Emilio Azaretti
L’EVOLUZIONE DEI
DIALETTI LIGURI
esaminata attraverso la grammatica
storica del ventimigliese
Del testo appaiono i temi iniziali e l’INDICE DELLE PAROLE DIALETTALI. L’opera intera è forse recuperabile da EDIZIONI CASABIANCA - SANREMO, nelle migliori librerie, ma certamente nelle biblioteche della Liguria.
Parte I - FONETICA - VOCABOLISMO TONICO - VOCABOLISMO ATONO - CONSONATISMO - FORME DOTTE E PRESTITI - DIVERGENZE DEGLI ESITI PREVISTI - ORIGINE DEI FONEMI VENTIMIGLIESI
Parte II - MORFOSINTASSI - GRUPPO NOMINALE - GRUPPO VERBALE - PROPOSIZIONE E CONGIUNZIONI - ORDINE DELLE PAROLE
Parte III - FORMAZIONE DELLE PAROLE - SUFFISSI - PREFISSI - DERIVAZIONE SENZA AGGIUNTE – CONTAMINAZIONE - FORMAZIONI ONOMATOPEICHE
ADDENDA
. Prefazione .
Del vasto territorio compreso fra l’Arno, l’arco alpino e la Catalogna dominato dalle tribù liguri prima delle invasioni galliche e della conquista romana, la Liguria marittima è stata certamente, per l’isolamento dovuto alla conformazione orografica e alla povertà del suo territorio che ha precluso la sovrapposizione di altri elementi etnici, la regione che ha conservato meglio l’eredità, soprattutto di natura fonetica, che la lingua parlata dagli antichi Liguri, ha lasciato ai moderni dialetti romanzi.
Ed è ancora l’isolamento da influenze esterne che spiega la stretta parentela conservata attraverso i secoli da questi dialetti, malgrado lo sviluppo lineare della regione, che esalta le distanze fra i vari centri, e la precarietà delle comunicazioni stradali durata fin quasi ai nostri giorni, compensate tuttavia in parte da un vivace intercambio via mare e dalla ridotta profondità dell’entroterra.
L’evoluzione dei diversi dialetti liguri si presenta perciò sostanzialmente simile, malgrado la diversa graduazione nel tempo dei fenomeni che la caratterizzano, accelerati al massimo, dal fattore demografico, nella metropoli genovese e per riflesso nei dialetti del suo gruppo, più lenta nei centri costieri periferici e più ancora nel loro entroterra.
Il dialetto di Ventimiglia e i dialetti delle valli intemelie e dell’isola linguistica del Principato di Monaco si prestano perciò particolarmente, per le loro caratteristiche arcaiche, alla comprensione dei fenomeni che hanno caratterizzato le fasi più antiche di questa evoluzione, permettendo un’utile confronto non soltanto con gli altri dialetti dell’attuale Liguria, ma anche con quelli dell’antico dominio ligure padano, eccitano e della Catalogna.
Lo scopo che mi sono proposto con questo lavoro, in un periodo in cui i moderni mezzi di informazione audiovisiva, l’istruzione obbligatoria e la crescente mobilità demografica stanno rapidamente alterando o addirittura distruggendo i dialetti, è principalmente di documentazione.
Ho cercato tuttavia di inquadrare la materia in uno schema che la renda comprensibile e interessante per il lettore di cultura non specializzata, corredandola di un cenno storico, ricordando sommariamente i principali fenomeni evolutivi che hanno portato dal latino classico al tardo latino parlato e alle lingue romanze occidentali e servendomi nel testo, sull’autorevole esempio del Rohlfs, il meno possibile della trascrizione fonetica e della nomenclatura glottologica, nella convinzione che il valore della cultura sia legato anche alla sua divulgazione e nella speranza che altri «laici», come me, vogliano dedicarsi al salvataggio del prezioso patrimonio culturale che si nasconde nei dialetti.
febbraio 1977
La lusinghiera accoglienza che ha avuto, da parte di molti eminenti Romanisti europei, la prima edizione del volume, ci ha indotti a preferire alle ristampe, che la richiesta rende necessario, la compilazione di una seconda edizione riveduta e corretta, alfine di eliminare, almeno in parte, le manchevolezze del testo.
In particolare, oltre alla correzione dei singoli paragrafi, sono stati integralmente rivisti i richiami degli indici delle Basi e delle Parole dialettali, è stata compilata una Addenda, contenente l’integrazione di alcuni paragrafi, l’aggiunta di numerose nuove proposte etimologiche e di un indice degli Autori citati.
Spero che i miglioramenti apportati alla nuova edizione, grazie anche alle osservazioni che mi sono state fatte e che ho ricordato nell’Addenda, siano apprezzati dai lettori e sarò naturalmente riconoscente per ogni ulteriore rilievo che mi sarà indirizzato.
Ventimiglia, febbraio 1982 Emilio Azarettì
. INTRODUZIONE .
Cenno storico
§ 1 - Anteriormente all’espansione gallica ed etrusca, l’antico popolo preindoeuropeo dei liguri occupava, secondo la testimonianza degli storici greci e romani, un vasto territorio che copriva in Italia le attuali regioni del Piemonte, della Lombardia, della Liguria, parte dell’Emilia, la Toscana a nord dell’Arno (Polibio, II, 6) e si estendeva inoltre alla Francia meridionale, alla Catalogna e alla Corsica (Seneca, Consolatio ad Helviam, VII, 9).1
Le bellicose tribù dei Galli, di origine indoeuropea, già esperti nella lavorazione del ferro, penetrano in Francia a varie riprese fra il 700 e il 400 a.C. e nell’Italia settentrionale, attraverso la Rezia, a partire dal 500 a.C., impadronendosi delle zone pianeggianti più fertili dell’Emilia, della Lombardia e del Piemonte e facendone la base delle loro scorrerie predatorie, che grazie alla superiorità di armamento e di organizzazione militare gli permetteranno di spadroneggiare, durante un paio di secoli, nelle ricche regioni dell’Italia centrale, devastando, verso il 390 a.C., la stessa Roma.
Malgrado questa loro predominanza, riconosciuta dai romani anche nel dare il nome di Gallia Cisalpina all’intera Italia settentrionale, dovette trattarsi di un «Herrenvolk» di scarsa consistenza demografica che prefigurò in certo senso le caratteristiche degli invasori germanici alla caduta dell’Impero Romano e, anche dopo l’invasione gallica, gran parte dei territori montuosi della Val Padana centro-occidentale, l’attuale Liguria e l’Appennino tosco-emiliano resteranno sotto il dominio ligure fino alla conquista romana.
La natura povera e impervia delle valli alpine e appenniniche e della Liguria marittima e la stessa cultura dei Galli legata alle pianure continentali e aliena dalla navigazione marittima spiegano l’instaurazione, dopo lo choc dell’invasione, di un durevole e relativamente pacifico condominio delle tribù liguri e galliche dell’Italia settentrionale.
Nei territori dominati dai Galli, il modus vivendi tra le due stirpi ha portato in qualche caso addirittura alla loro fusione in tribù celto-liguri, mentre, sotto la spinta del crescente espansionismo romano, nasceva l’alleanza fra i galli e le tribù liguri indipendenti della Val Padana, come appare dal comune appoggio fornito ai Cartaginesi nel corso delle guerre puniche e dal trionfo riportato da P. Furio Filo nel 223 a.C. de Galleis et Liguribus, che doveva preludere alla conquista romana della Gallia Cisalpina, trasformata in provincia nel 222 a.C. e incorporata nell’Italia nel 42 a.C. 2
Anche nella Francia meridionale, dove si era formata una sorta di simbiosi fra le popolazioni autoctone di stirpe ligure, dedite all’agricoltura e alla pastorizia, e i coloni greci di Marsiglia, con le loro città satelliti, fra cui Antibo e Nizza, dediti alla navigazione e al commercio, la penetrazione gallica veniva contrastata dai romani, su richiesta degli alleati marsigliesi, con la conquista dell’antico territorio ligure e la sua costituzione, nel 120 a.C., in Gallia Narbonense.
In Italia, sottomessi i Galli cisalpini, restavano ormai come potenziali avversar! di Roma soltanto i Liguri Appenninici e Alpini e, ad eccezione dei Genuati e dei Lunensi, quelli della Liguria marittima, fra i quali gli Ingauni di Albium Ingaunum (Albenga) e gli Intemeli di Albium Intemelium (Ventimiglia) che erano stati anch’essi, come i liguri della Val Padana, alleati dei Cartaginesi e che continuavano inoltre ad esercitare la pirateria a danno soprattutto dei greci di Marsiglia, alleati di Roma (Tito Livio, XL, 18).
Questo intralcio delle comunicazioni marittime con Marsiglia e con la Spagna, il desiderio dei Romani di sostituirle con una sicura alternativa stradale, assieme al disegno strategico di portare il confine di un’Italia interamente romanizzata alla cerchia alpina, spinse i Romani alla conquista della Liguria marittima, conclusa nel 180 a.C. 3 con la quasi contemporanea sottomissione degli Apuani e degli Intemeli, alle due estremità della regione, mentre soltanto il 16 a.C. l’Imperatore Cesare Augusto potrà portare a termine la sottomissione delle tribù liguri abitanti nelle valli alpine.
Che tutte queste regioni continuassero ad essere preponderantemente abitate da popolazioni liguri, anche dopo la conquista romana, è chiaramente indicato dalla divisione augustea del territorio già appartenente alla Gallia Cisalpina in regione Liguria, fra il Mar Ligure e il Po e Transpadana, fra il Po e le Alpi, e da quella successiva di Diocleziano, che ribattezzò Alpi Cozie la Liguria augustea e denominò Liguria ed Emilia la precedente Transpadana, alla quale era stata aggregata gran parte dell’Emilia.
Gli stessi motivi di sicurezza hanno dato luogo, dopo la conquista, ad una generosa politica di Roma verso i liguri marittimi, che secondo la testimonianza di Strabene (IV, 203), ebbero rapidamente la cittadinanza romana e assistenza contro le scorrerie dei liguri alpini, i quali più tardi, dopo la sottomissione, verranno aggregati ai centri costieri.
Nel 49 a.C., da una lettera di M.C. Rufo a Cicerone (Ad. fam. VIII, 15), si ha il quadro di una Ventimiglia, che Strabene (IV, 6, 1) definisce città piuttosto grande, politicamente romanizzata, nella quale il latino doveva essere già capito e parlato, come seconda lingua, da una parte della popolazione. Eretta in Municipio che estendeva, dopo l’aggregazione dei Liguri Alpini, la sua giurisdizione dal tratto di costa compreso fra Monaco e Sanremo al crinale del Colle di Tenda, segue ormai le sorti dell’Impero Romano e, con l’affermarsi del Cristianesimo, nella sua circonscrizione viene creata una diocesi, suffraganea fino all’XI sec. di Milano.4
Dopo l’effimero dominio degli Ostrogoti (493-553) e la riconquista dell’Italia da parte dell’imperatore d’Oriente Giustiniano, i bizantini, che erano soprattutto una potenza navale, ebbero nella Liguria marittima uno dei più durevoli domini e i Longobardi, che verso la metà del VI ° sec. si erano impadroniti della Liguria Padana, che da loro prenderà più tardi il nome di Lombardia, 5 conquistarono la Liguria marittima soltanto nel 638, mantenendovi il loro dominio fino al 774.
Alla dominazione longobarda segue quella dei Franchi che, ad opera di Carlo Magno, fondano il Sacro Romano Impero, con un’amministrazione feudale, in seno alla quale il territorio dell’antico Municipio romano viene aggregato alla Marca Arduinica ed eretto in Comitato di Ventimiglia, che anche dopo la caduta dei Carolingi (887) continuerà fino al XII sec. a mantenerne saldamente l’unità.
Sul finire del X sec. anche in Liguria cominciano ad affermarsi nei principali centri i Comuni autonomi che contendono il potere ai Signori feudali e Ventimiglia conosce un periodo di benessere, caratterizzato da intense relazioni commerciali con l’occidente mediterraneo e con la Val Padana.
Nel corso del XII sec. il potente Comune di Genova, geloso della concorrenza delle altre città liguri nei commerci marittimi, ne persegue l’assoggettamento riuscendo a completarlo con la resa di Ventimiglia, sottoscritta nel 1251, dopo oltre cent’anni di lotta.
L’espansionismo genovese fu però contrastato dai Conti di Provenza, che aspiravano anch’essi ad aggregare ai loro domini la Contea di Ventimiglia e ne seguì, col trattato di Aix del 1262, per la prima volta, una spartizione nel suo territorio che lasciò a Genova Ventimiglia con le sue ville, la bassa Val Roia fino alla Penna, la Val Nervia salvo Pigna e la Rocchetta passate alla Provenza assieme a Breglio, Saorgio e Fontano nella media Val Roia, Sospello e Molinetto nella Val Bevera. Tenda e la Briga restavano in possesso dei Conti di Ventimiglia; Mentone e Roccabruna, attraverso varie vicende, venivano invece incorporate nel Principato di Monaco, sorto alla fine del XII sec. ad opera della famiglia genovese dei Grimaldi.
Seborga, donata dai Conti di Ventimiglia ai Monaci di Lerino, all’inizio dell’XI sec., era stata eretta anch’essa in principato e nel 1270 i Doria fondavano in Val Nervia il Marchesato di Dolceacqua.
Dopo una effimera riunificazione della Contea, eretta in Vicaria di Provenza da Re Roberto d’Angiò nel 1335, i Savoia, divenuti nel 1388 padroni di Nizza, sostituivano i provenzali anche nei domini della Contea di Ventimiglia e la riconfermata spartizione durerà fino all’inglobamento della Repubblica di Genova nel Regno di Sardegna nel 1815, rinnovandosi nel 1860 con la cessione di Nizza alla Francia, alla quale passano anche Mentone e Roccabruna, staccatesi dal Principato di Monaco, e nel 1946, a conclusione della 2” guerra mondiale. Tenda, la Briga e parte del territorio di Olivetta San Michele.
1) L’insieme di questi territori verrà indicato nella grammatica come antico dominio ligure e la sola parte italiana come antico dominio ligure italiano.
2) N. Lamboglia, - La prima fase delle guerre romano-puniche.
3) N. Lamboglia - Le guerre romano-ingaune e la romanizzazione della Liguria di Ponente.
4) N. Lamboglia, - Le unità stanche e amministrative della Liguria occidentale.
5) Nel medioevo col termine di Longobardia si indicava la parte dell’Italia settentrionale e centrale sottoposta al dominio longobardo, ma l’attuale Lombardia veniva ancora considerata terra ligure, come testimonia il poema Ligurinus del 1187, che celebra le imprese di Federico Barbarossa contro i liguri di Milano e dell’attuale Lombardia.
. Dai dialetti del ligure antico ai dialetti romanzi .
§ 2 - Il poco che si conosce della lingua parlata dagli antichi Liguri è dovuto a nomi di luogo e di persona, a qualche citazione di scrittori latini ed a particolari suffissi usati soltanto nelle regioni che formavano l’antico dominio ligure (v. Cenno storico). Un’ulteriore fonte di parole di possibile provenienza dal ligure antico è fornita dal patrimonio linguistico preindoeuropeo esistente nelle lingue e nei dialetti di queste regioni, la loro attribuzione è tuttavia quantomai difficile e aleatoria.
L’apporto di parole (lessicale) del ligure antico ai moderni dialetti della Liguria italiana e a quelli delle altre regioni già abitate dagli antichi Liguri è perciò nel complesso modesto, trattandosi in ogni caso di dialetti romanzi, il cui patrimonio lessicale proviene quasi interamente dal latino tardo parlato. Il substrato preromano ha invece agito sulla loro evoluzione fonetica, come mostra la varietà degli esiti di una stessa parola latina, nelle diverse lingue e dialetti romanzi.
Nel V sec. a.C. i Latini, discendenti di una tribù indo-europea che si era stabilita nel Lazio in epoca preistorica, avevano iniziato l’espansione che doveva portare alla creazione dell’Impero Romano.
All’inizio del III sec. a.C. il crescente potere politico di Roma e gli apporti culturali etruschi e greci creano i presupposti per la formazione, sul ceppo del latino parlato, di una lingua letteraria, che gli scrittori e i grammatici dei due secoli successivi dovevano affinare e fissare in una precisa fisonomia fonetica e morfosintattica, richiesta dal suo ruolo di lingua ufficiale del vasto dominio romano. Ma il latino parlato, semplice e schivo delle sottigliezze grammaticali, continua ad essere la lingua usata dal popolo e sarà questo il latino proposto dai soldati e dai coloni romani alle popolazioni delle nuove province conquistate.
Nella Liguria marittima, dopo la conquista romana conclusa nel 180 a.C., vengono usate due lingue (condizione di diglossia), il latino popolare, parlato in un primo tempo soltanto dai soldati, e le varietà tribali del ligure, parlate dalle popolazioni autoctone. Poi, con i progressivi rapporti di convivenza che si vanno sviluppando, con la trasformazione dei soldati in coloni, con i matrimoni misti, l’arruolamento di persone del luogo nella milizia e nella burocrazia romana, il latino si fa gradatamente strada per necessità pratiche fra la popolazione locale.
Alcuni fra gli autoctoni diventano bilingui facilitando l’intercambio fra la popolazione locale e i conquistatori e iniziando così il lungo processo di latinizzazione dell’antico ligure. Come sempre accade in simili casi saranno state in primo luogo mutuate dal latino le parole per indicare oggetti, tecniche, rapporti amministrativi e sociali propri della cultura romana e inesistenti nella lingua autoctona. Sarà seguita una progressiva sostituzione delle parole liguri con le corrispondenti parole latine, causata dal crescente intercambio e anche dal vezzo di nobilitare il proprio dialetto con espressioni della lingua ufficiale.
L’assimilazione di questo patrimonio linguistico straniero avviene naturalmente attraverso una fase generalizzata di bilinguismo comportante adattamenti al sistema fonetico dell’antico ligure e si conclude con la formazione di nuovi dialetti, definibili come dialetti protoromanzi. Probabilmente, questi dialetti, propri, come ancor oggi avviene, di ciascun nucleo abitato, erano il mezzo di espressione correntemente usato dalla quasi totalità della popolazione, come avveniva ancora lo scorso secolo con i dialetti moderni.
Soltanto nei centri urbani, sede di uffici amministrativi e di scuole, giungerà anche il latino letterario, che resterà tuttavia limitato alla piccola cerchia dei funzionar! e dei notabili locali e verrà preponderantemente usato negli scritti.
Si produce in sostanza un fenomeno analogo a quello in atto da qualche secolo in Europa, all’interno dei diversi stati nazionali e in particolare dell’Italia, arrivata da poco all’unità politica, che è iniziato in qualche regione addirittura con una particolare forma di diglossia fra la gente che parlava e comprendeva soltanto il dialetto e la classe colta che parlava anche la lingua nazionale, trasformandosi poi in bilinguismo dialetto-lingua italiana che tende a passare, attraverso i vari italiani regionali condizionati dal substrato dialettale, oggi esistenti, ad una futura lingua nazionale unificata.
Naturalmente queste trasformazioni sono molto più facili e rapide all’interno dei moderni stati nazionali di quanto lo fossero nell’antichità, non soltanto perché la lingua letteraria e i dialetti appartengono in genere alla stessa famiglia, mentre nell’Impero romano e nella stessa Italia il latino doveva per lo più sovrapporsi a lingue estranee, come è appunto il caso del ligure, ma anche per la estrema mobilità delle popolazioni moderne, per l’istruzione obbligatoria, la stampa e tutti i mezzi di comunicazione audiovisiva che stanno accelerando enormemente il processo di trasformazione e di unificazione linguistica.
Nel VI sec., al momento della disgregazione dell’Impero Romano, dove permaneva una condizione di diglossia tra il latino parlato e le lingue autoctone, come in Africa, in gran parte dell’Impero d’Oriente e nei Paesi germanici, la cessazione della dipendenza da Roma porterà a una rapida scomparsa del latino; in Italia, in Francia, nella penisola iberica, nel dominio retoromanzo e rumeno dove invece i dialetti autoctoni erano scomparsi, rimangono in uso, accanto al latino medioevale chiesastico e notarile, i dialetti protoromanzi che li avevano sostituiti, ciascuno dei quali seguirà da questo momento una particolare evoluzione, condizionata dalle nuove relazioni politico-commerciali, sfociando qualche secolo più tardi nei dialetti romanzi, qualcuno dei quali si nobiliterà in lingua letteraria.
. Suoni del ventimigliese e loro notazione .
In considerazione del carattere di questo studio, per rendere più facilmente riconoscibili, al lettore che non ha famigliarità con la trascrizione fonetica, le parole dialettali riportate, impiegherò normalmente la notazione del dialetto usata localmente, che corrisponde in genere, per i suoni che sono comuni, all’ortografia dell’italiano letterario, limitandomi a riportare fra parentesi qualche esempio di trascrizione fonetica.
Darò perciò una breve illustrazione della grafia locale, soprattutto per i suoni che non esistono in italiano 1 e il diverso uso di alcuni segni ortografici italiani, seguita da un prospetto riassuntivo.
Il ventimigliese ha otto vocali: a, è, é, i, u, ü, o, ö, che vengono trascritte a, e, e, i, u, ü, o, ö. 2 Le prime cinque suonano come in italiano, la ü come in francese e in tedesco, la o ha soltanto un suono aperto, di apertura tuttavia inferiore a quella della corrispondente vocale italiana e francese, mentre il suono dell’arrotondata anteriore ö si avvicina a quella delle corrispondenti arrotondate chiuse francesi e tedesche.
Davanti a consonante nasale divenuta finale, e in minor misura davanti a nasale implosiva interna, le vocali toniche subiscono una leggera nasalizzazione, rendendo con n velare la seguente consonante nasale.
Le vocali atone non subiscono mai indebolimenti simili a quello della e muta, ma conservano la loro normale articolazione.
Infine, una importante particolarità del ventimigliese, che lo accomuna assieme al monegasco ai dialetti provenzali, è la mancanza di una percettibile quantità, non soltanto nelle vocali atone, ma anche in quelle toniche.
Per quanto riguarda le consonanti, possiede, oltre a quelle dell’italiano, all’infuori delle due z, la fricativa palatale sonora [ ž ] (j francese), e una [ ř ] palatale con suono intermedio fra r e l.
Benché, come gran parte dei dialetti dell’Italia settentrionale, il ventimigliese non abbia consonanti geminate, la grafia tradizionale impiega tuttavia rr per indicare una r italiana (apicale vibrata) semplice in posizione intervocalica, in contrapposizione alla [ ř ] palatale, indicata con r.
Analogamente ss rappresenta il suono della s sorda semplice intervocalica, che viene inoltre notato con s all’inizio di parola e dopo consonante e in certi casi 3 con ç in inizio di parola, dopo consonante e fra vocali.
La s sonora [ z ] si trascrive con s in posizione intervocalica, con z all’inizio di parola, dopo consonante e qualche volta 4 per motivi etimologici, in posizione intervocalica.
La fricativa prepalatale sorda [ š ] si scrive col digramma sc oltre che davanti alle vocali palatali, come in italiano, anche davanti all’affricata palatale sorda [ č ], con sci davanti alle vocali velari, mentre viene rappresentata con una semplice s davanti alle consonanti occlusive sorde, perché in questa posizione assume un suono fricativo palatale, benché assai meno marcato, che indico col simbolo fonetico [ š ].
Per adeguarmi alla grafia tradizionale dei dialetti liguri, trascrivo la fricativa prepalatale sonora [ ž ] con x 5 e, come per la fricativa sorda, con s davanti alle occlusive sonore, anche in questo caso, con suono palatale attenuato indicato col simbolo fonetico [ ż ].
Infine la l palatale [ ĺ ], notata come in italiano col nesso gli, ha un suono intermedio fra quello delle corrispondenti palatali italiana e francese, con tendenza in quest’ultimo secolo a passare dalla pronuncia italiana a quella francese [ ĺ> y ].
Darò nel seguente prospetto i simboli fonetici di ciascun suono, seguiti da esempi in italiano o in altra lingua e accanto le corrispondenti lettere usate nella grafia locale con esempi in dialetto e la relativa trascrizione fonetica fra parentesi.
NOTE:
1) Malgrado che la grafia locale delle occlusive velari e delle affricate palatali [k, ğ, č, g] corrisponda a quella italiana, le riporterò nel prospetto, per facilitare la consultazione della grammatica al lettore straniero.
2) Al fine di rendere più omogenea la trascrizione, adopererò ö in luogo dell’œ della grafia locale.
3) La ç viene usata per indicare il suono della s sorda negli esiti di C+I, E: CENTU > çentu; EXTORCERE > storçe, DULCE > duçe, RECIPERE > riçeve e nelle forme dotte che continuano il nesso TJ intervocalico: VITIU > viçiu, GRATIA > graçia, JUSTITIA > giüstiçia, ecc.
4) La z viene usata per indicare il suono della s sonora nei continuatori di J, DJ, GJ, G+I, E: JOCU > zögu; PLAGEA > ciaza; SPONGIA > spunza, GELARE > zerà, LEGERE > leze; PODIU > pözu, ecc.
5) Nella grafia locale, concordata a suo tempo fra i collaboratori de «A Barma Grande» si adopera la j francese.
CURIOSITÀ ETIMOLOGICHE VENTEMIGLIUSE