Nei
primi giorni d’agosto dell'anno 1220, San Francesco sbarcava a
Venezia, di ritorno dall’Egitto, dove aveva incontrato il sultano
Melek el-Kamel, discendente del grande Saladino. San Francesco si
trattenne un anno in Terrasanta, disponendosi ad un tentativo di
dialogo interreligioso, fra una cristianità che esprimeva sprezzo
per i cosiddetti “infedeli”, verso un mondo arabo che si mostrava
indifferente al “diverso”, etichettandolo come inferiore e
imperfetto.
Resosi conto dell’impossibilità di dialogo, che avrebbe precluso una qualche sicurezza,
ai pellegrini cristiani, durante la visita ai
Luoghi Santi; il grande San Francesco propose l’idea di considerare
“luogo sacro” una qualunque contrada delle Terre Cristiane, dove si
producesse la struttura materiale,
o anche
soltanto spirituale, dei fatti suggeriti dai Vangeli.
Dal
luglio del 1223, ritiratosi nell’eremo di Fonte Colombo, con alcuni
fratelli, Francesco provvedeva alla stesura della “Regola
dell’Ordine”; quindi, passando dall’eremo di Greccio, il 10 dicembre
1223, predisponeva la rappresentazione della Natività in grotta,
realizzando il primo Presepio cristiano della storia.
L’idea di San Francesco sulla modularità dei “Luoghi Sacri” veniva
applicata in sostanza, trasformando la tradizione pagana della
“sigillaria”, in quella cristiana del “presepe”, che avrebbe
trasferito in ogni casa della cristianità, il “mistero” della grotta
di Betlemme, come se si fosse stati presenti nella Basilica della
Natività, in una Palestina ormai araba, per tutto il periodo,
corrente dal 24 dicembre, fino all'Epifania, il 6 gennaio
successivo.
Solstizio
d'inverno
Lari domestici e
statuine
U T'APIAIXE
U PRESEPIU ? |
Che l'iconografia del bambinello nella
mangiatoia possa essere riferita all'astro solare ri-nascente,
nell'atto di riprendere il suo cammino in cielo verso lo zenit
boreale, che raggiungerà in estate, e rimarcato dalla presenza,
dietro la testa del bambinello, di una corona di raggi solari, che
non sono soltanto, indice di santità cristiana.
Statuine
figulinare col medesimo soggetto erano esposte nei templi romani
del III e IV secolo.
Dopo l’istituzione delle feste Sigillaria,
in Roma, i Saepta Iulia erano diventati anche sede di una sorta di mercato
temporaneo dove si esponevano, in stand a forma di piccole capanne,
doni da offrire in occasione delle feste: «Si innalzavano delle
impalcature di legno dinanzi alle pareti dei Saepta e vi si
esponevano, nelle piccole capanne, veri e propri presepi, dentro le
quali si collocavano le immagini degli dei Lari, protettori della
Famiglia, insieme con altre statuette (sigilla) di cera, gesso o
argilla, che i Romani si offrivano in dono scambievolmente durante
la festività, accompagnandole con libri, vasi di vetro, coppe di
argento, gemme incise, perle, monili, scatole di avorio, ecc.»
Tra i doni scambiati nei
giorni precedenti il Solstizio invernale, erano molto presenti le
candele, per il loro simbolismo di luce. Oggi ritroviamo le candele
sull'albero di Natale.
Se si pensa che ancor oggi il grande mercato temporaneo di Roma per
le feste natalizie (che sono notoriamente la prosecuzione cristiana
dei Saturnali), si svolge a Piazza Navona, che si trova a due passi
dai Saepta, sembra di poter notare qui un altro dei numerosi
fenomeni di persistenza nell’uso del territorio.
Per il Ponente Ligure, la
produzione ed il mercato più importante per i sigilla è
sempre stato Albissola, dove operavano famosi "figulinai", prima e
dopo l'istituzione del presepe.
I più
diffusi erano i Lares familiares, che rappresentavano gli antenati.
L’antenato veniva raffigurato con una statuetta, di terracotta o di cera,
chiamata sigillum. Tali statuette venivano collocate in apposite nicchie
a forma di capanna e,
in particolari occasioni, onorate con l’accensione di una fiammella.
Introdotta da Caligola, nei Saturnali, in prossimità del Solstizio
d’inverno, il 20 dicembre, si svolgeva la festa detta "Sigillaria", durante la
quale i parenti si scambiavano in dono i sigilla dei familiari defunti
durante l’anno. In attesa della celebrazione, il compito dei bimbi delle
famiglie riunite nella casa patriarcale, era quello di lucidare le statuette
e disporle, secondo la loro fantasia, in un piccolo recinto nel quale si
rappresentava un ambiente bucolico in miniatura.
Nella
vigilia della festa, dinnanzi al recinto bucolico dei Lari, la famiglia
si riuniva per invocare la protezione degli avi e lasciare ciotole con
cibo e vino. Il mattino seguente, al posto delle ciotole, i bambini
trovavano giocattoli e dolci, “portati” dai loro trapassati nonni e
bisnonni.
Dal IV secolo, dopo l’assunzione del potere nell’impero, nel giro di pochi secoli i
cristiani tramutarono le feste tradizionali in feste cristiane, mantenendone
i riti e le date, ma mutando i nomi ed i significati religiosi. Essendo una
tradizione molto antica e particolarmente sentita (perché rivolta al ricordo
dei familiari defunti), il presepe sopravvisse nella cultura rurale con il
significato originario almeno fino al XV secolo e, all'interno delle nostre
Vallate, ben oltre, anche dopo l'intervento francescano del XIII secolo.
PRESEPIU E SIGILLARIA
Negli scavi effettuati dagli archeologi nella “Città Nervina”, ma
soprattutto nei rinvenimenti occasionali capitati agli agricoltori delle
Asse, mentre vangavano le morbide arene, sono venuti alla luce innumerevoli
sigilla,
ossia : quelle statuette in terracotta, rappresentazioni dei Lari
domestici; che molte famiglie nervine conservano gelosamente. Nel tempo,
l'abbondanza dei ritrovamenti a messo anche in movimento il mercato illecito
dell’antiquariato.
I Lari sono figure della mitologia romana che rappresentano gli spiriti
protettori degli antenati defunti che, secondo le tradizioni, vegliavano sul
buon andamento della famiglia, della proprietà o delle attività in generale.
Macrobio ci ricorda di
come, nell’antica Roma, durante le feste Saturnali ci si scambiavano
candele di cera, per rammentale la "aurea aetas”, quando il
popolo si era elevato da una vita informe e priva di luce, giungendo
alla conoscenza delle arti liberali.
Invece, la produzione dei "sigilla" risalirebbe all'epoca, nella
quale Ercole attraversò l’Italia, accompagnando i buoi sottratti a
Gerione. Sollecitato dagli Italici sull'argomento dei sacrifici, li
consigliò di non offrire a Saturno vittime umane, ma statuette d’argilla
antropomorfe, i sigilla appunto, venerando la divinità con lumi
accesi.
Ercole giocò sul
significato greco di “phota”, che vuol dire "uomo", ma anche “luci”. Da
questo episodio derivava l’usanza di scambiarsi candele e di fabbricare,
vendere e regalare statuette di argilla, durante i Saturnali.
I SANTÚI
Luigin Maccario
Nelle nostre case,
l’allestimento dell’albero di Natale ha tolto molto spazio alla
tradizione del presepe, la quale invece, trova nuovo vigore nelle chiese
e negli oratori. Nelle case, il presepe era mantenuto fino al giorno
della Candelora.
Il “nostro” presepiu,
nelle vallate si chiama a créscia ma per allestirlo si usano
sempre i santùi, i quali, se sono di buona fattura o in ceramica,
si chiamano e fegüřìne, se per contro, sono in scadente terra
cotta, si dicono i macàchi.
Tra gli animali, essenziali in
un consono allestimento, c’è: u gàlétu che segnala l’alba in
piena notte, segnando l’eccezionalità dell’evento; ma anche a cràvéta,
i agnéli, e pégure, l’aréu o u mautùn, che
fanno corte a u Bö e a l’Áse, installati dentro a Bàrma.
I personaggi indispensabili
sono: u Bambìn, a Madòna e san Giousé, con l’Ángeřu,
in elevazione presso u Steřùn, detto anche a stéřa cuéta.
Se l’angelo suona la tromba si chiama Bufarùn.
Non possono però mancare i tre
pastori: u Rapìtu o Ravìu, quello più avanzato verso la
sacra culla, inginocchiato a braccia larghe, con l’espressione estatica;
u Bertumé inchinato, con l’agnello vivo ad armacollo, oltre a
u Zeřìndu, ritto, intabarrato e morto di freddo.
Tra le figure femminili
troviamo a Bonadòna, inginocchiata presso la culla e a Léna,
la pastora ritta, con la pecora al fianco, oltre a a Zeřìnda,
ritta, intabarrata e morta di freddo. Nelle vallate, questa ed il
compagno pastore vengono detti Geřìnda e Geřìndu.
Ma troviamo anche: u Françuà,
il pastore voltato a chiamare gli altri nell’accampamento; u Bastiàn,
quello accovacciato tra gli stabbi, che soffia sul fuoco; oltre a u
Benìn, il giovane che dorme disteso e sereno, perché lui la scena
del Natale la sta sognando.
Ritto e con la capretta per
mano: u Razü non è un vero pastore ma rappresenta in particulà,
così come u Pivié, che se ne sta ritto suonando a pìva.
Non può mancare Margaridun, la contadina a cavallo dell’asino.
Tra le figure comprimarie locali, di origine provenzale, spicca a
Pesciàira, la pescivendola; a Fiřéira, la filatrice con
conocchia e a Rustéira, la rostitrice di castagne, ma anche l’Amulita,
l’arrotino di origini piemontesi.
Nella stalla all’interno de
a Bàrma, spicca a Grüpia, la mangiatoia a rastrelliera,
mentre nel paesaggio si notano e Caséte arabe del paese di
Betlemme con u Deversöriu, l’albergo, a caravan serraglio, dove
l’umanità godereccia ha negato ospitalità alla vergine partoriente,
oltre a u müřìn o u defìziu, aggiunti in omaggio
all’imprenditoria artigiana.
Per l’Epifania saranno
aggiunti: u cavàlu de Merchiù, con u Mòuru, il valletto
arabo che regge le redini, u camélu di Gàsparu e u
drumedàriu di Bardassà.
Merchiù, il re inginocchiato, porta uno scrigno pieno d’òuru.
I suoi capelli e la barba sono grigi. Rappresenta la razza bianca e la
vecchiaia. Gàsparu, rappresenta i Semiti e l’età matura; porta
a mìrra che serve per imbalsamare, o forse soltanto cannella.
Bardassà è u Re Mouru, che tra le mani giunte tiene u
cibòriu con l’encénsu. Rappresenta la razza africana e la
gioventù.
Nel paesaggio, allestito con
u papé maciàu, la carta da pacchi a colori mimetici e accessoriato
con u papé stagnöřa, per imitare l’acqua, capeggia u
maciaférru, lo scarto di fonderia che imita le rocce, rivestito de
u sfàgnu, il muschio e farcito de a bùrra, lo stoppaccio
tessile per imitare la neve.
Il tutto è sormontato da u
papé cu’e stéře, grandi quantità di carta azzurra, punteggiata di
stelle, che non dimenticano di illuminare anche u pontétu,
immancabile per attraversare il ruscello e u pùssu, situato al
centro del paese.
LA VOCE INTEMELIA -
gennaio 2003
Il dies natali Solis Invicti
Nel 272,
Aureliano riuscì a riunificare l'impero grazie al provvidenziale aiuto
della città stato di Emesa. L'appoggio dei sacerdoti di Emesa, cultori del
dio Sol Invictus, ben dispose l'imperatore verso il culto di quella
divinità solare.
In seguito, nel 274, Aureliano trasferì a Roma i sacerdoti del dio Sol
Invictus e ufficializzò il culto solare di Emesa, edificando un tempio
sulle pendici del Quirinale e creando un nuovo corpo di sacerdoti (pontifex
solis invicti). Comunque, al di là dei motivi di gratitudine personale,
l'adozione del culto del Sol Invictus fu vista da Aureliano come un
forte elemento di coesione dato che, in varie forme, il culto del Sole era
presente in tutte le regioni dell'impero. Sebbene il Sol Invictus di
Aureliano non sia ufficialmente identificato con Mitra, richiama molto del
mitraismo, compresa l'iconografia del dio rappresentato come un giovane
senza barba.
Aureliano consacrò il tempio del Sol Invictus il 25 dicembre del 274,
in una festa chiamata dies natalis Solis Invicti, "Giorno di nascita
del Sole Invitto", facendo del dio-sole la principale divinità del suo
impero ed indossando egli stesso una corona a raggi. Quella festa divenne
sempre più importante, innestandosi, sulla festa romana più antica dei
Saturnali.
Anche l'imperatore Costantino fu un cultore del Dio Sole, in qualità di
Pontifex Maximus. Egli, inoltre, raffigurò il Sol Invicuts sulla
sua monetazione ufficiale, definendo la divinità come compagno
dell'imperatore.
Con un decreto del 7 marzo del 321, Costantino stabilì che il primo giorno
della settimana, il giorno del Sole, dies solis, doveva essere
dedicato al riposo. Abbracciando la fede cristiana, nel 330, l'imperatore
ufficializzò per la prima volta il festeggiamento cristiano della natività
di Gesù, che con un decreto fu fatta coincidere con la festività pagana
della nascita del Sole. Il "Natale Invitto" divenne il "Natale" cristiano.
Nel 337, papa Giulio I ufficializzò la data del Natale da parte della Chiesa
Cristiana. Il 3 novembre 383, il giorno di riposo, il dies solis,
viene rinominato dies dominicus.
Sigillaria romana