SOCCORSO A VENTIMIGLIA
OSPEDALI E RICETTI STORICI
Per Ventimiglia, sono i documenti che riguardano l’Anno Mille a produrre le prime notizie su un Ospedale operante. Si tratterebbe del ricovero, servito dagli Antoniani, annesso alla chiesa ed al priorato di San Michele, ma già nel XIII secolo risultano presenti altre Domus Infirmorum.
Ospedale Civile Santo Spirito
Da alcuni rogiti notarili del 1445 ed in un’altro rogito del 1457, il Rossi fa menzione dei “procuratores” de “l’Aedes aut Hospitalis Sancti Spiritui” ed accenna come, nel 1694, fosse stato “angusto et oltremodo nocivo ai poveri infermi”. Il 20 agosto 1594, il vescovo Galbiati visitava lo stesso ospizio e ne rimandava un’interessante descrizione, nei documenti della Curia.
L’Ospedale cinque-seicentesco si affacciava su quella che oggi è piazzetta Morosini, dove concluse la sua opera nei primi anni dell’Ottocento, quando lo stabilimento di cura venne trasferito nei più ampi locali del Monastero Lateranense, sopra Porta Nuova, dove ha operato fino al 1956, anno nel quale venne ritenuto eccessivamente angusto.
Già nel primo dopoguerra, la dismissione della Caserma Bersaglieri al Funtanin, aveva reso fruibile quel fabbricato, assai ben esposto, ma gravato dalla comparsa di ricorrenti crepe, fin dalla sua costruzione. Certe di riuscire a contenere gli squilibri di struttura, con l’ausilio dei moderni sistemi edili, le autorità assegnarono quell’ampio fabbricato al trasferimento dell’Ospedale Civile Santo Spirito.
Proprio all’inizio degli Anni Sessanta, il fontanile che ammette il nome alla zona, detta Funtanin; impropriamente, ha causato il palese movimento franoso di tutta la parte sud della collina, interessando l’Ospedale ed un palazzo consortile di dieci piani, costruito più a monte, sulle falde del Forte San Paolo.
Nel 1961, in tutta fretta su attrezzò ad ospedale la Casa Valdese di Vallecrosia, gentilmente concessa, mentre si dette mano a ristrutturare la vecchia clinica Isnardi, eretta sui terreni della mensa vescovile di Nervia, oggi proprietà del Comune di Pigna. Il Santo Spirito vi entra nel 1962.
Dal 1980, i locali di Nervia ospitano pochi reparti specialistici, mentre gli ospedali di Ventimiglia e Bordighera unificati, hanno trovato ubicazione nel vecchio convento dei preti di Saint Charles, ai confini est di Vallecrosia.
1444 Il 7 giugno, don Giuliano De Giudici, vicario del De Bellonis, otteneva da Gabriele da Pontano, dell’ordine di Santo Spirito, in Roma, alcune grazie spirituali.
1445 Il nobile Nicolò Aprosio veniva nominato procuratore dell’Hospitalis Sancti Spiritus.
1581 Dalla Francia giungevano adepti dell’ordine ospitaliero di Santo Spirito, aggregati ai frati agostiniani.
1612 Coi cespiti del testamento Antonio Palmari veniva ampliato l’ospedale Santo Spirito.
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L’ospedale Santo Spirito si affacciava su quella che oggi è piazzetta Morosini, sito in una pubblica costruzione databile al XVI secolo. Col suo cospicuo lascito, il Palmari permise l’attuazione dell’ampliamento all’ospedale su l’attuale piazzetta Morosini, nel 1612, oltre alla costruzione del Monastero delle Canonichesse Lateranensi, nel 1668.
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1843 Chiamate dal vescovo Biale, giungevano in città le Giannelline, le suore di N.S. dell’Orto, impegnate nell’assistenza e nell’insegnamento, fino al 1950. Tennero convento sul retro della Cattedrale.
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Popolarissime sul nostro territorio, “e mùneghe de l’Ortu”, Congregazione fondate dal chiavarese Sant’Antonio Maria Gianelli, svolgevano opera infermieristica nell’Ospedale, da quando questa struttura cominciò a dare vera assistenza. Condussero anche un collegio femminile, che dette una degna educazione ad intere generazioni di fanciulle, in un’epoca di vero analfabetismo, anche culturale. E’ da ricordare anche la prima superiora, suor Caterina Podestà.
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1860 In un braccio dell’antico monastero delle Lateranensi si ricavava un decoroso Ospedale.
1872 In ottobre, l’Ospedale Santo Spirito diventava Ospedale Civile Santo Spirito e si trasferiva sopra Porta Nuova, per interessamento del suo direttore, il comm. Secondo Biancheri.
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L’Ospedale di Santo Spirito aveva operato nel Sestiere Uliveto, in struttura ormai fatiscente. Veniva dunque trasferito nell’ala posteriore del Monastero delle Canonichesse Lateranensi, non utilizzato più dalle monache. L’Ospedale aveva il suo ingresso a metà della salita di Porta Nuova e verrà ingrandito nel tempo.
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1885 Moriva Caterina Lorenzi, benefattrice del Civico Ospedale Santo Spirito.
1893 Il 18 gennaio, moriva Francesca Guglielmi, anziana domestica, benefattrice dell’Ospedale.
1907 Il 9 marzo, alle ore 18,00, moriva nella villa di Mortola il comm. Sir Thomas Hanbury, che lasciava una cospicua somma per l’Ospedale.
1946 L’Ospedale Civile Santo Spirito continuerà ad operare, fino al 1956 nel Monastero Lateranense, poi al Funtanin, nella ex caserma, che inizierà a creparsi nel 1961.
1956 Il Civico Ospedale Santo Spirito veniva traferito nella ex caserma dei Bersaglieri al Funtanin.
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L’antico Monastero delle Lateranensi non poteva più ospitare le esigenze di un’ospedale moderno, allora l’Ospedale Civile Santo Spirito si spostava al Funtanin, in un luogo splendido e molto accessibile, se non si fosse saputo chiaramente che era interessato al movimento franoso dell’intera collina dal Levante dell’Annuziata al Ponente di Porta Nizza, fino al mare, nei calanchi degli Scoglietti.
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1961 L’Ospedale Civile Santo Spirito, evacuava i locali pericolanti, al Funtanin, e veniva provvisoriamente trasferito nella Casa Valdese di Vallecrosia.
Aveva operato al Funtanin soltanto cinque anni.
1962 L’Ospedale Santo Spirito entrava nei locali dell’ECA di. Pigna, presso il cavalcavia di Nervia.
1978 Con l’istituzione del Servizio Sanitario nazionale, la Zona Intemelia veniva iscritta nell’Unità Sanitaria Locale n° 1, con sede a Ventimiglia.
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Presero a funzionare gli uffici in villa Davigo, “Villa Olga” presso Nervia, dove aveva sede il Consiglio direttivo della nostra USL, presieduto dal comm. Albino Ballestra. Aveva giurisdizione sull’Ospedale Civile Santo Spirito e nei Posti di Soccorso delle Vallate.
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1980 Venivano unificati gli Ospedali di Bordighera e Ventimiglia.
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La vecchia struttura di Bordighera, sita in Via Romana, presso la Città Alta, veniva chiusa. Il Civico Ospedale Santo Spirito di Ventimiglia, lasciava i locali dell’EPA di Pigna, presso il Cavalcavia, che continuarono per alcuni anni ad ospitare il reparto di Medicina Interna; successivamente vennero adibiti a sede di Ambulatori. L’Ospedale unificato occupò lo spazioso monastero dei monaci di Saint Charles, ai confini tra Vallecrosia e Bordighera, nel mezzo dell’ampio parco prospiciente il Seminario Pio IX.
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R I C E T T I P E R I N F E R M I
Domus de Arena e Domus de Cardona
OSPIZIO DE ARENA
di Nino Allaria Olivieri
A metà dell’anno 1200, in Ventimiglia, sulla penisola arenosa formatasi tra le foci del fiume Nervia e del Roia, sorgeva una casa ospizio denominata de Arena; una strada pedonale la collegava a quella tangente Colla Sgarba e Siestro. L’ospizio, che prese la sua titolarietà dal substrato sabbioso, era di sussidio alla Domus Templi, operante nella città, fuori le mura di cinta.
Il pellegrino della Provenza e quello proveniente dall’oltre giogo attraverso lo Straforco vi trovava riposo e cibo per una notte, l’ammalato i primi soccorsi.
Sottoposto al Vescovo e al Capitolo della Chiesa di Santa Maria veniva amministrato da un rettore nel temporale e nello spirituale.
Gli avvenimenti bellici e l’insofferenza di Ventimiglia contro i soprusi dei conti e delle ingerenze genovesi ne misero in forse l’amministrazione, la conservazione e la proprietà. Si evince da un documento epocale di un nativo da parte dell’Arcivescovo di Genova, Gualtiero, a che il Capitano della Rocca inviasse il “Minister Roccae” a reggerlo nello spirituale.
è vescovo di Ventimiglia Azzo Visconti di Milano; uomo di tendenza politica guelfa e di rettitudine, difensore dei diritti ecclesiastici. Egli avoca a sé le sorti incerte dell’Ospizio de Arena e il 24 agosto 1262, ottenuto il consenso dell’arcidiacono Nicolai, del proposito Rainaldo, di Ottone Teste e Giacomo d’Unelia, tutti canonici, “per il bene e l’utilità della chiesa di Ventimiglia”, cede, da e consegna ad un certo Giovanni Cavugio la gestione nello spirituale e nel temporale dell’Ospizio de Arena, il quale “lo riceve a onore di Dio e della Beata Vergine”.
Il Cavugio non è prete, ne monaco, ne templare, anche se al tempo l’Ordine templare era presente in Ventimiglia nel gestire la Domus Templii eretta fuori le mura della città e al Passo del Cornio su l’oltre giogo di Tenda.
La cessione da parte del vescovo è mirata; egli “riconosce e conferma quanto sarà fatto da lui Cavugio o da sua moglie come fosse egli vescovo presente e spera che sotto la di lui reggenza il detto ospizio riceva incremento”.
Nessun documento è rimasto per una storia dell’Ospizio, ne alcun accenno è rintracciabile tra i documenti della Curia, ma, da una attenta e ragionata rilettura di vari scritti attorno all’attività pastorale del vescovo Azzo, si deducono le ragioni della concessione fatta al Cavugio “sia nello spirituale che nel temporale”.
L’arcivescovo di Genova, Gualtiero, avendo Genova occupato la Rocca, il Colle e Castel D’Appio, aveva, senza licenza pontificia e senza richiesta al vescovo reggente, inviato due sacerdoti in Ventimiglia per l’assistenza religiosa degli occupanti. Tale disposizione significa violazione di potestà e di diritto ecclesiastico poiché Ventimiglia e il suo Vescovo erano sottoposti al metropolita di Milano e non a quello di Genova.
Il Vescovo Azzo vide nell’ingerenza del Gualtiero una manovra politica ghibellina che con il tempo avrebbe portato all’inserimento della piccola diocesi di Ventimiglia in quella di Genova. Venuto a conoscenza che il Gualtiero premeva presso Roma affinché preti cappellani fossero presenti in ogni distaccamento genovese nell’estremo Ponente, fece ricorso in Milano e in Roma. La vertenza si trascinò per due anni senza nulla di fatto, ma l’inflessibilità del vescovo Azzo, in attesa, diede luogo a nuovi atti più politici che religiosi.
La cessione dell’Ospizio ad un laico, se significava una rivincita alle pretese di Genova, fu un preavviso della fermezza del vescovo attorno a due problemi religiosi e politici che da un anno si dibattevano fra lui e il Governo di Genova.
Nell’anno 1262, per ordine del Capitano Boccanegra, il Comandante la piazza aveva fatto arrestare il canonico Giacomo de Gandolfi per alcune bravate notturne e porto di armi proibite senza dame notizie al Vescovo. Le rimostranze del presule non sortirono alcun effetto. Scrisse a Genova e, non avendo ottenuto soddisfazione, scagliò una solenne scomunica contro il comandante e lo stesso Boccanegra. Il canonico ottenne la libertà, ma uomo vendicativo, notte tempo si introdusse armato nella casa del comandante e ne ferì la moglie. Messo al bando finirà la vita in maniera tragica in Provenza mentre il vescovo viene accusato di protezione.
Azzo si difende, scaglia una seconda scomunica agli accusatori, indicandoli nemici della religione e terribili ghibellini, quando un nuovo fatto di sangue coinvolge la città. Il templare Galliana presso la Rocca ferisce a morte un inserviente nella guarnigione genovese.
Viene arrestato, ma lasciato subito in libertà, essendo, quale monaco templare, esente da ogni ingerenza civile. Si pretende che il vescovo Azzo lo condanni. Risponderà in una lettera: «Un vescovo di fede guelfa né sarà guardiano di un guelfo, né suo giudice, i templari sono della Santa Sede».
L’Ospedale “SANTO SPIRITO”
e il vescovo Galbiati - 1594
di Nino Allaria Olivieri - 1993
Rossi, nella «Storia della città di Ventimiglia», narra di fatti e istituzioni a volte secondarie, mentre si premura di passare sotto silenzio, o beneficia solo alcuni cenni, l’opera - unica e prima - che nella città dal 1300 al presente secolo fu, per diretti interventi degli stessi ventimigliesi, sollievo, speranza: «L’Aedes aut Hospitalis Sancti Spiritui», in Oliveto.
Sorto presumibilmente agli inizi del XII secolo con la Confraria detta dello Spirito Santo (che in Ventimiglia ebbe associati non solo nel ceto abbiente) fu di misera consistenza né poté espletare una coordinata e generale opera filantropica. Le notizie del Rossi sono telegrafiche: da alcuni rogiti notarili del 1445 e in altro rogito del 1457 fa egli menzione di Aprosio) e Malaverna quali «procuratores» dell’Ospedale e accenna come «nel 1694 era angusto e oltremodo nocivo ai poveri infermi».
Ben diversa la relazione e il giudizio del vescovo Galbiati in atto di sua visita pastorale alla città nell’anno 1594, il 20 agosto. È un giudizio sereno e pacato. Del Galbiati è nota agli storici la severità di alcuni giudizi espressi in visite precedenti e delle sempre drastiche sue imposizioni: assertore di riforma a norma del Tridentino, più volte si era scontrato con gli amministratori delle Confrarie erette in diocesi, decise a sottrarre il loro operato alla autorità ecclesiastica. Ne sorsero palesi rifiuti: a Castelfranco gli amministratori Asplanato e Millo adirono al foro civile e denunziarono il vescovo di usurpazione di poteri; in Dolceacqua non si vollero presentare i libri contabili né si vollero declinare i nomi dei due amministratori; Sospello, Piena, Camporosso con un libello giustificativo contrapposero ragioni di rifiuto.
Il Galbiati annota il tutto e comanda che «per ottenere chiarezza si abbia a porre una scritta dinanzi ad ogni Ospizio “Aedes et Hospitali S. S.”» e in luogo ben visibile sia dipinta una icona «seriosa, raffigurante lo Spirito Santo».
Nella relazione del 1594 nulla di tutto ciò: né lamentele di alcun ostacolo né duri consigli ed imposizioni. È pertanto da ammettersi che l’Ospedale di Ventimiglia fosse dotato all’esterno di ottima e visibile insegna.
Leggiamo quanto scrive in proposito: «Per primo fui accolto in platea Hospitalis ante ianuam dal cappellano e amministratori et imminenter visitavi sacellum seu capellam che trovai angusta ma atta e esortai di provedersi di un altare portatile con croce e due candelieri indorati ... per comodità dei poveri e degli altri, nei giorni di festa ...».
Visitò gli ammalati «et inveni novem lecta ornata copertis et pagliericis ac linteolis albis cum suis capitatibus» (e trovai nove letti ornati di coperte e pagliericci e lenzuoli bianchi con rispettivi cuscini). Entrò in altra camera nella quale v’erano altri due letti anch’essi ornati e puliti e seppe ch’erano ad uso degli eventuali pellegrini o religiosi. Salì al piano superiore, all’infermeria; nella prima stanza presso la porta osservò e toccò un letto ad uso della donna assistente e due armadi «pro rebus necessaris» al medico e alle medicine.
Nelle vicinanze altra stanza ad uso dell’infermiera di turno: vi era un letto e mobili «per usu dictae hospitaleriae». In ultimo si introdusse nella camera ben adorna di mobili utili al sacerdote e ne segnalò la semplicità propria di una Casa per l’assistenza ai poveri infermi.
La descrizione, anche se minuziosa, è di grande utilità e chiarezza per la storia: pur riconfermata la certezza della troppa esiguità dell’Ospedale, risulta oltremodo lodevole la ottima e oculata conduzione e disposizione dei locali interni e l’uso razionale del sito. Si apprende inoltre della assistenza di un sacerdote e della presenza continua di inserviente, di infermiera e di medico.
Del tutto il vescovo Galbiati avrà a lodarsene a chiusura della sua relazione; tuttavia non mancherà di sollecitare ed esortare a voler sempre operare con spirito di cristiana fraternità nel servizio dei poveri.
«Mandavi - egli scrive a ricordo dei suoi successori - hospitalitatem servari silicet, in ingressu in primo lavari et postea Santissima Sacramenta administrari, ceteraque alia pietatis et caritatis officia implendi» (Ho ordinato di osservare l’ospitalità, specialmente all’atto dell’ingresso e per prima cosa siano (gli ammalati) lavati e in seguito siano amministrati i santissimi Sacramenti e fatti gli altri offici di pietà e di carità).
Il richiamo all’ospitalità fraterna delinea l’opera specifica della Casa: accoglienza degli ammalati in extremis, estremamente poveri e abbandonati. La conferma della regola si deduce dal seguito della stessa relazione. Galbiati si informa sui redditi e dell’amministrazione. Il reddito annuo ammonta a 15 scudi per azioni della stessa Compera di San Giorgio; è titolare di un altro reddito proveniente da beni terrieri per scudi trentaquattro. Il tutto viene speso per l’assistenza dei poveri e degli infermi.
All’amministrazione dell’Ospedale erano preposti nel 1594 quattro nobili cittadini ventimigliesi eletti dal magnifico Consiglio della comunità in generale Parlamento: due amministravano per lo spazio di sei mesi dall’atto di nomina, mentre per il rimanente tempo gli altri due, prima di assumerne la direzione, dovevano fare opera di assistenza e di controllo, quali corresponsabili. Loro compito, sentito il parere degli amministratori in carica, era l’acquisto dei beni mobili e delle vettovaglie necessarie.
Il Galbiati paternamente ordina di essere solleciti e oculati. Misero capitale ma amministrazione onesta !!
(vedi Filza Galbiati, Visite 1594 - a.v.v.)
LA VOCE INTEMELIA anno XLVIII n. 7 - luglio 1993