XVI Festival della Poesia e della Commedia Intemelia Pigna 1983
L E S S I C O
PASTORALE
Tavola rotonda sul mondo dei pastori
Relatore don Guido Pastor
Come già annunciato, si è tenuta a Pigna la “tavola rotonda” sul lessico intemelio come previsto dal programma del Festival che di anno in anno assume una importanza sempre maggiore per le varie iniziative che promuove e provoca intendendo far conoscere e valorizzare questo interland meraviglioso che va dal mare al Toraggio, al Saccarello, al Faudo e che meriterebbe maggiore attenzione e conoscenza per quello che è, per quello che è stato, per quanto ha dato, attraverso le iniziative ed il lavoro di una popolazione laboriosa, austera, tenace e direi caparbia.
Giustamente la Prof. Sicardi premetteva: come i movimenti di transumanza mettano in contatto comunità di parlanti che risiedono in ambienti diversi come attività stanziali, diversamente orientati e situati dal punto di vista geografico e non appartenenti alla stessa area linguistica. Tali contatti, prosegue sempre la Prof. Sicardi, portano, sul piano fonomorfologico, ad un livellamento dei tratti distintivi e creano condizioni favorevoli alla reciproca competenza linguistica, pur determinando effetti, sul piano lessico-semantico che la professoressa raggruppa in quattro tipi: 1) termini dell’area di alpeggio; 2) termini inerenti l’attività pastorale locale; 3) termini diffusi anche a zone limitrofe inerenti al mercato del prodotto; 4) termini propri e che restano tali, chiusi cioè alla introduzione delle innovazioni linguistiche.
Già ho precisato come il discorso resti tuttora aperto su quella “arte” che noi chiamiamo Paràa = paràa u gunèe, cioè fare sì che il cappotto del pastore non ripari solamente dal freddo, ma sia anche impermeabile, in quanto dopo che è stato “parato” ha i peli esterni tutti rivolti al basso nello stesso senso. E ci auguriamo che ci sia chi sull’argomento ritorni per descriverci tutta l’operazione. Abbiamo appreso proprio recentemente da uno scritto del Prof. Pierleone Massajoli, pure presente alla nostra tavola rotonda, che in quel di Upega esisteva “u Paraùu” come a Buggio. Parimenti ci sembra un tema aperto ancora per una maggiore precisione sulla rispondenza territoriale, quanto attiene a: Peagna, Bandìe, Muntagna. Per la parte lessicale che ci interessava niente da dire, ma per la corrispondente determinazione geografica forse sarà opportuno riprendere il discorso. Giova ancora precisare come viene preparato u “Brušu” in quanto sovente si leggono e si sentono indicati dei procedimenti non esatti. Intendo qui riferirmi al brušu ricavato col latte di pecora o di capra (significando che quello di capra è sempre il migliore). Nel latte “igna ginginèla cepu” (un tantino tiepido) si versa il caglio (una parte dell’intestino del capretto o dell’agnello essiccata) con un po’ di acqua nella quale si è fatto ammollire chiuso in una pezza di stoffa. Il recipiente sarà grande o piccolo a seconda della quantità, e si chiamerà: seglia, caudeira, pairòo, marmita, o se piccolo, scossu. Dopo 20/40 minuti l’addetto al trattamento introdurrà il suo braccio nella caglia (il latte coagulato) alla ricerca della pezza del caglio, e quindi dopo averla estratta, a mezzo della “ribatta” romperà tutta la quagliata che così frantumata si poserà sul fondo del recipiente. C’è da tener presente che non tutti possono poi compiere questa operazione, ma solo le persone che non hanno la mano calda, perché il calore della mano potrebbe “cuocere” la quagliata depositata come ho detto in fondo, e la conseguenza si riscontrerebbe poi con un formaggio di cattiva pasta perché non bene coagulata. L’addetto pertanto introduce le due mani e sul fondo lavora in modo che la quagliata si coaguli in un grosso pastone. Fatta questa operazione introduce a “rairora” in cui per così dire imbriglia la massa coagulata, e la estrae procedendo nelle altre operazioni per il formaggio. Il residuo liquido, a laità, rimasto nel recipiente, viene collocato sul fuoco e portato alla ebollizione, avvertendo però che la ebollizione non avvenga, pertanto ogni qualvolta si notano i segni dell’ebollizione, in quel punto si verserà un po’ di latte freddo, o di acqua. La cosa si ripete per almeno un quarto d’ora e nel frattempo si vede fiorire e galleggiare sulla “laità” la ricotta che viene raccolta per essere poi o consumata o posta nella cassetta a ciò destinata, con un po’ dì sale, e viene rimescolata due volte al giorno. Passato un po’ di tempo acquista un piccante delizioso ed è il “brušu”. Il residuo rimasto nel recipiente chiamato “beca” prende un colore giallo-verde e forma con un po’ di pane spezzettato, la colazione dei pastori, che non si fermavano lì, ma sovente tiravano a sorte chi poteva consumarsi la ricotta di fondo, e cioè una specie di ricotta che resta in fondo al recipiente, chiamata dai pastori e “ulse”. Il verbo “brušàa” vuol dire fare la ricotta e cioè quella operazione alla ebollizione della “laità” e non vuol dire fare il brušu.
Come si vede il lavoro è tanto e bisognava che il pastore non fosse mai solo e fosse corredato da un “futìu de archipagi” (un bel numero di attrezzi) per raggiungere lo scopo che si riprometteva dal mestiere che si era scelto, di vagare cioè da un colle all’altro con quelle bestie così care che conosceva ad una ad una e ad ognuna aveva dato un nome, e le chiamava e gli rispondevano proprio come se fosse in famiglia. Naturalmente u Feàa (il pastore) era il primo consumatore dei suoi prodotti e “intra sua marega u gh’era sempre u schelciu del brušu” (nella manica del cappotto come companatico teneva sempre il recipiente col brušu).
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L’incontro di Pigna si è protratto per ben tre ore, dove abbiamo poi avuto modo di elencare un buon numero di termini propri del mondo dei pastori, come: Agnelàa, àlbiu, agnèe, arèu, areàa, averàa, bò, beveirùn, bimùn, bima, biornie, bielsa, briturèa, bu-càa, chiraglia, cuciàa, ciupina, curu, ceche, ferije, fielsu, for-fije, friscela, gasta, gastàa, gripia, giasu, grumiscèe, gràa, grae, grascìra, grinùu, igna-màa, tunde, tirgia, toura, un-gin, ugne, uvrau, ridàa, remigàa, resàa, ricu, scalse, sgariùn, sciolta, stamegna, scapuru, ourage, pegurina, pistèe, leàa, osca, malgaroli, meraria, muta, muscura, marèle, mea, mescciàa, vèe, vasteira, vaie, vasi, stagiu, bèru, calsùn, schiella, schielleta, gela, fea, crava, vaca, mansa, mansàa, fea manca, e naturalmente non ci è stato possibile esaurire ad annotare tutti i termini e le varie dizioni particolari usate nelle diverse circostanze della vita pastorale.
Mentre ci auguriamo che sull’argomento o direttamente o indirettamente si possa ancora tornare, magari entrando maggiormente nei significati dei vari termini, con piacere segnaliamo l’auspicio e l’augurio di tutti i partecipanti che cioè si arrivi a costituire nella nostra Comunità un museo che racchiuda tutti gli strumenti usati dai nostri vecchi sia per lavorare la terra che per condurre il bestiame. Purtroppo tanti utensili sono andati smarriti, e pure avrebbero tante cose da dire ancora oggi ed alle generazioni che verranno. Forse sarà già troppo tardi, ma qualcosa potrebbe ancora essere salvato. Perché non formare un Comitato magari in seno alla Pro Loco perché promuova e porti avanti l’iniziativa, appellandosi alla popolazione ed alle Autorità perché da una concorde azione ne nasca appunto una bella realizzazione ?
Anche da questa nostra terra molte persone sono state a Lourdes ed hanno visitato il Castello. La maggior parte degli attrezzi là conservati corrisponde a similari usati nel passato anche qui nella nostra terra, e non dovrebbe essere difficile creare un museo del genere che formerebbe anche un’attrattiva in campo turistico, richiamando forestieri e studiosi sulla genialità, perché alle volte si tratta proprio di genialità, di cui erano dotati i nostri antenati che hanno fatto fiorire in questa terra di sassi il grano, l’olivo e la vite.
Ci è stato segnalato che ad Apricale si sta allestendo un Congresso sull’agriturismo e che dovrebbe impegnare un po’ tutti in vallata e sulla costa per la valorizzazione della nostra terra. Ci auguriamo che anche là si dibattano questi problemi , come dovrebbero sentirli tutti i nostri paesi onde addivenire a qualche cosa di concreto a beneficio di tutti. Troppe volte restiamo slegati; ognuno pensa a sè, alla riuscita della sua manifestazione, della sua festa, mentre dovremmo essere avvivati da un entusiasmo comune, da iniziative che venissero dirette di comune accordo e realizzate nei vari centri senza promozioni concorrenziali.
LA VOCE INTEMELIA anno XXXVIII n. 9 - settembre 1983
Preliminare d’incontro
alla Tavola rotonda
Al “Festival della Commedia e della Poesia” in Pigna, ormai alla XVI edizione, nel trattare del “Mondo dei Pastori”, uno scenario che ci ha fatto ripercorrere le strade ed i sentieri più impervìi, attraverso i quali i nostri antenati si muovevano con i loro armenti: capre, pecore, mucche; abbiamo parlato di Bandìe che erano: Bandìa de Ouri, Bandìa de Avina, Bandìa del Munte, Bandìa de Aurnu a cui si aggiunge: a Peagna, l’Ausegnu e Peltiiju e i Calsai.
Abbiamo discusso sulla Peagna, abbiamo concordato sugli Alpeggi che si differenziavano a seconda del bestiame: Tenarda, Malgheria dei Boschi, Valdalbin, Agnaira, l’Umida, Ursi, China, Valeta e Cumposta (crave), Laijerea (crave), Brevée de Pigna (crave), Labenin (crave), Lacasera (crave).
Ci si intendeva appieno sui significati reali dei nomi dati ai vari oggetti ed in genere su tutta la parlata dei pastori che formava appunto il tema del nostro incontro: Lessico pastorale dell’Alta Val Nervia - Lessico da salvare.
Naturalmente non sono mancate le discussioni dovute a terminologie diverse, o magari ad accentuazioni diverse, ma il tutto ci ha dimostrato un ceppo linguistico di grande interesse, come ce ne hanno dato atto i Prof. Giulia Petracco Sicardi, P. Massajoli, Pallares, Bernardini, Bodrero, Don Pastor che faceva da moderatore della conversazione che si è tenuta int’a Capela di Batìi Gianchi derer ca’, messa a disposizione dal Comitato della Pro Loco, che ha anche provveduto a proiettare un documentario sulla pastorizia di Pigna.
Abbiamo così sentito dalla viva voce pagine di folklore che hanno impegnato i presenti nella elencazione dei vari nomi, che vanno dal Ghinda, al Vasi, ae scalse, â Basarìna, a l’Ourage, â Schielleta, â Canavura, ae burnaije, a l’osca, â Vasteira, al Gasta, â Friscèla, â Ribata, â Grinùu, â Rairora e ad una infinità di nomi, di verbi e di fraseologie proprie del pastore.
Dobbiamo ricordare tra i presenti: Giovanni Rebaudo, Ritino Allavena, Adolfo Tiberti, Luigi Pastor, Giovanni Ferrari, Pietro Isnardi, Adriano Pastor, Giacomo Allavena, Lodovico Borfiga, Caterina Orengo, Amelio Rollo, Giannino Orengo e l’immancabile Cristoforo Allavena che ce la metteva tutta per tenere ordine tra coloro che volevano intervenire.
Una riunione fatta sì di piccole cose, ma dettata da un ricco linguaggio e da un forte calore partecipativo che ha permesso a tutti di esprimersi liberamente e sinceramente nella schietta lingua dei nostri padri. Ed è già tanto l’esserci trovati in molti a parlare la nostra lingua, un patrimonio di cognizioni, suggerimenti, di valori che solo nel linguaggio avito diventano veramente se stessi aprendo una lezione che ci fa leggere il passato e quanto e quale è stato il mondo dei nostri antenati, e ci si sente impegnati a richiamare quelle pagine di storie, troppo sovente lasciate sbiadire nel dimenticatoio. Qui in un dialogo semplice tra gente semplice si capisce la carica di umanità di cui erano ricche le generazioni passate.
da: LA VOCE INTEMELIA anno XXXVIII n. 8 - agosto 1983