Leggenda originaria
Gli scogli sulla spiaggia di Ventimiglia
Un tempo, la spiaggia “suta A Cola” non mostrava quella serie di scogli che hanno caratterizzato la Marina dell’Ottocento, sotto “u Munte d’ê Muneghe”: lo Scögliu Autu, la Margunàira, la Pria Naviglia e la Schina d’Ase. Neppure la darsena degli Scoglietti era costellata da quel gran numero di grosse pietre, sparse lungo la spiaggia, delle quali, qualcuna, ha persino un suo nome: La Ciapa, le Ciape e la Caréga.
Durante il Medioevo, nelle notti di tregenda, su quella spiaggia, le streghe del posto si davano appuntamento per ottemperare ad un preciso incarico demoniaco. Prendevano in prestito le barche dei pescatori del luogo per recarsi nottetempo in Algeria, dove andavano a fare il carico dei succulenti datteri magrebini, i quali, sui nostri lidi erano utilizzati per esercitare opportuni incantesimi.1
Quando l’ultimo degli abitanti, alla Marina, prendeva sonno, le streghe salpavano, spinte dalla tramontana che rendeva liscio il pelago, e in men che non si dica giungevano sulle coste algerine, dove le loro colleghe arabe le rifornivano dei saporiti frutti.
Per il ritorno si servivano di un provvidenziale libeccio che le riponeva sulla spiaggia ventimigliese, avanti che il primo dei pescatori si risvegliasse e potesse vederle, scoprendo i loro traffici.
Capitava sovente, però, che il provvido libeccio, durante la notte, si trasformasse in “rebossu”, una traversia prettamente ventimigliese che trova il mare squassato da ricorrenti marosi, alti, potenti ed allineati alla costa, tanto da non concedere alcun riparo per l’attracco.
Col rebossu, anche le streghe avevano grosse difficoltà per rientrare, e qualche volta erano riuscite a vincere i marosi, usando abbondanti dosi di magia, giusto in tempo per non essere scoperte.
Onde ovviare a futuri contrattempi del genere, le streghe decisero di costruire sul luogo un bel porto, che sarebbe stato usato anche dai pescatori, i quali forse avrebbero chiuso un occhio sui ritrovamenti di datteri, sul fondo delle imbarcazioni.
Il progetto prevedeva lo sbancamento di Punta della Rocca, col prelevamento di grossi scogli di pudinga da allineare sotto il “Monte d’é Muneghe”, così da costruire un lungo molo foraneo, a protezione dell’ampia darsena.2
Tutto doveva essere eseguito in una notte di tregenda; ovviamente senza essere viste da occhio umano, pena l’interruzione dell’opera. Le streghe accumularono una consistente quantità di magia d’ordine edificatorio, pronte ad eseguire il progetto alla prima occasione.
Una sera di novembre, nuvole minacciose cavalcavano da Ponente, rombanti tuoni riempivano la vallata della Roia, mentre fulmini e saette illuminavano a tratti tutto il pelago, fino alla Corsica. Era la notte adatta.
Con tutta l’acqua che veniva giù, i pescatori si erano rintanati nelle loro case, e presto avrebbero preso a dormire profondamente. Le streghe, ben equipaggiate dettero inizio ai lavori.
Grossi pezzi di pietra, staccati con un colpo netto dalla Rocca, venivano lanciati al volo verso le colleghe che li avrebbero sistemati lungo l’asse previsto. Già Scögliu Autu, Margunàira e Pria Naviglia erano state assestate; la Schina d’Ase, invece, era stata lanciata con troppa foga fino a terminare poco oltre l’asse stabilito.
Mentre le streghe sistematrici provvedevano a trascinarla al posto definito, Angelina uscì dalla sua casa della Marina, vide all’opera le streghe, ruppe l’incantesimo, provocando l’interruzione definitiva nell’edificazione del porto.
Povera Angelina, lo avesse saputo; ma il suo Pepin, di ritorno dalla pesca, aveva accennato ad un malore. Durante la notte, una febbre insopportabile le aveva suggerito di recarsi a chiamare il dottore, persino in quella notte tempestosa.
Le streghe erano contrariate da quel risultato, tanto che non provvidero neppure a mettere in ordine: gli scogli grossi restarono al posto acquisito, mentre i cascami di roccia, detriti dello sbancamento, rimasero sparsi ai piedi della Rocca. La costruzione del porto conosceva il suo primo rinvio.3
Quelle streghe continuarono i loro traffici notturni dall’Algeria, ma essendo già state scoperte preferivano eseguirli in notti tempestose, coi pescatori chiusi in casa. La mattina seguente ritrovavano le loro barche attraccate alla rinfusa e mal protette, ma soprattutto si incuriosivano sempre più sull’inspiegabile ritrovamento di datteri, negli interstizi poco evidenti, presenti sui fondi delle loro imbarcazioni.
Segundin, un giovane e intraprendente pescatore, volendoci veder chiaro, al manifestarsi d’una notte di tregenda, si unse il corpo con umori animali, per non farsi riconoscere, quindi si nascose nel carabottino di prora del proprio gussu, attendendo speranzoso.
Le streghe vennero e salparono, trasportandolo con loro in Algeria. Nel viaggio di ritorno si nascose sotto i grossi mucchi di datteri e da li, poté arrivare ad afferrare il lembo della gonna d’una di quelle megere; col suo coltello lo tagliò di netto e lo nascose.
Qualche giorno dopo, indagatore, si recò sullo spiazzo del Funtanin, a verificare l’andirivieni delle donne della Ciassa verso il lavatoio. Con malcelata sorpresa all’orlo della gonna di Peirineta mancava un bel pezzo di stoffa, proprio quello che lui aveva in tasca. Lo aveva sempre pensato che le ragazze di Ventimiglia praticassero la stregoneria.
1) Sull’argomento vedere la favola pignasca di: Dàteru, ber dàteru.
2) Il progetto delle streghe non si sarebbe discosto molto da quello di “Punta della Rocca”, il quale, probabilmente ha sofferto l’incantesimo attivato dagli argomenti della nostra leggenda.
3) “Cala del Forte” ha sfatato la malia, riuscendo a mettere ordine nel settore. La Margunàira è interrata e la Schina d’Ase è parte del vicino frangiflutti.
Leggenda trasmessa dalla professoressa Magda Viale Del Lucchese, che da bimba, l’ha ricevuta dalla affascinante verve di Bacì Lorenzi, pescatore. LA VOCE INTEMELIA anno LXII n. 12 - 2007
I scögli insci’a ciàsa de Ventemìglia
Lezéndia uriginaria