A CASTAGNOLA
DOLCETTO OTTOCENTESCO VENTIMIGLIESE
Ingredienti per circa tre dozzine.
300 grammi di farina
200 grammi di zucchero | suggerito: MENIER PATISSIER
100 grammi di cioccolato, tavoletta al 52% di materie grasse
infuso di caffè, ottenuto con moka media
acqua di fior d’arancio amaro, quanto basta - “àiga nàfra”
Accessori: un’ampia teglia rivestita con carta da forno, unta d'olio
forno già caldo a 150/200 gradi circa.
Dai duecento grammi di zucchero apparterete il quantitativo che sta’ in un sottotazza, giacché servirà per la glassatura.
Mescolerete il rimanente zucchero con la farina, ponendoli sulla spianatoia, a fontanella. Scioglierete a caldo la tavoletta di cioccolato, usando il caffè appena infuso, per poi aggiungervi le spezie e piano, piano; amalgamerete il tutto con la fontanella, sulla spianatoia, aggiungendo il rimanente caffè, se necessario, fino ad ottenere una pasta piuttosto consistente e liscia.
Formerete delle palline non più grosse di una castagna marrona, dalla quale il dolcetto deriva il nome. Immergerete un lato della pallina nell’acqua di fior d’arancio per poi far raccogliere a questa lo zucchero necessario alla glassa.
Depositerete la pallina nella teglia, sulla carta da forno unta d'olio, con la glassa ovviamente rivolta verso l’alto. Metterete in forno già caldo, a circa 200 gradi, per dieci o quindici minuti. Quando la glassa avrà preso un bel colore smerigliato ed il cioccolato si sarà schiarito, toglierete dal forno anche se apparissero non troppo consistenti.
Nel gusto antico, era presente il rilasciato d'olio d'oliva taggiasca, prodotto dall'unto sul fondo della teglia, che permetteva il distacco post-cottura. Oggi la carta da forno risolve il pronto distacco; non guasterebbe però la presenza, seppur minima del gusto prodotto dal rilasciato.
STIMA DELLA CASTAGNOLA
Dalla iniziale diffusione cittadina, avvenuta col sorgere del secolo XIX; il dolcetto tipico ventimigliese, chiamato “a castagnola”, è stato protagonista di almeno due periodi sostanziali per la definizione del suo aspetto, estensioni di tempo che hanno determinato gli attuali scompaginati orientamenti, tra gli estimatori.
Nata nella sfera della “biscotteria da ricevimento”, la sua forma considerava diligentemente il nome assegnatogli: era “castagnola” perché deteneva la foggia di una castagna marrona; sicché, a tutela dell’ordine cronologico, questo modello dovrebbe costituirne l’originalità di produzione.
Col sorgere del Novecento, per un periodo durato almeno mezzo secolo, l’attaccamento dei ventimigliesi a questa delizia, ha attivato l’immissione sul mercato d’un prodotto da “colazione”, che ne conteneva gli ingredienti, ma non riservava riguardi per la forma.
Dover porre in vendita una merenda da asporto, ha stabilito per quel prodotto la parvenza d’un panettoncino del diametro minimo di sette centimetri; col quale si è fondata una sciagurata ambiguità.
Oggi, la forma originale è messa in discussione, persino per la specificità da ricevimento, costituendo una grave anormalità.
Riferiti al prodotto da ricevimento originale, che oggi potrebbe esser quello preparato dalle nostre rinomate pasticcerie, gli ingredienti dovrebbero plasmare un dolcetto di colore bruno chiaro, di densità compatta ma duttile, il quale, sul fronte del primo morso, possa evidenziare i segni degli incisivi, lasciativi.
La glassatura, omogenea benché ripartita in piccole placche, dovrebbe mostrarsi di spessore poco più che delineato, lasciando trasparire il bruno sottostante e pronta a sprigionare la potenziale emanazione della ”àiga nàfra” che la sostiene.
Appartenendo al novero dei dolcetti speziati, il retrogusto della castagnola dovrebbe sprigionare sufficientemente evidenziata la sapidità di cannella e garofano. Riuscire a conservarne la cedevolezza per un periodo di almeno quindici giorni, può essere certamente ottenuta applicando una attenta fase di cottura, che si avverte all’assaggio fin dai primi giorni.
L.M. LA VOCE INTEMELIA anno LXV n. 12 - dicembre 2010
A CASTAGNOLA
Nei risvolti della tradizione popolare, “a Castagnòla”, si è affermata quale dolcetto tipico ventimigliese, essendo ormai sulla breccia da quasi due secoli; infatti sarebbe apparsa sulle mense locali non prima del secondo decennio dell’Ottocento, quando pervennero nelle epiçèrie della vicina Costa Azzurra le prime tavolette di cioccolato fondente, prodotte dall’allora giovane industria dolciaria svizzera.
Il caratteristico nome gli è derivato dalla forma di pallina, lievemente schiacciata, che con l’aggiunta della glassata di zucchero e l’aroma dell’acqua di fior d’arancio la rendono molto simile ad un “marron glassè”. Infatti, è stato per imitare questa, per allora, costosa leccornia; onde offrirla agli altolocati ospiti dal suo “salotto”, che una intraprendente massaia del secolo scorso ha ideato la ricetta a base di cioccolato fuso. Il dolcetto è piaciuto, si è sparsa la voce e la “castagnola” ha ottenuto la sua consacrazione popolare.
Oggi gli è riservata una nota sagra, sulla piazza della Cattedrale, nel giorno dedicato al Patrono della città e della diocesi, San Secondo. La forma che ha assunto, nel tempo, per gli interventi di bottegai opportunisti, o per le furberie delle moderne massaie maneggione, la hanno resa avulsa dalla caratteristica iniziale, quale imitazione del marrone candito.
Il fatto di essere stata disponibile quale dolce da banco, nelle botteghe alimentari, fin dai primi anni del Novecento, ha spinto all’allargamento della forma, quasi simile ad una polentina, ma ha sminuito, sia l’apparenza, sia il gusto iniziale. Per di più, lo sconsiderato uso di cacao in polvere, messo in atto dalle sbrigative casalinghe moderne, bilanciato da abbondante aggiunta di zuccheri, per far calare l’amaro; hanno finito per renderla poco conservabile, portandola troppo velocemente ad indurire.
Si racconta, come la fortunata ricetta sia stata ideata da un’ava de “a Manàcia”, la famosa bottegaia di generi alimentari nel Sestiere di Piazza, portata in eredità dalla madre, cuciniera per tradizione nell’omonima osteria, attiva in Ciassa fin dai primi anni del Novecento.
Prosperando la mitica “Bella Epoque”, l’antenata in questione, aveva lasciato la nostra città per andare a servizio nei rinomati hotel della Costa Azzurra, dove rapidamente riuscì a catturare molti segreti ai celebri “chef” del tempo, tanto che già a metà Ottocento era tornata in città, per avviare quello che oggi definiremmo attività di “catering”, ossia; veniva assoldata dalle signore benestanti del tempo per approntare i pranzi, serviti in occasioni di particolare importanza.
Ricevendo le possibili, cospicue, clienti nel proprio sobrio salotto, aveva dunque necessità di stupirle con qualcosa che apparisse molto, senza pesare economicamente; ed ecco “a castagnola”.
Nel secondo dopoguerra, alcune nipoti della famosa “Manàcia” conservavano gelosamente nella memoria le dosi e l’elaborazione del nostro dolcetto; tra queste era assai attiva, nel campo, la signorina Sabina, sorella dell’architetto Bosio, sollecitata dal golosissimo e raffinato fratello, il quale sulla ricetta della “castagnola”, nel 1953, ci ha lasciata una opportuna poesia.
Luigino Maccario - 1995
E CASTAGNOLE
Giuseppe Bosio
Ancöi ve parleron d’ê castagnole
Ch’i l’eira cuscì bone a_cheli tempi
Candu gh’eira Ravotu, a Bernechéira
E Segundì a Palanca, zü ìntu Burgu,
I m’apiaxéva tantu che nu’ vögliu
Che sa’ bona riçéta a vaghe pérsa
E chì ve dagu propiu chela giüsta
Ch’a ven dai nostri veci pastissei:
Trei eti de farina bela gianca,
Ti a versi ìnsce a turtàira e ìnte su’ mügliu
Ti ghe fai in sgarbu ciütostu grossetu
E ti ghe meti u sücaru: dui eti,
In etu d’a ciü bona ciculata,
In cügliarin de ganöfaru fin,
In cügliarin de canéla pistà.
Arrivai a su’ puntu se prepara
De bon café ina tassa e a se gh’azunta.
Avura ti l’impasti propiu ben
Ch’a nu’ l’àge ciü l’umbra d’in grumélu
E candu ti n’ài fau ina bela bocia
Ti a dividi inte tanti caneloti
E da ‘si caneloti ti destachi
D’i tochi d’a grossessa d’ina nuxe
E c’ue parme d’ê man cianin, cianin
Ti i ziri fin ch’i séce beli rundi
E ti i pousi ìntu téstu tütu untu
D’öřiu, ma pocu, perché i nu’ s’atache.
Candu i sun tüte ben ràngiae intu téstu,
Ti fai ina crema d’aiga de çitrun
E sucaru e pöi, cu’in cügliarin,
Ti ghe ne sparzi in po’ perün adossu.
Métiře avura au furnu belu caudu
Ti virai che cöixendu i s’ascasciota
E chéle bale i deventa balote
Ingrixurae dau sücaru e ben cöte
Cu’in cartu d’ura sulu de bon fögu.
Dovute a necessità di rima, le dosi ricavabili dalla poesia sono soltanto
La castagnola tipica non deve superare i 4 cm. di diametro e deve conservare un aspetto di spessore arrotondato.
Le castagnole grosse e larghe, ma piatte ed eccessivamente mollicce, sono il risultato prodotto dalla loro distribuzione sui banchi dei negozi di alimentari, nella seconda metà del Novecento.
Questi badavamo a catturare il cliente, superficiale, con la grandezza e la massima masticabilità .
Nell'anno 1969, la Cumpagnia d'i Ventemigliusi indisse un concorso per il rilancio della "Castagnola", indirizzato particolarmente all'attività delle Pasticcerie locali più rinomate, che parteciparono con slancio, senza però continuità nell'iniziativa.
Negli Anni Novanta, ci riprovava il direttivo della Confcommercio, che indirizzava nuovamente lo sforzo verso le più rinomate Pasticcerie locali del momento, ottenendo un risultato simile all'avventura degli Anni Sessanta.