Nell’anno 973, le milizie radunate in Liguria e Provenza, in una
“Tregua per la Pace”, dai nobili e dai cives emergenti in
queste regioni, attraverso la neonata “Tregua Dei”,
guidate dal conte Guglielmo d’Arles, scacciavano definitivamente
i Mori-Saraceni, dal Frassineto. Oltre alle diffuse connivenze
locali, questo sito marittimo lagunare, assai difendibile, aveva
concesso impunemente ai Saraceni di espandere le proprie
incursioni piratesche nell’intera Provenza, sulla costa Ligure e
sui valichi di tutte le Alpi Occidentali, fino alla Val d’Aosta.
Nell’anno 976, scongiurato il pericolo saraceno, i monaci
benedettini tornarono a riedificare il monastero e l’ospizio di
Novalesa, sull’antica strada verso il Moncenisio, presso Susa.
Nel 990, per riconsacrare l’Abbazia annessa al convento, veniva
inviato, quale legato apostolico, il vescovo della Diocesi di
Ventimiglia, di nome: Pentejo. Lasciando Novalesa per far
ritorno in patria, il vescovo Pentejo riceveva in dono la
reliquia del capo di San Secondo; che trasferiva a Ventimiglia,
lasciando una piccola reliquia a Limone Piemonte, prima di
accingersi a valicare il Colle di Tenda. Giunta in Ventimiglia,
la reliquia di San Secondo è stata posta nell’altare della
chiesa marittima di San Nicolò, insieme alle reliquie di questo
santo.1
Nel 1237, alla morte del parroco Bonfilio, la chiesetta di San
Nicolò alla Marina, venne chiusa, a causa del spopolamento
dovuto alle ridotte attività marinare, dopo l’interramento del
porto. Le reliquie di San Nicolò e di San Secondo vennero
traslate in Cattedrale. Il 7 di settembre dell’anno 1330, San
Secondo veniva commemorato in Cattedrale, nella quale l’antico
necrologio riporta in quella data: nota de beato secundio qui
decollatus fuit apud vintimilium.
Nel 1346, in Cattedrale, il vescovo Bonifacio Villaco consacrava
l’altare di San Nicolò, ponendovi anche le reliquie di San
Secondo e quelle del beato Cristoforo, provenienti dalla chiesa
a cavaliere delle Mauře.
Il 3
gennaio del 1505, Proprio in Cattedrale, il canonico Secondino
Giudici fondava una cappella in onore a San Secondo.2
Nel 1567, il vescovo Carlo Grimaldi attestava come per il crollo
di un altare, veniva rinvenuta una cassetta con tutta quasi
la testa e un documento di autenticità di essa reliquia di
San Secondo martire. Il 14 giugno del 1573, il vescovo Galbiati
scriveva al cardinale Carlo Borromeo sulla situazione delle
numerose ossa e dei molti teschi ritrovati nell’altare alla
Madonna delle Virtù. Si diceva che potessero appartenere al
martirio di San Secondo e dei suoi compagni, ma il vescovo
Galbiati assicurava il metropolita Borromeo sulla certezza per
l’infondatezza della diceria popolare.3
Il primo marzo del 1597, una ricognizione sulle reliquie di San
Secondo, eseguita dal vescovo Broglia, relaziona: Restano più
e diverse ossa, le quali sono conservate in un grande vaso con
dentro l’effigge di un uomo armato, in numero di 29, cioé 27
insigne e due frammenti.
Il 10 luglio del 1579, scoppiata in Genova una terribile
pestilenza, venne spedito a Ventimiglia un Commissario di
Sanità, il quale tenendo chiuse le porte e murate le Ville, fece
in modo di preservare dal morbo il nostro contado. Ma durante il
protrarsi del morbo, onde aiutare l’opera del Commissario, la
popolazione ventimigliese si votava alla protezione totale di
San Secondo.4
All’inizio del XVII secolo, il vescovo Stefano Spinola decretava
il solenne culto della città e della Diocesi al nuovo santo
Patrono, il martire della legione Tebea, San Secondo, protettore
nella sfuggita pestilenza. Nel 1602, la nobile famiglia Porro,
su un suo terreno presso il Resentello all’ombra delle Mauře,
annessa ad una casa colonica, volle edificare una modesta
chiesuola in onore di San Secondo, patrono della città e Diocesi
di Ventimiglia. In una riunione del Consiglio ventimigliese, del
1611, si approvava il pagamento dei fuochi eseguiti nella
ricorrenza di San Secondo.5
Nel marzo dell’anno 1623, le
reliquie di San Secondo vennero racchiuse in un artistico busto
d’argento, eseguito a spese del Comune, quello che nonostante le
vicissitudini settecentesche contiene ancora le reliquie e viene
esposto il giorno della celebrazione.
Nell’ottobre del 1742, una sconcertante polemica tra la nobiltà
ed il vescovo scoteva la Città, sull’opportunità di spostare a
primavera la festa patronale di San Secondo. I nobili locali
chiedevano al vescovo di fissare un’altra data per festeggiare
il patrono San Secondo, giacché in quel periodo la maggior parte
di loro soggiornava in Villa, A Latte, a causa dell’aria
irrespirabile in città, a causa dell’impaludamento della Roia.
Il
31 agosto del 1743, la Congregazione dei Riti, da Roma
ingiungeva al vescovo Giustiniani, residente in Mentone, di
ripristinare la festa patronale di San Secondo all’usato tempo
del 26 agosto. Il 6 ottobre, da Mentone, il vescovo Giustiniani
replicava alle accuse, e forte della ingiunzione romana,
celebrava la festa nella sua data precedente.
Il 5
aprile del 1744, con un editto, il vescovo Pier Maria
Giustiniani decretava la data per la celebrazioni, ogni anno,
della festa patronale di San Secondo, nella giornata del 26
agosto, per la Chiesa Ventimigliese e per la Diocesi.
Il 5 aprile 1798, il Direttorio del Governo ligure
rivoluzionario decretava la requisizione degli ori, degli
argenti e tutte le gioie di chiese, conventi ed opere pie, per
rafforzare la Tesoreria Nazionale. Il giorno 8, tra malumore e
disordini il commissario Gandolini eseguiva la requisizione.
Dalla Cattedrale venivano tolti sei candelabri di argento
massiccio, mentre si dovette riscattare in contanti il busto e
la cassa argentei del patrono San Secondo.6
La piccola comunità cristiana del paese lo seppellì e la tomba
divenne luogo segreto di preghiera, pubblico dopo l’editto di
Costantino. Se ovviamente non esistono documenti coevi ai fatti,
certo è che il suo culto a Vittimulo fu immediato. La più antica
pieve del basso biellese fu eretta in suo onore, sul luogo del
martirio, da Sant’Eusebio, vescovo dal 345 al 371. Se ne conserva
una lapide del V - VI secolo, oggi al Museo Civico di Biella. La
venerazione era talmente radicata che, nei secoli successivi, il
luogo era denominato semplicemente “plebes S. Secundi”.
Le
reliquie di San Secondo lasciarono Vittimulo nel VIII - IX
secolo, a causa della distruzione del paese. Furono portate
nell’abbazia benedettina della Novalesa, tra le maggiori del
Piemonte, fondata nel 726 lungo una delle vie più importanti delle
Alpi. Probabilmente furono prese durante la distruzione, poi donate
o vendute ai Benedettini. Nel 906, per sfuggire all’invasione dei
Saraceni, i monaci ripararono a Torino portando le reliquie dei
santi e preziosi codici manoscritti. Una loro proprietà era il
monastero di Sant’Andrea, che è l’odierno Santuario della Consolata,
e lì trovarono rifugio. Negli antichissimi codici di Vercelli,
alcuni dei quali provenienti dalla Novalesa, la ricorrenza era
stabilita al 28 agosto. Anche a Torino fu eletto compatrono della
città durante una pestilenza, nel 1630. Qui, in un altare del Duomo,
sono conservate le altre sue reliquie e, in città, gli è dedicata
una parrocchia che dà il nome alla zona circostante. La diocesi di
Biella, dal 2004, ha ripristinato la memoria liturgica nel
calendario diocesano.
Il martirio di San
Secondo avvenne nell’antica Vittimulo, oggi frazione San Secondo
di Salussola, in provincia di Biella; in un anno compreso tra il 286 e
il 306. Le notizie più antiche che abbiamo su San Secondo martire sono
contenute in documenti medievali del IX secolo.
Luogotenente della Legione Tebea, Secondo era nativo della Tebaide,
nell’Alto Egitto. Gli Imperatori romani Diocleziano e Massimiano avevano
inviato questi soldati in Svizzera, agli ordini di Maurizio, per sedare
la rivolta dei Bagaudi. L’intera Legione trovò la morte per ricorrenti
decimazioni ad Agauno, che è l’odierna St. Maurice, nel Vallese, in
quanto i suoi membri, non rinnegarono la propria appartenenza al credo
cristiano, partecipando al consueto sacrificio pagano che si teneva
prima di ogni battaglia.
Pare
però, che Secondo fosse martirizzato prima che la Legione varcasse le
Alpi. La sua “Passio” narra che, dopo essersi professato cristiano, gli
fu dato un termine per abiurare che scadeva con l’arrivo a Vittimulo,
stazione di sosta nella marcia verso le Gallie. Al suo diniego venne
decapitato: il sangue di un martire bagnava la terra biellese. Secondo
fu d’esempio successivo a tutti i compagni.
1
4) Il
Comune ventimigliese inviò il magnifico Agostino Sperone a porgere,
in omaggio alle cure dei genovesi, trenta barili di vino Moscatello,
centocinquanta barili di fichi e venti di prugne, undici sacchi di
mandorle ed alcuni fasci di spigo, oltre ad una quantità di reste
d’aglio e di cipolle. La Repubblica genovese, che nel tempo era
stata appellata: il Grande Comune, dai popoli del Mar Nero,
contentandosi dei titoli di “‘prestante”‘ o “‘spettabile”‘, dopo
aver preteso l’illustre, l’eccelso e l’eccellentissimo, al cessare
della grave peste, pretese il titolo di “‘Serenissima”‘. Furono
50.000 le vittime nel solo Ponente ligure.
5)
Venivano anche sanati altri debiti, contratti dalla Comunità di Ventimiglia, per ottemperare all’ordinaria amministrazione: Il costo
del falò di Natale, con quello della polvere consumata il giorno del
Corpus Domini e per eseguire i fuochi di San Secondo. La paga a
colui che ha l’incarico di serrare le Porte cittadine la sera e
aprirle la mattina; come il salario a chi apre e chiude Porta
Canarda. La retribuzione a chi mantiene le chianche a Bevera. La
“‘Fabbrica del Ponte”‘ era garantita da un certo numero di
Capifamiglia, che per quello scopo si erano consorziati.
6) Fu
molto dolorosa l’asportazione, eseguita dal padre Semini, che
interessò anche
preziosi manoscritti e incunaboli della Biblioteca Aprosiana,
ancor oggi rimasti a Genova.
NOTE:
1)
Proprio dopo il rientro a Ventimiglia del vescovo Pentejo, potrebbe aver avuto inizio
la costruzione della Cattedrale romanica, sul terreno occupato
precedentemente da una chiesa longobarda, edificata sulle fondamenta di
una precedente bizantina o normanna, che aveva preso il posto di un
tempio pagano, dedicato a Giunone. Il restauro che dal 1947 ha
interessato l’esterno, fino al completo racconcio interno degli anni
attorno al 1960, ha riportato alla luce le pietre originali dell’XI
secolo, nascoste dai precedenti rifacimenti, fino a quello del Mella,
nel 1877. Le reliquie di San Secondo sono servite per dare ai
ventimigliesi qualcosa di concreto da venerare, in alternativa
all’Assunta, patrona della città e dalla diocesi, che di reliquie
proprio non poteva fornirne, ma nella nostra città dettero inizio a
numerose leggende locali sul santo.
2) Quell’altare di San Secondo è ancora presente, sul lato di Levante della
Cattedrale; mentre quello intitolato a San Nicolò, che dal 1378
conteneva le spoglie del vescovo Ruffino, venne convertito poi
all’Angelo Custode ed ora è l’altare della Misericordia.
3) Una
delle leggende, diffuse tra il popolo ventimigliese, era quella che
dava San Secondo condannato dai giudici di Vintimilium, ultima
città sulla strada delle Gallie, oggi identificabile nelle rovine della
Città Nervina, mentre il suo martirio sarebbe avvenuto fuori le mura,
alla foce del Rio Resentello, dove sorse una chiesuola ed oggi è
presente una chiesa in architettura moderna.
LA VOCE INTEMELIA anno XLVIII n. 11 - novembre 1993
Trascorsa la festa, malcontento e opposizione cominciarono a serpeggiare tra il popolo e i confratelli di San Giovanni Battista. Vi furono avvisaglie di minacce; si volle interrogare i parlamentari che non seppero dare risposte giustificative.
Il 26 agosto 1743 i ventimigliesi insorgono clamorosamente. Scrive il vescovo nella lettera in sua difesa: «Molti confratelli vestiti di cappa, calato il capuccio sul volto, quale schiera in guerra, invasero la Chiesa Cattedrale, con grande minacie e grida, affinché si consegnasse loro il capo di San Secondo che, senza alcun prete orante, avrebbero portato per la città. A ciò il mio Vicario Generale, perché Canonici e sacerdoti erano fuggiti per gli infuriati, pose fine al tutto comminando pene severe. Uscirono dalla Chiesa pregando, urlando "saturnalium more", scorazzarono per la città».
La rivolta allarmò i nobili e gli amministratori i quali furbescamente si diedero ad incolpare il vescovo; con un libello non giustificativo, ma accusatorio, si premurarono richiede in Roma altro decreto di reintegrazione. Relatore fu un n identificato D (signore ?) Filippo Buttati: fu basso e meschino; accusò di inerzia apostolica il vescovo; disse dell’incapacità del Giustiniani nel reggere la diocesi; unico rimedio a tutto emettere nuovo decreto che riportasse la festa di San Secondo all’antica data: 26 agosto.
Il 6 ottobre, da Mentone, Giustiniani replica ai dodici punti di accusa. Sono venti pagine fitte, chiarificatrici, difensive. Ne aveva capacità: «ingegno vasto, rara perspicacia, studi larghi e rigorosi costumi, erano le sue doti». Per il bene c popolo accetta la reintegrazione. A rafforzo della sua difesa acclude sette atti giurati con autentica di notaio civile. Depositano a suo favore gli stessi sindaci Porro e Rossi; Pasquale Amalberti, cancelliere del Consiglio; Orengo, vicario generale; Camillo Rostagno, nobile di Mentone; il nobile Onorato Clavesana e il nobile Imberti nonché i sindaci di Mentone.
Del fatto nella Cattedrale - a lato della Cappella di San Secondo - resta una lapide marmorea che, se roboante e classica nel suo dire, difficilmente nasconde il vero allo storico.
LA SOMMOSSA DI SAN SECONDO - 1743
Il 31 agosto 1743 il proprefetto della Congregazione dei Riti, da Roma, al vescovo Maria Giustiniani - temporaneamente residente in Mentone in voluto esilio - faceva pervenire una lettera di richiesta nella quale si sollecitava urgente parere sulla reintegrazione della festa di San Secondo all’usato tempo del 26 agosto.
La richiesta ridestò nell’animo dell’irruente vescovo il ricordo delle molte offese da parte dei Nobili e dello stesso Parlamento; rivisse gli insulti in pubblico contro la sua persona e le basse insinuazioni «per alcune amarezze tra qualche cittadino e il Vescovo».
Fu così che il Giustiniani ruppe il silenzio e si mise in giustificata difesa. Un plico, datato al 25 settembre 1745, e dalla dicitura «Nonnulla documenta ad defensionem ill.mo Episcopi occasione pretensa reintegratione Festi Sancti Secundi ad 26 augusti», narra gli usati maneggi dei nobili ventimigliesi perché il vescovo divenisse il capro espiatorio del malcontento popolare.
Questi, per sommi capi, sono i fatti. Nell’ottobre del 1742 i Nobili vogliono non essere disturbati nei loro riposi estivi e vedersi costretti al rientro in città per le feste di San Secondo. Al Vescovo, che da solo un anno si trova al governo della città, fanno richiesta di trasferimento festivo: «Aversi riconosciuto - scrivono - per esperienza che assai male può solennizzarsi la festa di un santo per cui tutti hanno gran divozione, perché le persone più nobili e molta parte del popolo son in campagna per l’aria cattiva».
Il Giustiniani non rifiuta l’idea e tenta di temporeggiare. Il Parlamento ricorre a Roma, chiede a nome del popolo e del collegio canonicale il trasferimento della festa di San Secondo ad altra data; le ragioni addotte sono infinite.
Nel mese di marzo 1743, sindaci e vescovo ricevono lettere affermative da Roma. Gerolamo Porro e Pietro Rossi, membri del Parlamento, sono inviati presso il Giustinani per concordare il nuovo giorno festivo. Il vescovo fu liberale e diplomatico nello stesso tempo. Si legge nell’atto giurato dai due inviati «ma sicome la prefata Signoria Ill.ma non voleva per cosa alcuna che non fosse gradita da tutta la Comunità, lasciava a noi l’incombenza di portarglierla, con dire, che avendo egli le facoltà di assegnare il giorno lasciava a nostro piacere».
Si riunisce al Parlamento Generale; senza votazione il signor Carlo Innocente Porro, priore del Consiglio, ordina ai sindaci di porgere generale ringraziamento al Vescovo e che liberamente decreti il giorno festivo di San Secondo.
Fu stabilita la seconda domenica dopo la Pasqua. Dal Consiglio si decretò la usata salve di bombarde dagli spalti del Forte San Paolo, con un proclama si ordinò che la sera precedente la domenica «ognuno fuori le porte de' respettive case dovesse fare in segno di pubblico giubilo un fuoco. Esito della votazione: 10 schede bianche, 1 nera, nessuna opposizione.
San Segundin
Dalle colonne de "La Riscossa", il foglio ventimigliese edito nel 1908, e conservatoci dalla accortezza del celebre dottor Ughetto, si può ricavare come allora il giorno dedicato alla festa patronale di Ventimiglia venisse tenuto in importanza col titolo di "San Segundu", anche quando fosse incappato in semplice giornata feriale. ... Quasi come oggi !
La notizia sorprendente è quella per cui, in soli cento anni, siamo caduti nella dimenticanza di come il giorno successivo a San Segundu venisse registrato quale "San Segundin", in considerazione del fatto che si trattava del giorno successivo ad una solennità tra le più importanti dell'anno, come la Pasqua, il Natale ed il Ferragosto, le quali abbisognano del prolungamento d'una giornata di vera festa, per poter smaltire le eccessive derrate alimentari approntate, quale antidoto contro una paventata indigenza.
Questa era l'importanza di San Secondo, a Ventimiglia, nei primi anni del Novecento !