ultima volta abbiamo lavorato insieme e ce l’abbiamo fatta ancora una volta”: il monaco si rivolse al suo Priore con inusuale confidenza ma poi fu preso da una tosse convulsa. ... Domenico lo afferrò per l’ascella, prima che quello si abbattesse sul libro. Il vecchio gli si avvinghiò ... era palesemente sfinito: ed il Priore non seppe dir altro che “E’ ora d’andare maestro ... fa freddo ed abbiamo finito”.

    Il frate anziano riemerse dall’estasi con cui era andato osservando quel povero volume, un incunabolo di raro valore: “Nulla è impossibile, ... hai disimparato troppo, la pazienza deve guidarti, la pazienza e quanto avevi imparato e che non credo tu abbia dimenticato”.
     Lo sguardo del vecchio, che lo fissava con la testa reclinata, quasi appoggiata su quei vecchi fogli, adesso era dolce, di una dolcezza che solo quanti hanno qualcosa da lasciare, affetti soprattutto od amori profondi, riescono a manifestare, dimenticando le ubbie della salute decadente ... ma in quello sguardo v’era non solo preghiera ... stavano anche fiducia, abbandono, speranza, ... la speranza che lui, il Priore, non avesse dimenticato, che dopo esser passato tante volte sotto quella biblioteca, neppure alzando lo sguardo verso là ove aveva lavorato per anni come discepolo, ora, in un giorno tanto particolare come l’Epifania, sapesse riscoprire se stesso e l’antico amore per volumi e manoscritti !
   L’antico monaco non s’era sbagliato, per gli impensabili sentieri della memoria e degli affetti, o forse per il miracolo di una notte singolare come quella, il Priore ritornò indietro nel tempo, ai giorni delle illusioni, quando giovanissimo restò sgomento entrando in quelle sale a contemplare quei volumi dall’inconcepibile bellezza !
    I gesti, senza una motivazione razionale, gli vennero usuali, come se mai fosse passato il tempo: riconobbe ogni cosa, sparsa per il laboratorio, le legatrici, il telaio, le corde di varia natura, gli incisori

 

di quelle per serrature solide, proprio come quella che bloccava saldamente le ante dello scaffale.
     “Eh, già ... di questi tempi ... con questi frati ignoranti ... le cose strane e belle e preziose, soprattutto, bisogna proteggerle”: riuscì ad accendere una certa curiosità nel Priore ma questi, conoscendolo, non s’aspettava che prendesse danaro od oro ben nascosto, era certo che altro interessava l’antico maestro.
     E quando questi si volse gli ultimi dubbi svanirono: serrava tra le braccia, con una gentilezza inusuale, un libro antichissimo ... e lo guardava con amore,  come un padre può fissare un figlio ammalato: “Dai ... Domenico ... dai che il tempo fugge,  la nostra vita è poco più  che una scoreggia come scrive il Gentile ... aiutami, guarda come è ridotto ... non posso andarmene lasciandolo così ... e tu hai tante altre occupazioni ! Ormai !”.
      Al Priore non sfuggì la nota di malinconia nella voce del vecchio frate, forse anche lui, non solo il libro, gli stava più a cuore di quanto pensasse ...
    Lo aiutò a sistemare il volume vecchissimo e scompaginato sullo scrittoio: “Dio ... com’è ridotto ... è impossibile risistemarlo !”.
     In effetti, i piatti erano rovinati, la legatura così allentata che le ruvide pagine quasi sfuggivano per ogni dove: a tal punto il tempo e l’usura avevano ridotto il preziosissimo testo del De patientia di Battista Mantovano pubblicato a Venezia nel 1499 ed ormai aggredito da tempo e tarme.

qui, spegni quell’affare che affumica tutto, prendi le lucerne ... quando eri più giovane non dovevo ordinarti di far subito cose semplici come queste !”.
     Altri tempi tornarono alla mente del Priore, di notti pesantissime e sconvolgenti ed eccitanti, tra codici e libri mai visti ... volumi che lui aveva amato quanto il maestro ... prima di far carriera, d’ottenere incarichi, di diventare un predicatore ben prezzolato !
     Il vecchio parve accasciarsi sullo scrittoio, ma le cose non stavano così, con un gesto rotatorio del braccio destro allungato scaraventò a terra ogni cosa che fosse sul ripiano, tranne la lucerna ad olio: il Priore sapeva bene che non stava impazzendo e sapeva che evitava di parlare allo scopo di non perdere le energie che aveva raccolto, magari nella stessa chiesa, fingendo di pregare, nell’attesa dei Magi.
    Con un balzo gli fu accanto e per via della torcia accese la lucerna,  che lentamente  esplose di luce più pulita ... “Allora non ti sei rimbambito tra tanti affari ...”: il vecchio frate lo squadrò coi suoi occhi arrossati ma lucidi, quasi freddi “ ... e allora dai ... porta qui altre due lampade e spegni quel tronco puzzolente di legno e stoffa”.
    Quella voce risuonò potente come anni prima, come da tempo non ricordava ed il Priore obbedì in tutto.
     Il fumo si diradò da una finestra appena scostata: e dopo un attimo il vecchio si trascinò, tossendo ancora,  ad  uno  scaffale  sempre  chiuso,  si  infilò la mano  nelle  pieghe del saio e ne estrasse una chiave,

 

abbandonati: “Lascia i cavasangue, o cavasoldi se vuoi, alle loro purghe  ...  ho cose  più  importanti che vivere qualche mese ancora e poi finire nel mio letto, bagnato  dal mio  piscio e sporcato dai miei escrementi ...”.
      “Erano parole forti per un frate, mescolate di dialetto e forse di qualche bestemmia mal rimangiata per non esser intesa, ma il Priore sapeva che era proprio così, che il destino si sarebbe compiuto comunque: l’avevano detto i dottori certo ma lo suggeriva anche un semplice sguardo. S’arrese senza combattere: “Sia come volete, ... vi precedo” e non ebbe bisogno d’alcuna chiave per valicare la porta che conduceva alle scale della Libraria, la maniglia cedette subito sotto la sua pressione ... il vecchio aveva già preparato tutto.
       Quest’ultimo faticò per le scale strette ma quando valicò l’accesso della biblioteca smise d’ansimare, per un po’, nella luce della fiaccola che il Priore s’era portato, parve gustare le scansie, gli scaffali, i libri ordinati, quelli disposti sui leggii, i quadri troneggianti dalle pareti. Al Priore sembrò, anche se per poco, che quell’uomo fosse ora monumentale, solido come il bronzo, forse eterno: “Cosa volete fare ... ora che siete qui ?”. Non voleva ammetterlo ma temeva la risposta, qualsiasi risposta !  L’altro si fece avanti di colpo, tossì e s’appoggiò allo scrittoio, ... ancora una volta il Priore fece il gesto d’afferrarlo  ma  fu  subito  gelato:  “Non mi toccare ... luce, voglio luce

L

         Il Priore, che era un uomo ancora vigoroso e giovanile, fu colpito dal cancro di rughe che si innervavano per quel volto stanco, sin a concentrarsi intorno agli occhi rossi di febbre, ... fece un gesto d’istinto, quasi a sorreggere il confratello, che però si scostò, con uno scatto: “Che fai ? amico mio, ... non è ancora il momento: tutti aspettano la mia morte, ma lo sai ... entrambi abbiamo un debito da pagare”.
      “Ma ...  maestro,  proprio questa notte,  col freddo che  ci  tormenta  e la santità del giorno che ci attende ?”.


                 a risposta fu secca e parca,  a differenza del modo prolisso e sempre più aggrovigliato con cui il vecchio frate s’esprimeva: “A te resta molto tempo ... io non ne ho; e non ho figli, nessuno ... solo la tua amicizia e lassù, tra il cielo e la terra, stanno i libri per cui ho vissuto e forse sono nato, gli unici figli per cui potrei esser ricordato”.
      Il braccio levato si sperdeva adesso oltre il chiarore della fiaccola, ma il Priore aveva capito, e non era arduo del resto: l’altro indicava il sopraelevamento del chiostro, le sale della biblioteca, dove stavano i libri per cui aveva speso la sua esistenza e per difendere i quali s’era spesso inimicato anche chi non doveva.
      “Volete salire nella Libraria ? ... a quest’ora ? ... ma dovete riposare maestro, ... il dottore ...”: al Priore non riuscì  di finire la frase,  che il vecchio frate parve recuperare impensate energie e sarcasmi ormai

 

S

qui sfioriti ma io non li vedrò più, per sempre: la regina dei fiori, spargerà ancora e per l’eternità, nella sua pompa, l’olezzo raro che fece invaghire il Marino, e come il Marino, anzi, come un suo brutto Adone io non potrò goderne, ... è la vita !”: le ultime parole attraversarono l’oscurità con un tono più basso e mesto, piene d’un rammarico ch’aveva quasi il sapore del pianto.
         Il Priore si volse verso il nulla, donde s’era accesa e spenta quella voce senile: e vide l’ombra avanzare sin a fermarsi sotto un raggio tardivo della luna morente. Gli parve sconveniente che restassero così, sospesi nel niente “Venite qui maestro, al riparo da quest’aria gelida”; in qualche modo afferrò l’interlocutore e con riverenza lo portò verso il muro del chiostro, dove a tentoni trovò la fiaccola che sapeva esservi e che riuscì ad accendere dopo diversi tentativi.
         “Sono come quella ormai, ... l’accendi e si spegne, la riaccendi e si spegne ancora ...”: la voce del vecchio frate divenne più nitida, mentre avanzava nell’alone di luce sempre più forte e che dava l’impressione di rimbalzare in lingue d’ombra e di luce contro le arcate.
         Il suo volto, emergendo quasi di colpo, parve disfatto, certamente pallidissimo: non aveva più nulla che si potesse comparare ai lineamenti con cui in tanti quadri era stato effigiato da pittori che avevano saputo, per anni, barare con i malanni che l’avevano aggredito ... specie con la malaria.

         vanite contro le volte della chiesa le litanie, riposti i calici, congedati i pochi confratelli, il nuovo Priore del Convento Agostiniano, che s’ergeva come un monolito nella malarica piana tra i corsi del Nervia e del Roia, sotto cui dormivano i resti dell’antica romana Albintimilium, entrando nel chiostro s’avvolse nel saio con un brivido:”... Nostro Signore per incontrare i Magi scelse davvero una stagione ingrata”.
      Parve attendere una risposta, ... un motto arguto magari, tutto fuorché il silenzio: e poi pensò d’esser stato stolto ad aver fatto correre per il silenzio del chiostro quella battuta tanto ovvia: anche la notte dell’Epifania del 1681 sarebbe stata inevitabilmente gelida ed umida come tutte le altre. Si trattò di attimi, ma dal nulla, che ovunque le luci s’eran spente, non parve nemmeno giungere un respiro, un soffio, nemmeno quel soffio che da qualche tempo, da quando s’era accasciato sull’altare mesi prima, sempre più cupo pareva aprirsi la strada dal petto dell’antico maestro.
        Eppure lui di sicuro era lì, celato nell’oscurità, visto l’appuntamento urgente che gli aveva dato: magari stava guardando il cielo stellato o andava accarezzando le rade foglie delle piante del giardino, al modo che era solito da sempre.
        “Le rose fioriranno e non le vedrò più dalla loggia, presto non sarò più inebriato dal loro profumo, ... altri petali  s’apriranno,  in luogo di  quelli che son

 

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 rivista il: 10 agosto 2012

 

DEINA'

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