rivista il: 29 maggio 2013
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MEDIOEVO   A  VENTIMIGLIA
I N    U N A    C I T T À    D I    C O N F I N E
P R E S E N Z E       T E M P L A R I

P R E S E N Z E       T E M P L A R I

Oltre al priorato di Porta Nizza; quando, nel XIII° secolo, i genovesi dotarono la città delle mura avanzate, da porta Canarda a Castel d’Appio, la presenza dei Templari nel territorio delle Ville divenne conseguente. Un asilo premurale, per dare ospitalità ai viaggiatori serali, provenienti dalla Francia era oltremodo necessario. Nella successiva giornata, quando le porte si fossero aperte, l’ospite avrebbe potuto raggiungere il più accogliete ed importante priorato.

Questa opportunità poteva essere sostenuta dalla casa torre, stimabile al XIII secolo, sita a pochi metri dalla Canarda, oggi di proprietà Calsamiglia, corredata d'una corposa rimessa con ricovero ed una chiesuola dedicata agli Angeli Custodi, attiva ancora nel 1939.

La tradizione popolare, colloca il terreno delle Ville, con annesso asilo, nella località che oggi viene chiamata Ville Superiori e conserva un nucleo di case rurali ancora attive, per le quali la pianificazione e quanto si intuisce della struttura muraria, potrebbero essere databili persino al XII secolo.

Non deve trarre in inganno la grande villa padronale sette-ottocentesca, dotata di chiesuola, dominante il paesaggio delle Ville. Bisogna invece cercare tra le case che aprono il portale sul tratto più scosceso della attuale strada comunale, dal Passo.

In una di queste, a memoria d’uomo, veniva segnalata la presenza di un convento femminile, attivo ancora agli inizi del XIX secolo, mentre la pianificazione di base della costruzione, oggi estremamente rimaneggiata, lascia intuire l’annosità e la specificità conventuale, dell’edificio.

Anche a Bordighera, esisteva una località chiamata Villa, dove sarebbe stata possibile l’ubicazione della Casa templare, in considerazione dell’importante approdo presente, presso Capo Ampelio, ancora nel XV secolo.

 

Nell’anno 1526, il Connestabile di Francia, Carlo di Borbone, di passaggio per andare a sottomettere Genova., sollecitato da Agostino Grimaldi, metteva al sacco Ventimiglia, distruggendo gli archivi del Comune e quelli del Capitolo della Cattedrale. Anche molti edifici e parte delle mura, vennero distrutti.

Potrebbe sembrare una normale rappresaglia verso i Doria, che comandavano a Ventimiglia, per vendicare i Grimaldi, nelle grazie del Borbone; ma l’incarico che lo stesso Borbone esercitava in associazioni segrete, molto potenti in quell’epoca, potrebbe aver coinvolto la memoria dei Templari locali e dei segni lasciati sul nostro territorio o nei nostri archivi.

Anche l’esodo di numerosi Catari, dall’Occitania, verso la Lombardia, potrebbe aver lasciato molte tracce, specialmente all’interno del priorato templare, che senza dubbio, proteggeva i Catari perseguitati.

Lo stesso Carlo di Borbone morirà mentre assediava Roma, nel 1527, durante il sacco delle città, data alle fiamme, forse per gli stessi ermetici motivi che avevano coinvolto la piccola Ventimiglia.

Un fatto riportato dall’Amandolesio, tra i suoi rogiti dell’anno 1257, ci trasmette che, presso la Rocca, il Templario Raimondo Galliano feriva a morte Guglielmo da Voltri, un'inserviente del Forte del Colle. Ancora l’Amandolesio, con gli atti: 569 e 613, dell’anno 1263, ci informa, che presso la chiesa di san Michele, era presente un pezzo di terra intestato all’Ordine del Tempio. Nel territorio delle Ville, lo stesso “hospitalis Templi” possedeva un altro appezzamento.

Dall’opera di Girolamo Rossi apprendiamo come, nell’anno 1278, i due Conti di Ventimiglia coi loro fratelli Guglielmo del Poggetto, Guglielmo Pietro Lascàris ed Oberto Templario, dovettero sottomettersi giurando fedeltà e vassallaggio a re Carlo d'Angiò.

Il termine “Templario”, che segue il nome del terzogenito Oberto, starebbe ad indicare che il cadetto, pur amministrando i feudi assieme ai fratelli, era stato indirizzato all’Ordine Templare, per agevolare il primogenito, nel mantenere unito il patrimonio.

L’adesione di un membro cadetto della famiglia contile all’importante Ordine cavalleresco, dava lustro al locale Priorato, mentre riceveva altrettanto decoro ed ostentava religiosità praticata, verso la corte comitale.

 Quello che sarà il convento francescano, arroccato sui bastioni a ponente della città, sarebbe stato, sino alla fine del secolo XIII°, una magione dell’Ordine Cavalleresco dei Templari, che possedevano terre ed altri beni in Tenda. Un priorato di Templari, col titolo di san Gervasio, era presente in Sospello, già nel 1186.

Per una località, da sempre passaggio obbligato e zona di frontiera, la presenza di un priorato templare, dotato di “pellegrinaio”, la foresteria del tempo, parrebbe del tutto normale. Il complesso abaziale piemontese di Staffarda, sito alla confluenza delle valli Pellice e Chisone, ora secolare ricetto valdese, è stato un attivissimo Priorato templare, sulla strada alpina per la Francia.

 

Ricevitore e Servente
 
Sergente templare
 

 

Un priorato di Templari, col titolo di san Gervasio era presente in Sospello. In città esistevano ricoveri, o alberghi privati, per i pellegrini diretti a Compostela o in Terrasanta. Uno di questi risultava gestito da Beatrice, vedova di Filippone da Gavi, dove riparò Giovanni de Porta, da Piacenza al servizio di Manuele di Castiglia, in viaggio verso il Monferrato, nei primi mesi dell’anno 1260.

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1262 Il 24 agosto, il vescovo Azzo Visconti consegnava la gestione dell’ospizio “de Arena” a Giovanni Cavuggio, un laico di fede guelfa.

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         L’ospizio de Arena era sito sulle fini rene che risultavano tra il Fiume Roia ed il Nervia, in una zona apresso le cosidette Asse, aveva avuto ruolo di supporto della Domus Templare cittadina, per ospitare i viandanti provenienti dalla Provenza, o dal Piemonte, attraverso lo Strafurco. L’arcivescovo di Genova, Gualtiero, decretò che il Capitano della Rocca inviasse il “minister Roccae” a reggere l’ospizio per lo spirituale, con l’intento di introdurre la parte ghibellina in Ventimiglia, fino a rendere la diocesi suffraganea di quella genovese. Il vescovo Azzone, che dipendeva dalla Metropolita di Milano ed era di fede guelfa, col provvedimento intrapreso ha voluto puntualizzare la fermezza della diocesi intemelia verso i problemi politici che si dibattevano tra questa ed il governo genovese.

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1278 I due Conti di Tenda, Guglielmo Peire Lascàris e Pietro Balbo, coi loro fratelli Guglielmo del Poggetto, Raimondo Rostagno ed Oberto Templario, dovettero sottomettersi giurando fedeltà e vassallaggio al re angioino, Carlo I°, nelle mani di Giovanni di Burlasco, siniscalco di Provenza, promettendo anche per i loro figli e per il nipote Guglielmo.

Credenti catari minacciati, si servirono di un passatore, nel Varo, per raggiungere Genova, dov’era presente Bernard Olive, l’ultimo vescovo cataro del Tolosano, in esilio; mentre suo figlio maggiore, Philippe Cathala, svolgeva attività a Pavia. Altri esuli catari erano a Coni, Cremona e Piacenza.

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        Oltre all’episodio del “passatore” nizzardo, presenze albigesi così elevate in Liguria e Lombardia, avrebbero dovuto portare un gran traffico, per Ventimiglia, di fedeli catari, da e per i paesi occitani, sostenuto dall’attiva presenza in città di un monastero Templare, presso Porta Nizza, riconosciuto, al tempo, zona neutra per i viandanti albigesi.

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1313 I Frati Minori Francescani abbandonato il vecchio convento presso il Forte del Colle, si insediano all’interno delle mura, in quella che pare fosse stata magione dell’Ordine Templare, nei pressi della porta di Francia.

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Dovrebbero esser sorti, intorno a questo periodo, il quartiere del Campo, e quello del Lago, lungo il pendio nord orientale del promontorio, verso il fiume ed il dismesso porto canale.

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1160 I Conti Guido Guerra ed il fratello Ottone entravano nell’Ordine Templare.

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Presso l’Archivio Reale di Bruxelles, alla sezione manoscritti n. 6614 f. 114, nel 1997, il barone De Sonj, tra le armi dei Cavalieri Templari, ha trovato lo stemma di Guido Guerra e suo fratello Ottone, Conti di Ventimiglia. La nota Domus Templi, ritrovata nei rogiti del XIII secolo, potrebbe essere una loro iniziativa a vantaggio dei pellegrini e dei romei.

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1186 Nella chiesa di San Gervasio, in Sospello si fondava un Priorato di Templari.

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Nella Diocesi di Ventimiglia erano presenti quattro case di monaci di San Benedetto, una a Ventimiglia, una a Sospello la terza a Saorgio e la quarta a capo Ampelio. Nel 1186 si fondava in Sospello un Priorato di Templari, mentre al principio del 1200, monaci Minori francescani rilevano il convento sito presso porta Nizza, da altri monaci Templari. La Confraternita dello Spirito Santo, che in Ventimiglia aveva associati, non solo nel ceto

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1247 Una grande inchiesta dell’Inquisizione, in Provenza, costringeva la gerarchia catara albigese, alla fuga verso i nuclei di Catari presenti in Lombardia, attraverso le valli Piemontesi, il Nizzardo e via mare, verso Genova.

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Attraverso il confine ventimigliese, furono i Templari, presenti attivamente, che provvidero a far filtrare i “perfetti’ catari, in fuga verso la Lombardia.

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1257 Presso la Rocca, il templare Galliano feriva a morte Guglielmo da Voltri, un inserviente della guarnigione genovese.

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       Non potendo imprigionare il Galliano, in quanto Templare, i genovesi pretendevano una condanna da parte del vescovo Azzone Visconti, che risponde: “Un vescovo di fede guelfa né sarà guardiano di un guelfo, né suo giudice; i Templari sono della Santa Sede”.

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1259 Alla presa di Damiata, tra le truppe del re di Francia Luigi, era presente il nobile nostrano, Ottone De Giudici.

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La spinta espansionistica di Carlo d’Angiò, ancora conte di Provenza, ma già proteso alla conquista dell’Italia meridionale, si manifestava con una serie di accordi con i conti di Ventimiglia, che si scontravano con i contrapposti interessi genovesi. La diaspora dei conti Ventimiglia, porta ad una vera e propria internazionalizzazione della famiglia nobiliare, imparentandosi con i Lascàris di Costantinopoli e fondando un nuovo ramo, mentre altri componenti del “clan” si trasferiscono in Sicilia. al servizio di Manfredi e di Corradino di Svevia, fino ad acquistare importanza, come conti di Gerace. Il convento francescano, arroccato sui bastioni a ponente della città, sarebbe stato, sino alla fine del secolo XIII°, una magione dell’Ordine Cavalleresco dei Templari, che possedevano terre in zona Ville ed altri beni in Tenda.

 

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NOTA:

1) Il marchese inviava una deputazione, a capo di certo Enrico Piperata, che veniva catturato e messo in catene. In seguito inviava il savonese Guidone Feidrato, che a San Römu, in presenza dei conti Oberto ed Ottone, invitava i paesi circostanti a far lega contro la città ribelle. Il Podestà si accordava col conte Emanuele, con uno stipendio mensile di 150 lire, per isolare la città dalla strada del Roia e la presa della rocca de La Penna.

        Proprio, il 2 ottobre di quell’anno, l’imperatore Federico II° deputava il marchese Ottone Del Carretto di ottenere, a suo nome, la sottomissione dei ventimigliesi.1

        Tuttavia, per convincere i Comuni, si dovettero profondere ben altre energie: tra il 1220 ed il ‘30, alcuni inviati del Papa, solitamente domenicani, giravano nell’Italia del Nord per convincere le autorità comunali ad allinearsi alla politica antieretica della Chiesa.

          Inoltre, per garantire l’efficacia di questo arsenale di misure repressive c’era comunque bisogno di un’istituzione indipendente dai poteri locali, sia civili che vescovili, che fosse specializzata nella persecuzione delle eresie. Così papa Gregorio IX, fra il 1231 ed il 1233, istituiva il tribunale dell’Inquisizione, che verrà reso sistematico dopo il 1244.

          Nel Sud della Francia, fra i Catari, vi furono numerosi casi. di ribaltamento delle proprie posizioni, infatti alcuni di loro finirono col trasformarsi in inquisitori, come Ranieri Sacconi o Pietro da Verona, predicatore nella arcidiocesi milanese e quindi anche nei nostri territori. Ucciso dagli anticlericali, veniva canonizzato da Innocenzo IV, dopo soli cinque mesi, col nome di Pietro Martire.

 

SEGNI DEL CATARISMO

       Il movimento valdese, pur opposto al catarismo, anch’esso perseguitato, trovò rifugio nelle valli piemontesi. Anche nel nostro territorio i Valdesi hanno trovato accoglienza. Una prova determinante è presente in un uso dialettale ancora inveterato, dove lo zio viene chiamato “barba”, come i pastori valdesi, per via dell’onor del mento, segno distintivo del loro ministero.

        I contatti dei ventimigliesi e la loro alleanza con i Provenzali ed i Pisani, contrapposti alla sempre più pressante ingerenza genovese, stanno a dimostrare, anche la diversa ricerca dottrinale, rivolta più alla spiritualità occitana, che al clericalismo romano di Genova.

        Nell’anno 1120, passò per Ventimiglia, dove pare predicasse con estremo vigore: Bernardo da Chiaravalle, giacché anche il clero intemelio aveva preso a percorrere il simonismo, l’usura ed il nicolaismo, allora seguite dalla maggior parte del clero romano.

         Nell’anno 1244, papa Innocenzo IV°, eletto dopo il breve pontificato di Celestino IV°, rendeva efficaci le volontà di papa Gregorio IX, il quale dopo aver nominato vescovo intemelio, il genovese Nicolò Lercaro, lo sospendeva dopo avergli intentato processo per il nefando comportamento.

        Lo stesso Papa notificava la nomina a vescovo di Ventimiglia, per fra Jacopo da Castel Arquato, un claustrale dell’Ordine domenicano, irreprensibile, che si impegnò a rimediare agli effetti della scandalosa condotta del suo predecessore e del clero, pur troppo corrotto. Un vescovo domenicano, per raddrizzare una diocesi percorsa da corruzione e dall’eresia.

 

GIOACCHINO E DOLCINO

          Il XIII secolo, in Occidente, vide l’insorgere della lotta fra papi ed imperatori, tanto che alcuni si lasciarono andare al credere che la loro epoca fosse il tempo segnato dalla venuta dell’Anticristo, per cui, secondo il modello elaborato da Gioacchino da Fiore, doveva segnare l’inizio del periodo spirituale che preparava il ritorno del redentore.

         Parallelamente in alcuni ambienti francescani veniva operata una identificazione fra il nuovo ordine dei frati minori e l’élite degli “uomini spirituali” che dovevano rigenerare la Chiesa materiale e far trionfare la Chiesa spirituale.

       Queste idee presero a circolare in ambiente francescano, ma anche tra i laici, con le critiche mosse nei confronti della. corruzione della Chiesa., soprattutto dopo l’ascesa al soglio pontificio del portoghese Pier Iuliani, Giovanni XXI.

         I francescani spirituali ed i loro discepoli finirono con l’essere condannati come eretici: Giovanni Olivi (1245 - 1298), in Linguadoca, così come Angelo Clareno ed Umbertino da Casale, in Italia, venivano designati con il generico epiteto di “fraticelli”, mentre continuavano ad esercitare una forte influenza sulla società italiana.

        Uno fra i più rappresentativi fra i movimenti dissidenti francescani e stato quello degli Apostolici, fondato a Parma verso il 1260 da Gerardo Segarelli, il quale veniva accusato di eresia nel 1294 e finiva sul rogo nel 1300.

         Il suo movimento gli sopravvisse nella clandestinità e si fece ancora più radicale, per l’influenza di un laico che si faceva chiamare fra’ Dolcino. I seguaci di questo irriducibile vennero perseguitati dal papato, fino a diventare l’oggetto di una vera e propria crociata, promossa nel 1305 dal francese Bertrand de Got, papa Clemente V, che venne seguita persino dalla sede di Avignone.

         Soprattutto nelle campagne, o nelle contee di frontiera come la nostra, l’Inquisizione si spinse persino a perseguitare ogni forma di immoralità reale o presunta, ivi comprese una serie dì pratiche un tempo tollerate, quali: i fuochi di San Giovanni, le danze nei cimiteri e nelle chiese, come pure i riti divinatori, di magia e di guarigione.

CONTEMPORANEITÀ  TEMPLARI
RIFLESSI  LOCALI  DELLA  CROCIATA  ALBIGESE

CATARISMO IN ITALIA

       Cinque Chiese dei Buoni Cristiani sono state impiantate in ambito occitano, tra la fine del XII secolo e l’inizio dci XIII, in zone dense di comunità catare: Carcassès, Tolosano, Albigese, Agenese e Razès. Esse intrattennero costantemente solidi legami tra loro, come aveva raccomandato il dignitario orientale Nicheta, sull’esempio delle Chiese d’Asia.

        Il catarismo italiano era invece più diviso, tra le sei Chiese: Concorazzo, Desenzano, Bagnolo-Mantova, Vicenza, Firenze e Valle di Spoleto. La creazione delle Chiese catare italiane porta la data del 1150, quando un documento ha  segnalato la predicazione di Ormannino da Parma, in Orvieto.

        Verso la metà del XII secolo, l’azione missionaria di Marco da Milano ed un intero gruppo di Catari, proveniente dalla Francia, la Toscana e la Lombardia erano già assai largamente guadagnate alla predicazione catara.

      Attorno al 1170, le comunità erano abbastanza numerose e dinamiche per sentire l’obbligo di strutturarsi in Chiese. Giungeva in Italia, il predicatore Nicheta, vescovo delle Chiese orientali, per propagare il sacramento del “consolamentun” cataro.

        Il fermento del catarismo germogliò in Italia, su un terreno particolarmente fertile, nella tradizione del rigorismo e dell’anticlericalismo patarini, delle rivolte urbane dei Lombardi e di Roma, contro i grandi prelati sprofondati nel fasto, simoniaci, nicolaisti e debosciati.

 

DIFFUSIONE DEL CATARISMO

          È indubbio che il catarismo si espanse attraverso l’Europa nel periodo della riapertura delle grandi vie commerciali, dopo le invasioni, con lo sviluppo delle fiere più famose.

        Ma il luogo privilegiato per la sua diffusione è da cercare in una zona di passaggio per tutti i viandanti medievali, piuttosto che nelle prestigiose piazze del commercio internazionale, dove i Genovesi incontravano i mercanti di Cahors e dove, tra gli altri, bazzicava il padre di Francesco d’Assisi, che in Occitania sceglierà la propria moglie.

       Nella seconda metà del XIII secolo, la lirica dei “troubadours”, dall’Occitania diffonderà, attraverso il proprio ermetismo, il “Fine Amore” e, con questo, le teorie dualiste catare. Tutta. la nobiltà dell’Italia settentrionale verrà toccata da famosi cantori dell’Amor Cortese; compresa la corte comitale ventimigliese, come ci racconta il serventese del XII secolo di Rambaldo di Vaqueiras, che declama Gilbina di Ventimiglia.

       Proprio in quel periodo i Conti di Ventimiglia perdevano la loro autonomia, arrendendosi ad un invadente Comune genovese, che già da più d'un secolo operava in tal senso. Attorno al Mille, il conte Corrado cedeva il feudo di San Remo al vescovo dì Genova, pareva una riverenza di carattere religioso, ma interessava invece lo sfruttamento dei boschi, che era incombente e determinante.

        L’allora nascente cantieristica genovese aveva bisogno dell’ottimo legname reperibile nei boschi di Baiardo, fino ad allora imbarcato verso Pisa. Per non dare nell’occhio, si cedeva il territorio al vescovo, che nel primo periodo comunale, in Genova, era una tra le massime autorità civili.

         L'indebolimento degli alleati provenzali, impegnati dalla Crociata contro i Catari, rese Ventimiglia del tutto scoperta all'invasione genovese, fino a quando, nel 1222, Genova neutralizzava il porto ventimigliese, deviando il corso del fiume ed interrandolo, ma soprattutto eliminando la cantieristica navale locale, occupando militarmente il nostro Comune.

         Assieme al nostro povero Comune, senza la crociata: Tolosa, Carcassonne, Bezìèrs ed Albi sarebbero state votate allo stesso sviluppo, alla medesima fioritura di Firenze, Siena o Pisa. Finito il Trobar provenzale, infatti, si svilupperà il Dolce Stil Novo.

 

EFFETTI DELLA CROCIATA

        La guerra si scatenò nel 1209, quando i baroni francesi che presero la croce, videro nella spedizione l’occasione per arricchirsi. Il re di Francia, si era ben guardato dal compromettersi nella vicenda, infatti, sì sarebbe appropriato dei frutti dell’impresa, annettendosi l’Occitania, il 12 aprile 1229.

         Dopo la crociata, l’Inquisizione continuò ad operare nella Champagna ed in Occitania, mentre il conte di Tolosa cercava di scrollarsi dall’occupazione franco-clericale.

        Perfetti e perfette cercarono di riorganizzarsi con discrezione, molti si recarono temporaneamente in Lombardia, presso le Chiese locali, per poi tornare riordinati in Occitania.

         Questo andare e venire, da e per l’Italia, passava necessariamente per le Alpi, o per via marittima. La posizione di Ventimiglia nei confronti dì quest’esodo, dettato da un rinnovato evangelismo, avrebbe potuto essere attiva, e compiacente.

          Nella Ventimiglia comunale, città dì confine, all’inizio del XIII secolo, in aperto contrasto con Genova, non deve essere passato inosservato il catarismo.

         A partire dal 1226, il sanguinoso intervento di Luigi VIII nella Crociata albigese, aveva ripristinato l’ortodossia nel Sud del regno francese; mentre i Comuni dell’Italia settentrionale, che avrebbero dovuto recepire nei propri Statuti i provvedimenti emanati dall’autorità pontificia in materia di eresie, si mostrarono ostili a questa ingerenza del papato nei propri ordinamenti e fra questi proprio Ventimiglia.

         Per cercare di mettere in riga i riottosi Comuni, il Papa cercò la collaborazione del giovane Federico Il, che in occasione della sua incoronazione ad imperatore, nel 1220, diede alle misure antieretiche della Chiesa la forza delle leggi imperiali.

1247  Una grande inchiesta dell’Inquisizione, in Provenza, costringeva la gerarchia catara albigese, alla fuga verso i nuclei di Catari presenti in Lombardia, attraverso le valli Piemontesi, il Nizzardo e via mare, verso Genova.

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Attraverso il confine ventimigliese, furono i Templari, presenti attivamente, che provvidero a far filtrare i “perfetti’ catari, in fuga verso la Lombardia.

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1266  Soldati angioini transitarono per la Liguria. L’Inquisizione e gli ordini mendicanti, favorirono apertamente l’avvento di Carlo d’Angiò.

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In seguito all’intervento ed alla vittoria di Carlo d’Angiò, in tutta Italia i guelfi presero il sopravvento. Nelle città dove i ghibellini continuarono ad essere forti, come Pisa, si mantenne una presenza catara. Ma generalmente la Chiesa catara esule o italiana si esauriva verso la fine del XIII secolo, pur col ritorno dei ghibellini al potere.

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1278   Credenti catari minacciati, si servirono di un passatore, nel Varo, per raggiungere Genova, dov’era presente Bernard Olive, l’ultimo vescovo cataro del Tolosano, in esilio; mentre suo figlio maggiore, Philippe Cathala, svolgeva attività a Pavia. Altri esuli catari erano a Coni, Cremona e Piacenza.

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         Oltre all’episodio del “passatore” nizzardo, presenze albigesi così elevate in Liguria e Lombardia, avrebbero dovuto portare un gran traffico, per Ventimiglia, di fedeli catari, da e per i paesi occitani, sostenuto dall’attiva presenza in città di un monastero Templare, presso Porta Nizza, riconosciuto, al tempo, zona neutra per i viandanti albigesi.

CRONOLOGIA

1190  Tutta la Francia meridionale era percorsa dai, maestri catari e valdesi, detti “barba” o “insabotà”, che insegnavano ai poveri ad aver fiducia in Dio, senza credere alle disposizioni ecclesiastiche sulle indulgenze.

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Anche attraverso il nostro territorio passava l’evangelismo cataro, quando dalla Provenza, i “perfetti” perseguitati fuggirono per andare a rifugiarsi in Lombardia, tra gli “umiliati” milanesi. Il catarismo era basato sull’osservanza alla lettera dei precetti di. Cristo, in forma dualistica. Non violenti assoluti, decisi nel rifiuto di menzogne e giuramenti, i catari si manifestarono alle popolazioni cristiane come predicatori della parola di Dio, “ministri” itineranti ed individualmente poveri. Essi furono predicatori temibili per i sacerdoti della Chiesa romana, che in quel tempo erano per la maggior parte incolti, e corrotti.

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1200  Il cavaliere cataro, Bertrand de Berre, perseguitato ad Albi, protetto dai monaci lerinensi, giunse alla Grangia di Varaxe, dove visse a guardia dell’ospizio grangiale.

1225  Papa Onorio III riordinava la Chiesa Metropolitana Milanese, staccando da essa alcuni paesi che avevano abbracciato l’eresia dei Nicolaiti e dei Simoniaci; confermando la suffraganeità della Chiesa Ventimigliese.

Nel suo viaggio di predicazione in Provenza e Francia, transitava Antonio da Padova, trentenne.

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         Antonio, incaricato da San Francesco, nel 1223, di foggiare la scuola teologica dell’Ordine,  insegnava nel convento bolognese di Santa Maria della Pugliola, quando venne inviato a contrastare l’eresia catara. In Francia, Antonio venne incaricato dal governo di Limoges al ruolo di custode della città.

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I  TEMPLARI  A  SOCCORSO  DEI  FUGGIASCHI  ALBIGESI

      Per questo il Vescovo di Asti giustificò l'intervento del Marchese di Saluzzo, pronto a togliere l'indipendenza ai Cunéesi.

          Già nel 1220, i Milanesi aiutarono Cuneo a riprendersi la libertà, fino a quando, nel 1238, l'imperatore Federico II gliela riconobbe di fatto, superando i dinieghi dei monaci di San Dalmazzo, cui premevano i possedimenti in Val Grana e Val Maira.

          Sono gli anni nei quali il Comune genovese, ottenendo il beneplacito ecclesiale, riuscì a coalizzare la nobiltà rivierasca contro Ventimiglia. Per come la mansione templare alla Spinetta di Cuneo, avesse aiutato i Càtari fuggiaschi, così il Priorato ventimigliese, con le medesime motivazioni servì da esca per assecondare le bramosie genovesi verso il nostro Libero Comune Marinaro.

          Al tempo, in Linguadoca, era in atto l'Inquisizione contro i Càtari - Albigesi; quando il Papa esortò i nordici baroni Franchi ad intraprendere una violenta Crociata per estirpare l'eresia, che questi lessero come l'occasione di appropriarsi della Provenza.

          Molti Càtari sfuggivano la persecuzione, dirigendosi verso il Ducato di Milano, dove venivano accolti. Superavano le Alpi, transitando lungo le valli delle Marittime e delle Cozie, trovando ospitalità in molte comunità della Pianura Padana e della Costa Ligure; ovunque fosse in attività un Priorato Templare.

         Nell'anno 1210, il Libero Comune di Cuneo venne accusato di essere proprio un "bourg tournant", giacché assisteva i fuggiaschi, per accompagnarli poi verso Milano.