Ancöi l'è e i sun e ure
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U GRAN CAUDU

Il gran caldo estivo viene definito con vari sinonimi, tra i quali “canicola” e “solleone”, ma anche dal nostrano “u stentìssu”, Altre parole vengono in seguito collegate al periodo, quali “a topia”, l’ombroso pergolato ideato per ripararsi dal caldo sole, con l’aiuto di freschi vegetali rampicanti.

 

 

CANICOLA E SOLLEONE

    In estate, il periodo di caldo afoso e opprimente, specialmente nelle ore centrali della giornata, caratterizzato da alti valori di temperatura e di umidità, con assenza di vento e grande afa è conosciuto come “canìcola”, situazione provocata dal “solleone”.

    La canicola deve il suo nome dal latino Canicula “piccolo cane”, denominazione alternativa di Alpha, la stella più luminosa della costellazione del Cane Maggiore, che dal 24 luglio al 26 agosto, sorge e tramonta con il Sole, definendo con questo il periodo della “canìcola”. Nel medioevo questa iniziava il 25 luglio, festa di San Cristoforo e terminava il 24 agosto, festa di San Bartolomeo; a Ventimiglia il giorno 26 agosto è San Secondo, il patrono.

    La cultura popolare europea aveva congegnato una particolare attrazione simbolica verso questo periodo dell’anno, infatti, cadeva in questo periodo la festa di San Guinefort di Borgogna, il santo levriero vissuto nel XIII secolo; che fu oggetto di gran devozione.

    Il forte simbolismo di questo periodo era derivato da varie credenze: si pensava per esempio che la presenza di Sirio nel cielo fosse la causa della calura, sommandosi il suo calore a quello del sole; aveva risvolti malefici per il “surriscaldamento del sangue” che facilitava le malattie, in realtà causate dall’aumento delle zanzare malariche.

    Ad Atene e a Roma, in tale periodo, si tenevano manifestazioni che coinvolgevano i cani; spesso rendendoli protagonisti di sacrifici. La religione cristiana associò tali manifestazioni a figure cristiane da celebrare: non a caso la chiesa celebra, il 25 luglio, San Cristoforo, un santo raffigurato nel medioevo con la testa di cane, il 4 agosto, San Domenico, fondatore dei Domenicani, i cani del Signore e San Rocco, che la leggenda vuole salvato da un cane, il 16 agosto.

    Sempre secondo le credenze medievali, il caldo canicolare influenzava, anche la riuscita della produzione di alcuni materiali. Era quello il periodo propizio per procurasi alcuni ingredienti e lavorarli nel calore adeguato per ottenere particolari sostanze.

    Il termine “solleone” è sinonimo di canicola, giacché con quel termine spesso si indica la peggiore afa estiva; viceversa il termine era stato coniato per definire i giorni dell’anno sotto il segno del leone, nei quali faceva spesso caldo.

 

 

U STENTISSU,

OVVERO UN CALDO SOFFOCANTE

                                                                                                                                             Renzo Villa 1996

    Per il particolare clima di certi giorni d’estate, quando la stagione sembra procedere fra continue incertezze meteorologiche, con l’alternarsi di sole cocente, nuvolaglia e brevi acquazzoni, la parola dialettale adatta è stentìssu. Propriamente esso sarebbe quel senso di afa soffocante che si prova in certe giornate estive quando il sole se ne sta nascosto dietro una cappa di nuvole oppure quando soffiano venti meridionali come lo scirocco e il libeccio.

    Si determina così una situazione di caldo umido particolarmente fastidiosa e allora, in dialetto, si dice che fa’ u stentìssu. La parola non può vantare quarti di nobiltà etimologica, cioè radici antiche e accertate, come altre già considerate in queste note. Molto più semplicemente essa deriva dal verbo stegne, soffocare, attraverso il participio passato stentu, soffocato, per cui stentìssu possiamo tradurlo con soffoco, afa. Per dirla con un termine specialistico, che non deve spaventare i lettori, si tratta di un “deverbale”, ossia di un sostantivo che deriva da un verbo mentre, in altri casi, si verifica il fenomeno contrario. Stegne può voler dire però anche “spegnere” e, in questo caso, il verbo dialettale è strettamente imparentato con l’italiano antico “distegnere” e col francese “éteindre”.

 

    Lo stentìssu, come termine dialettale non sembra aver avuto molta fortuna in Liguria, infatti il suo uso è strettamente limitato all’area dell’estremo Ponente ligure: Ventimiglia, Sanremo e Taggia. Ne ha avuto migliore fortuna sull’altro versante, cioè quello provenzale, dove questo tipo di caldo si chiama toufo e la parola è circondata da una piccola corte di derivati. Tutto questo ci fa venire in mente che, anche qui da noi, quando boccheggiamo e ci sentiamo sudaticci, diciamo che fa’ stufu, una parola che possiamo dunque considerare come un sinonimo di stentìssu. A proposito del quale, possiamo ancora dire che essa fa parte della sparuta pattuglia di termini dialettali che finiscono in -issu. Come barcarissu pontile, ladrunissu ladroneccio, remenissu rifiuto e tapissu tappeto.

                                                                                                            da “Dialetto ieri & oggi”

                                                                                  C.d.V. - Alzani Pinerolo - 1996   illustrato da Mietta Benassi

 

 

Sotto una fresca “tòpia”,

per vincere la canicola

                                                                                                                                               Renzo Villa 1996

    L’estate è veramente la stagione delle tòpie, cioè di quei pergolati rustici, solitamente coperti dai tralci della vite, che ogni casa di campagna ligure e ogni osteria di paese aveva un tempo. Ma non era raro incontrare le pergole anche nelle città di una volta, fatte a misura d’uomo, prima che il cemento le invadesse cancellando ogni traccia di verde.

    Si potrebbe dire che la tòpia fosse un fatto di civiltà, una specie di seconda casa estiva che aveva per tetto la cupola verde delle foglie sotto la quale si trovava refrigerio alla calura. La vite che si arrampicava sul pergolato dava, in genere, uva bianca o moscatella che, all’epoca della vendemmia, veniva pigiata a parte e il vino che se ne ricavava si chiamava appunto vin d’a tòpia. In una Apodixia, cioè una perizia del 1720, si legge che gli estimatori avevano constatato un danno “in una terra chiamata Latte, fatto da gente in baver bruggiato un vito per baver dato fuocco a certe arastre contigue a detto vito di Moscatella che formava una Toppia”.

    Il Nuovo Glossario Ligure di Nilo Calvini definisce la topia “pergolato ed anche filare con intreccio di canne”, mentre gli antichi Statuti comunali comminavano pesanti multe per coloro che ardivano appropriarsi del legname, per lo più pali di castagno, le dialettali scaràsse, dai quali erano sostenute le tòpie.

    Per quanto riguarda l’origine della parola, gli studiosi sono concordi nel farla derivare dal greco e, comunque, la si ritrova nel latino classico col significato di “arte del giardinaggio” ed anche di “architettura dei giardini”. Per i lettori che fossero interessati, segnaliamo che, sulla tòpia, come pergolato e come parola, esiste tutta una letteratura sia nei libri di giardinaggio che in quelli di studi linguistici.

    Tòpia è diffusa in tutta la nostra regione ma, in certe zone, diventa tëppia, come a Genova, mentre nel levante ligure si pronuncia töpia. A occidente la ritroviamo in identica forma soltanto nel mentonasco e a Monaco e “nec plus ultra” perché la parola non riesce a superare le colonne d’Ercole del nizzardo. Invece, sempre come tòpia, è largamente diffusa nei dialetti piemontesi e lombardi.

                                                                                                  da “Dialetto ieri & oggi”

                                                                                                        C.d.V. - Alzani Pinerolo - 1996   illustrato da Mietta Benassi

 

 

Le  nozze  dell’asino

                                                                                                                                        Luigin Maccario - 2010

    Nella civiltà contadina del passato, i momenti propizi nei quali dare inizio alla gravidanza, per la donna impiegata nell’agricoltura erano segnalati dall’arrivo migratorio della cicogna, a marzo; oppure a fine luglio, allo svolgersi dell’incanata,  durante la mietitura in pieno solleone.

    Una gravidanza iniziata in quei momenti, portava a poter partorire a dicembre o ad aprile, dava al neonato maggior certezza di scorte alimentari abbondanti.

    Non era conveniente iniziarla a maggio, perché a febbraio le scorte alimentari sarebbero state al lumicino, intanto che i lavori dei campi affrontavano ritmi incalzanti; cosicché maggio è diventato il mese privilegiato dal matrimonio degli asini, che in effetti in quel mese mandano  il raglio  da richiamo  amoroso talmente “potente”  che in quei tempi, unendosi a richiami di altri simili,  provocava nei paesi  un coro veramente frastornante. A maggio, i asi in amù, diventavano ancora più stupidi e cocciuti.