L O S C O G L I O A L T O
Per questa sua ipotetica funzione, resa in tempi di grande paura ove
l’idea del contagio scatenava le più assurde psicosi, cominciò ad
essere considerato un simbolo nefasto dal quale tenersi alla larga.
È noto quanto fosse radicata la credenza che a diffondere le
epidemie di peste e di colera partecipassero anche le streghe,
preparando un unguento malefico col quale “ungere” le porte delle
abitazioni al fine di propagare il contagio.
Lo Scoglio Alto uscì dalla paesaggistica
ventimi-gliese con un ultimo, grande “coup de théàtre” in quella
fatidica notte di febbraio. Quale data più nefasta di un 17-2-17,
per tutti coloro che vedono nella numerologia e nella Cabala il 17
come “disgrazia” ed in questo caso la disgrazia al quadrato !
Ultimo atto di un’esistenza legata al mondo della
superstizione e della magia.
Dopo questa data restò visibile ancora per molti anni, adagiato su
un fianco, come ce lo propongono le nostre cartoline, animato da
gruppi di bagnanti che lo utilizzavano quale riparo naturale. Il
moto ondoso ed il lavorio delle correnti, modificarono il fondo
della spiaggia, ove lo scoglio aveva le radici, fino a farlo
sprofondare nella ghiaia; alla totale scomparsa contribuì la
costruenda passeggiata Guglielmo Marconi, che ne coprì la parte più
a monte.
Di quei tre scogli che movimentavano
la spiaggia “de suta a Cola”, ci è rimasta la sola “pria
Margunaira”, a ricordarci di un tempo arcaico, popolato da
racconti di pescatori e popolani, autori-attori di storia e
leggenda, che i tempi moderni non riescono a far tacere.
Proviamo ad analizzare il toponimo: “Scögliu Autu”. Certo, i nomi
si modificano nel tempo, ma nelle filze dell’Archivio di Stato, e più
precisamente nel fondo antico, tale nome non risulta mai menzionato. Non
è presente neppure uno che gli assomigli per assonanza fonetica o per
similitudine di immagine. Guardando attentamente le nostre cartoline,
ecco scaturire un’ipotesi che potrebbe risolvere gli enigmi La
costruzione che appare immediatamente a margine della strada,
sovrastante la spiaggia dei tre scogli, è conosciuta dai ventimigliesi
come “u Lazaretu”.
Una teoria sostenuta da esperti in
archeologia tra i quali il suo ideatore, Sabatino Moscati, recita della
sovrapposizione dei luoghi, ovvero: si è constatato che sul sito ove
sorse in epoca arcaica un tempio, una fortificazione, un ponte o un
ospedale (lazzaretto), modificandosi i tempi, evolvendosi o cambiando i
culti, i relativi nomi vengono conservati. Neppure la nostra zona fa
eccezione a questa teoria. Ad esempio, pensiamo alle varie
riedificazioni della cattedrale avvenute a partire dal V secolo fino al
XIII, senza peraltro poter escludere la possibile esistenza di un
precedente tempio dedicato a Giunone, come descritto sulla lapide
rinvenuta dal Rossi e murata sulla parete di destra della chiesa stessa.
Intorno all’anno 1200 esisteva alla Marina un
ospedale detto “de Cardona”. Il 4 maggio 1263, il notaio
Amandolesio rogava un atto sulla riva del mare, per un tale che stava
per imbarcarsi; tale atto porta come indicazione del luogo “apud
cardona”. Se supponiamo che il lazzaretto fosse l’antico ospedale “de
Cardona” si potrebbe dedurre a quale uso fosse destinato lo scoglio
in questione: segnalatore notturno del luogo dove si concentravano i
malati da isolare, provenienti dal mare.
La Rocca delimita a ponente la baia degli “Scöglieti”. Da
questa alla foce del Roia si estende la spiaggia detta “de suta a Cola”.
Questa era il lido, per eccellenza, della città di Ventimiglia, in quanto la
costa di levante, oggi passeggiata a mare, era per lunghi tratti paludosa e
non poteva essere frequentata da barche, per la totale assenza di approdi e
di ricoveri. Quella spiaggia era caratterizzata da un gruppo di tre scogli,
così imponenti e suggestivi da essere entrati nella tradizione storica e
culturale del paese. Di questi scogli ne sopravvive uno solo “a pria
Margunaira”.
Il nome del secondo scoglio era “a pria Naviglia”
che naufragò nel 1932 a seguito di una paurosa mareggiata, il ricordo della
quale ancora sopravvive nella memoria dei più vecchi ventimigliesi. Questo
scoglio aveva un aspetto tondeggiante, con una lunghezza di quattro o cinque
metri circa, ed affiorava dall’acqua di circa un metro e mezzo. Il fatto che
la sua forma elissoide ricordasse la carena di una nave e fosse tutto l’anno
circondata dal mare, deve aver originato il nome di “Naviglia”.
Il terzo scoglio è stato certamente il più
importante, sia per le dimensioni, sia perché sarà il soggetto della nostra
breve ricerca: “u Scögliu Autu”. Da un punto di vista geologico la
sua composizione era un agglomerato di sassi ed arena solidificatesi in
epoca Quaternaria, ovvero: puddinga. Questo conglomerato roccioso pur avendo
l’aspetto estremamente duro, in realtà era assai fragile, in quanto
importanti vene calcaree ne compromettevano la struttura.
L’immagine “d’u Scögliu” ricordava un gigantesco obelisco di
un’altezza stimabile in circa sedici metri, di pianta quadrangolare, con
circa sette metri di lato. L’andamento rettilineo della sua forma, in
altezza, era interrotto da una gibbosità, nel lato a monte, sicché, secondo
le inquadrature che ce lo propongono in foto, assume l’aspetto di una
cariatide, tesa a sorreggere il Colle e l’antica città, con la sua schiena.
La sua posizione, arretrata rispetto agli
altri due scogli, faceva si che, durante la buona stagione, fosse circondato
dalla ghiaia e non dall’acqua, mettendo in evidenza come la sua sommità
fosse sede di un piccolo insediamento vegetativo. Eroso da una storia
millenaria di mareggiate, il gigante si adagiò la notte del 17 febbraio
1917, cessando così di costituire quel riferimento di mare e di terra, che
certamente era stato per decine di generazioni di ventimigliesi.
Esaminando le numerose immagini che di esso
ci sono pervenute, cercheremo di dare una spiegazione ed una giustificazione
alle storie che lo vedono protagonista.
Una attenta analisi
del nostro megalite, ci fa scoprire come sulla sommità fosse presente un
abbozzo di muratura a secco, quell’antica realizzazione muraria ligure
chiamata “maixé”. Nello spazio delimitato da questo piccolo terrazzo
avevano messo radici getti di olivastro e caprifico misti ad essenze erbacee
tipiche della gàrriga mediterranea. L’inaccessibilità del luogo pare
evidente, tanto da credere che la saggezza popolare non potesse comprendere
come un uomo dotato di normali facoltà utilizzasse quel luogo. Quindi legava
quelle vestigia a qualcuno che avesse poteri eccezionali: chi dunque meglio
di stregoni e streghe ? Nacque così il toponimo tramandatoci: “U giardin
d’ê Strie”.
Dei racconti delle notti di tregenda che lo
riguardano non si è ancora spenta l’eco, e certi interrogativi sono
destinati a restare irrisolti. Al di là della suggestiva immagine legata
alla leggenda delle streghe ve ne è una evidenziata da due cartoline
“viaggiate”, nei primi anni del secolo che descrivono lo Scoglio Alto come
un faro romano. Questa dicitura è presente sulla cartolina edita da
Annunziata Troglio. Sempre dello stesso periodo, ma di editore francese,
l’altra cartolina recita nella didascalia “Vintimiglia - La Plage - Rocher
Phare Romain, edition Giletta - Nice”.
L’opportunità che lo Scoglio Alto possa essere servito
in epoca romana quale “fallodio” per i porti-canale del Roia e del Nervia
non è certo ricusabile, ma neppure documentabile. Potremmo prendere per
possibile questa ipotesi sulla base della utilizzazione similare di
faraglioni, lungo le coste del mediterraneo (Capraia, Giannutri, Circeo ed
altri). Presumere che in epoca romana il nostro scoglio abbia avuto la
funzione di riferimento per il porto della Città Nervina, distante circa
quattro chilometri, è per lo meno forzoso. È più facile pensare ad un uso
quale faro in epoca medievale, quando la città risorse sul colle alle sue
spalle, ed un porto doveva trovarsi nella zona sottostante la chiesa di San
Michele, almeno stando ai riferimenti d’archivio ed al sopravvissuto
toponimo di “Lago”. Il condizionale è d’obbligo, in quanto nessuna campagna
di scavi archeologici si è mai svolta per poter appurare la reale esistenza
di detto approdo. La casualità ci ha restituito qualche reperto che
convaliderebbe questa ipotesi. Il Dottor Emilio Azaretti ha più volte citato
il ritrovamento di una grossa ancora nella zona del fiume antistante il
macello comunale, egli però non fece in tempo a vederla.
i p o t e s i
s u g g e s t i va
e
a n t i
c h e
t r a d i z i o n i
o r a l i
di
Pasquale Cudemo
La caduta dello Scoglio Alto ha privato la
spiaggia della Marina, "Suta a Cola", della più caratteristica e
voluminosa delle figure di rocce affioranti; ma già nel 1932, una
mareggiata aveva spianata una pietra: a Pria Naviglia,
alta un paio di metri e lunga quattro, dalla forma tondeggiante, che si
trovava sulla riva a levante dell'altro imponente scoglio e della Pria
Margunaira.
Esisteva un'altro scoglio, che
appariva a
filo d’acqua come un dorso animalesco,
ad una decina di
metri da riva, strutturato a foggia di
gobba arrotondata,
sorgendo per circa quattro metri dal fondale, con una forma allungata e
poco larga. Per questo era conosciuto come a Schina d'Ase, che oggi
forma il sostegno iniziale, verso il largo del molo frangiflutti, tra
"San Giuseppe e Stella Marina".