AIROLE e COLLABASSA
Airöre antigamente l’eira in paise marbuscà,
ma mu ca ghè d’a gente l’à l’aspetu da çità.
Alla fine dell’Ottocento, in Collabassa sorsero contrasti tra la popolazione e il rettore della chiesa di San Clemente, tanto che lo stesso fu costretto ad allontanarsi dal luogo.
Gli abitanti della frazione di Collabassa che si fossero trovati in piazza ad Airole, il capoluogo, venivano così canzonati:
Culatin da l’arima persa, porta u cristu â ciriversa,
bategiai d’aiga de gé, che u segnù nu i po’ ciü ve’.
A significare che essendovi pochissima acqua nel luogo di Collabassa, gli abitanti erano costretti a riutilizzare l’acqua già usata per bollire le bietole.
I Collatini apostrofati così rispondevano:
Airurénchi taglia venchi , taglia testa â sigàra,
a bancheta sute â scara e u segliùn sute u barcùn.
Per porre in evidenza l’indigenza alimentare evitata mangiando cicale e lo scompiglio abitativo del capoluogo, dove si usava tenere il vaso da notte nel sottoscala e la secchia dell’immondizia sotto la finestra. Ad Airole dominava una massiccia presenza di piante di ginestra, che venivano tagliate per avere nuova terra da coltivare, onde cercare di ovviare al detto, riferito alla bassa Val Roia dove la fame ancora nidificava:
A vale l’è bona ma a fame gh’è nia.
>< “Liguria in parole povere” – SAGEP Genova 1998