esaminata
attraverso la
grammatica storica del ventimigliese
Emilio
Azaretti
L'EVOLUZIONE DEI
DIALETTI LIGURI
Parte I -
FONETICA
- VOCABOLISMO TONICO - VOCABOLISMO ATONO - CONSONATISMO - FORME
DOTTE E PRESTITI -
DIVERGENZE DEGLI ESITI
PREVISTI - ORIGINE DEI FONEMI VENTIMIGLIESI
Parte II -
MORFOSINTASSI
- GRUPPO NOMINALE - GRUPPO VERBALE - PROPOSIZIONE E CONGIUNZIONI
- ORDINE DELLE PAROLE -
Parte III -
FORMAZIONE DELLE PAROLE
- SUFFISSI - PREFISSI - DERIVAZIONE SENZA AGGIUNTE -
CONTAMINAZIONE -
FORMAZIONI ONOMATOPEICHE
-
ADDENDA
Del testo appaiono i temi iniziali
e l' INDICE DELLE PAROLE DIALETTALI.
L'opera intera è forse recuperabile da EDIZIONI CASABIANCA - SANREMO,
nelle migliori librerie, ma certamente nelle biblioteche della
Liguria.
edizione
1982
Ho cercato tuttavia di inquadrare la materia in uno schema che
la renda comprensibile e interessante per il lettore di cultura
non specializzata, corredandola di un cenno storico, ricordando
sommariamente i principali fenomeni evolutivi che hanno portato
dal latino classico al tardo latino parlato e alle lingue
romanze occidentali e servendomi nel testo, sull’autorevole
esempio del Rohlfs, il meno possibile della trascrizione
fonetica e della nomenclatura glottologica, nella convinzione
che il valore della cultura sia legato anche alla sua
divulgazione e nella speranza che altri «laici», come me,
vogliano dedicarsi al salvataggio del prezioso patrimonio
culturale che si nasconde nei dialetti.
febbraio 1977
La lusinghiera accoglienza che ha avuto, da parte di molti
eminenti Romanisti europei, la prima edizione del volume, ci ha
indotti a preferire alle ristampe, che la richiesta rende
necessario, la compilazione di una seconda edizione riveduta e
corretta, alfine di eliminare, almeno in parte, le manchevolezze
del testo.
In particolare, oltre alla correzione dei singoli paragrafi,
sono stati integralmente rivisti i richiami degli indici delle
Basi e delle Parole dialettali, è stata compilata una Addenda,
contenente l’integrazione di alcuni paragrafi, l’aggiunta di
numerose nuove proposte etimologiche e di un indice degli Autori
citati.
Spero che i miglioramenti apportati alla nuova edizione, grazie
anche alle osservazioni che mi sono state fatte e che ho
ricordato nell’Addenda, siano apprezzati dai lettori e sarò
naturalmente riconoscente per ogni ulteriore rilievo che mi sarà
indirizzato.
Ventimiglia, febbraio 1982 Emilio
Azarettì
Del vasto territorio compreso fra l’Arno, l’arco alpino e la
Catalogna dominato dalle tribù liguri prima delle invasioni
galliche e della conquista romana, la Liguria marittima è stata
certamente, per l’isolamento dovuto alla conformazione
orografica e alla povertà del suo territorio che ha precluso la
sovrapposizione di altri elementi etnici, la regione che ha
conservato meglio l’eredità, soprattutto di natura fonetica, che
la lingua parlata dagli antichi Liguri, ha lasciato ai moderni
dialetti romanzi.
Ed è ancora l’isolamento da influenze esterne che spiega la
stretta parentela conservata attraverso i secoli da questi
dialetti, malgrado lo sviluppo lineare della regione, che esalta
le distanze fra i vari centri, e la precarietà delle
comunicazioni stradali durata fin quasi ai nostri giorni,
compensate tuttavia in parte da un vivace intercambio via mare e
dalla ridotta profondità dell’entroterra.
L’evoluzione dei diversi dialetti liguri si presenta perciò
sostanzialmente simile, malgrado la diversa graduazione nel
tempo dei fenomeni che la caratterizzano, accelerati al massimo,
dal fattore demografico, nella metropoli genovese e per riflesso
nei dialetti del suo gruppo, più lenta nei centri costieri
periferici e più ancora nel loro entroterra.
Il dialetto di Ventimiglia e i dialetti delle valli intemelie e
dell’isola linguistica del Principato di Monaco si prestano
perciò particolarmente, per le loro caratteristiche arcaiche,
alla comprensione dei fenomeni che hanno caratterizzato le fasi
più antiche di questa evoluzione, permettendo un’utile confronto
non soltanto con gli altri dialetti dell’attuale Liguria, ma
anche con quelli dell’antico dominio ligure padano, eccitano e
della Catalogna.
Lo scopo che mi sono proposto con questo lavoro, in un periodo
in cui i moderni mezzi di informazione audiovisiva, l’istruzione
obbligatoria e la crescente mobilità demografica stanno
rapidamente alterando o addirittura distruggendo i dialetti, è
principalmente di documentazione.
rivista il :
06 marzo 2013
INTRODUZIONE
Gli
stessi motivi di sicurezza hanno dato luogo, dopo la
conquista, ad una generosa politica di Roma verso i liguri
marittimi, che secondo la testimonianza di Strabene (IV,
203), ebbero rapidamente la cittadinanza romana e assistenza
contro le scorrerie dei liguri alpini, i quali più tardi,
dopo la sottomissione, verranno aggregati ai centri
costieri.
Nel 49 a.C., da una lettera di M.C. Rufo a Cicerone (Ad.
fam. VIII, 15), si ha il quadro di una Ventimiglia, che
Strabene (IV, 6, 1) definisce città piuttosto grande,
politicamente romanizzata, nella quale il latino doveva
essere già capito e parlato, come seconda lingua, da una
parte della popolazione. Eretta in Municipio che estendeva,
dopo l’aggregazione dei Liguri Alpini, la sua giurisdizione
dal tratto di costa compreso fra Monaco e Sanremo al crinale
del Colle di Tenda, segue ormai le sorti dell’Impero Romano
e, con l’affermarsi del Cristianesimo, nella sua
circonscrizione viene creata una diocesi, suffraganea fino
ali’XI sec. di Milano.4
Dopo l’effimero dominio degli Ostrogoti (493-553) e la
riconquista dell’Italia da parte dell’imperatore d’Oriente
Giustiniano, i bizantini, che erano soprattutto una potenza
navale, ebbero nella Liguria marittima uno dei più durevoli
domini e i Longobardi, che verso la metà del VI ° sec. si
erano impadroniti della Liguria Padana, che da loro prenderà
più tardi il nome di Lombardia,
5
conquistarono la Liguria marittima soltanto nel 638,
mantenendovi il loro dominio fino al 774.
Alla dominazione longobarda segue quella dei Franchi che, ad
opera di Carlo Magno, fondano il Sacro Romano Impero, con
un’amministrazione feudale, in seno alla quale il territorio
dell’antico Municipio romano viene aggregato alla Marca
Arduinica ed eretto in Comitato di Ventimiglia, che anche
dopo la caduta dei Carolingi (887) continuerà fino al XII
sec. a mantenerne saldamente l’unità.
Sul finire del X sec. anche in Liguria cominciano ad
affermarsi nei principali centri i Comuni autonomi che
contendono il potere ai Signori feudali e Ventimiglia
conosce un periodo di benessere, caratterizzato da intense
relazioni commerciali con l’occidente mediterraneo e con la
Val Padana.
Nel corso del XII sec. il potente Comune di Genova, geloso
della concorrenza delle altre città liguri nei commerci
marittimi, ne persegue l’assoggettamento riuscendo a
completarlo con la resa di Ventimiglia, sottoscritta nel
1251, dopo oltre cent’anni di lotta.
L’espansionismo genovese fu però contrastato dai Conti di
Provenza, che aspiravano anch’essi ad aggregare ai loro
domini la Contea di Ventimiglia e ne seguì, col trattato di
Aix del 1262, per la prima volta, una spartizione nel suo
territorio che lasciò a Genova Ventimiglia con le sue ville,
la bassa Val Roia fino alla Penna, la Val Nervia salvo Pigna
e la Rocchetta passate alla Provenza assieme a Breglio,
Saorgio e Fontano nella media Val Roia, Sospello e Molinetto
nella Val Bevera. Tenda e la Briga restavano in possesso dei
Conti di Ventimiglia; Mentone e Roccabruna, attraverso varie
vicende, venivano invece incorporate nel Principato di
Monaco, sorto alla fine del XII sec. ad opera della famiglia
genovese dei Grimaldi.
Seborga, donata dai Conti di Ventimiglia ai Monaci di
Lerino, all’inizio dell’XI sec., era stata eretta anch’essa
in principato e nel 1270 i Doria fondavano in Val Nervia il
Marchesato di Dolceacqua.
Dopo una effimera riunificazione della Contea, eretta in
Vicaria di Provenza da Re Roberto d’Angiò nel 1335, i
Savoia, divenuti nel 1388 padroni di Nizza, sostituivano i
provenzali anche nei domini della Contea di Ventimiglia e la
riconfermata spartizione durerà fino all’inglobamento della
Repubblica di Genova nel Regno di Sardegna nel 1815,
rinnovandosi nel 1860 con la cessione di Nizza alla Francia,
alla quale passano anche Mentone e Roccabruna, staccatesi
dal Principato di Monaco, e nel 1946, a conclusione della 2"
guerra mondiale. Tenda, la Briga e parte del territorio di
Olivetta San Michele.
1)
L’insieme di questi territori verrà indicato nella
grammatica come antico dominio ligure e la sola parte
italiana come antico dominio ligure italiano.
2) N.
Lamboglia, - La prima fase delle guerre romano-puniche.
3) N.
Lamboglia - Le guerre romano-ingaune e la romanizzazione
della Liguria di
Ponente.
4) N.
Lamboglia, - Le unità stanche e amministrative della
Liguria occidentale.
5) Nel
medioevo col termine di Longobardia si indicava la parte
dell’Italia settentrionale e centrale sottoposta al dominio
longobardo, ma l’attuale Lombardia veniva ancora considerata
terra ligure, come testimonia il poema Ligurinus del 1187,
che celebra le imprese di Federico Barbarossa contro i
liguri di Milano e dell’attuale Lombardia.
Cenno storico
§ 1 - Anteriormente all’espansione gallica ed etrusca,
l’antico popolo preindoeuropeo dei liguri occupava, secondo
la testimonianza degli storici greci e romani, un vasto
territorio che copriva in Italia le attuali regioni del
Piemonte, della Lombardia, della Liguria, parte dell’Emilia,
la Toscana a nord dell’Arno (Polibio, II, 6) e si estendeva
inoltre alla Francia meridionale, alla Catalogna e alla
Corsica (Seneca, Consolatio ad Helviam, VII, 9).1
Le bellicose tribù dei Galli, di origine indoeuropea, già
esperti nella lavorazione del ferro, penetrano in Francia a
varie riprese fra il 700 e il 400 a.C. e nell’Italia
settentrionale, attraverso la Rezia, a partire dal 500 a.C.,
impadronendosi delle zone pianeggianti più fertili
dell’Emilia, della Lombardia e del Piemonte e facendone la
base delle loro scorrerie predatorie, che grazie alla
superiorità di armamento e di organizzazione militare gli
permetteranno di spadroneggiare, durante un paio di secoli,
nelle ricche regioni dell’Italia centrale, devastando, verso
il 390 a.C., la stessa Roma.
Malgrado questa loro predominanza, riconosciuta dai romani
anche nel dare il nome di Gallia Cisalpina all’intera Italia
settentrionale, dovette trattarsi di un «Herrenvolk» di
scarsa consistenza demografica che prefigurò in certo senso
le caratteristiche degli invasori germanici alla caduta
dell’Impero Romano e, anche dopo l’invasione gallica, gran
parte dei territori montuosi della Val Padana
centro-occidentale, l’attuale Liguria e l’Appennino
tosco-emiliano resteranno sotto il dominio ligure fino alla
conquista romana.
La natura povera e impervia delle valli alpine e
appenniniche e della Liguria marittima e la stessa cultura
dei Galli legata alle pianure continentali e aliena dalla
navigazione marittima spiegano l’instaurazione, dopo lo choc
dell’invasione, di un durevole e relativamente pacifico
condominio delle tribù liguri e galliche dell’Italia
settentrionale.
Nei territori dominati dai Galli, il modus vivendi tra le
due stirpi ha portato in qualche caso addirittura alla loro
fusione in tribù celto-liguri, mentre, sotto la spinta del
crescente espansionismo romano, nasceva l’alleanza fra i
galli e le tribù liguri indipendenti della Val Padana, come
appare dal comune appoggio fornito ai Cartaginesi nel corso
delle guerre puniche e dal trionfo riportato da P. Furio
Filo nel 223 a.C. de Galleis et Liguribus, che doveva
preludere alla conquista romana della Gallia Cisalpina,
trasformata in provincia nel 222 a.C. e incorporata
nell’Italia nel 42 a.C.
2
Anche nella Francia meridionale, dove si era formata una
sorta di simbiosi fra le popolazioni autoctone di stirpe
ligure, dedite all’agricoltura e alla pastorizia, e i coloni
greci di Marsiglia, con le loro città satelliti, fra cui
Antibo e Nizza, dediti alla navigazione e al commercio, la
penetrazione gallica veniva contrastata dai romani, su
richiesta degli alleati marsigliesi, con la conquista
dell’antico territorio ligure e la sua costituzione, nel 120
a.C., in Gallia Narbonense.
In Italia, sottomessi i Galli cisalpini, restavano ormai
come potenziali avversar! di Roma soltanto i Liguri
Appenninici e Alpini e, ad eccezione dei Genuati e dei
Lunensi, quelli della Liguria marittima, fra i quali gli
Ingauni di Albium Ingaunum (Albenga) e gli Intemeli di
Albium Intemelium (Ventimiglia) che erano stati anch’essi,
come i liguri della Val Padana, alleati dei Cartaginesi e
che continuavano inoltre ad esercitare la pirateria a danno
soprattutto dei greci di Marsiglia, alleati di Roma (Tito
Livio, XL, 18).
Questo intralcio delle comunicazioni marittime con Marsiglia
e con la Spagna, il desiderio dei Romani di sostituirle con
una sicura alternativa stradale, assieme al disegno
strategico di portare il confine di un’Italia interamente
romanizzata alla cerchia alpina, spinse i Romani alla
conquista della Liguria marittima, conclusa nel 180 a.C.
3 con
la quasi contemporanea sottomissione degli Apuani e degli
Intemeli, alle due estremità della regione, mentre soltanto
il 16 a.C. l’Imperatore Cesare Augusto potrà portare a
termine la sottomissione delle tribù liguri abitanti nelle
valli alpine.
Che tutte queste regioni continuassero ad essere
preponderantemente abitate da popolazioni liguri, anche dopo
la conquista romana, è chiaramente indicato dalla divisione
augustea del territorio già appartenente alla Gallia
Cisalpina in regione Liguria, fra il Mar Ligure e il
Po e Transpadana, fra il Po e le Alpi, e da quella
successiva di Diocleziano, che ribattezzò Alpi Cozie
la Liguria augustea e denominò Liguria ed Emilia la
precedente Transpadana, alla quale era stata aggregata gran
parte dell’Emilia.
Suoni del ventimigliese e loro notazione
Benché, come gran parte dei dialetti dell’Italia
settentrionale, il ventimigliese non abbia consonanti
geminate, la grafia tradizionale impiega tuttavia rr
per indicare una r italiana (apicale vibrata)
semplice in posizione intervocalica, in contrapposizione
alla [
ř ] palatale, indicata con r.
Analogamente ss rappresenta il suono della s
sorda semplice intervocalica, che viene inoltre notato
con s all’inizio di parola e dopo consonante e in
certi casi
3 con ç in inizio di
parola, dopo consonante e fra vocali.
La s sonora [
z
] si trascrive con s in posizione intervocalica,
con z all’inizio di parola, dopo consonante e
qualche volta
4 per motivi
etimologici, in posizione intervocalica.
La fricativa prepalatale sorda [
š
] si scrive col digramma sc
oltre che davanti alle vocali palatali, come in
italiano, anche davanti all’affricata palatale sorda [
č
], con sci davanti alle vocali velari, mentre
viene rappresentata con una semplice s davanti
alle consonanti occlusive sorde, perché in questa
posizione assume un suono fricativo palatale, benché
assai meno marcato, che indico col simbolo fonetico [
š ].
Per adeguarmi alla grafia tradizionale dei dialetti
liguri, trascrivo la fricativa prepalatale sonora [
ž
] con x
5 e, come per la
fricativa sorda, con s davanti alle occlusive
sonore, anche in questo caso, con suono palatale
attenuato indicato col simbolo fonetico [
ż
].
Infine la l palatale [
ĺ ], notata come in italiano col nesso gli,
ha un suono intermedio fra quello delle corrispondenti
palatali italiana e francese, con tendenza in
quest’ultimo secolo a passare dalla pronuncia italiana a
quella francese [
ĺ> y
].
Darò nel seguente prospetto i simboli fonetici di
ciascun suono, seguiti da esempi in italiano o in altra
lingua e accanto le corrispondenti lettere usate nella
grafia locale con esempi in dialetto e la relativa
trascrizione fonetica fra parentesi.
NOTE:
1)
Malgrado che la grafia locale delle occlusive velari e
delle affricate palatali [k, ğ, č, g] corrisponda a
quella italiana, le riporterò nel prospetto, per
facilitare la consultazione della grammatica al lettore
straniero.
2)
Al fine di rendere più omogenea la trascrizione,
adopererò ö in luogo dell’œ della grafia
locale.
3)
La ç viene usata per indicare il suono della s
sorda negli esiti di C+I, E: CENTU > çentu;
EXTORCERE > storçe, DULCE > duçe, RECIPERE
> riçeve e nelle forme dotte che continuano il
nesso TJ intervocalico: VITIU > viçiu, GRATIA >
graçia, JUSTITIA > giüstiçia, ecc.
4)
La z viene usata per indicare il suono della s
sonora nei continuatori di J, DJ, GJ, G+I, E: JOCU >
zögu; PLAGEA > ciaza; SPONGIA > spunza,
GELARE > zerà, LEGERE > leze; PODIU >
pözu, ecc.
5)
Nella grafia locale, concordata a suo tempo fra i
collaboratori de «A Barma Grande» si adopera la j
francese.
In
considerazione del carattere di questo studio, per rendere
più facilmente riconoscibili, al lettore che non ha
famigliarità con la trascrizione fonetica, le parole
dialettali riportate, impiegherò normalmente la notazione
del dialetto usata localmente, che corrisponde in genere,
per i suoni che sono comuni, all’ortografia dell’italiano
letterario, limitandomi a riportare fra parentesi qualche
esempio di trascrizione fonetica.
Darò perciò una breve illustrazione della grafia locale,
soprattutto per i suoni che non esistono in italiano
1 e il diverso uso di alcuni segni
ortografici italiani, seguita da un prospetto riassuntivo.
Il ventimigliese ha otto vocali: a, è, é,
i, u, ü, o, ö, che
vengono trascritte a, e, e, i,
u, ü, o, ö.
2
Le prime cinque suonano come in italiano, la ü come
in francese e in tedesco, la o ha soltanto un suono aperto,
di apertura tuttavia inferiore a quella della corrispondente
vocale italiana e francese, mentre il suono dell’arrotondata
anteriore ö si avvicina a quella delle corrispondenti
arrotondate chiuse francesi e tedesche.
Davanti a consonante nasale divenuta finale, e in minor
misura davanti a nasale implosiva interna, le vocali toniche
subiscono una leggera nasalizzazione, rendendo con n velare
la seguente consonante nasale.
Le vocali atone non subiscono mai indebolimenti simili a
quello della e muta, ma conservano la loro normale
articolazione.
Infine, una importante particolarità del ventimigliese, che
lo accomuna assieme al monegasco ai dialetti provenzali, è
la mancanza di una percettibile quantità, non soltanto nelle
vocali atone, ma anche in quelle toniche.
Per quanto riguarda le consonanti, possiede, oltre a quelle
dell’italiano, all’infuori delle due z, la fricativa
palatale sonora [
ž ] (j francese), e una [
ř
] palatale con suono intermedio fra r e l.
Dai dialetti del ligure antico ai dialetti
romanzi
L’assimilazione di questo patrimonio linguistico
straniero avviene naturalmente attraverso una fase
generalizzata di bilinguismo comportante adattamenti al
sistema fonetico dell’antico ligure e si conclude con la
formazione di nuovi dialetti, definibili come dialetti
protoromanzi. Probabilmente, questi dialetti, propri,
come ancor oggi avviene, di ciascun nucleo abitato,
erano il mezzo di espressione correntemente usato dalla
quasi totalità della popolazione, come avveniva ancora
lo scorso secolo con i dialetti moderni.
Soltanto nei centri urbani, sede di uffici
amministrativi e di scuole, giungerà anche il latino
letterario, che resterà tuttavia limitato alla piccola
cerchia dei funzionar! e dei notabili locali e verrà
preponderantemente usato negli scritti.
Si produce in sostanza un fenomeno analogo a quello in
atto da qualche secolo in Europa, all’interno dei
diversi stati nazionali e in particolare dell’Italia,
arrivata da poco all’unità politica, che è iniziato in
qualche regione addirittura con una particolare forma di
diglossia fra la gente che parlava e comprendeva
soltanto il dialetto e la classe colta che parlava anche
la lingua nazionale, trasformandosi poi in bilinguismo
dialetto-lingua italiana che tende a passare,
attraverso i vari italiani regionali condizionati
dal substrato dialettale, oggi esistenti, ad una futura
lingua nazionale unificata.
Naturalmente queste trasformazioni sono molto più facili
e rapide all’interno dei moderni stati nazionali di
quanto lo fossero nell’antichità, non soltanto perché la
lingua letteraria e i dialetti appartengono in genere
alla stessa famiglia, mentre nell’Impero romano e nella
stessa Italia il latino doveva per lo più sovrapporsi a
lingue estranee, come è appunto il caso del ligure, ma
anche per la estrema mobilità delle popolazioni moderne,
per l’istruzione obbligatoria, la stampa e tutti i mezzi
di comunicazione audiovisiva che stanno accelerando
enormemente il processo di trasformazione e di
unificazione linguistica.
Nel VI sec., al momento della disgregazione dell’Impero
Romano, dove permaneva una condizione di diglossia tra
il latino parlato e le lingue autoctone, come in Africa,
in gran parte dell’Impero d’Oriente e nei Paesi
germanici, la cessazione della dipendenza da Roma
porterà a una rapida scomparsa del latino; in Italia, in
Francia, nella penisola iberica, nel dominio retoromanzo
e rumeno dove invece i dialetti autoctoni erano
scomparsi, rimangono in uso, accanto al latino
medioevale chiesastico e notarile, i dialetti
protoromanzi che li avevano sostituiti, ciascuno dei
quali seguirà da questo momento una particolare
evoluzione, condizionata dalle nuove relazioni
politico-commerciali, sfociando qualche secolo più tardi
nei dialetti romanzi, qualcuno dei quali si
nobiliterà in lingua letteraria.
§ 2 - Il poco che si conosce della lingua parlata dagli
antichi Liguri è dovuto a nomi di luogo e di persona, a
qualche citazione di scrittori latini ed a particolari
suffissi usati soltanto nelle regioni che formavano l’antico
dominio ligure (v. Cenno storico). Un’ulteriore fonte di
parole di possibile provenienza dal ligure antico è fornita
dal patrimonio linguistico preindoeuropeo esistente nelle
lingue e nei dialetti di queste regioni, la loro
attribuzione è tuttavia quantomai difficile e aleatoria.
L’apporto di parole (lessicale) del ligure antico ai moderni
dialetti della Liguria italiana e a quelli delle altre
regioni già abitate dagli antichi Liguri è perciò nel
complesso modesto, trattandosi in ogni caso di dialetti
romanzi, il cui patrimonio lessicale proviene quasi
interamente dal latino tardo parlato. Il substrato preromano
ha invece agito sulla loro evoluzione fonetica, come mostra
la varietà degli esiti di una stessa parola latina, nelle
diverse lingue e dialetti romanzi.
Nel V sec. a.C. i Latini, discendenti di una tribù
indo-europea che si era stabilita nel Lazio in epoca
preistorica, avevano iniziato l’espansione che doveva
portare alla creazione dell’Impero Romano.
All’inizio del III sec. a.C. il crescente potere politico di
Roma e gli apporti culturali etruschi e greci creano i
presupposti per la formazione, sul ceppo del latino parlato,
di una lingua letteraria, che gli scrittori e i grammatici
dei due secoli successivi dovevano affinare e fissare in una
precisa fisonomia fonetica e morfosintattica, richiesta dal
suo ruolo di lingua ufficiale del vasto dominio romano. Ma
il latino parlato, semplice e schivo delle sottigliezze
grammaticali, continua ad essere la lingua usata dal popolo
e sarà questo il latino proposto dai soldati e dai coloni
romani alle popolazioni delle nuove province conquistate.
Nella Liguria marittima, dopo la conquista romana conclusa
nel 180 a.C., vengono usate due lingue (condizione di
diglossia), il latino popolare, parlato in un primo tempo
soltanto dai soldati, e le varietà tribali del ligure,
parlate dalle popolazioni autoctone. Poi, con i progressivi
rapporti di convivenza che si vanno sviluppando, con la
trasformazione dei soldati in coloni, con i matrimoni misti,
l’arruolamento di persone del luogo nella milizia e nella
burocrazia romana, il latino si fa gradatamente strada per
necessità pratiche fra la popolazione locale.
Alcuni fra gli autoctoni diventano bilingui facilitando
l’intercambio fra la popolazione locale e i conquistatori e
iniziando così il lungo processo di latinizzazione
dell’antico ligure. Come sempre accade in simili casi
saranno state in primo luogo mutuate dal latino le parole
per indicare oggetti, tecniche, rapporti amministrativi e
sociali propri della cultura romana e inesistenti nella
lingua autoctona. Sarà seguita una progressiva sostituzione
delle parole liguri con le corrispondenti parole latine,
causata dal crescente intercambio e anche dal vezzo di
nobilitare il proprio dialetto con espressioni della lingua
ufficiale.
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