raccoglitore
di cultura e tradizioni
per le Vallate intemelie
“u berriùn”,
magari scritto “beŕiùn”
è un contenitore tipico dell’antica civiltà contadina, il quale esalta,
però, ampie caratteristiche di involucro assai ispezionabile, tendente a
concedere con la stessa facilità per la quale è pronto a ricevere.
Queste sarebbero le qualità del periodico,
almeno nelle intenzioni dei redattori, i quali sono pronti a caricarsi
della relativa “berriunà”, sul loro “bàstu” personale;
infatti, il “berriun” è usato per rendere trasportabile un carico
di fieno o di paglia, a dorso di mulo; ed è costituito da due bastoni
trattenuti fra loro da due robuste corde, abilmente acconciate e legate.
Può servire per aggregare anche un
carico di foglie, onde produrre strame, oppure una quantità d’alghe
rinsecchite; quelle foglie di Posidonia, che il mare rende sulle nostre
spiagge, e risultavano utilissime, sia negli imballaggi, sia quale
fertilizzante per molte colture, così come lo era lo strame.
I contenuti del “magazine” spaziano
tra tradizione, storia, economia, arte e regionalità, trattando: le
radici, gli avvenimenti, i costumi, la società ed il territorio, per
aiutare a crescere il nostro futuro.
Dal documento del Rossi si deduce la genuinità del termine dialettale, usato da San Remo fino a Nizza, per delineare l'attrezzo, il quale ha trovato utilizzazione quasi esclusivamente tra le vallate del Varo, del Roia, del Nervia, del Bevera e dell'Argentina, scollinando fino alle pendici alpine che si affacciano al Basso Piemonte.
Quando il Rossi scrive: «... per formar barca di fieno ...», vuole puntualizzare le origini marinaresche dell'attrezzo, usato per contenere gli stessi vegetali, anche nelle stive delle navi, o almeno per caricarveli, eppoi passato alla civiltà contadina delle Alpi Marittime.
L'origine del termine dialettale pare dunque aver radici nel nizzardo dove l'etimo potrebbe aver trovato origine da BENNA "cesto", passando per il provenzale, dove ha assunto le erre, sostitutive delle enne.
Assunta l'essenzialità del titolo si è poi voluto corredarla di un esplicativo dei contenuti, ed ecco tornare in vigore: tradizioni, storia, economia, arte e regionalità.
In quella luce, questi termini apparvero un poco abusati, oppure troppo altisonanti, quindi si tramutarono nei più prossimi: RADICI, AVVENIMENTI, COSTUMI, SOCIETÀ e TERRITORIO. Quest'ultimo fu poi definito a comprendere tutto il Bacino imbrifero del Fiume Roia, inteso come massima espansione della cultura intemelia, definendolo "Vallate intemelie".
Per quanti non avessero chiara l'estensione convenzionale del Bacino roiasco, intendiamo definire quel suolo che è compreso tra Capo Nero e Capo d'Aglio, e s'incunea tra le Alpi Marittime, assumendo quali capisaldi le cime del Monte Clapier, verso Ponente e del Marguareis, a Levante.
La linea displuviale Monte Clapier - Capo d'Aglio segue le cime de L'Authion, del Diavolo, del Peira Cava, del Braus, del Merat e di Monte Agel.
Quella Marguareis - Capo Nero passa per Monte Bertrand, il Saccarello, Cima Marta, Carmo Gerbontina, Monte Ceppo, il Passo Ghimbegna, il Bignone e Montenero. Tra il Clapier ed il Marguareis si trovano le cime: di Rocca d'Abisso, del Colle di Tenda e di Testa Ciaudon, a segnare lo spartiacque verso il Piemonte.
Intese come territorio dalla sorgente alla foce, le vallate sono, dunque, quelle del Roia, del Nervia e del Bevera, oltre a quella decina di valli litoranee, dal breve percorso, ma oltremodo importanti: Sasso, Battagli, Verbone, Latte, San Luigi, Carei, Borrigo, Gorbio e Cradausina.
u berriùn
Berrionus (rete di corda per formar barca di fieno, paglia e simili. “Liceat colligenti folia in dicto nemore, pro portando cum berrionis in fundo”. (Statuti Sancti Romuli, pag. 70). Il Toselli registra tale voce come dialetto nicese a pag. 203 del suo Rapporto.
Beriö - Berriö - termine agreste - s.m. - Reticelle di fune, a grosse maglie, sorrette alle estremità da due bastoni di legno ad uno dei quali è fissata una lunga fune a due capi; serve per formare fasci di fieno, erba o paglia da caricare su bestie da soma. (anche Berriun).
Pio Carli, nel suo dizionario dialettale sanremasco, a pagina 45 riporta:
Appena maturata l'idea della redazione d'una "rivista" che , nella Zona Intemelia. colmasse la mancanza d'un periodico illustrato, è nata la necessità di fornire alla stessa pubblicazione un titolo che, non perdendo di vista le peculiarità locali, ne determinasse le caratteristiche nella genuinità del termine assunto.
Dopo una prolungata ricerca tra titoli che si richiamassero alle nostre radici, alla storia o al territorio, ha preso corpo l'idea della rivista come "contenitore" di varie culture: allora, la verifica tese a prendere in esame termini che delineassero contenitori, tipicamente locali, che producessero in immediato la nozione ricercata, magari sfoderando un dialetto d'ampia comprensibilità.
Dapprima, "a nassa" avrebbe favorito le caratteristiche marinaresche del paese, pur esaltando una funzione di cattura virtuale, anche per la terraferma, ma il risultato non era soddisfacente.
Vennero alla luce: "u garròsciu", ma era limitativo alla vendemmia, "u barcàgiu" era troppo legato al fiume, "a çìma" troppo gastronomica, e via così.
Ecco quindi: "u berriùn" o "beriùn", che è un contenitore tipico dell'antica civiltà contadina, il quale esalta, però, ampie caratteristiche di involucro assai ispezionabile, tendente a concedere con la stessa facilità con la quale è pronto a ricevere.
Dovrebbero essere queste le qualità del nascente periodico, almeno nelle intenzioni dei redattori, i quali sono pronti a caricarsi della relativa "berriunà", sul loro "bàstu" personale.
Infatti, il "berriùn" è usato per rendere trasportabile un carico di fieno o di paglia, a dorso di mulo; ed è costituito da due bastoni trattenuti fra loro da due robuste corde, abilmente acconciate e legate.
Può servire per aggregare anche un carico di foglie, onde produrre strame, oppure una quantità d'alghe rinsecchite; quelle foglie di Posidonia, che il mare rende sulle nostre spiagge, e risultavano utilissime, sia negli imballaggi, sia quale fertilizzante per molte colture.
A pagina 26 del "Glossario Medievale Ligure", redatto da Girolamo Rossi nel 1896, e pubblicato a Torino, è presente la voce: