LIBERO COMUNE MARINARO
Sul principio dell’undicesimo secolo cominciò a produrre
frutti un noto e grande movimento per la conquista delle
libertà. Il movimento per la pace, o “tregua Dei”, si
estendeva a macchia d’olio dalla Provenza, ed impegnava
tutti in uno sforzo di riconciliazione collettiva. In
Provenza, come nell’Italia del nord, le “coniuratio”
economiche e mutualistiche tra uomini che avevano medesimi
interessi, tendevano a coagulare la convergenza di forze
altrimenti centrifughe. In Liguria, questo fu possibile
grazie alle Compagne, associazioni giurate, in origine
soltanto economiche, di arte, mestiere o professione, ma in
seguito anche politiche, le Compagnie di Quartiere, con
capo e gonfalone propri, si occuparono della cosa pubblica,
dando vita al Libero Comune. I capi finirono per eleggere i
Consoli, che con un Consiglio, divenuto poi Senato,
governavano per la durata di un anno, poi due e quattro
anni. Dal Comune, il Conte fu costretto a giurare la “carta”
detta: “breve”.
Specialmente nell’Italia
settentrionale, entrava in crisi il modo di controllare
l’efficacia del proprio potere da parte delle dominazioni
signorili, le quali non corrispondevano più alle aspettative
di alcuni gruppi emersi nel contesto sociale. Questi gruppi,
avvertendo lo spostamento dei baricentri del potere si
rendevano interpreti di volontà non provenienti da quelle
della loro stessa origine. Si sviluppava cosi il “momento
consolare” del Comune cittadino, che riusciva ad appagare
l’esigenza di partecipazione, da parte dei ceti
economicamente emergenti, all’esercizio di un controllo, di
un’egemonia, cioè del potere. Il Consolato comunale aveva
dunque la funzione di ridistribuzione delle aliquote di
potere. Il Comune dei consoli si presentava con una notevole
flessibilità istituzionale, senza pretese di esclusività.
Non presumeva monopolizzazioni sulle funzioni di carattere
pubblico, non contestava i diritti di esazioni o controlli,
sui mercati, su pesi e misure, su posti di dazio o pedaggio,
spettanti ad enti ecclesiastici o trasmessi ereditariamente
nella famiglia comitale.
Nel 1100, il Comune di Ventimiglia si
estendeva dal Vallone di Garavano fino ai confini di Breglio,
guardati dal castello de La Piena, e quelli di Coldirodi,
che erano posti alla Clapa Rutina, oggi Madonna della Ruota.
Già nel 1110, il parroco di San Römu, certo
Villano, chiedeva al Vescovo ed al Conte ventimigliese di
arbitrare la questione del rifiuto di pagare le decime da
parte del popolo sanremese. Intanto, nel 1113, i genovesi
occupavano Portovenere, mentre nel 1119, il re dei Franchi,
Luigi VI, metteva il potere politico in mano alla “Corona di
Francia”, creando il primo Stato monarchico europeo e
ribaltando la concezione del potere laico.
Al principio del XII secolo, sul
territorio oggi francese, cominciò una straordinaria
fioritura di riti, di atti, di parole, una singolare
invenzione dell’amore in tutti i suoi aspetti: l’amore per
Dio, l’amore per le donne, l’amore per i giovani, al centro
del quale si poneva l’amore che gli uomini devono gli uni
agli altri.
Nel 1120, Genova intraprendeva
l’espansionismo verso l’Oltregiogo appenninico. Dopo più di
dieci anni, nel 1124, il Vescovo ed il Conte sentenziavano
che i sanremaschi avrebbero dovuto pagare le decime, mentre,
nel 1130, col pretesto di tutelare la sicurezza delle
strade, il Comune genovese costruiva una torre di guardia
nel luogo di San Römu. Il Conte Oberto opponeva resistenza
ed inviava sul posto i figli Filippo e Raimondo, con un
nerbo di armati raccolti a Bajardo ed a Poipino, ma i
genovesi prevalevano, costringendo il Conte di giurare
fedeltà a San Siro.
SECOLO
DECIMO SECONDO
VENTIMIGLIA LIBERO COMUNE MARINARO
Il Libero Comune di Ventimiglia aveva il costume di
datare i suoi atti juxta stylum o secundum cursum
Vintimilii ; consuetudine che manterrà fino al
1660.
1100 La data posta sul fonte
battesimale dal prevosto Johannes, indica la
costruzione del battistero romanico ottagonale.
-
Le prime notizie sull’edificio datano
1334, ma l’architettura e la data sulla vasca lo
pongono in riferimento, pressoché coevo, ai
battisteri di Albenga e di Frejus. Conservata
nell’attuale battistero è la base della conca di una
precedente vasca d’immersione, databile all’anno
305, in pietra della Turbia. Questa presenza lascia
intuire l’esistenza di un precedente battistero,
forse costruito sulla piana nervina, sulle rovine
della città romana. Benché nel 1311, il Concilio di
Ravenna prescrivesse l’uso del battesimo per
infusione, il rito ambrosiano, seguito nella nostra
diocesi, protrasse l’uso dell’immersione fin verso
il 1422. Ancora nel XIII secolo, i catecumeni
battezzandi, dovevano essere adulti e preparati da
un lungo periodi d’iniziazione. La cerimonia
avveniva, in comunità, due o tre volte l’anno, nel
corso delle grandi festività cristiane.
-
La data del secolo XII era presente nella
fontana del quartiere Lago, posta sotto la
dicitura:”ad comoditatem navigantium”.
-
Ancora
presente attorno all’anno 1874, la fontana era
servita per secoli, con varie interruzioni, a
fornire acqua potabile ai marinai che operavano
nell’attivo porto canale del Lago, definito:
statio bene fida carinis.
-
1101 In quel tempo, il Libero
Comune emetteva leggi sul comportamento morale e
sociale dei residenti.
-
Leggi sul
criminale e sul suntuario, che prevedevano il
pagamento di multe, con in alternativa l’esposizione
alla berlina; salvo che condannare al bando i
recidivi. La berlina poteva essere situata davanti
al portale della Cattedrale, sull’angolo che volta
verso quella che sarà via Falerina. In quel sito
esisteva una pietra squadrata di grosse dimensioni,
attrezzata di anelli metallici. Su questa pietra si
punivano gli insolventi fraudolenti e i
bancarottieri, facendo battere loro il culo nudo per
un numero di volte pari all’estensione delle loro
malefatte. L’operazione era detta: “da’ d’u cü
insci'a ciàpa”.
-
1105 In Provenza aveva vasta risonanza
la predicazione del monaco Pietro di Bruys, basata
sulle citazioni del Vangelo e ponendo la Chiesa
romana a semplice istituzione spirituale.
1109 Il
vescovo Martino, donava la chiesa di Santa Maria de
Virgis, di Saorgio, all’abazia di Lerina.
Risultavano presenti alla stesura dell’atto di
donazione, in vescovado, i cardinali Corrado, Conte
e Giovanni, di passaggio quali inviati del papa
Pasquale II°, presso Francia e Spagna, in
occasione della calata su Roma, dell’imperatore
Enrico IV°
-
Con buone probabilità, anche la chiesa di Saorgio
avrebbe potuto essere dedicata a Maria Maddalena,
più che a Maria vergine, come la tradizione dotta
vorrà poi insistere, per oscurare un apparentemente
fastidioso mito maddaleniano.
-
1110 Il parroco di San Römu,
certo Villano, chiedeva al Vescovo ed al Conte
ventimigliese di arbitrare la questione del rifiuto
di pagare le decime da parte del popolo sanremese.
Un’iscrizione datata a quell’anno, descrive il porto
canale della Roia chiudibile con una catena.
1111 Avrebbero potuto agire in città alcune
monache benedettine, sottoposte al Priore di San
Michele.
-
In una carta pubblicata dal Cais, si legge
che il priore di San Michele era autorizzato a
cantar la messa ove meglio gli piaceva ed a
seppellire monactium suum vel monacham:
dunque la città, nostra aveva senza dubbio una casa
di benedittine.
-
1113 I genovesi occupavano Portovenere.
In Seborga giungevano i monaci cistercensi Gondemar
e Rossal.
1117 Bernardo di Chiaravalle raggiungeva i
suoi due confratelli in Seborga.
1118 Otto, tra cavalieri e monaci erano
radunati in Seborga, con Bernardo di Chiaravalle.
1119 La Francia, da Lione e Narbona fino
all’Atlantico e alla Manica, assumeva un’entità
politica unitaria.
-
Il re dei
Franchi, Luigi VI, metteva il potere politico in
mano alla “Corona di Francia”, creando il primo
Stato monarchico europeo e ribaltando la concezione
del potere laico. Al principio del XII secolo, sul
territorio oggi francese, cominciò una straordinaria
fioritura di riti, di atti, di parole, una singolare
invenzione dell’amore in tutti i suoi aspetti:
l’amore per Dio, l’amore per le donne, l’amore per i
giovani, al centro del quale si poneva l’amore che
gli uomini devono gli uni agli altri.
-
1120 Al vescovo intemelio Alecio, o
Alerio, scriveva papa Onorio II°.
Genova intraprendeva l’espansionismo verso l’Oltregiogo
appenninico.
Dopo il vescovo Alerio, dovrebbe essere nominato
certo Cornelio, in data sconosciuta.
-
Sotto il suo episcopato avrebbe predicato, in
Ventimiglia, il celeberrimo Bernardo di Chiaravalle.
Dopo aver predicato in Genova, per rappacificare i
genovesi coi Pisani, nel far ritorno in Francia,
veniva ricevuto dai vescovi di Albenga e di
Ventimiglia. Ad Orléans, ad Arras ed in Piemonte, a
Monforte stava evolvendosi un movimento di
contestazione ai soprusi del clero, che nell’ltalia
Nord-occidentale otteneva la collaborazione delle
autorità civili.
-
1124 Il Vescovo ed il conte Oberto
sentenziavano che i sanremaschi avrebbero dovuto
pagare le decime su vino, fichi, olive, biade,
carote, ecc..
Ad Antibo, il potente conte di Provenza, che si era
recato per amministrare giustizia, aveva al seguito
i conti ventimigliesi, i quali contrastarono i
signore di Grasse per farli restituire ai monaci di
Lerino il castello di Arluc.
1127 Il Comune genovese concludeva
accordi per l’attracco sulle coste con Raimodo di
Provenza.
1130 Col pretesto di tutelare la
sicurezza delle strade, il Comune genovese costruiva
una torre di guardia nel luogo di San Römu. Il Conte
Oberto opponeva resistenza ed inviava sul posto i
figli Filippo e Raimondo, con un nerbo di armati
raccolti a Bajardo ed a Poipino, ma i genovesi
prevalevano, costringendo il Conte di giurare
fedeltà, in San Siro.
-
San Römu veniva amministrata
dalla signoria del vescovo genovese, che soltanto
episodicamente si servirà dell’opera dei conti
ventimigliesi per la difesa del luogo.
-
1131
Il conte Oberto rinunciava ampiamente ai suoi
diritti su San Romolo, Ceriana, Baiardo e Poipino a
favore di Marsibilia, figlia del fu conte Anfosso e
moglie del nobile genovese Giovanni Barca, per il
suo “de paterno feudo et de Victimiliensi
comitatu”.
-
Per sua parte Oberto otteneva il riconoscimento di
ogni parte del suo “feudum quod Anfossus tenebat”
ed il “Vinctimiliensis comitatum quantum pertinet
ad feudum” come pervennero ad Anfosso dal nonno
e padre suo.
-
1132 Genova stringeva patti di amicizia con
Narbona.
-
Il Comune genovese, cresciuto
rapidamente in ricchezza e potenza, messosi a
fronteggiare la marina araba, si apriva, in
competizione con Pisa, una vasta zona di
penetrazione e di influenza, che si estese verso
occidente, oltre la Riviera, fin su tutte le coste
provenzali. Tale penetrazione, facilitata dalla poca
ed ineguale autorità che, sulla Provenza,
esercitavano i Conti, allora re di Aragona. Presi
nell’orbita dei due grandi comuni italiani, le città
provenzali ne adottarono i sistemi ordinativi
interni e ne ricercarono l’alleanza. Sicché la
competizione fra le due Repubbliche marinare si
tramutò presto in gara ostile, fra le due espansioni
politiche. In questo, Genova aveva la superiorità di
poter raggiungere i propri obiettivi con una
progressiva conquista terrestre.
-
1133 La sede episcopale genovese
veniva elevata ad Arcidiocesi.
1134 L’attacco armato genovese alla contea
di Ventimiglia non si limitò all’episodio di San
Römu; con qualsiasi pretesto Genova inviava milizie
per sottrarre territorio al controllo dei Conti.
1138 Genova concludeva patti con
Antibo e Marsiglia, togliendo a Ventimiglia
possibilità di trovare alleati in Provenza.
1140 In agosto, Ventimiglia era
improvvisamente stretta d’assedio.
-
Negli Annali genovesi, il Caffaro
concede notizia dell’assedio, con studiata brevità.
Mentre sappiamo da un cronista lombardo che la
resistenza, guidata da Conte Oberto, era stata
accanita. Sappiamo anche che nell’operazione i
marchesi Del Vasto di Savona si erano impegnati con
duemila militi, per ottenere in cambio, in caso di
vittoria, le terre che i Conti ventimigliesi,
possedevano dall’Armea al Finale. Al Comune genovese
sarebbe andata tutta la Contea ventimigliese. In
quegli anni il Comune locale poneva mano
all’ampliamento della cinta muraria, della quale
resta, significativo avanzo, nella porta del Ciousu,
che includeva, soltanto allora, la chiesa di san
Michele all’interno del perimetro difensivo.
Purtroppo la scarsità delle fonti locali, sui fatti
storici antecedenti il grave incendio degli archivi
comunali, appiccato dal Conestabile di Borbone, nel
1526, costringe ad utilizzare, quasi esclusivamente
la storiografia genovese, che per ovvi motivi, pecca
di parzialità, tacendo od esagerando determinati
episodi. Risulta comunque evidente la paziente e
tenace azione di. Genova contro Ventimiglia,
avviata proprio agli albori del XII secolo.
-
1143 Con un sentito breve il Comune
genovese incitava le popolazioni liguri a snidare i
Saraceni sulle coste spagnole.
Genova
stringeva patti con Montpellier e Sant’Egidio di
Provenza.
1145 Genova poneva l’assedio ad Almeria ed a
Minorca, con la partecipazione, in navi ed uomini,
di molti Comuni delle Riviere liguri e con
l’appoggio della nobiltà ligure.
Con bolla
del 15 maggio, il papa Eugenio III°, richiesto dal
vescovo Cornelio, cercava di sedare la controversia
tra i canonici della Cattedrale ed i monaci di San
Michele, a causa del cimitero.
-
Non
trovando posto per seppellire i defunti, dentro le
mura, i canonici si rivolsero ai monaci, ottenendo
la compartecipazione di un terreno presso San
Michele. Pochi mesi dopo, i monaci lamentavano il
fatto che i canonici avessero costruita una nuova
chiesa, nel cimitero, ove officiavano escludendo i
monaci. Il Papa commise la questione ad una
commissione di cardinali.
-
1146 Dopo la vittoriosa campagna,
Genova costrinse il conte Oberto a giurare la
Compagna Communis genovese, a trasferire la
famiglia comitale in Genova ed a considerarsi
vassallo genovese. Inoltre i genovesi iniziarono ad
erigere una fortezza, sul bastione roccioso a
cavaliere della città, Forte del Colle, detto poi
Forte San Paolo.
Per ottenere
la restituzione dei numerosi prigionieri,
Ventimiglia donava a Genova le presunte reliquie di
Sant’Ampelio, custodite a Sapergo (Bordighera),
le quali furono tradotte a San Römu, per poi passare
a Genova.
Anche Dolceacqua veniva occupata dai genovesi.
1147
Genova indiceva una spedizione contro i mori di
Spagna. Ventimiglia vi partecipava con gran copia di
navi e la reputazione di buoni marinai.
Nelle giornate vittoriose di Almeria, il vessillo
ventimigliese era stato in prima linea.
1148 La spedizione di Spagna continuava con
la vittoria di Tortosa; i ventimigliesi combatterono
attivamente.
Con i
prigionieri riportati da Almeria e Tortosa, il
Comune creava gli abitanti da dare alla villa di
Soldano.
1149
In aprile, Genova riconosceva ai valorosi alleati
ventimigliesi l’esonero dalle gabelle nel grande
porto ligure, concedendo, nel 1151, la cittadinanza
genovese a tredici nocchieri ventimigliesi.
-
Erano questi: Oberto Introversato, Enrico Anselmo,
Giovanni Bonamiga, Enrico Guercio, Feraldo Bailardo,
Bonsignore Battalia, Rainaldo Bulferio, Rainaldo
Nuclerio, Ottone Sperone, Enrico Redolago,
Bonsignore di Riculfo, Rinaldo Casio e Rainaldeto
Nauclerio. Non a caso, Genova cercava di legare a
se’, gli uomini più validi, della città più
importante del Ponente.
-
1151 Il conte Oberto concedeva il
privilegio “ad libertatem” agli uomini. di Ceriana.
In quel tempo, costruiva alcuni castelli nelle valli
Armea ed Argentina.
1152 Il conte Ottone, figlio di Oberto,
concedeva la carta di privilegi ed immunità agli
uomini della valle del Maro.
-
Capostipite dei signori del Maro,
Oberto passava i privilegi al figlio Enrico, che
sposava suo figlio Filippo ad Audisia Trincheri, dei
signori di Carrù, la quale gli diede Enrico II,
stipite della gloriosa stirpe dei Ventimiglia di
Sicilia; Filippo dei signori di Conio ed Oberto
signore di Caravonica e Prelà.
-
1154 Con l’occasione della calata in
Italia del Sacro Romano Imperatore, Federico I° di
Hohenstaufen, Genova prometteva fedeltà all’Impero.
Nel 1155, con il ritorno del
Barbarossa in Italia, Genova si comportava come una
libera e sovrana potenza che trattava alla pari
anche con la suprema autorità della terra. Costruiva
infatti la sua nuova cinta muraria, mentre stringeva
patti con Arles.
1157, il conte Guido Guerra, succedeva
ad Oberto. Ottenuta l’investitura, donava a Genova i
luoghi di Roccabruna, Gorbio, Poipino, Penna,
Castiglione, Braus, Sospello Lamenor, Breglio,
Saorgio, La Pennetta, Briga e Tenda, ricevendoli
subito dopo come feudo.
Con la moglie Ferraria, figlia di Raimondo, Conte di
Arles, il conte Guido Guerra giurava la “compagna”
del Comune di Ventimiglia, facendo concessioni,
verso i Consoli, alla presenza dell’imperatore
Federico II°, il Barbarossa, alla corte del
quale il conte Guido Guerra era cavaliere.
Il Conte ed i ventimigliesi, con altri comuni
liguri., compresa Genova, combatterono a Legnano, a
lato del Barbarossa.
1158
Dopo l’occupazione del 1140, i genovesi
consolidavano la loro presenza con l’occupazione
dell’antico Castel d’Appio e con la costruzione di
un primo nucleo del Forte Castelvecchio, o Forte del
Colle, sull’altura a cavaliere della città. Passando
per Ventimiglia un nunzio imperiale, disapprovava la
costruzione del castello genovese ed istigava i
cittadini a raderlo al suolo, rivendicando le
libertà che Genova otteneva di soffocare, subito
dopo, inviando una ambasceria al Barbarossa.
I Conti Guido
Guerra ed il fratello Ottone entravano nell’Ordine
Templare.
-
Presso l’Archivio Reale di Bruxelles,
alla sezione manoscritti n. 6614 f. 114, nel 1997,
il barone De Sonj, tra le armi dei Cavalieri
Templari, ha trovato lo stemma di Guido Guerra e suo
fratello Ottone, Conti di Ventimiglia. La nota Domus
Templi, ritrovata nei rogiti del XIII secolo,
potrebbe essere una loro iniziativa a vantaggio dei
pellegrini e dei romei.
-
1162 Il vescovo ventimigliese Stefano da
Milano, metteva pace tra gli uomini di Tenda e di
Briga, per i confini.
Un trattato
con l’imperatore Federico I°, sanciva ufficialmente
il sospirato predominio genovese sulle Riviere,
costituendo base giuridica per le pretese di Genova.
1163 Il Comune di Nizza imponeva al Vescovo
il pagamento delle tasse, come un semplice
cittadino. Il Vescovo ricorreva al Conte di
Provenza, re Alfonso d’Aragona, ma il Comune
decide6a di imporsi con la forza, alleandosi con
Genova.
-
In quell’occasione, se la Provenza ed
il vescovo avessero cercato l’alleanza di Pisa,
l’espansione genovese ne sarebbe stata certamente
compromessa.
-
1164 Il conte Guido Guerra, donava
alla sede vescovile di Nizza il castello di Drappo.
Egli si era riservato il diritto di mantenere in
città una casa, un forno ed una vigna; quando egli
fosse stato impiegato in missioni per 1‘Imperatore,
come l’ambasceria al Re di Sardegna, Barisone.
1169 Il 23 marzo, il vescovo
Stefano, assistito dai Consoli, del Comune,
pronunciava una sentenza fra gli uomini di Tenda e
di Saorgio, su dispute di confini.
In Genova, sollecitata dal vescovo Ugone, giungeva a
conclusione la disputa tra la fazione di Ingone de
Volta e quella di Amicone di Castello.
1170 Ventimiglia sottoscriveva una Lega col
Comune di Pisa, per salvaguardarsi la navigazione
nel Mediterraneo. Genova inviava quattro galee per
proteggere Nizza, che partecipava con una galea
nella guerra contro Pisa.
-
In quel
periodo, alla Cattedrale veniva addossato il
campanile, primariamente come torre di difesa, in
conci di puddinga, testimone delle lotte con Genova.
-
1174 Raimondo elevava pretese al
trono di Provenza, contro Alfonso e il Comune
genovese lo sosteneva.
1176 La devozione del Conte che
aveva portato la città di Ventimiglia a schierarsi
tra i simpatizzanti del Barbarossa nella battaglia
di Legnano, seguì anche nel trattato d’Anagni, nella
tregua di Venezia e nella pace di Costanza, assieme
a Cremona, Pavia, Genova, Tortona, Como, Asti, Alba,
Aqui, Torino, Alessandria, Savona ed Albenga.
1177 In gennaio, il vescovo Stefano,
assistito dai Consoli della città, pronunciava una
sentenza arbitrale tra i monaci benedettini di san
Michele ed i Canonici della Cattedrale, assistito
dal parroco Guglielmo ed il prevosto di Saorgio, per
la chiesa di N.D. del Poggio.
Il 13 luglio, lo stesso Vescovo, con i Consoli
derimeva una lite tra l’Abate di Lerino ed il Comune
di Ventimiglia, decretando l’esenzione dei
Seborghini da qualsivoglia tributo.
Il Libero Comune stringeva patti segreti con
Pisa, indipendente dalla politica del Conte sovrano.
Il 5 settembre, il fratello di Guido, il conte
Ottone giurava fedeltà a Genova e cercava di
revocare le libertà concesse dal fratello al Comune.
Genova si faceva cedere dai conti i territori di
Roccabruna e di Gorbio, con l’intento d’impedire
aiuti e rifornimenti provenzali al Comune.
Mentone e Poipino venivano infeudati alla famiglia
Vento.
-
Morto Guido
Guerra e non sopravissuti al padre i figli Corrado
ed Oberto, il fratello di Guido, il conte Ottone
infeudava Mentone e Poipino ai Vento, potente
famiglia genovese. Cedeva all’ Abate di Lerino le
possessioni delle Chiuse e di Garavano, presso
Mentone, e le praterie in vicinanza di Ventimiglia,
in cambio di possedimenti lerinensi nella contea di
Albenga. Cedeva inoltre la chiesa di San Michele, in
cambio di Armo e Prelà, in val d’Oneglia. Ma la
cessione di Roccabruna e Gorbio è stata
l’imposizione più subdola.
-
1179 Genova sottometteva Albenga e
riconvenzionava Savona.
Il vescovo intemelio Stefano, milanese, interveniva
al Concilio Lateranense.
-
Nel III Concilio lateranense, il papa Alessandro III°,
che precedentemente aveva insegnato nella scuola di
Bologna, fece approvare e promulgò una costituzione
che imponeva ad ogni capitolo cattedrale di
mantenere un maestro, il quale avrebbe insegnato
gratuitamente. Inoltre la costituzione stabiliva che
in ogni diocesi lo scolastico, dignitario incaricato
dal vescovo o dal capitolo di dirigere la scuola,
avrebbe concesso la “licentia docendi” a quanti ne
fossero degni. Quindi i licenziati avrebbero avuto a
propria volta diritto d’insegnare, creando nuove
scuole. La licenza dava facoltà di insegnare solo
nella diocesi. dov’era stata concessa.
-
1181 Il 13 settembre, il conte
Ottone era garante d’una convenzione tra Baiardo ed
Albenga.
Genova assumeva la protezione dell’Abazia e delle
isole di Lerino, acquistando la metà di quella di
Santa Margherita, per edificarvi un castello ed un
borgo.
1182 Genova risottometteva Porto Maurizio e
Diano.
1184 Genova riprendeva Taggia.
1185 In agosto, i Consoli ventimigliesi
Roderigo Borsa e Gandolfo Cassolo muovevano
all’assedio dei castelli di Roccabruna e di
Sant’Agnes, nei quali era fortificata la famiglia
del conte Ottone. Roccabruna cedeva subito, mentre
il figlio di Ottone, il conte Enrico opponeva
resistenza a Sant’Agnes, riuscendo poi a fuggire a
Dolceacqua. I ventimigliesi attaccavano e davano
alle fiamme il castello di Dolceacqua, costringendo
il conte Ottone a giurare la Compagna del nostro
Comune ed a rinnovare le concessioni già accordate
da Guido Guerra.
-
Il Comune
ventimigliese dotava il proprio territorio di un
sistema di fortilizi, mostrando chiaramente quali
fossero le sue intenzioni verso i genovesi. La via
della Provenza era per Genova nuovamente sbarrata.
SECOLO
DECIMO
PRIMO
LE COMPAGNE D'ARTE E POLITICHE
1000
Adelaide, contessa di
Susa, nipote di Olderico Manfredi marchese di Torino,
donava al Monastero Benedettino di Santo Stefano in
Genova le terre tra la foce del Torrente Argentina,
Terzorio e Cipressa, che verranno a costituire il feudo
ecclesiastico di Villaregia.
-
Le terre dei Benedettini di Taggia, sui confini
orientali della Contea ventimigliese, come principato
monastico di Villaregia, legato alla chiesa di Santo
Stefano di Genova, tendevano a divenire punto di
penetrazione dell’influenza genovese sul Ponente. Nel
riconoscimento di una coincidenza di interessi a
salvaguardia della propria funzione, anche come forza di
penetrazione religiosa sempre più capillare nel tessuto
extra urbano, appariva la figura del vescovo. Al di là
degli stessi poteri signorili che avrebbe acquistato,
agli inizi del X secolo, assunse una carica di
rappresentatività ed una forza di polarizzazione uniche,
quanto indipendenti dall’esercizio del potere politico,
in un governo temporale. Nella città e sui cives, il
vescovo restava un termine dialettico, oltre a
rappresentare un elemento di riferimento
imprescindibile. Spesso era il garante dell’ordine
pubblico, promotore di conciliazioni, custode dei pegni
di fazioni politiche. L’essere a capo della diocesi
rappresentava una forza centripeta di indubbia
importanza. Esistono remote testimonianze, che un “conventus
civium” venisse riunito dal vescovo, per la
trattazione di cose di interesse comune, oltre a quelle
di rilevanza ecclesiastica.
-
1002 I
monaci di Lerina, ottenevano di elevare a Principato il
loro feudo di Seborga.
1003 Il
Marchese di Susa, Arduino III, concesse una “carta” agli
uomini di Tenda, la Briga e Saorgio.
-
Nel Ventimigliese le libertà furono ottenute già nella
prima metà dell’XI secolo. Le “carte” apparvero, nei
principali centri della Contea, costituendo le prime
cellule dei futuri Comuni.
-
1008 I
confratelli laici di Sant’Antonio Viennoise entravano
come infermieri nell’ospedale annesso alla chiesa di San
Michele, fuori le mura, sulla Colletta; chiamati dal
conte Corrado.
1015
Qualche catalogo numismatico accerta che, da quell’anno,
i Conti di Ventimiglia battessero moneta.
I Mori di Spagna
occupavano Luni e saccheggiavano Pisa.
-
Dopo la
morte del grande Al Mansur, califfo di Cordova, sulla
costa tra Valencia ed Alicante, s’era costituito il
califfato locale di Denia, dove emergeva Mugiahid ibn
Abd Allah, detto “il Mugetto”. Occupate le Baleari, le
navi di Mugiahid corsero lungo le coste provenzali e
liguri, fino al saccheggio di Pisa. Pisa, Genova,
Adalberto II° Obertengo, Ranieri di Tuscia ed il
pontefice Benedetto VIII si coalizzarono per affrontare
il Mugetto. Pisa e Genova sconfissero la flotta
mussulmana, mentre le truppe alleate sbarcate in
Sardegna non davano scampo ai Saraceni locali. Luni
veniva liberata da Adalberto II° mentre la Sardegna era
assegnata, da papa Benedetto VIII, al Comune di Pisa.
-
1016 Genova
e Pisa alleate conquistarono la Sardegna, dividendosela.
1018
All’arcidiocesi milanese saliva Ariberto da Intimiano,
che portò il potere vescovile milanese alla massima
influenza sulle deputazioni comunali.
-
L’intensa e spesso audace attività politica di Ariberto
stimolò la cittadinanza, divisa nelle classi
tradizionali dei capitani, dei valvassori e dei cives a
partecipare al governo cittadino. Le prime due classi
erano nobili, cioè militari, mentre la terza, popolare,
era formata da mercanti ed artigiani. L’esempio milanese
venne ben presto seguito in tutti i territori
dell’arcidiocesi.
-
1021
Olderico Manfredi, conte arduinico torinese, vendeva ad
un prete un suo possedimento nella contea di
Ventimiglia.
1022
In Pavia, veniva convocato un Concilio per dibattere
sulla fuga dei servi dalle campagne.
-
L’abbandono delle terre, complicata dalla crisi
istituzionale del clero; i matrimoni tra donne di
condizione libera ed uomini di condizione servile
spopolavano le campagne con gravi danni all’economia.
-
1026
Bartolomeo, vescovo di Ventimiglia, riconsacrava la
chiesa di San Lazzaro, in Tenda.
-
Nella nostra Diocesi, dopo Bartolomeo, il profilo
professionale del vescovo non sarà più quello tenuto
nell’Alto Medioevo. Terminato il periodo della Chiesa
nascente, nonostante tutti i mutamenti politici,
ideologici e sociali avvenuti sul territorio intemelio,
la biografia del vescovo risultava pressoché immutata:
esperienze monastiche, buona cultura, capacità di
comando ed impegno sociale. La nascente nobiltà
carolingia cominciò ad imporre il prelato amico, se non
addirittura di famiglia, con le dovute conseguenze.
-
1028 A
Monforte d’Alba, presso Asti, si insediava una comunità
di protesta verso la gerarchia cattolica, scoperta ed
eliminata da Ariberto da Intimiano, metropolita
milanese.
-
Non si trattava ancora di Catarismo, che giungerà poco
dopo dalla Provenza, ma neppure della Pataria milanese,
che avrà dimensioni cittadine e non rurali. Nel 1032, a
Basilea, moriva Rodolfo III l’Ignavo, che attraverso
Enrico II aveva lasciato come erede del regno di
Borgogna l’imperatore Corrado di Franconia. Mentre Eude
de Blois pretendeva la successione, a sostenere
Ermengarda, vedova di Rodolfo, si schierava Umberto
Biancamano, che accompagnava la regina a Zurigo, per
rendere omaggio all’imperatore Corrado, rispettando il
lascito.
-
1031
Olderico Manfredi, conte arduinico torinese, faceva
donazione ai frati di San Solutore d’un suo possedimento
nella contea di Ventimiglia.
-
Questa donazione, seguita alla vendita del 1021,
dimostrerebbe come gli Arduinici torinesi si
disinteressassero dell’area intemelia che ritenevano
territorio senza prospettive, per loro, così com’era
egregiamente mantenuto dalla famiglia comitale
ventimigliese.
-
1038 I conti
Corrado ed Ottone ratificavano una carta di libertà agli
uomini di Tenda, Saorgio e Briga, per diritti già
concessi da Arduino III° Glabrione, marchese di Susa,
nei primi anni dell’XI secolo.
-
Tra i diritti concessi spiccava la concessione alla
libertà di pascolo, su tutti i territori della Contea,
fino al mare. La costa marina su cui affacciava la
Contea intemelia correva dalle falde del Monte Agel alla
foce del Torrente Argentina. I pastori di Tenda, Briga e
Saorgio praticavano la transumanza fin dall’antichità e
si erano guadagnati nel tempo tali concessioni.
Frequentavano i pascoli alpini da maggio a settembre,
calavano le greggi in prossimità dei luoghi d’origine
nel mese di ottobre, poi a novembre scendevano nei
pascoli loro concessi sui declivi in vista del mare,
portando le greggi a bagnarsi nell’acqua salsa almeno
due volte in novembre e febbraio. A marzo o ad aprile,
subito dopo la Pasqua, tornavano con le greggi nei
pressi dei luoghi d’origine, dove attendevano maggio per
avviarsi all’alpeggio.
-
Il conte Corrado,
invogliato dalla moglie Adelaide, cedeva all’omonimo
vescovo genovese numerosi diritti che, la chiesa di San
Siro, in Genova, vantava nel luogo di San Romolo.
1040
L’abate Odilone di Cluny ed alcuni prelati del regno d’Arles
fecero propaganda della “Tregua Dei” presso i vescovi
italiani, senza ottenere successo.
L’atto di donazione d’una parte di due mulini, redatto
per Giovanni Cavaria in Varaxe, menziona i monaci di
Lerina, attivi nella “Grangia di Varaxe”, che vegliava
sulla strada dello Strafurcu.
-
Il passo dello Strafurcu, sul crinale di Monte Pozzo,
era un punto obbligato della strada che portava in
Piemonte, alla antica via Domitia. Questa, uscendo da
Ventimiglia, seguiva da presso il crinale del Colle e
del Monte, poi, raggiunto il Castel d’Appio ed aggirata
la Maglioca sul lato Est, raggiungeva Bevera e Varase,
da dove saliva sul Pozzo.
-
Il 15 ottobre, a
Marsiglia, papa Benedetto IX° consacrava la chiesa del
Monastero di San Vittore. Alla presenza di ventitrè
vescovi della Francia meridionale dava riconoscimento
ufficiale alla “Tregua Dei”.
-
A Marsiglia, tra i ventitré prelati riuniti dal
giovanissimo papa Benedetto IX°, oltre al famoso abate
Odilone di Cluny, erano presenti i vescovi: Reginaldo di
Arles, Benedetto di Avignone e Nithard di Nizza, i più
attivi nella propaganda della “Tregua Dei” verso i
vescovi italiani. Ne proponevano l’introduzione almeno
in concomitanza di particolari festività religiose, come
Pasqua e Natale. Si deve ritenere plausibile il
passaggio per Ventimiglia del ventiquatrenne Papa.
-
1041 I
conti Ventimiglia, Corrado ed Ottone, assieme alla loro
madre Adelaide e con la contessa Armellina, moglie di
Corrado, confermavano la donazione del monastero di san
Michele ed aggiungevano le adiacenze ad Adalberto, abate
di Lerina.
1045
Tommaso, rampollo dei conti locali, vescovo nella sua
città, faceva donazione del fondo di Carnolese
all’abazia di Lerina.
1050 Da quell'anno, le temperature cominciarono
ad elevarsi di circa due gradi.
-
L’innalzamento della temperatura e la diminuzione delle
piogge, durata fino al 1270, ha condotto ad una
progressiva desertificazione dell’Europa. Il tempo
meteorologico meno instabile ha favorito lo svolgimento
delle Crociate. Le spedizioni navali di ritorno dalla
Terrasanta, importarono il ratto, fino ad allora
sconosciuto sul nostro territorio. Nel XIII secolo, era
diffuso in tutto il continente europeo, con la
conseguente diffusione di peste e tifo.
-
1052 Il vescovo di Genova, Oberto, riusciva a
porre in equilibrio le parti sociali genovesi.
Presso la costruenda chiesa di San Michele, in Oliveto,
sorgeva l’Ospedale con annesso ostello per pellegrini.
-
La
chiesa è sorta sulle vestigia di un tempio bizantino,
già dedicato all’arcangelo, ma sorto a sua volta su un
tempio romano dedicato a Castore e Polluce.
-
1060 Il 4 giugno, ancora i due conti
ventimigliesi, Corrado ed Ottone, facevano donazione a
l’abate di Lerina dei luoghi di Vincadelo ed Incadelo,
borghi ora distrutti, che dettero origine al castello di
Perinaldo.
Il monastero benedettino, lerinense, di San Michele era
retto dall’abate Dalmazio.
1064 Il vescovo intemelio Tommaso, dei conti di
Ventimiglia, faceva dono di un podere al congiunto
Rinaldo.
-
Si
crede che il podere prendesse, in seguito, il nome di
“podium Rinaldi”, l’attuale Perinaldo.
-
1070 Il monastero benedettino, lerinense, di San
Michele era retto dall’abate Ponzio.
Il nobile Guigues de Didier fece costruire una chiesa
nel villaggio di La Motte St. Didier, presso Vienne, nel
Delfinato, dove vengono lasciate posare le spoglie di
Sant’Antonio Abate. Il villaggio sarà poi chiamato Bourg
St. Antoine.
1072 Un’atto notarile menzionava una torre
esistente nel quarterium Castelli.
-
Potrebbe trattarsi della torre campanaria, usata in quel
tempo come osservatorio militare e civile. Uno schizzo
del 1532 mostra ancora esistente il castello che era
stato dei Conti, o almeno quello dei Capitanei genovesi.
I Conti costruirono il loro castello, sul Cavu, durante
l’XI o il XII secolo, mentre in questo secolo: ut
possint quamdiu in Vigintimilio si fuerint, et hospicium
non costruxerint, cum dictis fratribus hospitari ibidem
in monasterio Sancti Michælis ... giacché
l’ospitalità gli era dovuta dai frati di Lerino, ivi
dimoranti.
-
1077 Il 5 agosto, il monastero lerinense veniva
gratificato col dono di un’isoletta posta in vicinanza
di alcuni mulini, lungo il Fiume Roia. In questo atto
interveniva anche Donella, figlia di Alberto marchese di
Savona, moglie del conte Ottone.
-
Da questo documento, si ha la certezza che il contado
ventimigliese, da amministrativo era divenuto ereditario
e patrimoniale. I Conti, pur moltiplicando le
generazioni, tenevano unito il patrimonio, esercitando
tra fratelli e cugini gli uffici amministrativi e legali
di tutto l’esteso contado. In questo periodo gli stessi
Conti furono costretti a giurare la Compagna genovese,
mentre il Comune della Superba mirava a sottomettere
Ventimiglia.
-
1078 In Provenza,
Savoia, Borgogna, Piemonte e Liguria apparve un’epidemia
di ergotismo, affezione cutanea dovuta a sostanze
alimentari inquinate da segale cornuta; detta
comunemente: fuoco sacro o fuoco di
Sant’Antonio.
1079 Il conte Spedaldo o Fredaldo di
Ventimiglia donava ai monaci di Lerina, alcuni beni in
Seborga ed il vasto terreno di Cunio, verso i Negi.
1080 Sull’atto di donazione per Cunio, sono poste
successivamente le conferme delle cessioni da parte di.
Romaldo, con i suoi fratelli, Mauro con la moglie e le
figlie, Razo e Guglielmo. Sulla stessa pergamena vengono
aggiunte le donazioni di Fredo, nipote di Fredonio e del
prete Pietro. Anche Guglielmo, Ricol e Bernardo
confermano la donazione.
1081 Il conte di Provenza rendeva omaggio a papa
Gregorio VII.
1082 Il 16 marzo, il conte Corrado III°,
erede di Corrado II°, che aveva sposato Odila,
degli antichi conti di Nizza, donava la chiesa di San
Martino, posta nel luogo di Carnolese, al monastero di
Lerina.
1083 Gli abati benedettini, lerinensi, del
monastero di San Michele vennero chiamati priori e
signori di del luogo di Seborca.
1084 Genova, ottenuta l’alleanza dei nobili e di
molti Comuni costieri della Liguria, portava aiuto ad
Alfonso VI di Castiglia, nella lotta contro i Mori.
-
La politica di
espansionismo genovese, in quel frangente, tendeva a
federare le forze esistenti sulle coste liguri,
coinvolgendole in operazioni militari adatte ad aprire
un redditizio mercato commerciale verso la penisola
iberica, che Alfonso di Castiglia stava riconquistando
ai Mussulmani. Toledo nel 1085, Valencia e Lisbona nel
1092, erano state tolte ai Mori di Spagna. La
cooperazione con Sancio d’Aragona e Raimondo Berengario
di Barcellona tendeva a riconquistare la costa iberica
mediterranea, oltre alle isole Baleari.
-
1087 Navi genovesi e liguri attaccavano le
coste tunisine per neutralizzarvi i covi saraceni.
-
Dopo
il 1060, con i Normanni che occuparono la Sicilia ed
Alfonso I° nei possedimenti arabi di Spagna, i Saraceni
persero molto del loro donimio navale sul Mediterraneo.
Le flotte di Genova e Venezia si spingevano sino alle
coste tunisine, libere di navigare per tutto il del
Mare nostrum, in supremazia commerciale e militare.
Anche le navi del nascente Libero Comune ventimigliese
si inoltravano in quei lidi.
-
1090 Potrebbe aver avuto inizio il
cantiere per la costruzione del Battistero romanico,
sulla pianta di un precedente battistero bizantino o
longobardo. Mentre la Cattedrale veniva trasformata in
chiesa proto-romanica, a tre navate di tipo lombardo,
con primitivo tetto a capriate.
-
Scavi condotti nel 1996, portavano alla luce una fossa
per la fusione di una campana sotto il pavimento del
Battistero, nel contesto di murature che confermeno la
precedente costruzione tardoromana o altomedievale,
sulla quale stava sorgendo, nell’XI secolo, l’attuale
Battistero.
-
1092 Il vescovo intemeliense Martino concorse
alla donazione fatta dagli uomini di Saorgio ai monaci
di. Lerina, della chiesa di santa Maria del Poggio,
posta in val Salviense.
-
Nelle lettere commendatizie, dove invitava i monaci a
prendere possesso del priorato, Martino li chiama
fratelli, lasciando supporre la sua appartenenza
all’ordine lerinense. Nel 1109, donava alla stessa
abbazia la chiesa di Santa Maria de Virgis del distretto
di Sospello, rogandosi l’istrumento della presenza in
Ventimiglia, dei cardinali: - Conradi, presbitero -
Comiti, diacono e Giovanni, sudiacono - di passaggio in
qualità di legati del papa Pasquale II°, per la Francia
o la Spagna, in causa della venuta dell’imperatore
Enrico IV°. Moriva l’otto settembre, non si sa di quale
anno. Del vescovo Cornelio, si conserva il nome in una
bolla di papa Eugenio III, del 15 maggio 1145,
riferentesi alla lunga ed agitata controversia tra i
canonici della cattedrale ed i monaci di San Michele,
per causa del cimitero. Si dice che, nel suo episcopato,
il celebratissimo abate di Chiaravalle Bernardo, poi
santificato, nel far ritorno in Francia illustrasse
colla sua predicazione le diocesi d’Albenga e di
Ventimiglia, ivi onorato dai rispettivi vescovi.
L’ampliamento della Cattedrale, dovuto all’aumento della
popolazione, teneva conto dell’uso, che del monumento,
si faceva oltre al servizio sacro. Per tutto il
medioevo, nella Cattedrale, si tenevano e si erano
tenuti i Consigli degli anziani, i Conti vi deliberavano
e tenevano giustizia. In seguito vi si radunerà il
Consiglio del Libero Comune, mentre era uso, quando il
tempo era piovoso, tenervi mercato.
-
Alcuni uomini, abitanti in Saorgio
(nominati individualmente maschi e femmine),
facevano donazione della chiesa di Santa Maria del
Poggio al monastero di Sant'Onorato di Lerino.
(Chartarum
- Monumenta historiae patriae. Vol. I°)
1095 Papa Urbano II approvava la confraternita
degli Antoniani Viennoise.
-
Fondato da Gastone de Valloire, a La Motte St. Didier,
l’Ordine era formato da infermieri e frati laici che
avevano come superiori religiosi i Benedettini
dell’abazia di Montmajeur presso Arles. I canonici,
presenti in Ventimiglia, dipendevano dai Benedettini di
Lerino.
-
Corrado III° confermava al Vescovo genovese la donazione
dei luoghi di San Romolo e Ceriana.
-
I diritti nominati nell’atto sono quelli di placito,
fodero, scitatico, alpatico, ripatico e precarie. Fra i
conflitti politici che impegnarono gli stati emergenti
dalla disgregazione dell’impero carolingio, il più aspro
ebbe per posta il controllo dell’istituzione del
matrimonio. I capi famiglia delle più importanti
dinastie lo volevano loro riservato, mentre i preti
desideravano introdurre la sacralità in questa
istituzione profana, per meglio controllare la
trasmissione del potere laico. Ebbero la meglio gli
amministratori del sacro, con conseguenze incalcolabili.
-
Essendo i
prigionieri tra i cittadini più in vista, i
ventimigliesi tentavano di liberarli, ma
cadevano in mano nemica altri prigionieri, tra i
quali il podestà, Giacomo da Caraglio, che
rifiutava di essere liberato prima dei compagni
di prigionia.
Durante l’assedio, una saettia ventimigliese
riusciva a superare il blocco navale e giungere
salva in un porto provenzale, indi ritornare in
città con provviste, sostenuta dai Rettori di
Marsiglia che, pressati dai genovesi,
rifiutavano di consegnarla.
Lo scopo primario di questa sortita
ventimigliese era stato, quasi certamente la
richiesta di aiuti da parte del conte Raimondo
Berengario V°, che giunse a dar aiuto con un
buon numero di armati.
Il podestà genovese, Lottarigo da Martinengo,
metteva campo a San Römu e cominciava a dare il
guasto alle campagne prendendo tempo.
La strategia genovese aveva la meglio, infatti,
prima il Berengario, indi il luogotenente
Guglielmo di Cottinago, da questi lasciato in
città, abbandonavano la causa.
Il vice ammiraglio genovese, Lanfranco De-Mari,
attaccava la città, senza esito, quando il
Martinengo, portò molti prigionieri
ventimigliesi in vista agli assediati e minacciò
di accecarli se la città non si fosse arresa
entro otto giorni.
Alcuni ventimigliesi si arresero, mentre altri
catturarono i genovesi deputati al presidio di
Castel d’Appio, costringendo il Martinengo a
portare a fine la minaccia.
In
dicembre, le “Assise di Capua”, decretate da
Federico II°, ponevano fine ai privilegi del
Comune genovese nell’ambito del Regno del Sud.
Genova perdeva la base di Siracusa, determinante
per la conquista di Creta.
-
L’inimicizia verso
Genova, scatenata dalla politica autarchica di
Federico II° di Svevia, poneva in condizioni di
profitto pisani e veneziani. Toccare gli
interessi economici della Superba, costò caro
allo stesso imperatore, che non poté condurre a
termine il disegno del “Regnum Italie",
contrastato dalla maggior potenza del Tirreno.
Malauguratamente, come riflesso, l‘aver
abbandonato gli sforzi per la conquista di
Creta, pose quale più impellente disegno
espansionistico genovese, l’affermazione sui
cosi detti “Dominii di Terra”. Le forze
richiamate dai mari del sud erano tutte dedicate
alla sottomissione di Ventimiglia.
-
1221 In marzo, un gran numero di
armati sbarcava a Bordighera e dava fuoco ai
copani da trasporto che erano ormeggiati
nell’ansa del fiume.
Il Martinengo comandava di chiudere il porto
ventimigliese, facendovi affondare un copano
all’imboccatura, inoltre di deviare il corso del
fiume Roia.
Venivano eretti due castelli sul colle delle
Maule, allora chiamato di San Cristoforo e in
zona, oggi detta Bastia, costruiva una nuova
città difesa da mura e da duemila fanti,
comandati da Sorleone Pepe, che organizzò molto
bene uno stretto, costante assedio.
Molti ventimigliesi, affamati, disertavano per
abitare la nuova città, dietro l'esempio indegno
della famiglia De Giudici.
Gli abitanti di San Römu, stanchi di dover
ospitare gli assedianti, si ribellarono e
chiesero soccorso al loro signore, l’arcivescovo
ai Genova, Ottone, che recatosi sul posto, cercò
di favorire i propri sudditi richiamando le ire
dei genovesi, i quali inviarono i capitani
Aimerico e Rubaldo Elia a guastare i beni
sanremesi.
I ventimigliesi approfittarono dei disordini per
catturare una delle galee assedianti,
sorprendendo il capitano Guglielmo d’Aldone,
mentre dormiva.
Il conte di Tenda, Guglielmo disertò dal partito
genovese e si mise a disposizione della sua
città d’origine, dove ricevette l’incarico di
Podestà.
1222 Armata una cetèa ed eluso il
blocco i ventimigliesi superarono Genova, per
chiedere soccorsi, ma una galea di Porto Venere,
al soldo genovese, catturò i nostri a Corneto,
trasferendoli a Genova.
Il 19 agosto, nel fossato davanti alle mura, i
ventimigliesi domandavano la pace, a Sorleone
Pepe.
Il
vescovo, i De Giudici ed altri notabili si
recarono a Genova, a declinare la resa.
-
Oltre a Raimondo De Giudici ed al
vescovo, erano presenti Raimondo Priore,
Ottobono Maroso, Pietro Curlo Saonese ed il
conte Guglielmo II. Certamente era presente
anche il vescovo Guglielmo che fu testimone del
memorando assedio e la sua autorevole parola
valse, senza dubbio, a rendere meno gravose le
condizioni della resa, cui egli assistette,
anche se su quel documento si legge la firma del
vescovo Guido.
-
VENTIMIGLIA CAPITANEATO
di
PODESTERIA GENOVESE
L’8 settembre la città esausta, apriva le
porte al podestà genovese Spino da Soresina, che
entrava in Ventimiglia, dove nominava podestà
Sorleone Pepe, con incarico di abbattere le mura
della nuova città, alla Bastida.
Nominava comandante del forte della Rocca i
nobili Marino da Bolgaro e Guglielmo da
Savignone, con cento uomini di presidio. A
Castel d’Appio, nominava Ugolino Boccuccio ed
Ottone della Murta, con altri cento uomini nel
forte di Piazza, che fino ad allora era stato la
dimora dei conti ventimigliesi.
Il conte Bonifacio, figlio di Emanuele,
partigiano genovese, vendeva metà del luogo di
Dolceacqua e si ritirava in Provenza dove sarà
stipite dei conti di Verdiére.
-
L’indipendenza ventimigliese
era finita, svaniva la speranza di costituirsi
un’autonoma potenza marittima. L’atteggiamento
tenuto dai De Giudici, tradizionali nemici dei
Curlo, accentuava la rivalità fra le fazioni
cittadine. La città era prostrata. Il fiume
deviato lontano dalle mura, comprometteva il
porto canale, che era stato interrato. La resa
comportava lo smantellamento delle mura verso
oriente e la costruzione, da parte dei genovesi
di due nuclei fortificati, sui rilievi
sovrastanti l'abitato. Uno era il potenziamento
di Castel d’Appio, l’antica fortezza romana,
occupata da Genova nel 1158, per la
inaccessibilità del luogo, che controllava
l’accesso dalla Francia, spaziando ampiamente su
tutto il litorale verso oriente. L’altro era la
costruzione del primo nucleo del Castel del
Colle, denominato nel tempo Castelvecchio e
Forte San Paolo. La fortezza naturale de La
Penna svolgeva il ruolo di controllo sul
territorio Intemelio, nelle vie di comunicazione
verso il Piemonte. Ad occidente veniva creato un
premurale con il primitivo nucleo di Porta
Canarda, in località Calandre, zona impervia e
di difficile accesso, la stessa porta verrà
sopraelevata e rinforzata nel corso del
Cinque-Seicento. Mentre da oriente, si entrava
in città da Port’Asse, demolita nel 1972,
ricavata nell’antemurale, che partendo dal
castello di Portiola, alla foce del Nervia si
inerpicava sul colle soprastante, detto Maure.
Queste mura, costruite a protezione della città
nuova, eretta temporaneamente dai genovesi in
località Bastida, che sarà il nucleo primitivo
del Sestiere di Sant’Agostino, il Cuventu.
1192 Guglielmo, figlio del conte Ottone, si
recava a Genova per aggiornare una convenzione, che
concedeva a quel Comune, metà dei diritti
feudali di loro spettanza.
1193 Il 4 marzo, Ottone, con i figli
Guglielmo ed Enrico, sottoscrivevano i patti a
favore dei genovesi.
Il Comune di Genova, otteneva, dall’imperatore
Enrico VI°, il dominio della costa ligure da
Portovenere a Monaco, oltre alla maggior parte della
Corsica.
1198 Il Console Ottone De Giudici,
coi colleghi Ottone Nolasco e Lercario, alla
presenza del nuovo vescovo Guido, venivano a
condizioni con Genova per la sottomissione di
Ventimiglia. Mentre i cittadini si preparavano alle
armi.
Introdotta da Federico Barbarossa, in Liguria,
veniva adottata la carica di Podestà, a presiedere
il Senato cittadino.
1199 Nel mese di luglio, una poderosa
armata guidata dal Podestà genovese Beltramo
Cristiano, di Pavia; guastava la campagna
ventimigliese, fino a settembre, per ritornarsene a
Genova a mani vuote.
Genova obbligava alla lega contro Ventimiglia, i
paesi rivieraschi, il 19 e 23 settembre Albenga, il
19 e 29 aderiva Laigueglia, il 20 e 24 sarà
Diano, il 29 aderiva Oneglia; il 16 ottobre toccava
a San Römu ed il 24 gennaio 1200, era la volta di
Porto Maurizio.
1200 In luglio, il podestà genovese
Orlandino Malapresi sbarcava a San Römu con nuove
armate e metteva campo a capo Sant’Ampelio, dando il
guasto alle campagne di Nervia.
I conti ventimigliesi, Guglielmo ed Enrico, erano
alleati con i genovesi.
1201 I ventimigliesi armavano una galea che
era attaccata da tre legni genovesi, in Spagna.
Corse falsa notizia che fosse stata catturata,
provocando il tumulto del popolo che chiedeva la
resa a Genova e la restituzione dell’equipaggio.
Questo avvenne in luglio, quando molti
ventimigliesi, guidati dalla famiglia De Giudici,
tornata al potere, si recarono in Genova imploranti,
per sottomettersi.
1210 Trovandosi in Nizza il conte
Sancio di Provenza, che reggeva il governo in nome
del nipote minore Raimondo Berengario V°, alcuni
legati del Comune ventimigliese strinsero
convenzioni.
1211 Sancio di Provenza stringeva patti
segreti con il partito dell‘indipendenza
ventimigliese.
1215 Il conte Oberto affrancava gli
uomini di Cipressa e confermava le consuetudini
concesse dal padre Ottone agli uomini di Bajardo.
In Nizza, il partito genovese conquistava il potere,
convenzionando la città col potente Comune ligure.
Il confine occidentale genovese giunge al Varo.
Per rintuzzare i disegni di espansione dei
Provenzali, i genovesi incaricavano Fulcone di
Castello di fortificare il poggio di Monaco, con un
castello, quattro torri e mura di trentasei palmi.
1216 Un Corriere pisano, di passaggio dalla
Provenza, trovava ospitalità dalle famiglie Saonese
e Curlo, che avevano ripreso il governo del Comune.
I Consoli consegnavano al corriere una lettera per
chiedere convenzioni con il Comune pisano. La
lettera venne intercettata dai genovesi.
1218 Il 3 maggio, una delegazione
del Comune ventimigliese, composta da Folco
Bellaverio, Oberto Brondo, Giraldo Giudice, Beltramo
Curlo e Guglielmo Intraversato, chiedeva leale
sottomissione al podestà Rambertino da Bovarello, il
quale inviava a Ventimiglia il notaio Nicolò Pane,
per far apporre il sigillo dei Consoli sui trattati,
non ottenendo che eccezioni.
In settembre, il Podestà, di passaggio su una galea,
al largo di Ventimiglia, era invitato a prendere
possesso della città, da parte del console Oberto De
Giudici, che aveva tramato, sopportato dagli altri
consoli, di concedere la nostra città alla signoria
di Oberto Spinola, in nome della città di Genova.
La fazione dei De Giudici era rovesciata, mentre
Genova ricorreva nuovamente alla guerra.
1219 Nei primi giorni di maggio, una forza
di cinquecento uomini a cavallo e una moltitudine di
pedoni, reclutati nei paesi rivieraschi sottomessi,
fra cui Taggia, sorrette da tre galere e numerosi
vascelli, al comando di Conti e Baroni rivieraschi,
quali i Malaspina, i Clavesana e i Del Carretto,
marciavano verso Ventimiglia.
Con l’appoggio dell’imperatore Ferderico II° e
giovandosi inoltre de l’ambiguo atteggiamento del
conte Emanuele e del clamoroso passaggio di campo di
una delle più prestigiose famiglie, quali i De
Giudici, Genova scatena un’offensiva senza tregua,
accampandosi a San Römu, dov’era sbarcato
l’esercito.
Il 10 maggio, i genovesi catturavano una nave di
frumento diretta in città, producendo anche danni
alle campagne dei dintorni e lasciando poi il solo
assedio dal mare. I ventimigliesi armavano una cetea
(nave dai cento remi) eludevano l’assedio e
riuscivano a catturare due galee genovesi, nel mare
di Trapani, poi sulla via del ritorno, catturavano
un’altra nave, che abbandonavano, perché soccorsa da
una galea di Donadio Bo. Incoraggiati dall’esito
favorevole, armavano una grossa galea con la quale,
nel porto di Tunisi, catturavano la nave genovese
detta “La Benvenuta”, formando una piccola flotta
corsara.
Al largo delle isole di Hyéres, in Provenza, le navi
ventimigliesi, attaccavano un legno genovese,
proveniente dalla Sardegna, detto “San Leonardo”
soccorso da due galee genovesi al comando di
Zaccaria di Castello, che riusciva a riprendersi “La
Benvenuta”, costringendo i ventimigliesi a prendere
il largo col favore del buio, per finire ad
incagliarsi negli scogli sotto Roccabruna dove i
genovesi cercarono di catturarla, senza riuscirvi
per l’intervento di numerosi armati di Ventimiglia.
Nel corso dell’assedio i genovesi scavarono un largo
canale, lungo due miglia ed interrarono il porto del
Lago. Sul Caffaro, si leggono ancora i nomi delle
navi, che ripiene di pietre si affondarono, al fine
di deviare il fiume Roia, il quale scorreva dove ora
è il borgo di sant’Agostino, protraendosi verso le
Asse, quasi fino al Nervia.
1220 Il 2 ottobre, l’Imperatore Federico II°
deputava il marchese Ottone Del Carretto di
ottenere, a suo nome, la sottomissione dei
ventimigliesi.
Il marchese inviava una deputazione, a capo di certo
Enrico Piperata, che veniva catturato e messo in
catene. In seguito inviava il savonese Guidone
Feldrato, che a San Römu, in presenza dei conti
Oberto ed Ottone, invitava i paesi circostanti a far
lega contro la città ribelle.
Il Podestà si accordava col conte Emanuele, con uno
stipendio mensile di 150 lire, per isolare la città
dalla strada del Roia e la presa della rocca de La
Penna. Per contro i ventimigliesi cercarono di
espugnare il castello di Lucerame, attaccando poi
Sospello, dove i tendaschi al comando di Oddone
Sevenco avevano, la meglio e catturavano
quarantacinque prigionieri che il conte Emanuele
consegnò al Podestà genovese, per 1500 lire.
Documenti del
secolo XI nominano diverse porte d’accesso alla città,
appartenenti alla prima cinta difensiva, ora scomparsa.
La Porta Lacus, sita nel quartiere omonimo, verso la
Roia, a monte del ponte. La Porta Paramuri, forse
coincidente con la Porta del Ciousu, ancor oggi visibile
all’interno della cinta cinquecentesca.
Le mura che cingevano la città preludevano alla presenza
di un castello: la rocca o il maschio che fungeva da
torre di osservazione e di guardia, da arsenale e da
alloggio per il Conte. Cinto anch’esso da bastioni,
fortificato con torri, con la postierla su cui su apre
l’unica porta d’accesso.
Nel cortile, altre costruzioni proteggevano i cavalli e
le riserve alimentari, sormontate da altri vani
destinati ai lavori ed all’amministrazione. Forti e mura
erano predisposti per contenere le frequenti scorribande
piratesche e saracene. In certi periodi di maggior
pericolo, durante la notte, la campana invitava a
spegnere il fuoco in ogni focolare. Suonando lo
“scürotu” ordinava a tutti di ritirarsi in casa, era
venuta l’ora di lasciar vuoto lo spazio pubblico, per
meglio individuare i nemici della pace.
Le guerre, sempre più rare, del secolo XI, erano per lo
più scontri di gruppo, per garantire potenza e ricchezza
al clan. Nel combattimento non si puntava
all’annientamento dell’avversario, ma al bottino ed al
riscatto. Bisognava allenarsi alla guerra, bisognava
praticare le attività sportive che più le si
addicessero. Faceva la comparsa, a metà del secolo XI,
il gioco della guerra, la giostra guerriera, il torneo.
Non
una simulazione rituale di combattimento, ma un duello
tra due cavalieri o squadre di combattenti, non sempre
incruento. L’altra occupazione preferita dal gruppo
dominante era la caccia alle bestie selvatiche, svolta
nei vasti possedimenti silvestri del Conte. Il tutto
terminava con una cena generale, nella grande sala del
castello contile, mentre giocolieri e trovatori
cantavano le “gesta” dei cavalieri leggendari.
Alcune
supposizioni, dettate da notizie reali ma indirette,
volevano i Conti di Ventimiglia dediti ad un’altra
attività guerresca; quella della pirateria navale ed il
brigantaggio sulle due vie di transito internazionale
che percorrevano la contea, la strada per la Francia e
quella montana per il Piemonte. In quel tempo, sulle
nostre strade erano numerosi i viandanti, i monaci
girovaghi che non si adattavano alla clausura, i
goliardi un po’ straccioni ed un po’ saltimbanchi in
giro per gli Studi; masse di contadini in pellegrinaggio
verso Roma, dalla Francia e dalla Spagna; verso la
Terrasanta, con meta Genova per l’imbarco e verso
Santiago de Compostela, in uno dei due “cammini”
dall’Italia e dall’Oriente.
Gli imperatori, per bontà e
devozione verso la Chiesa ed i Re, per garantirsi la
fedeltà dei loro sostenitori, dilapidarono le loro
ricchezze fondiarie e quindi la loro potenza.
L’aristocrazia contile approfittava di questo
indebolimento per accaparrarsi a titolo ereditario le
cariche che avevano ricevuto dallo Stato. I nobili
confusero i beni del fisco con quelli onorifici,
arrivando addirittura a pensare di possedere
effettivamente l’intero territorio amministrativo.
Quindi, per garantirsi a loro volta
fedeltà e devozione, si diedero ad elargire diritti ed a
donare beni fondiari, specialmente a monasteri, che
godevano dell’immunità imperiale. Stabilire un rapporto
privilegiato con un monastero era una tappa obbligata
nel percorso degli aspiranti alla “signoria bannale”
autonoma.
La Carta di Tenda, redatta dopo
il 1042, distingueva fra i servizi dovuti al Conte,
quelli indefiniti, come erano gli. obblighi degli
schiavi, dovuti dagli “homines de sua masnada” ed i
servizi, al contrario soggetti a tariffa, a cui erano
tenuti gli “homines habitatores”.
Tuttavia anche per questa gente, che
si era meglio difesa, le prestazioni richieste dal
Conte, in nome della protezione da lui procurata,
avevano assunto una forte tonalità familiare. A certe
scadenze, erano tenuti a portare quelli che venivano
chiamati “regalia” alla casa del capo. Quando, dovendo
compiere delle “corvées” che tenevano luogo del servizio
militare non più richiesto, si trasferivano per un
periodo alla corte del signore, ponendosi nei suoi
confronti in un rapporto di convivialità e di
obbedienza.
Anche i diritti di alloggio e di
accoglienza, di indiscutibile origine pubblica, venivano
conservati dal Conte; come avveniva per i magistrati,
nella tarda Antichità, quando in trasferta, erano
ospitati dai cittadini. Se non era più il contadino, ad
ospitare il Conte in famiglia; quando questi ed il suo
seguito, venivano a dormire nel villaggio; restava
l’obbligo di consegnare l’equivalente, in vino, pane,
denaro ed anche in materassi di piume, per una ottenuta
“franchigia”.
Il Comune era retto da quattro Consoli, rivestiti di
estesi poteri, anche sui luoghi sacri. Questi erano
sorretti, dal Consiglio dei Seniori, eletto dal
Parlamento degli uomini liberi, che si adunava in epoche
fisse, nella chiesa Cattedrale di Santa Maria.
Un pubblico ufficiale, detto Cintraco, chiamava il popolo a
Parlamento, giurava in di lui nome, gridava i bandi,
citava i tribunali e metteva le gabelle all’incanto.
Alcuni buoni uomini custodivano il pubblico denaro ed un
Cancelliere redigeva il cartolario delle delibere del
Parlamento e dei decreti consolari, custoditi in
scrigni, deposti nella sacrestia della Cattedrale.
Il Libero Comune, che corroborava i propri atti
con un sigillo, appeso agli atti con un cordoncino
doppio di seta; formava ed emanava i propri Statuti,
chiamava un Podestà per l’amministrazione della
giustizia, contando l’anno a sua posta.