Nell’appendice al Glossario Medioevale, però, è più ampio, ma
è allora che ci mette in guardia del disprezzo dei Brigaschi.
Figonus (appellazione di dispregio, onde venivano chiamati nelle
diocesi di Ventimiglia e d’Albenga operai randagi, un quid simile
del Cici del Triestino, colla differenza per altro che mentre
questi erano famigerati pei ladronecci (vedi Cameroni ecc.)
quelli erano rinomati per infìngardagine.
"Lo Senequier" (Les patois de Biot, Vallauris, Mons et
Escragnoles, Nice - Malvano Mignon - 1880) ristringe ad una
località posta ad occidente del comune di Ventimiglia la stanza dei
Figoni; ma documenti comprovano che tale appellativo si
estendeva ed abbracciava la diocesi di Albenga. Nel quaderno,
conservato negli Archivi di Stato in Genova, dell’anno 1520
intitolato Corsicae Fabr. Adiacii, nel quale sono registrati i nomi
degli individui che in detto anno abbandonarono la Liguria per
recarsi a ripopolare Aiaccio in Corsica, col nome di Battista
Lanteri da Porto Maurizio, unus ex conductorum familiarum
missarum a M.° Officio ad habitandum in presenti loco Adiacii,
sono registrati con alcuni pochi di Bajardo, e Vallebona (della
diocesi di Ventimiglia) uomini di Pietralata, Boscomare, Alassio,
Andagna e di Cosio jurisdictions Albingane.
Ebbene in detto sommario si legge: Racio grani siculi, cum
armis missis per M.° Officium pro subvenendis familiis figonorum
nuper missis. Dal quale si evince che Figoni erano
appellati i girovaghi abitanti di queste due regioni, che andavano
in cerca di sorte migliore.
Questo è quanto dice il Rossi, mentre noi diciamo ai
Brigaschi: «Non è il caso di fare di ogni erba un fascio, ed
aggiungiamo, deducendo, quel Battista Lanteri da Porto Maurizio, con
un tal cognome, tipicamente Realdese, perché si mescolava coi tanti
disprezzati Figun. Ma non ve ne vogliamo».
Sul n° 6
anno IV della rivista "Etnie", pubblicata a Milano, ho letto, con grande
interesse, la relazione etno-antro-pologica, curata da Pierleone
Massajoli : I Brigaschi: Una nuova minoranza ?
L’autore, notissimo ricercatore, si dice mosso a questo particolare
impegno, dal canonico Guido Pastor, assiduo collaboratore della "Voce",
e sull’articolo traccia per grandi linee i risultati del suo studio
sincronico e astorico, ma ci rimanda al volume "Cultura Alpina in
Liguria - Realdo e Verdeggia", che la Sagep di Genova sta per
distribuire, entro l’anno.
In questo preciso momento, nel quale la comunità Brigasca, sta
ritrovando le proprie radici, e la decisa volontà etnica, per mano di
figli emigrati, fondatori di un movimento che si riconosce, per ora, in
una rivista ciclostilata, del resto interessantissima, dal titolo ‘R NI
D’AIGURA, che regolarmente riceviamo, uno studio di queste dimensioni è
il toccasana per il decollo del valoroso movimento. Ed è proprio in
questo momento, cioè prima che si cominci, che intendiamo mettere le
cose in chiaro, noi abitatori della Liguria, che stiamo da Triora in giù
fino ad un punto non ben determinato, esclusi i genovesi.
Sì ! Lo sappiamo che i Brigaschi ci definiscono
Figun, con evidente disprezzo, ma non per questo ci plachiamo, solo
perché il Massajoli, evidentemente a scopo diplomatico, traduce Figun
come: "mangiatori di fichi".
Non è proprio così ed anche se per aderire ad un armistizio, che
permetta ad entrambi di portare a termine la comune battaglia per la
salvaguardia dei dialetti, delle lingue e dell’etnia, facciamo conto di
credervi, ben sappiamo come veniva considerato in passato il termine
Figun.
Ed è Girolamo Rossi che ce lo documenta sul suo Glossario
Medioevale Ligure: nella parte "Glossario del dialetto" al
termine Figone dice: "servo" e riporta "Denegata ingiustamente
tale licentia a tale servo o serva, fante o fantesca, figone o famiglio"
(Stat. Padri, pag. 132).
Possiamo, pertanto, dire che figùn ha riacquistato e
conservato, fra i suoi vari significati, soltanto quello, un po’
scherzoso, di abitante della Liguria occidentale, terra produttrice
di fichi.
* * * *
.
Ma, se fra i tanti figùi del
passato, prendiamo, ad esempio, quelli della ristretta zona ad
occidente di Ventimiglia, posta a ridosso della frontiera, troviamo
che la loro terra era chiamata addirittura Figounìa (Mistral
TRESOR DOU FELIBRIGE, 1° 1151) e che, per i provenzali, figoun
era un Habitant de Figounia, hameau de la commune de
Vintimille mentre Lou figoun era il patois qu’on parle
a Figounìa et dans quelques localités des environs de Grasse, telles
que Mons et Escragnolles: c’est une corruption du génois.
Per i monegaschi, i figunin erano les habitants de
Grimaldi et de ses environs (L. Frolla DICTIONNAIRE
MONEGASQUE-FRANCAIS, pag.135). E.R. Arveiller (ETUDE SUR LE PARLER
DE MONACO, pag.65) aggiunge: quand un enfant avait un langage
traìnant, on lui faisait honte en lui disant: "parli ‘kum u figu’ni";
tu parie comme un habitant de Figunia; il s’agii d’un hameau
dépendant de Vintimille. Da ricordare ancora che, nel passato,
la passeggiata domenicale dei mentonaschi a Grimaldi era definita:
andà in Figunìa.
Quanto alla Mortola, i suoi figùi non erano meno conosciuti,
non soltanto come venditori di fichi, ma come pascolatori abusivi di
capre nel territorio dei mentonaschi suscitando le vivaci proteste
di questi ultimi: Les récriminations soni faites bien souvent a
rincontro des "FIGHONS" habitants de la Mortala, hameau génois, qui
laissent paìtre leurs chèvres au quartier des Cuses [.....] (LA
VIE A MENTON SOUS LA REVOLUTION ET L’EMPIRE, Annales de la Société
d’Art et d’Histoire du Mentannais, pag.75).
Nella stessa opera, in nota n° 487, si dice: Lamboglia (N.)
essaie de definir le sens du nom "Fighons" donne alors en Provence
aux hommes qui venaient de la Ligurie. Il pense que c’était parce
que ces derniers avaient coutume d’apporter une corbeille de figues
a ceux qui les accueillaient. Durbec (J.A.) constate l’existence de
cette coutume a Cannes dans la première moitié du XV siede où des
éléménts ligures commencent a s’infiltrer dans cette localité (Recherches
régionales 1976, n" 2, p.63).
.
* * * *
.
Questi, dunque, erano i figùi d’una
volta, i quali non è detto trascorressero tutta la vita a vendere
fichi o a svolgere mansioni subalterne. Qualcuno di essi - più
intraprendente e fortunato degli altri - durante le peregrinazioni,
trovava il modo di sistemarsi, migliorava la propria condizione
sociale o faceva fortuna dimenticandosi però - da buon parvenu - dei
suoi compagni meno favoriti dalla sorte. Lo diceva anche il
proverbio: Candu u figùn u munta in sciu u figu, u se ne fute de
l’amigu.
Dal
Glossario Medioevale Ligure di Girolamo Rossi, apprendiamo che il
significato (o i significati) del termine figùn, rivolto agli
abitanti del Ponente Ligure anche dagli altri Liguri, sarebbe:
mangiatore e venditore ambulante di fichi, ma anche servo, girovago e,
qualche volta, magari ladruncolo, per necessità o per le occasioni che
la vita randagia e zingaresca offriva.
Pierleone Massajoli, studioso di cultura brigasca, diceva
che, nel termine figùn, non è insito alcun significato
spregiativo per i liguri della costa. Lo stesso segnalava che lo stessi
termine era usato anche ad Ottone, in provincia di Piacenza, dove i
liguri si spingevano a vendere i loro fichi.
Trattandosi evidentemente di liguri del levante, fa specie
che il Plomteux, così attento alle voci di quell’area linguistica, non
riporti il termine figùn nella sua opera I DIALETTI DELLA LIGURIA
ORIENTALE ODIERNA, Patron 1975.
Ma, forse, la cosa è spiegabile: figùn, come
soprannome attribuito ai liguri migranti, era più diffuso e usato dagli
abitanti delle zone contermini che dai liguri stessi che se lo vedevano
imporre dagli altri.
Tornando, ora, dalle nostre parti e a quelli che erano
considerati figùi dai piemontesi e dai provenzali, resta la
questione fondamentale che può essere posta in questi termini: dire
figùn a un tale significa semplicemente definirlo un ligure
d’occidente o volerlo, in qualche modo, offendere?
La risposta, non facile, potrebbe essere la seguente, a
principio, figùn significò probabilmente soltanto venditore di
fichi, ma, poi, col passare del tempo, il termine subì un ampliamento
semantico, in bene e in male.
Forse più in male che in bene perché se è vero
che - per gli abitanti del Basso Piemonte e della Provenza - diventò
sinonimo di oriundo della Liguria di Ponente, nello stesso tempo,
assunse il significato peggiorativo di girovago e di infingardo.
E, se,
dall’area ligure-provenzale allarghiamo la nostra indagine a quella
panmediterranea, spingendoci sino alla Spagna, scopriamo che, già ab
antiquo, dire figon a qualcuno non era proprio fargli un
complimento.
Figon - che in spagnolo vuol dire "bettola" o
"rivendu-gliolo", ma è pur sempre una variante di higo "fico" - è
attestato, fin dal 1636, come "tabernucho, bodegon donde se guisan y
venden cosas ordinarias de corner. Significò antes ‘figonero, tabernero
de figon’ 1603, y en el origen fue termino despectivo e insultante,
[...]
Risparmiamoci il seguito poco gradevole della definizione, che è
tratta dal BREVE DICCIONARIO ETIMOLOGICO DE LA LENGUA CASTELLANA di Joan
Corominas, pag.272.
Oggi, nessuno va più in giro a vendere fichi e molti
pregiudizi che esistevano un tempo nei confronti dei forestieri, sono
scomparsi.
Un
altro componimento anonimo, pubblicato nella prima metà del ‘500;
anch’esso in un misto di ligure ed italiano, descrive in versi il
sacco di Genova compiuto da spagnoli e milanesi nel 1522: verso la
fine, alludendo alla facilità con cui i nemici si sono impadroniti
della città, l’autore dileggia i soldati zenoesi e «maxime
quelli figoni e quegliantri levantini».
Mi pare, da ambedue le citazioni, che venga messo in evidenza
il carattere etnico della voce figùn, la prima volta
contrapposto a lombardo (nel significato generico di "abitante dell’Oltregiogo,
anche Piemontese", tuttora conservato a Pietra Ligure e ad Arenzano,
qui anche con valore spregiativo), la seconda contrapposto a
levantino, "abitante della Riviera di Levante".
Riassumendo, il termine figùn doveva significare a
Genova, tra ‘400 e ‘500, "Rivierasco del Ponente". Più oltre, tale
voce passò a significare, in particolare, "uomo di bassa
manovalanza, generalmente proveniente dal Ponente": tale è il
significato ricavabile dalle poesie del Foglietta.
Altrove, dove il termine si è conservato, esso ha mantenuto il
significato originario, come è chiaramente dimostrato da Villa,
assumendo eventualmente una connotazione scherzosa o lievemente
ironica.
Un ultimo dato interessante può essere l’esistenza del
cognome Figone, diffuso nel Levante ligure con ampia
frequenza in due comuni dell’Entroterra (Varese Ligure e Casarza),
ma attestato anche in Riviera tra Chiavari e Sestri Levante. La
diffusione di tale cognome potrebbe riflettere l’antica presenza di
oriundi Ponentini nella Liguria Orientale, completando il quadro
geografico dell’antica diffusione della voce figùn.
NUOVE NOTE SUL TERMINE FIGUN
I
lettori della "Voce Intemelia" ricorderanno l’articolo di Renzo Villa
del marzo 1985, che riprendendo un accenno di Luigino Maccario, del
febbraio 1984, illustrava ampiamente l’origine e il significato del
termine figùn, vivo in varie lingue e dialetti nel significato di
"Ligure Ponentino".
Qualche lettore ricorderà anche un mio intervento dell’aprile
1985, in cui segnalavo l’esistenza di tale termine nelle poesie genovesi
di Paolo Foglietta (fine sec. XVI), col significato di "persona addetta
ad umili mansioni, per lo più proveniente dalla Riviera".
A circa due anni dall’articolo di Villa, penso di poter
aggiungere qualche nuova delucidazione, spigolata qua e là, per meglio
chiarire la storia della parola figùn.
Intanto essa si incontra, nella forma figon (pl.
figogni,) anche a Calizzano, sempre col significato di
"Rivierasco": il termine si trova quindi diffuso nelle aree dell’Oltregiogo
di lingua ligure (Briga, Calizzano appunto e, come afferma Villa, Ottone
in Val Trebbia), così come in Provenza e nel basso Piemonte.
Quanto alla presenza di tale termine in genovese, è
possibile retrodatarla di circa un secolo rispetto alle citazioni del
Foglietta tenendo conto di due testi della fine del ‘400 e dell’inizio
del ‘500.
La Raxone de la Pasca è una sorta di almanacco
pubblicato nel 1473, che in una lingua mista di ligure e italiano da tra
l’altro informazioni geografiche su varie località della Liguria:
parlando di Toirano e del suo mercato, l’anonimo autore afferma
testualmente: «Lombardi e figoneti li vano di e nocte»,
intendendo, naturalmente, per commerciare.
Per contestare gli sprechi fatti dai nobili nell’acquistare
cavalcature di gran pregio e nel mantenere paggi sontuosamente
vestiti (sonetto XXXIII), Foglietta si richiama ai costumi dei
vecchi genovesi che andavano in villa a dorso di mulo, senza usare
sontuose briglie di velluto, concludendo
E IN VILLA E IN CA SERVIVA RO FIGON.
(E in campagna e a casa bastava il servizio
del figon).
Infine ritroviamo il termine in un’altra poesia (XXXVI) assai
critica verso gli abiti alla moda, e in particolare verso l’uso dei
pantaloni,
CHE DE CITTEN, FAREI NE FAN FIGOIN,
BAZARIOTTI, SCHIAOI E MARINÉ.
(che ci fanno sembrare, più che cittadini,
figoin, / rivenduglioli, schiavi o marinai).
Il termine figon, a quanto mi risulta uscito
dall’uso vivo nel genovese (già non s’incontra nella letteratura
seicentesca), sembra avere pel Foglietta un significato
dispregiativo, ed è associato, almeno in due casi, ai muli. La
tentazione di tradurre il termine come "mulattiere" sarebbe quindi
grande, se vi fosse qualche altro elemento. Resta il fatto che il
figon è pel cinquecentesco poeta genovese un uomo destinato a
lavori servili, verosimilmente infido e non certo degno di grande
considerazione.
Il termine appare anche contrapposto a Citten,
cittadino, il che potrebbe far pensare a un’origine rivierasca (o
montanara) dei figoin, venendo così a corrispondere in parte
coi significati proposti da Renzo Villa.
In
relazione all’interessante articolo di Renzo Villa (Voce Intemelia del
marzo scorso) su I Figùi, credo sia utile segnalare un’altra
fonte in cui si parla di questi "misteriosi" personaggi. Alludo alle
poesie di Paolo Foglietta, cinquecentesco poeta genovese di ispirazione
ora civile ora amorosa. Nei suoi versi, pubblicati nell’antologia
Rime diverse in lingua Genovese (Pavia 1583, di cui si conoscono
anche edizioni precedenti), e recentemente riediti a cura di E. Villa e
V. E. Petrucci (Genova, Tolozzi 1983), il termine figon ricorre
quattro volte.
Nella rima XXII, in polemica coi patrizi genovesi
troppo amanti delle splendide ville di campagna, il poeta afferma essere
la città stessa la sua villa, dicendo di Genova:
UNA VILLA ME
TROVO SI VEXINNA
CHE SENZA
TEGNÌ MURA POSSO STA
NI SPEfSA DE
FIGON ME CONVEN FA
CHI RO
MESCHIN PATRON SEMPRE ASSASINA.
(Possiedo una villa così vicina, che posso fare a meno
/ della mula per recarmici, ed evitare la spesa del figon, / che
sempre assassina il suo povero padrone).
Altrove (sonetto XXVIII), criticando le nuove
mode in seguito alle quali i nobili genovesi, abbandonando le toghe
avevano adottato vestiti di altra foggia, afferma che i buoni cittadini
non devono portare abiti corti
COME FA RO
ZANETO O RO FIGON
CH’ESSE
ESPEDIf PER SERVIRNE DEN.
(Come fanno il servo ed il figon, che debbono / essere
liberi nei movimenti per meglio servirci).