Solstizio
d'inverno
Antiche
usanze europée
... e
l'albero
di Natale ? |
NOTE :
1. Nella settimana precedente il Natale, mio padre provvedeva a
raccogliere abbondanti frasche di alloro con le quali addobbava, per le
feste, la nostra macelleria, appoggiandole ai sostegni che reggevano i
ganci, tutto attorno alle pareti. Nei primi anni Settanta, con mia somma
meraviglia, la baronessa Maria Galleani mi ha raccontato come, lo stesso
uso di sostegno per le frasche d’alloro, in periodo natalizio, era
predisposto con le ferramenta atte a sorreggere gli arazzi, nei salotti
delle case signorili liguri.
2. Consulta Ligure/C.d.V. -
Commemorazione di Sir Thomas Hanbury
nel 150° anniversario della nascita 1832/1982. Relazione di Renzo
Villa - Alzani Pinerolo.
3. Assieme alla Mariéta, gli ambulanti portavano, infilati
nelle lunghe canne di sostegno, attraverso il buco centrale connesso
alla figura, altre realizzazioni, dette: u Fantin e u Galétu.
L’informatrice di questa tradizione è Olga Anfosso, classe 1940.
4. Sulla processione di San Bastian vedere l’album fotografico
“auribaga e papete” da
Ritualità in Val Nervia.
I
VERDI ADDOBBI SOLSTIZIALI
Addobbare gli interni della abitazione con vegetazione rigogliosa, durante
il periodo dell’anno legato al Solstizio d’inverno, è una antica tradizione
europea, che non si limita esclusivamente all’allestimento del classico
“Albero di Natale”, usanza scandinava esportata in tutto il mondo; ma è
legata a ritualità agresti, comuni in ogni contrada del Vecchio Continente.
Quella dell’abete natalizio decorato di luci e leccornie, è appunto
un’usanza nordica, legata alla fecondità della terra, che la seducente
civiltà dei consumi ha saputo trasferire anche a latitudini più meridionali,
eclissando tradizioni similari meno sorprendenti, che all’inizio del XX
secolo, si mostravano già insidiate dalla cultura dominante, ben attenta a
svuotarle dei fastidiosi significati ancestrali.
Dai primi giorni di dicembre, fino quasi al termine di gennaio, il lungo
periodo comprendente il Solstizio prevedeva, anche nel nostro Ponente
Ligure, calde ritualità domestiche d’omaggio alla natura verdeggiante,
proprio mentre all’esterno le gelide terre coltivate si presentavano alla
stregua di solchi spogli, in attesa d’una ancor lontana primavera.
Ancora a fine Ottocento, da metà dicembre, nelle magioni benestanti si
provvedeva ad inghirlandare i saloni da ricevimento con frasche d’alloro,
secondo l’uso genovese. Questi, veri e propri alberelli di alloro, la
rituale auribàga, venivano addobbati con arance, limoni e mandarini;
in qualche caso da nastri colorati, ad imitazione dei frutti; allo scopo di
suggerire alle forze della natura l’auspicata condotta per la prossima
primavera.1
Il sempreverde alloro trova ancor oggi impiego nella ripresa del rituale
Cunfögu pubblico genovese e savonese. Altra pianta, considerata
simbolica del periodo autunnale, era il mirto, a mùrtura; la quale
veniva esposta durante i rituali per la vendemmia, in settembre, e
conservata in bella vista fino al solstizio d’inverno, come ci ricorda lo
stesso Thomas Hanbury, attraverso la memoria di Renzo Villa.2
Oltre agli agrumi ed altri frutti autunnali, quali il melograno, "u pùmu
granàu", o l'uva d'inverno; le auribaghe rituali
venivano guarnite con speciali biscotti, impastati con il grasso bovino, che
li manteneva morbidi più a lungo; così da poter resistere appesi, esposti
nei salotti, fino al termine delle festività. La caratteristica di questi
dolcetti, detti "e Bugatéte", era la forma antropomorfa, che li rendeva
somiglianti a quei pupazzetti che si realizzano ritagliando strisce di
carta, abilmente ripiegata.
In Val Nervia, la strenna natalizia ricevuta dalle bimbe era sovente "a
Mariéta ìnsci'a càna". Si trattava d’un grosso biscotto antropomorfo a
forma di donnina, confezionato con farina ed olio, da venditori ambulanti,
che frequentavano le fiere e i mercati. A Camporosso, facendo dono d’una
Mariéta ad una bimba, le si diceva: Eccu Mariéta, tàighe a téta,
ciàntighe in ciòn e fàřà gira. Inviti assai cruenti se non si fosse
trattato di un gioco.3
In bassa Val Nervia, nella penultima settimana di gennaio, la festività di
San Sebastiano prevede la sacrale deambulazione di una grossa pianta di
alloro, adorna di falsi frutti. A Camporosso, tali “frutti” realizzati in
cialda basilare, opportunamente colorata, sono detti papete; le
medesime che a Dolceacqua si chiamano négie e mostrano una
colorazione appena accennata. Tali nebule vengono confezionale con appositi
stampi dai “bastianeti”, i confratelli scapoli della apposita
congregazione.4
alloro e mirto, le essenze arbore usate negli addobbi
i
Tra i cespugli sempreverdi che fanno parte della ritualità solstiziale
d’inverno, la tradizione europea ci ha portato il vischio e
l’agrifoglio, “u ghì” e “l’agrufögliu”. Il vischio ha
origini lontane nella nostra tradizione, derivando le fioche
consuetudini odierne dagli arborei riti celtici. Anche nella nostra
antichità era attivo un mondo di Druidi, querce, vischio sacro, in una
cultura di spiritualità che ci era giunta dalla lontana Asia, passando
per le civiltà di Golasecca, di Hallstatt e di La Tene.
Una popolazione europea, ordinata in tribù, originate da una divinità
antropomorfa e accomunate da lingue semanticamente simili anche se molto
distanti. Una civiltà che quando conquistava non devastava, ma
"concordava" coi conquistati le regole di vita sociale.
Il vischio è sempre stata considerata una pianta magica, nata dal cielo,
il quale con la folgore lo condurrebbe ad affondare le sue radici nella
corteccia di alcuni alberi. Le sue foglie sono sempreverdi e le sue
bacche somigliano a perle; queste ultime si sviluppano nell’arco di nove
mesi, una gestazione umana, e si raggruppano solitamente a tre a tre, un
numero sacro che lo rende simbolo di immortalità e rigenerazione.
I Druidi usavano tagliare il vischio di quercia, albero sacro, nel sesto
giorno del solstizio d’inverno, indossando tuniche bianche e utilizzando
un falcetto d’oro. Ce lo ha tramandato Plinio il Vecchio, dicendoci come
i rametti venivano raccolti in un drappo di lino immacolato, così da
poterlo utilizzare nelle cerimonie sacre, allo scopo di propiziare un
buon raccolto e proteggere il bestiame, oltre a combattere le epidemie
dell’uomo.
La tradizione di appendere il vischio sul vano delle porte era usanza
celtica che costringeva due nemici che si fossero incontrati sotto a un
ramo di vischio avrebbero dovuto deporre le armi e concedersi una
tregua. è ancora celtica la leggenda secondo la quale due fidanzati che
si baciano sotto al vischio si sposeranno entro un anno; infatti questa
era pianta sacra a Freya, la dea dell’amore.
L’Ilex Aquifolium, l’Agrufögliu è un arbusto sempreverde, che
cresce in Europa centrale e meridionale. Le sue foglie sono coriacee dal
contorno spinoso, lucide e cerose sulla pagina superiore, opache e verde
più chiaro su quella inferiore. È uno dei simboli del solstizio
d’inverno, appetito dagli uccelli come il sorbo. Il legno è usato per
lavori delicati e fini di artigianato. Preferisce un'esposizione al
sole. Questa pianta, oggi è annoverata fra le specie protette.
Somiglia molto all’Agrifoglio il Ruscus aculeatus, detto pungitopo, un
arbusto sempreverde dell’Europa centrale, che trasforma i suoi rami e
riduce le foglie a piccole brattee, per adattarsi al clima secco. Anche
lui produce bacche rosse sul limite delle foglie. Nel tardo Medioevo, il
pungitopo veniva usato per scacciare i topi dalle cantine, a pro delle
sue spine, ma era appeso alla porta di queste, legato in mazzetti con lo
Stramonio, che avrebbero dovuto tenere lontane le streghe.
Giuntoci dall’America, lo
Stramonio era usato anche come droga, somministrata ai bambini per
farli addormentare. Con lo Stramonio si poteva entrare in contatto con
il mondo degli spiriti, per raccoglierne i messaggi. Somministrando lo
Stramonio, gli stregoni equadoregni erano in grado di informarsi sul
futuro dei ragazzi, interpretando le loro visioni.
Abete di Natale